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Autore: SalvamiDaiMostri    22/11/2016    1 recensioni
Sherlock sa che John non ama Mary. Sa anche che resterà con lei per il bene di Diana, la loro figlia. Il futuro dei Watson non sarà certamente facile, ma Sherlock sarà sempre lì per loro, perchè fece una promessa e la manterrà.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Quando John se ne andò dalla scena del crimine, Sherlock volle esaminarla per assicurarsi che la deduzione di Lestrade fosse corretta. E lo era: ogni dettaglio, ogni prova faceva credere che fosse stata una vera e propria esecuzione. Un numero elevato di persone si era radunato in quella stanza per assistere all’assassinio dell’agente segreto che si nascondeva dietro la falsa identità di Mary Mostran. Probabilmente una o più organizzazioni criminali a cui aveva dato fastidio in passato si erano fatte in quattro per trovarla e farla fuori in modo davvero poco dignitoso. Sherlock ringraziava il cielo che, quantomeno, gli assassini non avessero toccato John e Diana: evidentemente non gli interessavano, oppure Mary era riuscita a proteggerli fino alla fine, chissà, magari fingendo di non amarli, fingendo di non avere nessuno di caro a questo mondo.
Sherlock faceva davvero fatica ad esaminare la scena del crimine con fredda professionalità: soffiava furioso costantemente ira e frustrazione; ogni volta che realizzava che quella sulla sedia non era una qualunque sconosciuta, ma la loro Mary, lo coglieva una stilettata al cuore e Sherlock era costretto a distogliere lo sguardo per riprendersi e proseguire l’analisi.
Quando si sentì costretto a guardarla in  viso, nei suoi occhi vitrei, si rese conto che era la prima volta che guardava in viso una persona amica deceduta: improvvisamente gli tornò in mente la sua voce, la sua risata, il suo sorriso. Ammirava così profondamente quella donna, soprattutto la sua forza, la sua determinazione... Ed ora era lì, ridotta lo spettro di se stessa, un contenitore vuoto e sgualcito di ciò che Mary era stata.
Quanto male le avevano fatto…
L’avevano umiliata. Torturata parecchio, si vedeva anche a prima vista. L’autopsia avrebbe certamente rivelato segni di violenza sessuale e probabilmente tutte le ossa rotte. Chissà quanto avevano tardato a spararle una volta per tutte, perchè cessasse di soffrire.
Una volta che gli fu tutto chiaro, chiuse la sua lente d’ingrandimento e, facendo un cenno a Lestrade, lasciò l’edificio. Il detective diede dunque il via libera per raccogliere le prove e disporre del cadavere.
All’uscita, Sherlock trovò suo fratello con la sua classica espressione fredda ed impassibile.
“Trova chi ha fatto questo” gli disse Sherlock sorpassandolo, senza nemmeno rivolgergli lo sguardo, esattamente a metà tra un ordine e una supplica. Mycroft lo seguì con passo posato: “È lavoro per l’MI6: se non sono terroristi, deve essere stata organizzazione mafiosa o criminale di qualche genere. Va ben oltre le mie competenze.”
“Sarà fatto.” Mentre Sherlock saliva su un taxi che avevano chiamato per lui, Mycroft aggiunse “Porgi le mie condoglianze al Dr Watson.”
Il fratello non rispose, bensì chiese al tassista di portarlo all’indirizzo della casa di John.
 
John e Diana ora erano la priorità assoluta di Sherlock. Aveva fatto un voto ai Watson poco meno di un anno prima, e non aveva potuto mantenerlo per quanto riguardava Mary, ma certamente non avrebbe deluso John e sua figlia: Mary li aveva protetti fino ad allora, ora Sherlock ne aveva preso il testimone. In silenzio promise alla guerriera caduta che avrebbe protetto suo marito e la sua bambina. Non sarebbe mai accaduto loro nulla di male. Mai.
 
Harriet gli aprì la porta.
“È nella sua stanza” gli disse “Non dice una parola.” Cercò il suo sguardo: “È vero, Sherlock? È stata uccisa?” Sherlock annuì guardandola con triste dolcezza, Harry abbassò lo sguardò e, mentre lui saliva le scale, potè commentare soltanto “Cazzo…”
Prima di sparire al piano di sopra, senza voltarsi, Sherlock le chiese:
“Harry, puoi preparare una borsa con le cose della bambina? Almeno per un paio di giorni, per favore...”
“Oh, certo, Sherlock… Grazie.”
Dunque proseguí lungo il corridoio.
Bussò alla porta della camera da letto. Nessuna risposta. Entrò comunque.
John se ne stava seduto su una potrona, con la testa stretta tra le mani e gli occhi sgranati fissi sul pavimento.
“John, sono io.” Ma, ancora, nessuna risposta. Si avvicinò a lui e, appoggiandogli una mano sulla spalla, si abbassò per cercare il suo sguardo.
“Come farò senza di lei?” domandò John  in un sospiro
“Questa sera venite entrambi a casa... mia.” Avrebbe detto ‘nostra’ riferendosi al 221b, ma era da tanto che non la poteva chiamare così a voce alta, e si sforzò di non farlo. Proseguì: “Ci penserò io a voi. Sei d’accordo?”
John alzò il viso per guardare l’amico negli occhi e, con voce rotta, rispose semplicemente:
“Grazie”.
Sherlock aprì l’armadio e cercò una borsa dove mettere un paio di cambi per John: non aveva mai frugato tra le sue cose, e provocò in Sherlock uno strano miscuglio di sensazioni... Era strano e stupidamente intimo, ma in quel contesto nel cuore e nella mente di Sherlock potevano prevalere soltanto la tristezza e l’amarezza. Si caricò la borsa a spalle e la portò di sotto. Dunque tornò. Senza parlare, aiutò John ad alzarsi e lo accompagnò alla porta, spegnendo la luce dietro di sè.
Scese le scale, Harry gli porse con attenzione la bambina addormentata avvolta in una copertina verde. Mentre Sherlock la prendeva in braccio, la sorella di John disse che il taxi era arrivato e, uscendo, prese i due borsoni.
Durante la corsa in taxi, nessuno proferí parola. Diana, ignara di ciò che era appena accaduto, dormiva pacíficamente.
Arrivarono al 221b che ormai erano le tre del mattino.
Entarono in silenzio e salirono fino alla stanza di John. Lui si gettò sul letto, mentre Sherlock gli adagiava accanto Diana. Appena la bambina sfiorò le lenzuola, si svegliò e cominciò a piangere furiosa per essere stata svegliata.
“Shh, piccola… Non adesso…” la supplicò Sherlock riprendendola in braccio “Shh, da brava…” ma per quanto la cullasse, Diana non smetteva di urlare: evidentemente avvertiva la tensione dell’uomo che la cullava. Sherlock vide che dopo pochi secondi John, coricato sul letto, si era portato le mani alle orecchie; agitava la testa e tremava. Improvvisamente gridò:
“Non posso! Non posso sentirla piangere!” e, con un balzo, si alzò in piedi e scese le scale. Sherlock non riuscì a dire una parola e restò nella stanza a cercare di consolare la neonata cullandola e parlandole.
Ma più piangeva, più Sherlock capiva che Diana aveva bisogno della sua mamma. Una mamma che non sarebbe mai più tornata, che non l’avrebbe più presa in braccio, che non l’avrebbe più allatata al suo seno. Mary non sarebbe mai più tornata. E come poteva spiegarlo a una bambina che ancora non distingueva le voci di coloro che le stavano intorno? Come poteva dirle che, per quanto piangesse, non sarebbe tornata? Che sarebbe dovuta crescere senza di lei, che sarebbe dovuta essere forte, perchè papà sarebbe stato molto triste nei`prossimi tempi, e di smettere di piangere perchè anche dal piano di sotto John la stava certamente sentendo e soffriva da solo? Tutto ciò che riuscì a ripeterle fu:
“Shh… Sono qui, Diana. Sono qui con te. Shh Shh… Ci sono qui io...”
Alla fine, si addormentò esausta.
Sherlock non voleva lasciarla sola, ma doveva scendere a cercare John: temeva fosse uscito, e nel caso fosse in casa, doveva assicurarsi che stesse bene. La adagiò al centro del letto e scese al primo piano: John sedeva sulla sua poltrona con un bicchiere di scotch in mano e le luci spente.
“Si è addormentata...” commentò Sherlock sedendosi alla sua poltrona. John tardò parecchio prima di dire alcunchè. Poi parlò guardando la finestra:
“E se tornano per lei?”
“Mycroft li sta cercando. Non arriveranno lontano. Non arriveranno qui.” Rispose Sherlock con fermezza.
“Dovrei stare con lei, ma...”
“Fa male. Lo so.” Sospirò Shelrock “Lei non può capire e noi non le possiamo spiegare. E fa male.” Sherlock lo guardava struggersi nei suoi pensieri: i lineamenti contratti in un’espressione sofferente e furiosa. Trangugiò ciò che restava nel bicchiere.
“Che razza di padre abbandonerebbe la figlia in un momento del genere??” commentò allontanandosi il bicchiere dalla bocca.
“Uno umano.” John finalmente lo guardò con occhi di chi non accetta la compassione e la scambia per pietà gratuita “Posso capire che tu soffra sentendola piangere... Adesso si è addormentata, non devi preoccuparti.” E aggiunse “Posso dormire io con lei finchè non sarai pronto.” John lo guardò sorpreso e grato  “Davvero, nessun fastidio. Puoi dormire in camera mia, se vuoi...” John annuì.
“Vorrei restare solo, Sherlock.” Sherlock avrebbe voluto dirgli qualcosa, qualunque cosa che potesse confortarlo: che ce l’avrebbe fatta anche senza di lei, che Diana era al sicuro e sarebbe stata bene. Che sarebbero andati avanti. Ma non ci riuscì.
“Torno di sopra.” Disse alzandosi “Se hai bisogno di qualunque cosa, non esitare a chiamarmi.”
Non ricevette risposta.
Mentre risaliva le scale, si voltò a guardarlo che ancora fissava il vuoto. Sherlock accettò che in quel momento, non poteva fare nulla per lui. Arrivato nella stanza, chiuse la porta dietro di sè e si coricò accanto Diana cinegendola con il braccio destro.
 
I primi giorni furono i peggiori, naturalmente.
John parlava a mala pena. Sherlock avrebbe voluto che si sfogasse, che gridasse, che piangesse, che gli parlasse, ma qualunque tentativo di conversazione sembrava in tutto e per tutto una violenza nei suoi confronti. Doveva sforzarsi di rispettare il suo silenzio.
Nel primo periodo la neonata soffrì molto l’assenza della madre, ma non potè fare altrimenti che adattarsi alla nuova condizione fatta di biberón e voci principalmente maschili. Sherlock passava le notti a cullarla e a cantarle ninnananne finchè si assopiva. Chiese alla signora Hudson ed Harry di insegnargli a prendersi cura di Diana: non voleva che John si sentisse obbligato a stare con lei in momenti delicati, ma solo quando lo volesse davvero. E, nonostante lui fosse stato molto tempo con lei, non le aveva mai fatto il bagno o cambiato un pannolino. C’erano biberon da preparare, temperature da controllare, ruttini da far fare... Non era affatto facile e Sherlock volle prendere appunti per quando Harry se ne sarebbe andata.  Dopo una serie di pannolini messi al contrario e biberon troppo caldi, cominciò a farci il callo e a creare una qualche routine.
Perchè Sherlock aveva capito che John aveva tutte le intenzioni di restare, almeno per un po’.
“Sherlock, Diana ha bisogno di dormire nel suo lettino: ho paura che cada dal letto.” Gli disse improvvisamente una di quelle mattine John mentre la teneva in braccio “Mi aiuteresti ad andarlo a prendere oggi?”
“Sei sicuro? Posso andarci con Harry se vuoi.”
“No. Voglio andarci io. Ma da solo non... Non penso di potercela fare... In tutti i sensi.” Sorrise sarcastico.
“Va bene. Quando vuoi.”
Quando solcarono la soglia della casa vuota, John ruppe il silenzio che li aveva accompagnati sin dal 221b:
“So che è chiedere molto, Sherlock... Ma non penso di voler tornare a vivere li.” Confessò d’un fiato.
“Il 221b è sempre stato la tua casa. Non devi nemmeno chiederlo.”
“Sì che devo. Sherlock, ora siamo in due. Non è lo stesso.”
“Certo che no. Diana è una coinquilina molto più stimolante di quanto tu sia mai stato.” Sorrisero entrambi:
“Grazie...”


Fu così che, insieme ad Harry, John portò a poco a poco tutte le sue cose e quelle di Diana al 221b, mentre quasi tutte le cose di Mary furono chiuse in scatoloni e date in beneficienza. La casa restò vuota, John si sarebbe occupato di venderla quando se la fosse sentita.
La culla di Diana fu portata al secindo piano del 221b, in quella che era stata la stanza di John, anche se Sherlock continuava a dormire insieme a lei e John nella sua stanza.

John dovette occuparsi del funerale quando il medico legale diede il via libera: ci volle parecchio tempo, trattandosi di un'indagine così complessa, ma Mycroft intercedette affinchè le procedure potessero velocizzarsi quanto più possibile.  Fu una cerimonia estremamente sobria, con pochissima gente, bara chiusa, senza elogio funebre e interrotto di tanto in tanto dal pianto di Diana in braccio alla signora Hudson. 

 

Rieccomi qui! Ciao a tutti! ^^ Vi ringrazio infinitamente per aver seguito la mia storia sin qui: vi chiedo per favore di lasciarmi un commento qui sotto! Noi ci vediamo al prossimo capitolo!
Un saluto, con affetto _SalvamiDaiMostri

PS: Nel primo capitolo mi sono dimenticata di dire che questa fanfiction è liberamente ispirata a Sweet William di Joules Mer di cui vi lascio il link: http://archiveofourown.org/works/7198256/chapters/16335752
 
   
 
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