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Autore: Emmastory    21/11/2016    4 recensioni
Un mese è passato, e la povera Rain si scopre sola dopo la partenza per il pericoloso regno di Aveiron da parte del suo amato Stefan, che l'ha lasciata in compagnia della loro piccola Terra, di una promessa, e di una richiesta. Conservare l'anello che li ha uniti, così come i sentimenti che li legano. Nuove sfide si prospettano ardue all'orizzonte, e armandosi di tenacia e forza d'animo, i nostri eroi agiranno finchè un'ombra di forza aleggerà in loro. (Seguito di: Le cronache di Aveiron: Oscure minacce.)
Genere: Avventura, Azione, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Le cronache di Aveiron'
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Le-cronache-di-Aveiron-IV-mod
 
 
Capitolo XXVI

Speme e sangue

Dopo un ennesimo e intenso giorno di cammino, ancora niente. La strada di fronte a noi non era cambiata di una virgola. Rimasta uguale, deserta e priva di vita. I minuti scorrevano, ed io mi sentivo progressivamente svuotata della mia vitalità. Sapevo bene di non poter mollare, e dando retta ad una voce che echeggiava nella mia testa, non demorsi. Un freddo vento spirava, raggiungendo le nostre ossa e ferendoci gli occhi, ma noi, stoici e forti come sempre, continuavamo. Istintivamente, afferrai la mano di Terra, e ad occhi chiusi, non smisi di camminare, e pur quasi inciampando non persi l’equilibrio. Come se tutto questo facesse parte di qualche oscura maledizione, lanciata su di noi da forze maligne e sconosciute, un’umida coltre di nebbia rese il nostro compito ancora più difficile. A testa bassa, tentavo di mantenere la concentrazione, e improvvisamente, un ricordo mi balenò in mente. Fermandomi, mi tolsi lo zaino dalle spalle, e dove aver frugato al suo interno, ne estrassi la mia fida torcia elettrica. La nebbia non sembrava voler svanire, ragion per cui, quello era il nostro unico modo di muoverci in sicurezza. Tutti vicini, ci sostenevamo infondendoci coraggio, e spaventata, Terra mi stringeva la mano. Aveva paura, ed era così infreddolita da non riuscire quasi a muoversi. In un disperato tentativo di aiutarla, passai la torcia a Stefan, e con entrambe le mani libere, la presi in braccio. Il vento continuava a soffiare, e spostarsi diveniva sempre più arduo, ma per pura fortuna, proprio quando credetti davvero di essermi persa nel vento e nella nebbia, ricordai qualcos’altro. La mappa. Regalatami dai miei genitori, poteva certamente rivelarsi uno strumento utile se in mani esperte. Tempo addietro, Basil mi aveva insegnato come leggerla e decifrarla, e con l’aiuto di alcune penne, aveva evidenziato quelli che definiva punti di interesse. Srotolandola, guardai la legenda, concentrandomi quindi sul significato dei colori. Il verde indicava i luoghi sicuri, e il rosso il nostro obiettivo più importante, ovvero il covo dei Ladri. Gli agenti atmosferici sembravano essere contro di noi, ma io ero fiduciosa, e sicura che ce la stessimo facendo. Stando alla mappa, eravamo vicini, e il nostro viaggio si sarebbe presto concluso. Affrettando il passo, iniziai a correre, e non notando la presenza di uno stupido sasso, vi inciampai cadendo rovinosamente. Mi ritrovai quindi con il viso in terra, e solo tentando di rialzarmi, lo vidi. Sangue. Mi ero ferita, e le mani mi sanguinavano. Come se questo non fosse abbastanza, facevo anche fatica a camminare. A quanto sembrava, un ramo appuntito mi aveva graffiato una gamba, e la ferita bruciava. Preoccupata, Terra mi chiamò, e così anche Stefan, che alla mia vista, corse in mio aiuto. Soltanto grazie a lui, riuscii a rimettermi in piedi, e fatti pochi passi, vidi ciò che da giorni aspettavo di vedere. Incredula, mi stropicciai gli occhi, ma una sorta di punto di riferimento, rappresentato da alcune macchie di sangue in strada, unite a dei brandelli di stoffa, mi permise di collegare in fretta ognuno degli indizi che avevo precedentemente ricevuto. Andando alla ricerca di risposte, guardai anche la mappa, poi la mia bussola, che indicava, fortunatamente, il nord. In altri termini, la direzione era giusta, ed eravamo arrivati. Di fronte a noi non c’era che il covo dei Ladri. Fermandoci di colpo, ci guardammo a turno negli occhi, e sfuggendo ai nostri sguardi, Soren parve crollare. “Andrò io.” Disse, sguainando la spada e dirigendosi verso il portone di legno, che, duro e possente, era chiuso da una sorta di grosso lucchetto. Quest’ultimo sembrava necessitare di una chiave, ma in sua assenza, avremmo dovuto pensare e trovare una diversa soluzione. D’improvviso, un colpo di genio. La mia daga. Semplice. Avrei potuto usarla per spezzare la catena e forzare quel lucchetto, ma avrei ovviamente avuto bisogno di aiuto. “Aspetta.” Gli intimai, afferrandogli un braccio e parlando a bassa voce. “Andremo insieme, al tre.” Disse Stefan, per poi regalargli un sorriso. Sempre a bassa voce, contai. “Uno. Due. Tre.” Riuscendo a udirmi perfettamente, Soren scattò come una molla, colpendo il catenaccio metallico con forza inaudita. Appena un attimo dopo, fu il turno di Stefan, poi il mio. Uniti, riuscimmo ad aprirci un varco, e una volta dentro, calò il silenzio. Camminavamo piano, a passo felpato, e tutto per non essere sentiti. In fin dei conti, non potevamo certo lasciarci scoprire, non ora che eravamo arrivati così lontano. Incredibilmente, quel luogo mi appariva familiare. La memoria non mi era d’ausilio, ma ero certa di stare vivendo per la seconda volta la stessa e identica situazione di anni prima. Guidata dall’istinto, mi muovevo agile e sinuosa, ma per nostra nera sfortuna, il suono di un passo troppo pesante tradì la nostra presenza. “Intrusi!” gridò una voce, appartenuta ad un uomo proprio di fronte a noi. Correndo, si avvicinò, e stringendomi i polsi, mi impedì qualsiasi movimento. Nel tentativo di liberarmi, lottai con tutte le mie forze, e nell’impeto del momento, la daga che ancora stringevo andò a conficcarsi nello stomaco di quell’individuo. Spaventata come mai prima, mia figlia tremava, e piangendo, non faceva che chiamarmi. “Mamma!” gridò in preda al terrore, mentre questo continuava a controllarla. Istintivamente, la guardai, e nascondendo la mia arma, tornai al suo fianco solo per abbracciarla. “ Tranquilla amore, Sto bene. Ora ascoltami. Qualunque cosa accada, niente paura, e soprattutto, non gridare.” Le dissi, in tono serio e perentorio, lo stesso che usavo ogni volta che la coglievo nell’atto di combinare qualche guaio. Impietrita, la bimba non proferì parola, e guardandomi negli occhi, si limitò ad annuire. Volendo unicamente rassicurarla, le sorrisi. Subito dopo, il mio sguardo tornò a posarsi su quel manigoldo. Non lo conoscevo, e per me non aveva un nome, ma di certo un ruolo preciso. Informarci. “Dove sono? Dove sono le prigioniere?” chiesi, vedendolo tamponarsi la ferita allo stomaco e contorcersi per il dolore. “Non… Non ne ho idea. Qui… non c’è nessuno.” Ebbe il coraggio di rispondermi, mentendo e sapendo di mentire. Parla, maledetto!” lo incalzò Soren, con voce rude e sguardo di ghiaccio. “Voi non… Non le troverete.” Queste le sue ultime parole, pronunciate poco prima di collassare e stramazzare al suolo, morto. A quella vista, Terra si avvicinò al padre, e quasi istintivamente, provai pena per lei. Il suo coraggio l’aveva aiutata ad uscire da molteplici situazioni di pericolo, ma quello spettacolo era stato troppo per lei. Con occhi dolenti, mi voltai a guardarla, e sforzandomi di ricacciare indietro le lacrime, scossi la testa, per poi guardare dritto di fronte a me. Scale. Un infinito e imprecisato numero di gradini ci separava dal piano superiore di quello sporco covo, e facendomi coraggio, le salii al fianco di Stefan e Soren, che intanto, si erano messi in testa alla nostra marcia. Nella corsa, non facevo che pensare, sentendomi con ogni passo sempre più fiduciosa. Ero unicamente concentrata sul mio scopo principale, e per tale ragione, il tempo appariva fermo. Ora come ora, la mente di ognuno conteneva due singoli pensieri. La flebile speme di farcela, e il sangue che inevitabilmente avremmo visto scorrere.
   
 
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