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Autore: DarkYuna    23/11/2016    1 recensioni
"Inarca le sopracciglia, livida in viso, sta per dare sfogo alla furia e il malcapitato è il sottoscritto. Se è in fase premestruale posso iniziare a scrivere il mio necrologio. Migé avrebbe potuto cantare al funerale o magari Linde, un’Ave Maria Heavy Metal, con chitarre distorte e voci roboanti."
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Ville Valo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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9.
*Un arcobaleno straripante di colori, che splende a mezzanotte*






 
È come se le pareti di casa mi si stringessero addosso.
Accade sempre così, quando il cuore vuole trovarsi altrove, mentre la mente obbliga ad avere del buonsenso.
 
 
Cambio programma alla televisione, il pollice preme a casaccio i tasti neri con numeri bianchi del telecomando, non ci faccio caso, le immagini luminose si sostituiscono leste sullo schermo digitale e non le vedo veramente.
La televisione è sopravvalutata, spazzatura ambulante, non è vero che tiene compagnia. La uso poco e per quel poco, mi sento comunque solo come un cane.
Non ho voglia di leggere o suonare o uscire.
È come se il mio corpo si rifiutasse di rispondere ad alcun stimolo attivo, me ne sto spaparanzato sul divano, rilassato quanto stressato e non ho intenzione di muovere un solo muscolo. Sono in coma cosciente.
Stanco, non tanto da dormire e troppo per restare vigile.
 
 
Spengo. Fisso lo schermo, se ne sta lì, nero, sembra che voglia assorbirmi nell’infinito del suo vuoto e quasi lo lascerei fare.
La depressione non è causata da Amelia, non che mi sia passato l’astio, non sto bene da un po’, credevo che smettere con lo psichiatra e le medicine avrebbero impedito alle mani di tremare, di tornare vigile, di riprendere il controllo perso… ma sono io ad aver perso, ed ho perso me stesso.
Comincia ad essere difficile, portare queste mie valigie pesanti e nella strada che sto percorrendo, la solitudine è divenuta un abbraccio asfissiante.
 
 
Buffo, come la sera, riesca a far riemergere la parte più inquieta, addolorata e sconfortante del mio essere e spinga pensieri pessimistici che non riesco a soffocare. Non c’è nessuno che mi parli, quando ne ho così bisogno da non respirare, a volte vorrei svegliarmi in una casa piena di voci allegre… dei figli, una moglie. Persone che hanno tempo per stare con me giornalmente. Una famiglia. Mia.
E non rientrare più in un posto dove sono l’unico essere ad aggirarsi tra le stanze, come un fantasma in pena. Mancano solo le catene e il quadretto è perfetto!
D’improvviso la vita mi sembra vuota, inutile, difficile da vivere, solo problemi, falsità, maschere che mi circondano, non so quanto posso continuare in questo percorso turbolento, vorrei andarmene, non intendo partire, ma finirla sul serio.
 
 
Penso che il suicidio sia la giusta soluzione, certo, ci sarà chi dirà che sono stato un vigliacco, che ero un brav’uomo adesso che non ci sono più, che ero un figlio amato, un fratello presente… futilità che non mi toccano. Mi sembra di non trovare una ragione sensata che non mi spinga ad alzarmi e farmi fuori stanotte, ora, poi chissà quanto ci impiegheranno a rinvenire il cadavere.
Non ho paura della morte. Ho paura di continuare a sopravvivere senza motivazioni valide. E sono così stanco di combattere.
Le gambe si muovono da sole, le comanda una forza oscura e determinata, su cui non ho alcun potere, non intendo contrastarla. Salgo il primo gradino e il picchiare incalzante del portone, fa desistere il piede nudo a procedere.
No, non rinuncio, non mi interessa sapere chi è venuto ad interrompere i piani della fine, voglio solo che la pace giunga in fretta.
 
 
<< Valo andiamo, so che ci sei! >>, la voce di Amelia è forte e squillante, bella come un arcobaleno straripante di colori, che splende a mezzanotte. << Hai lasciato le luci del bagno accese… sono venuta con una richiesta di pace. Aprimi, non fare il musone troglodita! >>. Appena dopo, ricordo la stronza che è, e che non voglio incontrarla.
 
 
Il cervello è diviso dalla spasmodica voglia di andare alla porta per riempirla d’insulti e la necessità di interrompere il tediarmi: cammino su un precario equilibrio.
 
 
<< Se non apri, ti sfondo la porta: sai che sono capace! >>.
 
 
Ruoto gli occhi al cielo, sbuffo e abbandono le braccia lungo il corpo. Tu guarda se uno non si può ammazzare in santa pace!
Voglio morire… e voglio lei.
Riesce ad essere un impulso perfino più distruttivo ed imperativo della morte stessa. Il tira e molla è seccante e, benché io non ce la faccia, assecondo il gioco funesto che lei ha messo in piedi.
 
 
Apro di getto la porta, pieno di rancore, avversione ed ostilità.
<< Sai… >>, inizio sincero, con il tono di chi ha perso tutto e non gliene frega niente di essere cattivo o maleducato, il tono che può avere un condannato alle tenebre o un disperato stufo di sopportare. << Pagherei oro per vederti rompere una spalla contro l’ingresso, nel tentativo di sfondarlo. E più di questo, mi piacerebbe che provassi il dolore, così che ti passi la voglia di scherzare con me. >>. Chiamare la polizia per l’ennesima violazione di domicilio, potrebbe essere una terza, allettante, alternativa.
 
 
Se ne sta davanti a me, la mimica facciale si è spenta nell’istante stesso in cui ha scorto il mio viso, per poi divenire un lenzuolo bianco e nelle iridi un’immensità in sedizione. C’è un particolare sul mio volto che l’ha sconvolta.
È venuta per fare pace, tra le dita sottili una rosa bianca in segno di bonaccia. Dalle mani le cade il fiore, avanza con una rapidità invisibile e affonda sul mio petto, allacciando le braccia in vita, per stringermi con una dolce forza, un calore confortevole e una premura che non aveva mai avuto nei miei confronti.
È come se stesse abbracciando direttamente la mia anima in tumulto, acquietandola.
Mi ha spiazzato, però ricambio l’abbraccio inatteso. Il suo cuore contro il mio, respiro il suo ossigeno, mi riscaldo con il corpo bollente, il profumo dei capelli inonda le narici, abbandono l’armatura e mi affido a questa ragazzina che è arrivata un momento prima che mi togliessi la vita.
Non so come sia possibile, ma sono certo che abbia capito.
Il peso sul cuore si è alleggerito, le spine in esso hanno smesso di infilzarmi, l’attacco di panico è sfumato, le mani non tremano più. La visita allo psichiatra è rimandata.
 
 
<< Andiamo da qualche parte, ti va? >>. Quando è stata male lei, io l’ho salvata dagli abissi, adesso lei è scesa all’inferno per strapparmi dalle grinfie del mio male. Le ho perdonato di avermi trattato come un allocco, il modo in cui mi tiene stretto a sé, mi porterebbe a perdonarle perfino un omicidio.
 
 
<< Sono le cinque del mattino, i negozi sono tutti chiusi… >>.
 
 
Scrolla le spalle, alza il volto dal mio petto e gli occhi sfolgoranti rischiarano più della luna piena.
<< Non importa dove. Io e te, da qualche parte, a farti innamorare di me. >>, confida sincera. Ha smesso di prendersi gioco del sottoscritto, non ha più l’aria da ragazzina, ho una donna tra le braccia, addossata al mio corpo. È così bella da far male.
 
 
<< Basta scherzi? >>, voglio essere sicuro, è difficile fidarsi, specialmente se c’è il cuore di mezzo.
 
 
<< Facciamo un patto, Ville. Promettimi che, quando ti senti solo, tu mi chiami, mi cerchi, mi tiri giù dal letto, anche se sono le tre del mattino. Sfogati, raccontami tutto: vuota le tue soffitte. Usami, per alleviare il tuo dolore. >>. Ha capito, ha capito tutto, forse non ha intuito fino a che punto mi sarei spinto. Le donne hanno questa faccenda del sesto senso che le differenzia dagli uomini, sono empatiche e riescono a percepire la sofferenza da un chilometro. << Ti regalo qualche pezzo del mio, così rincolli il tuo. >>. Sorride, un’ombra malinconica mi spezza il respiro nei polmoni. Dopo l’incontro con la sua amica, c’è il segreto da rivelare, mi tiene nascosto qualcosa d’importante e glielo leggo a caratteri cubitali sul viso mesto.
 
 
<< Qualche pezzo, di cosa? >>.
 
 
<< Di cuore. >>.
 
 
Batto le palpebre, privo di parole altrettanto significative, sento un “bum bum” ritmato che azzera l’udito, un calore che nasce dal centro del petto e si irradia nel resto del corpo. Una strana corrente elettrica viaggia ad alta tensione sotto la pelle, è difficile resistere a questa trazione. Trascina categorica ad assaggiare le sue labbra al sapore di ciliegia, residui di un lucidalabbra sbiadito, è l’unica risposta che riesco a darle, ma è proprio il regalo che sognava da me.
<< Grazie. >>, la parola aleggia sulla mia bocca umida ed amata e solo io posso sapere quanta gratitudine c’è in quel semplicistico “grazie.”
 
 
<< Non c’è nessun altro. >>, mette in chiaro, anche se ci ero arrivato da solo. Se è venuta fin davanti la mia porta a fare pace, è un chiaro segnale. << Però non c’è stato mai davvero nessun altro. Volevo solo farti ingelosire. >>, mette le carte in tavola, ed è brutalmente sincera. Era ciò che volevo.
 
 
<< Il tipo che ho visto? >>.
 
 
Il sorriso si apre pieno, non mi sta deridendo.
<< Ah Ville, faccio fatica a relazionarmi con un uomo che a malapena riesce a scambiare tre parole, senza guardarmi le tette due volte di seguito. >>.
 
 
Anche io le ho guardato le tette, magari non subito e non dopo tre parole.
Faccio fatica a relazionarmi con donne che ambiscono a risplendere della mia fama, ecco perché con Amelia è così diverso.  
 
 
La sua mano trema e si addossa sulla guancia, segue le fattezze dello zigomo, scende sul mento ispido e resta incantata a contemplarmi. Ha gli occhi di un’innamorata persa, è più presa di quanto possa credere e forse lo sono anche io, mi sento preso, vivo, desiderato e… non più solo.
<< Ti rapisco per qualche ora, portati una giacca. >>, insiste, non stava scherzando, vuole davvero uscire a quest’ora, con questo freddo, in pieno inverno e la neve alta.
 
 
<< Dove andiamo? >>.
 
 
<< A vedere come nasce il giorno. Ho sempre pensato che non ci sia niente di più bello che affrontare la notte insieme, per vedere la luce risplendere. >>.
 
 
È lei il sole, la luna, le stelle, il cielo e la terra, il mare, il paradiso, l’inferno. Vivono diversi aspetti in lei ed ognuno di essi mi attrae come una falena con la luce, non posso fare altro: obbedisco.
Prendo una giacca, infilo le scarpe, calo il berretto sui capelli spettinati e la raggiungo nella macchina. L’interno è già caldo, il profumo differente, di cocco e di un’estate che è ben lontana.
 
 
Accende la radio, tiene il volume basso ed una canzone malinconica invade l’abitacolo accogliente. Non conosco le parole, non è inglese o una lingua che conosco, però è bella, avviluppa il cuore come una sciarpa morbida e la guardo con occhi diversi… più diversi di prima. È un’incognita stare con lei, ma non vorrei fare altro, è come se riuscisse a riempirmi e la sensazione è come di sazietà.
Mette in moto, si introduce prudente nella strada e nella solitudine della notte, ci addentriamo nella capitale.
 
 
<< Che lingua è? >>, chiedo curioso. Non ha l’aria di una ragazza molto sdolcinata, la musica lo è, trasmette un senso di amore amaro, lacrime e fine eterna. Due anime che la vita decide di far sfiorare un solo istante, per poi separarle per sempre.
 
 
<< Hindi. >>. Le luci arancioni che costeggiano la strada trasformano gli occhi in oro liquido, sulla bocca un sorriso tranquillo, è rilassata, a suo agio con me.
 
 
Metto la cintura, con Migé sono certo, di lei non molto, ha strani scatti nervosi, mentre guida.
<< E di cosa parla? >>.
 
 
Scrolla le spalle, aziona la freccia e svolta a sinistra alla fine del quartiere.  
<< Non lo so. >>. Non le sembra strano ascoltare una canzone di cui non comprende il significato, lo scemo sono io. << La devo sentire con il cuore, non con le orecchie. >>, continua e la frase appare più saggia di come l’ha detta.
 
 
<< Secondo te di cosa parla? >>. È un modo come un altro per comprenderla meglio e penetrare nella mente complicata. Possiamo fare a gara su questo fronte.
 
 
Il sorriso si fa dolce, mi scalda il cuore e scende dentro.
<< Di come l’amore possa essere il dono più doloroso a questo mondo, di come sia in grado di darti il paradiso, per poi ripagarti con l’inferno. >>. La macchina si ferma. È rosso. Si volta a scrutarmi, l’interno dell’abitacolo è in penombra, il viso sottile pallido, il momento è intenso. << Di come due anime si trovino nel caos dell’universo, per amarsi un solo istante e poi venire divisi dal destino. >>. Ha espresso esattamente il mio pensiero, i brividi si rincorrono su e giù per la schiena, sono assuefatto, ho il cuore in gola che batte come un forsennato, ed ho la consapevolezza, come quello di essere sveglio in un sogno, che è lei la persona che stavo aspettando, quella che cerchi spasmodicamente fra sette miliardi di anime sulla terra, quella che è parte di te, quella che vorresti avere accanto la notte, quella con cui non ci fai sesso, ma l’amore… quella che è “per sempre”.   
Sto per baciarla, scatta il verde, delle macchine dietro suonano forte i clacson e spezzano il frangente idilliaco.
 
 
Riparte con un affondo dell’acceleratore, sbuffa invisibile, voleva che ci baciassimo e ne è rimasta delusa: non per molto. Difficilmente riesco a toglierle gli occhi di dosso, è bella al volante, forte, assomiglia ad una valchiria, i capelli a caschetto sono tirati dietro le orecchie e lasciano liberi i lineamenti sottili e femminili.
Giovane, travolgente ed incantevole.
Termina la canzone e ne parte immediatamente un’altra, un violino disperato mi squarcia il petto e perdo ogni inibizione, forse è colpa della notte che fa affiorare la parte più nascosta di noi, il mancato suicidio, la stanchezza di recitare ruoli che non ci appartengono. Sembra facile vivere in questo momento.
 
 
<< Ancora Hindi? >>. La lingua della canzone sembra differente.
 
 
<< Turco. >>, corregge.   
 
 
Gravo il capo sul poggiatesta, rilassato.
<< Ho l’impressione che tu voglia che l’ascolti per un motivo preciso. >>.
 
 
Tira la bocca in un angolo, soddisfatta.
<< È un modo per farmi conoscere. È questo che vuoi, no? Ti faccio sentire queste canzoni, perché mi compongono: sono fatta di musica. >>.
 
 
A questo punto vorrei dirle di cercare un Cd degli HIM, ma non vorrei risultare il solito cantante che si pubblicizza anche in privato. Mi piacerebbe sapere quale, delle nostre canzoni, sceglierebbe per rappresentarla.  
<< Perché siamo qui? >>, chiedo ad un certo punto.
 
 
Getta un’occhiata allarmata dalla domanda bizzarra, non perde di vista la strada.
<< Che vuoi dire? >>. Non ha la più pallida idea dei filmini mentali che mi sto facendo.
 
 
Sto per aggiungere la motivazione alla singolarità che mi è rotolata fuori dalla bocca, però lei mi precede.
 
 
<< È così importante il “perché”, per te, Ville? Il perché siamo qui, il perché io e il perché tu? Il perché il mondo intero, il perché voglio stare qui o il perché tu hai scelto di seguirmi? È fondamentale per te capire o ti accontenti di accettare che io e te agiamo in base a ciò che sentiamo, anziché assecondare la ragione? Non ti va bene? >>.
 
 
Mi ha preso alla sprovvista, impiego qualche secondo di troppo a rispondere, i pollici si rigirano tra di loro, ho ancora qualche problema ad aprirmi totalmente, so che c’è molto di Amelia che non conosco, che mi blocca.
<< Non sei sincera. >>, confesso. Ecco l’ho detto, vorrei che abbattesse i suoi muri, così io farò ugualmente con i miei.
 
 
Aggrotta la fronte.
<< A proposito di cosa? >>.
 
 
<< A proposito di noi. >>. Non esiste ancora un “noi”, per ora siamo solo due entità ben separate, un “io” e una “lei”, che vorrebbero divenire un “noi”, ma che a fatica riescono a scrollarsi la propria solitudine di dosso.
 
 
Stringe le mani attorno al volante nero, fin quando le nocche si scoloriscono ed assumono una tonalità bianchiccia. La mascella contratta, gli occhi due fari nella notte sprizzano scintille oscure, è tesa come una corda di violino.
<< Mi pare di essere sincera o vuoi che lo sia di più? >>. È accondiscendente, come se non volesse nascondere niente su questo argomento e tenere segreto tutto il resto. << Che mi piaci è palese, altrimenti perché siamo qui? Cos’altro vuoi che ti dica? Che mi attrae la tua mente, come mi tieni testa, mi piacciono tuoi occhi, specialmente quando il sole si specchia in essi, il modo in cui sorridi o gli sguardi che fai, il suono della tua voce e della tua risata, il tuo profumo… che avrei fatto l’amore la notte stessa in cui ti ho incontrato, ma per te sarei stata come l’altra donna, mentre io speravo ad altro. >>, è brutalmente sincera, libera da ogni proibizione, una creatura di puro istinto, niente peli sulla lingua, non teme che possa deriderla, ingannarla o mollarla su due piedi stasera stessa. Sta correndo un grande rischio a vuotare il sacco in questo modo, ma perché fare un gioco della parti, perché dover attenersi a stupide regole, se mi piace perché devo ostacolarmi?
 
 
<< Ho desiderato lo stesso. >>, rivelo in un caldo sussurro. Non mi guarda, non da’ segni particolari, però il rossore sulle guance la tradisce. << Ma non sarebbe stato come l’altra donna, se è questo che ti preoccupa. >>.
 
 
<< Non è questo che mi preoccupa. >>, si affretta a dire. << Mi preoccupa che non sarebbe come lo spero. >>.
 
 
<< Ti avverto che non sono tipo da fiori e cioccolatini. >>.
 
 
<< Ed io non sono il tipo da smancerie, sia fisiche che a parole. Non mi piacciono e difficilmente mi lascio andare platealmente a queste forme di affetto. Dimostro amore in altri modi. >>.
Mi piace questo nostro mettere in chiaro i modi di fare, è come se ci stessimo preparando a buttarci in tutto e per tutto in questa stramba relazione. << E vorrei che ti facessi meno problemi, Ville. Mi piaci così come sei, anche se sei più grande di me, anche se sei asociale, anche se ti inventerai altri mille problemi. Non mi frega se fai le puzzette, se sei stitico o ti metti le mani nel naso, in fondo è così per tutti. >>.
 
 
Scoppio a ridere a crepapelle, rido così tanto da avere i crampi allo stomaco e da sentire dolore alla mandibola, ma rido, rido come non ho mai riso in vita mia. Rido di gusto, senza freni, rido perché è bellissimo ridere con lei. Rido perché credo di adorarla, rido perché è riuscita a farmi felice con poco.
 
 
Amelia parcheggia nei pressi del porto, lascia i riscaldamenti accesi, così da non gelare con queste temperature sotto lo zero.
 
 
C’è un bel panorama, si scorge la città addormentata, la cattedrale bianca, le rompighiaccio attraccate, il mare è una lastra lattescente. Il cielo si schiarisce ad est, mentre è più scuro ad ovest. Le luci albeggiano sulle tenebre e riescono a creare perfino un clima romantico, il momento leggero è passato, ce ne stiamo in silenzio in attesa del sole che tarda a sorgere.
La musica rompe il silenzio, è cambiata ancora, altra lingua sconosciuta, ma ho smesso di ascoltare con le orecchie, lo faccio con il cuore, come ha detto lei.
 
 
È l’enigma più bello con cui io abbia mai avuto a che fare e, mentre guarda la stella madre più luminosa nascere al giorno, io mi perdo nel contemplare il mio sole personale che è sorto stanotte… solo per me. 











Note:
Dato che ieri notte ho finalmente finito di scrivere questa storia, ho deciso di velocizzare i tempi, così per non lasciarvi troppo in sospeso e
per non impiegare una vita per farvela leggere. 

Un capitoletto carino carino, dopo che il povero Ville era stato trattato come un baccalà fritto. Penso sia abbastanza chiaro che Amelia è sul serio interessata, voleva solo tenere Ville in sospeso, per farlo ingelosire. Tattiche femminili, giusto per non gettarsi subito ai piedi del Secco xD 
Alla fine i sentimenti prevalgono sempre. 

In questo capitolo mi sono basata ad un evento realmente accaduto. Nel 2000 Ville ha tentato davvero il suicidio, io ho solo provato ad ipotizzare come ci si possa sentire in quei momenti. 

Detto questo, ringrazio come sempre chi recensisce e chi legge solamente. 


La storia può presentare errori ortografici.

Un abbraccio.
DarkYuna   
 
 
 
  
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