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Autore: Il_Signore_Oscuro    21/11/2016    1 recensioni
Ragnar'ok Wintersworth un giorno sarà l'Eroe di Kvatch, colui che salverà Tamriel dalla minaccia di Mehrunes Dagon, principe daedrico della distruzione, con il fondamentale aiuto di Martin Septim ultimo membro della dinastia del Sangue di Drago. Ma cosa c'è stato prima della storia che tutti noi conosciamo? Chi era Ragnar prima di essere un Eroe? Lasciate che ve lo mostri.
[PAPALE PAPALE: questa storia tratterà delle vicende di Ragnar. Non sarò fedelissimo al gioco ma ne manterrò le linee generali, anche se alcuni avvenimenti saranno cambiati o spostati nel tempo. Non ho altro da dirvi, se non augurarvi una buona lettura!]
BETA READER: ARWYN SHONE.
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Eroe di Kvatch, Jauffre, Sorpresa, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Chapter fifteen – “I am fire. I am death.”

La scena si dissolse di fronte ai miei occhi in una nube di fumo, prima dissipata poi riaddensata in nuove immagini. Ero all’interno della corte: una grande sala con i pilastri in legno, i pavimenti coperti da tappeti macchiati di idromele e chissà cos’altro. Su un piano rialzato c’era uno scranno, avvolto da pelli d’orso, su cui sedeva lo Jarl Sigfrid. La spada era infilata in un fodero di cuoio, l’uomo la teneva stretta a sé come se da questo dipendesse la sua vita. Accanto a lui c’era un’elfa in catene, molto diversa da quelle che avevo visto a Cyrodill: i suoi lineamenti erano acuminati, la sua pelle ricordava il colore della neve, i capelli le scendevano in una lunga coda grigia intrecciata, dietro la schiena. Vestiva abiti succinti in pelle di vitello e nei suoi occhi brillava la luce dei cristalli che avevo visto nelle rovine Ayleid.
L’anziano nord era cambiato molto: i suoi occhi di ghiaccio erano avvolti da un alone rosso, si muovevano nervosi da un lato all’altro della sala. Sembrava non dormire da molto tempo. Sussurrava fra sé e sé parole incomprensibili. Nella folla di astanti c’erano delle voci, voci che riferivano che lo Jarl stava perdendo la ragione: alcuni dicevano che dormisse con la spada accanto al letto, che quando giaceva con una concubina le legava i polsi perché non potesse rubargli il suo tesoro mentre era assopito. La spedizione tanto attesa in tutto il villaggio, quella per mettere fine alle scorrerie del drago Fafnir, era rimandata ormai da mesi per l’indisposizione dello Jarl. Alla fine Lothbrok si era preso sulle spalle l’impresa senza alcuna scorta; a Sigfrid aveva fatto un’unica richiesta.
-Padre- cominciò, prima di essere bruscamente interrotto.
-“Mio Jarl”. – Lo rimbeccò Sigfrid, senza nascondere la sua insofferenza.
-Mio Jarl, - si corresse – ti prego: concedimi la spada, solo per questa volta, affinché possa mettere fine alle malefatte del drago Fafnir) una volta per tutte, e riportare la pace nelle nostre terre.
-Tu … ladro! Ingannatore! – Tuonò lo Jarl, sporgendosi dal trono di legno. – Credi di potermi sottrarre ciò che è mio con una menzogna? Pensi che io non sappia? Che io non sappia ciò che trami? Tu … tu vuoi prendere il mio posto, sì, tagliarmi la gola e prenderti ciò che è mio.
Nella sua voce c’era il tono di una follia che ormai lo aveva totalmente soggiogato. Nella folla si diffuse un vociare di dissenso.
-Mio Jarl, non voglio tradirti. Il mio cuore è sincero, se non intendi prestarmi la spada, almeno vieni con me: affrontiamo insieme il drago. – Gli propose.
Nella folla di contadini e soldati ci fu un nuovo vociare, stavolta di assenso e approvazione. Lothbrok stava mettendo suo padre alle strette.
-Tu, tu ti ostini a prenderti gioco di me! – Urlò, con gli occhi che sembravano voler schizzare fuori dalle orbite, la saliva che fiottava fuori dalla bocca e la mano tremante sul bracciolo dello scranno. – Vuoi assassinarmi, dare le mie spoglie in pasto al drago e prenderti il mio trono! La mia spada! Il mio … il mio tesoro.
L’espressione di Lothbrok si fece rassegnata, si rialzò e si avviò verso l’uscita.
-E sia, se questo è ciò che credi, partirò da solo, padre. – Uscì.
-Sia maledetto il giorno in cui uscisti dal grembo di tua madre. – Inveì lo Jarl, sputando un grumo di muco e saliva sul pavimento di legno della sala. – Tu, puttana elfica, portami dell’idromele! Ho la gola secca. E voi, voi andatevene, via dalla mia casa! Prima che vi faccia decapitare.
La serva obbedì, riempiendo il corno al suo signore, mentre la corte scivolava nel silenzio con le voci dei sudditi che si facevano sempre più lontane.

Quando scese la notte Sigfrid cadde in un sonno agitato. La schiava giaceva al suo fianco, nel letto, con le spalle voltate verso di lui e una smorfia di disgusto dipinta in volto.
Con un incantesimo si liberò delle corde, si massaggiò i polsi segnati. La vidi avvicinarsi al corpo addormentato dello Jarl, fissarlo per alcuni istanti prima di sottrargli Durendal dalle braccia inerti. L’espressione dell’anziano nord si fece ad un tratto più quieta: come se gli incubi e le visioni che lo tormentavano si fossero placate. L’elfa contemplò Durendal, nei suoi occhi di un intenso azzurro vidi l’ombra della vendetta, così seducente nei suoi pensieri: sarebbe bastato così poco, sfilare la lama e tagliare la gola di quel bastardo che aveva approfittato di lei, notte dopo notte. Forse per un momento cedette a quell’impulso, ma poi si ritrasse e disse, in un soffio di voce: “No, non meriti di morire nel calore del tuo letto. L’aquila di sangue spiegherà le sue ali e io sarò lì per assistere alla scena”.
La donna si occultò con un incantesimo dell’invisibilità e scivolò via, senza far rumore, fuori dalle porte del palazzo. Ritornò visibile solo dopo essersi nascosta in uno dei vicoli di Wintersworth, dove l’attendeva un uomo con il cappuccio calato sugli occhi, perché il suo volto non fosse riconoscibile.
L’incappucciato le venne incontro e, quando calò la cappa dal viso, riconobbi in lui Lothbrok, il figlio dello Jarl.
-Lathasa, ce l’hai fatta. – Le disse, carezzandole la guancia con gentilezza.
-Hai rimosso il sigillo che bloccava la mia magia, - sorrise – è stato semplice.
-Sei stata brava, ora però devi andartene da Wintersworth, mio padre ti darà la caccia. – Cavò fuori dalla sacca alla cintola un piccolo bracciale di legno, con delle rune incise sopra. – Tienilo sempre ben in vista e tutti sapranno che sei sotto la mia protezione. Aspettami a Holden, dallo Jarl Bjorn, è già pronto ad accoglierti nella sua dimora.
-Non se ne parla Loth, io verrò con te. Non puoi affrontare Fafnir da solo. – Protestò lei, con un’espressione dura in viso.
-Sei testarda come il primo giorno che ti ho incontrata. – La baciò sulla bocca, l’elfa non si ritrasse. – Ma questa è una cosa che devo fare da solo.
-La mia magia è potente, io-
-No, Lathasa! Non rischierò di perdere un’altra persona cara. – Si impose lui, visibilmente irritato. – La follia di mio padre mi ha già strappato mia madre e mia sorella, - abbassò lo sguardo su Durendal per un attimo, - non perderò anche te. – Concluse un po’ più calmo.
Le diede un ultimo bacio e svanì nella notte, mentre le urla dello Jarl Sigfrid risvegliavano Wintersworth dal suo sonno.

La tana di Fafnir era situata ad alcune miglia dal villaggio, fu lì che Lothbrok si fermò, a pochi passi dall’entrata. Nella mano destra stringeva Durendal, nella mano sinistra “Spezza-Incantesimo”, lo scudo donatogli dal principe daedrico Peryite. Guardò il cavo nella roccia che lo avrebbe condotto dal suo nemico: nei suoi occhi c’era paura, ma anche una stoica forma di determinazione.
Sua sorella gli era accanto, non avrebbe fallito. Non poteva permettersi di fallire.
Indossò il suo elmo, sfilando dagli appigli dell’armatura il manto di lupo: facile preda del respiro infuocato, che il drago gli avrebbe certamente lanciato contro.
Alzò lo sguardo verso le stelle, forse affidando agli dei le sue ultime preghiere. “Se non dovessi farcela, possa la mia anima dimorare nelle festanti sale di Shor.”
Si avviò e l’oscurità lo inghiottì: la caverna scavava fin nel cuore della terra, con una lunga discesa che pareva non finire mai. Più di una volta rischiò di incespicare e cadere per terra, ma alla fine giunse lì dove Fafnir riposava.
Mi salì il cuore in gola, il mio respiro si mozzò quando lo vidi: disteso su un giaciglio di ossa umane, il corpo da serpe, alto come una torre di guardia, ali la cui ombra avrebbe ricoperto un’intera città, gli occhi chiusi dietro scagliose membrane e il suo respiro pesante, che riecheggiava sulle pareti di roccia.
I passi di Lothbrok incapparono in un femore, l’osso si sgretolò sotto i pesanti stivali d’ebano. Il rumore bastò a ridestare la creatura: le sue iridi da rettile si scoprirono, avevano lo stesso colore d’un gioiello d’ambra.
-Chi-chi osa destare Fafnir dal suo sonno?
Parlava la nostra lingua, notai. La sua voce era cupa, imponente, fece tremare il pavimento di roccia della caverna.
-Lothbrok, figlio di Sigfrid e prossimo Jarl di Wintersworth.
La creatura proruppe in una risata gutturale, alzando il pesante capo dalle zampe accucciate.
-E a quale scopo giungi sin qui, Lothbrok, figlio di Sigfrid? Sei forse stanco di vivere?
-Drago Fafnir, sono qui per chiederti di lasciare in pace queste terre.
-E se non intendessi farlo? – Chiese lui, con evidente scherno e divertimento.
-Allora, in quel caso, io ti ucciderò. – Rispose il nord, tenendo salda la presa su Durendal.
Il drago scoppiò in un’altra risata, levandosi sulle possenti zampe posteriori.
-Parole coraggiose per un piccolo mortale, confido che le tue azioni lo saranno altrettanto.
-Non temo la morte, conosco destini peggiori, e non temo i mostri, sono cresciuto avendone uno per padre.
-Ti illudi Lothbrok, figlio di Sigfrid. Tu non conosci la paura ma te la mostrerò, prima che tu possa lasciare il Nirn e raggiungere i tuoi dei. – Spiegò le ali, scagliando in aria una pioggia di ossa. – La mia armatura è di ferro. I miei denti sono spade. – Si avvicinò. – I miei artigli sono lance. Le mie ali sono un uragano. – Sorrise con un ghigno da brividi, dipinto sul volto da rettile. – Io … sono fuoco. Io … sono morte.
“YOL-TOOR-SHUL”
Avevo sentito parlare della potenza del Thu’um, la voce del drago, ma le parole non potevano spiegare efficacemente un simile spettacolo: dalla bocca di Fafnir si riversò un fiume di fuoco che consumò la roccia, lasciando cenere dove passava. Lothbrok si riparò dietro lo scudo, la magia di Spezza-Incantesimo lo protesse dal respiro ardente della creatura.
-Sei ricco di sorprese, mortale. – Ghignò di nuovo, - ma questo non ti salverà.
La coda di Fafnir, tempestata di spuntoni, si schiantò contro lo scudo di Lothbrok che fu sbalzato contro una roccia. L’elmo gli evitò di fracassarsi la testa, ma era stato un brutto colpo.
-Sorella, aiutami tu. – Disse, forse per darsi coraggio.
Corse contro il drago, schivò una zampata e lo ferì sul fianco: neanche le spesse scaglie della creatura potevano resistere a un fendente ben assestato di Durendal. Il drago ruggì di dolore e, posizionatosi su un punto sopraelevato, lanciò un altro urlo del potere: FUS-RO-DAH!
Lothbrok fu atterrato dall’onda d’urto che ne seguì, Fafnir tentò di schiacciarlo con una zampa, ma la spada squarciò i suoi artigli, lasciandolo con un arto ormai monco. Nella voce del drago crebbe la rabbia, ma più in profondità, nei meandri della sua voce, si celava una paura che lentamente lo attanagliava. Perché egli sapeva … sapeva di trovarsi di fronte a un mortale fuori dal comune. Guardò con orrore Durendal, intrisa del suo sangue.
-Quella spada, come l’hai avuta? – Sibilò.
-È stata forgiata dai fabbri-stregoni di Yokuda, drago. – Rispose Lothbrok, non riuscendo a nascondere una certa amarezza.
-Damasco… - ringhiò, - in quell’acciaio sento il riverbero del vuoto, l’ombra di Pandomay.
-E l’anima di mia sorella. – Concluse.
Il drago proruppe nell’ennesima risata.
-Riservate ai vostri simili un trattamento che non useremmo neanche contro il peggiore dei nostri nemici, voi mortali siete creature affascinanti: non v’è crudeltà più grande che segregare un’anima in un oggetto che non può essere distrutto.
-Non l’ho fatto io, - si difese Lothbrok, - è stato mio padre.
-Sigfrid, Jarl di Wintersworth, dunque. – Sorrise. – Non posso permettere che un simile rivale in cattiveria mi sopravviva. Egli brucerà … insieme al suo villaggio.
-Non te lo permetterò!
YOL-TOOR-SHUL!
Un altro fiume di fuoco, Lothbrok si protesse con lo scudo ma, stavolta, l’oggetto non si limitò a contenere il fuoco ma lo rivoltò contro Fafnir stesso. Il nord approfittò del diversivo e si lanciò contro la creatura, aprendogli un lungo squarcio nel ventre da cui fuoriuscirono i suoi scuri intestini.

Fafnir crollò a terra, con il sangue che fiottava giù dalle fauci. Lothbrok si sedette su una roccia, respirando a fatica: la battaglia l’aveva provato molto, sul corpo aveva ustioni e lividi, ma alla fine se la sarebbe cavata. Il drago, da parte sua, era ormai morente, seppur ancora vivo. Fra un rantolo e l’altro gli rivolgeva le sue ultime parole.
-E così un mortale ha avuto la meglio su di me. – Rise, quasi divertito. – Si fosse trattato del Dovhakiin questa sconfitta mi sarebbe bruciata meno. – Tossì, sputando rosso scuro.
-Fafnir, devi dirmelo: esiste un modo per liberare mia sorella? Perché possa riunirsi ai suoi antenati a Sovngrade?
Il drago sorrise debolmente.
-Sciocco mortale, non si spezza un patto siglato con Pandomay. È qualcosa che dura sino alla fine dei tempi. – Tossì nuovamente. – Quando il cielo precipiterà nel vuoto e tutte le cose viventi e non viventi di questa terra saranno riunite alla polvere. Quando gli Aedra e i Daedra saranno dimenticati, allora, solo allora, tua sorella potrà riunirsi ai suoi antenati nelle sale di Shor.
-Quindi è condannata. – Disse, piangendo e guardando impotente Durendal.
-Hai ragione ad essere amareggiato, nessuna creatura merita un simile destino, per quanto infima possa essere. Questa è la follia di voi umani: aspirate tanto al potere da non fermarvi neanche lì dove si fermerebbe la più abbietta delle creature.
-Non l’ho voluto io! Io ho cercato di fermarlo.
-Sarebbe stato meglio se l’avessi uccisa allora. – Disse, ridendo ancora. – Ma ora che si esauriscono gli ultimi istanti della mia vita sul Nirn, lascia che ti faccia un dono, mortale, poiché mi hai sconfitto: prego mio padre Akatosh affinché tu possa ritornare alla vita quando il male più grande si farà prossimo, e possa tu combatterlo con tua sorella al tuo fianco e trionfare, se così dovrà essere.
-Che significa questo?!
-Quello che ho detto, Lothbrok di Wintersworth. Con un nome o con un altro sarai ricordato per l’eternità. Congratulazioni. Tuttavia, sappi che quando fratello combatterà fratello e Alduin, la sventure dei re, l’ombra mai domata con una fame sconfinata, tornerà dal suo esilio fuori dal tempo … io verrò a cercarti e ucciderò te o ciò che rimarrà della tua stirpe. Ci affronteremo un’ultima volta, mio nemico. – Con queste ultime parole Fafnir si spense.
Lothbrok cercò di non pensare a cosa aveva sentito, le parole di un drago non andavano prese alla leggera: erano pur sempre creature discendenti dal dio Akatosh. Ma non poteva permettersi di perdere tempo in ragionamenti fini a sé stessi, c’erano cose più importanti da fare adesso.
Il nord sospirò e, avvicinandosi alla carcassa di Fafnir, tagliò via una delle sue zanne per poi uscire dalla grotta, così come vi era entrato.


NOTA DELL’AUTORE
Inizio ringraziando Arwyn per il suo lavoro di editing che si rivela prezioso di capitolo in capitolo :3. Come avrete notato per il drago Fafnir mi sono ispirato al grande e potente Smaug, presente ne lo Hobbit di “Gennarino” Tolkien (come mi piace chiamarlo), ho preso una delle sue frasi che era così bella e badass che non potevo proprio farne a meno. Scusandomi con Gennarino o con “Pietro figliodiJack” vorrei ringraziare tutti voi che mi seguite, mi leggete, mi recensite per il sostegno che mi state dando :3 lo apprezzo davvero tantissimo. Se questo capitolo vi è piaciuto behbeh il prossimo vi assicurò che non sarà da meno :D

Con affetto,
NuandaTSP

 
   
 
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