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Autore: lr_ff    21/11/2016    0 recensioni
Sequel del giallo-introspettivo "L'ultima Corsa".
Trama: La Detective Alessandra indaga sull’omicidio dell'editore fiorentino Pietro Dinasti. Sulla scena del crimine incontrerà di nuovo l'aspirante scrittrice Elena, la quale avrebbe dovuto incontrare Pietro, per concordare la pubblicazione del suo romanzo, il giorno prima della morte dell’editore. Alessandra ed Elena dovranno sforzarsi di non far riemergere sentimenti messi a tacere negli ultimi mesi per non rischiare di compromettere l’indagine in corso... ci riusciranno?
Genere: Introspettivo, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le strade in Italia hanno tutte lo stesso nome. C’è sempre Via Mazzini, Cavour, Diaz, Vittorio Emanuele. Pensava che il ripetersi degli stessi nomi dipendesse dalla penuria degli eroi che la nostra penisola poteva vantare. Però le strade di Firenze erano più belle. Quelle strade erano state calcate da quello che s’appostava ogni nove anni fuori casa di Beatrice per riceverne il saluto; da uno che s’affaticava a mettere il timbro in Cancelleria; e da un altro, il più velocemente possibile, per fuggirne in tempo di peste. Arrivata a Santa Croce, Elena si fermò davanti al Monumento a Dante Alighieri.  La notte prima aveva nevicato, e quella mattina il sole non era ancora abbastanza alto per sciogliere la neve che si era posata sui severi lineamenti del poeta. Osservandoli giunse alla conclusione che quelli si erano serviti dell’amore come scusa per scrivere canzoni bellissime; e che lei non faceva altro che cercarsi ossessivamente in quella scusa perché cercarsi altrove le sembrava un girare a vuoto.  Doveva perdere tutto per trovare se stessa, era quella la terzina che la statua le stava citando. Dante le metteva addosso la voglia di comporre intricate sestine soltanto per ritenersi degna di pronunciare il suo nome.  Se avesse potuto vivere soltanto di letteratura, Elena avrebbe potuto trarre un bilancio positivo della sua vita, ma c’era una verità nascosta sotto alle parole che la spaventava a morte: si usava, usava quello che sentiva cercando di ricavarne qualcosa di poetico. O forse usava quegli artifici che la statua che si ritrovava di fronte le aveva insegnato per rendere degno di essere letto ciò che sentiva, o forse, doveva soltanto consumare il suo tempo facendo qualsiasi cosa che non comportasse la possibilità di viverlo.
Proseguì, non poteva visitare quella splendida città, tuttavia non aveva fretta di arrivare a destinazione: la lentezza dei movimenti, dei respiri che prendeva, la rilassava; le lasciava l’illusione di potersi appropriare del proprio tempo. Chissà dove l’avrebbe portata il futuro; temeva di non venir spinta da un vento favorevole, però ci sperava. Era l’unica cosa in cui realmente sperava.
Tutta la vita a non sentirsi abbastanza, ripudiata da chi l’aveva messa al mondo, abbandonata da loro come da tutti, e ci sperava. Tutta la vita a disperare e ritrovarsi d’improvviso a mandar giù un paio di lettere per concedersi il brivido di un’illusione. Undici gradi e non sentirli. Come quella casa editrice, rifletté. Non ne aveva avuto notizie da quando l’avevano contattata la settimana prima con la preghiera di recarsi in sede il prima possibile per firmare il contratto di pubblicazione. Le buone notizie a non ripetersele spesso, si dimenticano; forse per questo una brutta sensazione le vibrò sotto quel sorriso esibito a forza, trasformandolo incautamente in una profetica smorfia di delusione.
Superata Santa Croce, si inoltrò in un vico stretto, come quelli di casa sua. Una colonia cinese ben nascosta da lana di vari colori si allontanava a passo svelto dal luogo dove invece lei si stava recando, con la stessa agitazione degli animali che avvertono per primi un terremoto. Pochi passi più avanti si ritrovò davanti a quell’antico palazzo giallo, cui fregi aveva imparato a memoria osservandoli dalle mappe del suo portatile.
 
Pensò che dovesse trattarsi di uno scherzo, tante ore di viaggio, minuti di aspettative e secondi di nervosismo per ritrovarsi cacciati fuori dalla porta in cui aveva aspettato tutta la vita di entrare:
«Scusi, che succede?», riuscì a chiedere ad uno degli agenti di polizia accorsi in quel palazzo.
«Signorina, lei non può stare qui…», gli rispose quello avvicinandosi.
«No, ma io…»
«Conosceva la vittima?»
«Quale vittima?»
«Il signor Pietro Dinasti, direttore della Casa Editrice Il Foglio, lo conosceva?»
«No», rispose Elena, rimanendo a bocca aperta più a lungo di quanto l’emissione di quella sillaba richiedesse.
«Allora», fece l’agente spingendola all’indietro, «Devo chiederle di allontanarsi.»
 
Quant’erano brutte quelle strade ripercorrendole all’indietro.
Sconsolata, desiderava buttarsi sul letto di casa sua e coprirsi la testa con un libro per ripararsi dall’uggiosità del giorno, ma non poteva: si accorse di non trovarsi a casa sua non soltanto perché non c’era il suo letto, ma anche perché non trovò nessuna bancarella per strada dove comprare un libro. Priva di idee, decise di entrare negli Uffizi: avrebbe sopperito all’impossibilità della cultura con la sua messa in mostra. In fondo, ci avrebbe pensato la lunga fila all’ingresso a concederle il tempo necessario per rimuginare sull’accaduto.
   
 
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