Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: JoeyTre    21/11/2016    0 recensioni
Anno 2256. Kate Bennet non è una ragazza come le altre. La sua natura soprannaturale la costringerà a compiere delle scelte difficili, soprattutto nel momento in cui farà i conti con alcuni inquietanti risvolti che la porteranno a rivalutare tutta la sua vita.
Genere: Introspettivo, Science-fiction, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



“Che cosa pensavi di fare? Perché mi hai toccato?” sbottai, mentre mi massaggiavo il polso ancora dolorante. A noi ibridi non era permesso toccarci. Ma eravamo anche abbastanza intelligenti da saper distinguere un umano da uno come noi, senza che la repulsione elettrica si attivasse per ricordarcelo nel modo più fastidioso.
“Scusa, davvero” riprese il ragazzo con un tono di voce basso.
Le sue piccole iridi erano come perse in una miriade di altri pensieri.
“Adesso per favore, lasciami in pace”.
“Credevo… credevo fossi umana”.
Scoppiai in una risata isterica, voltandomi ancora una volta verso quello strano ibrido.
“Torna alla MBI, avranno sicuramente molta manutenzione da fare con te”.
“E’ da lì che vieni?” mi chiese.
“Senti, non so chi tu abbia visto, ma ti assicuro che non ero io”.
“E’ questo il problema. Io sono sicuro di averti parlato prima di oggi”.
“Se è per questo, credevi anche che fossi umana. Hai qualche problema”.
“Seguimi” mi interruppe.
Io lo scrutai un’altra volta. Sul suo viso c’erano una serie di piccole cicatrici, quasi invisibili a occhio nudo.
“Perché dovrei? Nemmeno ti conosco” dissi piegando la testa di lato.
Il ragazzo mi fece un cenno con la mano.
“Piacere, sono Nemo. Scusa, non posso stringerti la mano”.
Alzai gli occhi al cielo.
“Questo è davvero troppo. Ne ho abbastanza” sbottai, aprendo la portiera dell’auto per entrare dentro.
Non vedevo l’ora di tornare al sicuro a casa. Tutto quello che stava accadendo era troppo per me. Nemo non sembrò darsi per vinto. Si abbassò a livello del finestrino, scrutandomi dritto in volto con un sorriso strano, quasi compiaciuto.
“Tu non hai idea di che cosa io stia passando. E ti assicuro che se lo sapessi, non esiteresti un attimo a lasciarmi andare” continuai io.
Non avevo idea del perché quel ragazzo non volesse ascoltarmi. Sembrava in qualche modo prendersi gioco di me, come se sulla mia fronte ci fosse scritto tutto quello che mi era successo nelle ultime due ore. E probabilmente era così. Probabilmente le sue abilità gli permettevano di saperlo. Questa idea mi diede letteralmente i brividi.
“Credimi, se sapessi che cosa ho visto io, non esiteresti un attimo a seguirmi. E’ qualcosa di incredibile” replicò con un tono strano, come se volesse farmi un’offerta.
“Qualcosa mi dice che non me lo dirai finché non lo vedrò con i miei stessi occhi, vero?”.
“Wow, generazione A6. Sei davvero perspicace come dicono” rispose lui, con una punta di fastidiosissima ironia.
“Salta su” decretai alla fine “e non toccarmi”.
Nemo non se lo fece ripetere un’altra volta, e si sistemò sul sedile del passeggero accanto a me.
“Fidati, è qualcosa che devi vedere” mi disse.
“Quest’auto è dotata di telecamere interne, e potrei chiamare la polizia in meno di due secondi. Senza contare che sono dotata di telecinesi”.
“Vacci piano, non ti farò del male. Ho già intuito tutto ciò che mi serve sapere. Sembri una di quelle ricche spocchiose adottate da famiglie altrettanto spocchiose, con un feed elevato e che sperano di vincere lo Sturm. No anzi, ne sono convinti” ridacchiò.
“Okay, questo è troppo. Non so perché ho accettato di farti salire. Vattene subito” dissi a denti stretti, frenando bruscamente per accostare a lato della strada.
“Scusami, ho esagerato, lo so. Ma voglio davvero andare fino in fondo a questa faccenda. E credimi, riguarda anche te. Segui le indicazioni che ho impostato sul navigatore”.
“Hai detto di avermi già visto prima di oggi, vero?” chiesi, cercando di riordinare le idee.
Nemo annuì.
“Ma la cosa più assurda è che credevo fossi umana”.
“Credevi o ne eri convinto?”.
“Ne ero convinto. E’ per questo che ho insistito”.
Deglutii.
Speravo con tutta me stessa che quello strano ibrido si stesse sbagliando, ma non mi restava che ripartire per scoprirlo una volta per tutte.
 
 
 

Arrivammo in un posto affollato quando ormai il buio era calato. Sembrava un locale notturno. Molta gente era in attesa di entrare e un musica dal marcato ritmo techno e dal volume esagerato proveniva dall’interno. D’istinto mi coprii le orecchie.
“Non sei abituata a questi posti, eh signorina?”.
“Mi chiamo Kate. Kate Bennet, d’accordo? E no, questa topaia non fa decisamente per me”.
Lo sentii ridere un’altra volta.
“Dovremo entrare dal retro. Non c’è nessuna possibilità che ti facciano entrare con quella camicia e con quella gonna color pastello” disse.
“Credevo che il problema riguardasse il tuo orribile total black” decisi di ribattere.
“Questo stile è invidiato da tutti. Lo scoprirai presto” disse lui, fingendo un tono risentito.
Uscimmo dall’auto, dirigendoci verso la discoteca. Gli abiti e il trucco di chi si trovava lì avevano un marcato accento dark, ed erano tutti davvero eccessivi, come quelli di Nemo. Mi chiesi perché un ibrido fosse entrato in uno degli ambienti con un feed sociale così pericolosamente basso.
Camminando accanto a lui mi accorsi della sua andatura decisa, e notai che era molto più alto di me. Qualcuno in attesa di entrare si voltò a guardarci. Dovevamo sembrare davvero strani.
“Perché ci guardano tutti?” chiesi, con una leggera risata per smorzare il nervoso crescente. Sentivo che stavo per pentirmi di essere arrivata fin lì con un perfetto sconosciuto.
“Seguimi” mi rispose Nemo, dopo essere scattato in una corsa verso il retro del locale. Era come se avesse captato qualcosa, ed io mi affrettai a raggiungerlo.
Un gruppo di ragazzi incappucciati aveva accerchiato un uomo. Ognuno di loro aveva una maschera bianca sul volto, e puntava un taser elettrico contro di lui. L’uomo aveva le spalle al muro e le braccia sollevate in segno di resa. Le sue mani tremavano.
“Vi prego…”
“Che cazzo succede qui?” la voce di Nemo tuonò, imponendosi. Il ragazzo non accennò a cambiare la sua andatura decisa, e il gruppo indietreggiò piano, dopo averlo riconosciuto.
L’uomo al muro tentò di spiegare, ma la sua voce era ormai un misto indecifrabile di panico e confusione.
“Hanno detto che… che sono stato io a dargli un rating basso”.
“Chi ti credi di essere per intrometterti? Vattene!” urlò uno dei mascherati.
“E’ vero quello che dice? Lo state minacciando per un rating basso?” chiese Nemo.
“Non possiamo più entrare nei locali, e questo stronzo lo sapeva. E’ per questo che l’ha fatto!”.
“Non è vero… il loro rating era già basso, io non ho fatto nulla” si giustificò l’uomo.
“Andate via, è un consiglio” disse l’ibrido.
Il gruppo lo accerchiò, pur temendo la sua reazione. Sapevano che non avrebbero potuto fare molto contro un ibrido. Nemo non attese oltre, e chiuse i suoi occhi. Uno ad uno i ragazzi mascherati si piegarono, vittime di un dolore lancinante alla testa.
“Fermo, smettila! Gli stai facendo male!” urlai.
Nemo non mi ascoltò, e i ragazzi si accasciarono a terra, inermi. Sembravano svenuti.
“Che diamine… che diamine hai fatto” mormorai.
Ero sconvolta. Non avevo mai visto nessuno usare le proprie abilità contro gli umani. Quella era la prima regola degli ibridi, una legge non scritta che aveva da sempre scandito la nostra esistenza, dandole un senso preciso, che non avremmo mai dovuto cambiare.
Accanto agli umani. Mai contro di loro.
“Mio dio… grazie Nemo” disse l’uomo, che scivolò con le spalle lungo il muro.
L’ibrido l’aiutò a rialzarsi.
“Quante volte ti ho detto di non usare mai il rating? E’ pericoloso, Jace” gli disse poi. L’uomo scosse la testa.
“Lo sai che lo faccio sempre in modo anonimo. Questi idioti hanno un feed basso e vogliono ricattarmi per avere rating positivi. Ma col cazzo che entrano nel mio locale. Sai quanto ci ho messo per tirarlo su” continuò l’uomo, battendosi una mano chiusa a pugno sul petto.
Aveva i capelli bianchi e una lunga barba nera, che si confondeva con la vecchia giacca di finta pelle.
“Andiamo dentro, devo risolvere una cosa” continuò Nemo.
L’uomo annuì, mettendosi in piedi. Fu solo in quel momento che si accorse di me. Puntò l’indice nella mia direzione e spalancò gli occhi, come se avesse appena visto un fantasma.
“Diane? Che ci fai qui? Credevo fossi rimasta dentro”.
Io non risposi. La nausea e la voglia di capire perché anche quello sconosciuto mi avesse appena chiamato Diane si rivelarono un mix adrenalinico potente.
Nemo varcò la soglia della porta del retro ed io lo seguii.
“Si può sapere chi sei?” gli chiesi ad alta voce, per superare l’assordante volume della musica all’interno del locale. L’ibrido si voltò per lanciarmi uno sguardo esterrefatto.
“Uno come te? Credevo l’avessi capito. A giudicare dalla tua altezza, direi che siamo di generazioni diverse”.
“Perché hai fatto del male a quei ragazzi? Lo sai che non ti è permesso” lo attaccai.
Nemo venne verso di me, fermandosi a debita distanza, ma con lo sguardo fisso nel mio.
“Non credo tu capiresti le mie ragioni. Non sai nulla di me. Sei qui perché devo prima capire questo problema, per poi risolverlo. Dopodiché puoi pure tornare a casa a compiacerti di non aver mai torto un capello ad un povero essere umano indifeso”.
“Avresti potuto ucciderli”.
Le mie parole sortirono un effetto istantaneo, che superò di gran lunga le mie aspettative. Il ragazzo abbassò lo sguardo, e rimase in silenzio, come se avesse subìto un duro colpo.
Quelle parole sembravano avergli fatto male.
“Avrei potuto, ma non l’ho fatto” mi disse, senza sollevare gli occhi da terra.
“Oh no, ancora tu qui” una voce alle sue spalle, che riuscii a percepire nonostante il chiasso, mi fece inorridire.
Trattenni il respiro.
Era la mia voce. Esattamente la mia. Ma non avevo pronunciato io quelle parole. Nemo mi guardò ancora una volta. Nel suo sguardo c’era qualcosa di diverso, e potevo percepirlo.
Il ragazzo si spostò di lato, per permettermi di guardare oltre il suo corpo. Davanti a me, c’erano i miei stessi capelli ramati ed il mio stesso paio di occhi verde acqua, spalancati in un’espressione di orrore e confusione.
I miei stessi tratti e la mia stessa pelle, ma che d’un tratto non erano più sullo specchio, ma su ossa e carne vere. Su una persona davanti a me.
Un’umana.
Diane.
 
 
 

Fu lei a parlare per prima. In qualche modo era riuscita a superare lo shock iniziale meglio di me, che ero immobile con una mano sul muro freddo, l’unico appiglio contro quello stretto corridoio che mi girava intorno.
“Nemo, che diavolo succede?” gli chiese. Ancora una volta la sua voce mi ricordò di quanto fosse maledettamente identica a me.
L’ibrido mi rivolse la parola, ma con un tono più pacato. Sembrava quasi dispiaciuto.
“Questa è Diane. Diane, lei è Kate. Come vedi, non mi sbagliavo”.
“Non è possibile. Sto impazzendo. Oppure è un sogno. Lei… lei è umana” sussurrai.
“Mi stai dicendo che invece questa mia stramba sosia è un’ibrida?” chiese lei.
“No. Non è possibile” mi voltai per correre via da lì.
Era come essere in un incubo. In un domino di eventi assurdi e completamente fuori dal mio controllo. Spinsi con forza la porta per uscire e tornare in auto.
“Kate! Kate!”
La voce di Nemo mi raggiunse, ma non mi fermò da ciò che ero intenzionata a fare.
“Kate, non andare via… parliamone”.
“Lasciami in pace!” urlai.
“E’ pericoloso!”.
Sentii le mie lacrime bagnarmi il volo.
“Lasciatemi in pace”.
Era tutto ciò che sapevo dire.
Era tutto ciò che volevo. 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: JoeyTre