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Autore: nikita82roma    20/11/2016    2 recensioni
Rick ha detto a Kate che non sarebbe stato a guardarla mentre buttava via la sua vita. È tornato a casa dopo la consegna del diploma di Alexis quando sente bussare alla porta del loft. Ma non è Kate, è Esposito che lo avvisa che Beckett è in ospedale gravemente ferita. Si parte da "Always" ma il percorso poi è completamente diverso.
FF nata da un'idea cristalskies e con il suo contributo.
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Rick Castle, William Bracken | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quarta stagione
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Nel silenzio della notte, i rumori dei macchinari erano l’unico suono che, intermittente, teneva in vita quei corridoi, dove vita e morte si rincorrevano. Il cigolio delle ruote di un carrello, spinto da un’infermiera stanca, interruppe la monotonia del silenzio.
Seduti in una sala d’attesa, Jim Beckett e Castle erano uno davanti all’altro e guardavano entrambi il pavimento in mezzo ai loro piedi.
A vederli da fuori non potevano sembrare due persone più diverse: Castle era uno scrittore di successo, un playboy con due divorzi alle spalle, eccentrico e mondano. Jim era un avvocato la cui vita era stata distrutta dalla morte dell’unica amatissima moglie, riservato e composto.
Solo le parole li univano, ma ne facevano usi diversi. Anche se, in fondo, l’obiettivo di entrambi era di inventare storie credibili e convincenti.
Ancora una volta, tornava in ballo la differenza. Le storie di Castle erano come un gioco per lui, non gli sembravano nemmeno un lavoro e per il suo pubblico erano svago e divertimento. Le storie di Jim erano di vita reale e dalle sue parole dipendeva il futuro dei suoi clienti. Lui prendeva tutto con estrema serietà.
Eppure erano lì, insieme, a fissare le stesse mattonelle consumate dal tempo che avevano raccolto infinite lacrime e passi striscianti di dolore. Jim ogni tanto alzava lo sguardo scrutando Castle.
Si erano trovati, ancora sconosciuti uno all’altro, nella stessa situazione pochi -troppo pochi- mesi prima: anche quella volta Rick era rimasto lì con lui, aspettando notizie su Kate con il volto segnato dalla disperazione e dal senso di colpa per non essersi accorto un attimo prima del cecchino, per non essere riuscito a metterla in salvo. Era stato lì fin quando Kate non si era ripresa, malgrado Josh e le sue continue occhiate di sfida. Il dottore di certo non aveva fatto nulla per nascondere al mondo che quella era la sua ragazza, sottolineandolo sempre quando era sicuro che Castle potesse sentirlo. E Rick incassava, senza dire nulla, senza reagire alle sue provocazioni e non si allontanava mai. Fino a quella visita e alla fuga di Kate da tutto e tutti, per rifugiarsi con Jim in montagna, per staccare dal suo mondo e non pensare a nulla.
Ora Jim lo guardava, ed era diverso dall’ultima volta. Che fosse preoccupato era fuori dubbio, ma c’era dell’altro: era teso, arrabbiato.

- Cosa è successo tra te e Katie? - Chiese a Castle, che aveva alzato lo sguardo verso di lui non appena aveva sentito la voce dell’uomo. Rick tremava, forse di rabbia, ma non solo. 

Come poteva spiegare al padre di Kate quanto era accaduto? Come poteva dirgli quello che c’era stato o, meglio, quello che non c’era stato tra loro e che lo aveva portato ad allontanarsi da lei in modo repentino? Poi c’era tutta la questione dell’omicidio di Johanna, di Montgomery e la faccenda di Smith. Castle non sapeva se Kate ne avesse mai parlato con il padre e se fosse giusto dirglielo, ma gli occhi di Jim non si staccavano da lui, in attesa di una risposta che Rick in cuor suo sapeva di dovergli. 

- È complicato signor Beckett. Ed è una lunga storia… - Rick prese tempo. Sapeva che questo non sarebbe bastato per interrompere la necessità di sapere dell’uomo davanti a lui, ma serviva a lui per ricomporre le idee e capire cosa era giusto dirgli e cosa no.

- Non mi sorprende che lo sia, visto che riguarda Katie. E se è una lunga storia, abbiamo tempo, purtroppo. A meno che tu non debba andare…

Caste scosse la testa sussurrando un no. Si stropicciò le mani e poi se le passò sul viso. Raccontò a Jim dei documenti, di quella che lui aveva chiamato l’assicurazione sulla vita di Kate, a patto che lei smettesse di indagare. Gli spiegò di come lui era stato contattato per far in modo che lei non proseguisse nelle sue ricerche. Gli disse anche di Montgomery e Smith, della litigata con Kate, di averla pregata di rinunciare, di pensare alla sua vita, di come lei lo aveva attaccato e di come lui se n’era andato, perchè non poteva sopportare di vederla distruggersi.
Non gli disse niente, invece, della sua finta amnesia, di quello che lui le aveva confessato quasi un anno fa e ripetuto poche ore prima. Di come lei lo avesse cercato una volta ferita, di quello che le aveva scritto.
Jim rimase per qualche istante in silenzio, come se stesse metabolizzando quelle informazioni. 

-Però ora sei qui. Proprio dove non volevi essere… - la frase dell’uomo lo spiazzò: era quello che Rick aveva cercato di non dirsi da quando era arrivato Esposito a prenderlo a casa. Era esattamente dove non voleva essere, nella situazione che aveva temuto e per cui se n’era andato da casa di Kate sbattendo la porta. Il motivo per il quale si trovava in quel luogo era lo stesso per il quale non aveva voluto rispondere alle sue chiamate. 

La risposta di Rick fu un sospiro rassegnato. Non riusciva a dare una risposta nemmeno a sè stesso, figurarsi al padre di Beckett. 

Ma Jim non aspettava una risposta, non ne aveva bisogno. La sua era una semplice constatazione dei fatti. C’era un limite invalicabile che non aveva mai osato superare, ed era quello delle relazioni affettive della figlia. Ne aveva viste di più o meno sbagliate, qualcuna anche inutile. Ma non aveva mai messo bocca su nessuna di queste, almeno non dopo la morte di sua moglie, che gli aveva riconsegnato una figlia matura e responsabile, a volte anche più di lui, che invece si era lasciato sprofondare nell’abisso dell’alcol. Non era più la sua Katie sedicenne, in cerca di avventure ribelli. Era una donna che condensava tutta la sua irresponsabilità nel suo lavoro, lasciando la propria vita privata al di fuori di ogni sfera emotiva. Sembrava un paradosso, ma Jim aveva capito bene quello che Kate faceva da oltre dieci anni.
Non poteva permettersi di giudicarla, al massimo avrebbe potuto consigliarla se mai lei glielo avesse chiesto, ma non lo aveva mai fatto.
Negli anni aveva velatamente espresso più o meno simpatia per questo o quel fidanzato e Kate non gli aveva mai accennato nulla su una possibile relazione con Castle. Nonostante questo, lui aveva capito che, da come lei gliene parlava, lui era una persona importante nella sua vita.
Jim era convinto che fosse esattamente quello il motivo per cui lo teneva a distanza più di quanto avrebbe dovuto, più di quanto avrebbe voluto.

 

Un medico li chiamò e li invitò a seguirlo lungo un corridoio vicino, fatto di porte e vetrate con le tende abbassate. Stanza numero 173. Si fermò lì e loro con lui. Le solite raccomandazioni del caso: uno alla volta, non di più, non per molto tempo.
Non era cosciente, li aveva avvisati, non lo sarebbe stata per un po'. Le tempistiche dipendevano dal suo fisico, da come avrebbe reagito. Il “se” avesse reagito, il medico se lo fece morire in gola dopo uno sguardo ai due uomini davanti a lui.

- Vai tu Richard, così puoi tornare a casa da tua madre e tua figlia, saranno preoccupate.- Jim invitò Castle ad andare per primo da Kate. Lui avrebbe voluto tanto, davvero tanto poter accettare ma, pur non essendoci Josh a fare il cane da guardia e a tenerlo a distanza, stavolta era lui che non riusciva ad entrare da lei. 

Non si sentiva pronto. A che titolo ci sarebbe entrato? “Ciao, sono quello che di te non ne vuole sapere più niente, che non ti ha risposto al telefono quando rischiavi di morire, ma che ora si dispera perché tu ti possa salvare. Ah sì, anche quello che ti ama ma non può stare a guardare mentre ti distruggi e quindi se ne va”.

- Non mi aspetta nessuno, Alexis e Martha sono fuori. Vai da lei Jim, aspetto qui…

Vide Jim abbassare la maniglia ed aprire la porta, il suono dei macchinari della camera di Kate gli arrivò più netto, assieme alla luce fredda che illuminava la stanza. Chiuse gli occhi per resistere alla tentazione di sbirciare dentro.
Era passato meno di un anno ed era di nuovo lì, a provare la stessa sensazione di freddo dentro, lo stesso dolore che sembrava volergli prendere lo stomaco in una morsa e non lo lasciarlo più. Quante altre volte sarebbe accaduto ancora? Quante volte avrebbe rischiato di morire prima di soccombere? Quante telefonate e visite come quella di Esposito avrebbe dovuto ricevere prima di sentire la notizia che gli sembrava sempre più inevitabile?
Non avrebbe potuto reggere. Non sarebbe riuscito a passare ancora altre serate del genere, fatte di dolore e paura mischiati in un cocktail micidiale che rischiava di uccidere anche lui, sopraffatto da un amore così grande da non poter essere gestito.
Beckett era un poliziotto, lo sapeva. Sapeva che rischiava la vita ogni giorno e si erano trovati decine di volte in pericolo uscendone più o meno malconci. Ma non si trattava di questo, non era il rischio implicito del suo ambito lavorativo a preoccuparlo, quello lo avrebbe capito.
Quello che non poteva combattere per lei erano le sue ossessioni, e non poteva rimanere a guardare mentre lo faceva da sola: il suo animo melodrammatico urlava a gran voce che sarebbe stata solo questione di tempo prima che accadesse l’inevitabile.Lui non era in grado di accettarlo niente di tutto ciò.
Tutti questi discorsi erano giusti, sacrosanti, ma erano da fare dopo.
Non ora.
Dopo.
Ci avrebbe pensato dopo.
Quando lei fosse stata bene, allora avrebbe potuto permettersi di pensarci, di arrabbiarsi ancora. Quando la morsa allo stomaco si sarebbe sciolta. Non ora.
Sentì i bip bip più forti e poi il rumore della porta richiudersi piano, facendo tornare i rumori dei macchinari ad un lieve suono attutito di sottofondo.
Dalla stanza uscì un Jim molto provato e questo non aiutò Castle nei suoi propositi. Gli chiese se avesse bisogno di qualcosa e si preparò a ricevere una risposta del tipo “che mia figlia stia bene, grazie”. Ma Jim era troppo educato per rispondergli una cosa del genere.

-Un caffè. Credo che mi andrò a prendere un caffè.

Jim lo superò e si avviò verso la sala d’attesa dove erano rimasti ad aspettare notizie fino a pochi minuti prima, abbandonandolo davanti alla porta chiusa della stanza di Kate.
Stava a lui decidere cosa fare e non appena Jim svoltò l’angolo, Castle si fiondò sulla maniglia, entrando. A pochi metri di distanza, Jim Beckett si appoggiò al muro del corridoio, ascoltando il rumore della porta che veniva prima aperta e poi subito richiusa.

 

Bianco.
Freddo.
Bianche le lenzuola, fredda la luce.
Bianca e fredda anche Kate, distesa sul letto davanti a lui. Ecco quello che vedeva e sentiva Rick.
Capì perché Jim era uscito così provato, stava facendo fatica anche lui a guardarla.
Era Kate, lo sapeva perchè c’era il suo nome scritto sulla fascetta al suo polso, ma stentava comunque a riconoscerne i tratti sul viso tumefatto e ferito, nei lineamenti alterati dall’essere intubata, nel pallore estremo.
È perchè ha perso molto sangue, si disse.
Non era il momento di arrabbiarsi con lei, adesso. Eppure, a vederla là distesa, Castle avrebbe solo voluto scuoterla e chiederle perchè aveva fatto questo a sè stessa, perchè lo stava rifacendo a lui. Perché stava facendo questo a “loro”.
Ma un loro non c’era mai stato e forse non ci sarebbe stato mai.
Si sentiva la testa scoppiare, era come se tutto il sangue del suo corpo fosse affluito al cervello e aveva gli occhi che pizzicavano. Era stanco, era solo stanchezza, mentì a se stesso.
Le accarezzò prima il dorso della mano, facendo  uno slalom con le dita tra gli aghi e le sonde, poi si concesse di fare lo stesso sulla sua fronte, una delle poche porzioni del viso che sembrava ancora sana.
“A domani Beckett” le sussurrò uscendo. 

Domani era già oggi.
Si addormentarono qualche ora sulle sedie della sala d’attesa, fino a quando il via vai di persone non si intensificò, svegliandoli. Rick, in bagno, fissò a lungo la sua immagine allo specchio: era quella di uno che aveva perso le sue certezze.
Diceva di voler fare una cosa ma infine ne faceva un’altra. Perché era incapace di andarsene da lì? Prese il telefono di Beckett, che ancora teneva in tasca, e rilesse quel messaggio sentendosì ancora più vincolato a rimanere lì. Era dove doveva essere.
Esposito e Ryan arrivarono mentre Rick era in bagno e quando uscì li trovò a parlare con Jim, convinti che lui non ci fosse. Fu Ryan il primo a notarlo e, vedendo la sua faccia stanca, i capelli spettinati e i vestiti sgualciti dal giorno prima capì subito che aveva trascorso anche lui la notte in ospedale.
Esposito gli si avvicinò, mentre il suo collega rimase con il padre di Beckett

- Allora, cosa pensi di fare? - gli chiese l’ispanico portandolo dietro l’angolo con fare minaccioso.

- Starò qui fino a quando Kate non sarà fuori pericolo - ripose Rick stanco, più di quanto riuscisse a rendersene conto.

- E poi cosa farai eh, Castle? Sparirai salvo poi riapparire quando a Kate accadrà qualcosa? Perchè lo sai anche tu che succederà di nuovo. Nessuno di noi potrà impedirglielo. Tu sparirai e poi? cosa farai? Continuerai a tenerti informato sui suoi movimenti per essere sicuro di essere il primo ad arrivare? - Esposito era furioso con lui e Rick non capiva il motivo di tanto astio nei suoi confronti. 

Non era lui il cattivo della storia, come lo voleva far passare. Non secondo la sua versione dei fatti, almeno. - Ti ritroveremo qui, a fare la parte dell’uomo disperato per una donna che non è la tua, quando magari fino a poche ore prima te la spassavi con qualche hostess rimorchiata chissà dove?

- Javier, non ti permetto…

- Cosa, Castle? Di dirti come stanno le cose? Non è quello che fai abitualmente? Magari poi potresti non avere più il diritto di stare qui a disperarti... Magari vicino a lei ci potrebbe essere qualcuno che non si diverte con le bionde siliconate prima di preoccuparsi per lei. Ci hai pensato a questo? 

- Le auguro di trovare qualcuno che la ami e sia disposto di restarle accanto mentre lei si autodistrugge.

- Avrebbe bisogno di qualcuno che la convinca a non autodistruggersi, allora! 

- Ci ho provato Javier, non è servito.

- Beh, allora non ci hai provato abbastanza, amico mio.

   
 
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