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Autore: Vago    25/11/2016    2 recensioni
Libro Secondo.
Dall'ultimo capitolo:
"È passato qualche anno, e, di nuovo, non so come cominciare se non come un “Che schifo”.
Questa volta non mi sono divertito, per niente. Non mi sono seduto ad ammirare guerre tra draghi e demoni, incantesimi complessi e meraviglie di un mondo nuovo.
No…
Ho visto la morte, la sconfitta, sono stato sconfitto e privato di una parte di me. Ancora, l’unico modo che ho per descrivere questo viaggio è con le parole “Che schifo”.
Te lo avevo detto, l’ultima volta. La magia non sarebbe rimasta per aspettarti e manca poco alla sua completa sparizione.
Gli dei minori hanno finalmente smesso di giocare a fare gli irresponsabili, o forse sono stati costretti. Anche loro si sono scelti dei templi, o meglio, degli araldi, come li chiamano loro.
[...]
L’ultima volta che arrivai qui davanti a raccontarti le mie avventure, mi ricordai solo dopo di essere in forma di fumo e quindi non visibile, beh, per un po’ non avremo questo problema.
[...]
Sai, nostro padre non ci sa fare per niente.
Non ci guarda per degli anni, [...] poi decide che gli servi ancora, quindi ti salva, ma solo per metterti in situazioni peggiori."
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Leggende del Fato'
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 Hile controllò ancora una volta la stabilità del muro, prima di appoggiarcisi.
Avevano trovato una piccola casa a due piani, nel mezzo di quel paese fantasma e, nonostante il secondo piano fosse irraggiungibile a causa del crollo della scala che vi ci portava, il tetto sembrava essere in condizione di poter resistere ad un acquazzone.
Nirghe si sedette di fronte a lui, con le spalle rivolte alla porta malconcia che li proteggeva dalla aria che si stava raffreddando, all’esterno.
- Decisamente non siamo più normali. Quanti chilometri avremo percorso, negli ultimi giorni? Eppure non ne sto risentendo, e non può essere tutto merito dell’allenamento. – disse all’improvviso il Gatto rompendo il silenzio.
- Oramai io non sono più un umano, come tu non sei un elfo, da parecchio tempo. Quello che mi preoccupa è che stiamo continuando a mutare e non so dove tutto questo ci porterà, alla fine di questa faccenda. –
L’unica risposta che il Lupo ricevette fu una silenziosa scrollata di spalle.
Buio si avvicinò piano, accucciandosi al fianco del suo compagno, mentre lo sguardo intelligente teneva sotto controllo le pareti di quel rifugio.
Nell’aria, intanto, continuava ad aleggiare sempre più marcato il puzzo delle persone che avevano avvertito non appena erano arrivati.
Le prime gocce di pioggia cominciarono a cadere sul terreno e sugli scheletri di quelle case, mentre un lampo illuminò il mondo con la sua luce per una frazione di secondo.
La porta d’ingresso venne aperta all’improvviso e le otto persone che entrarono all’interno della struttura parvero interdette nel vedere che fosse già occupata da qualcuno.
Il rombo di un tuono terribilmente vicino riempì il cielo e fece tremare la terra.
Hile si alzò in piedi, sapendo che i suoi occhi non lo avrebbero tradito neppure nella penombra che era calata non appena il sole era stato inghiottito dalle nubi.
- Spero che la nostra presenza qui non vi dispiaccia. – disse tranquillo il Lupo, mentre Nirghe si alza da terra per voltarsi verso i nuovi arrivati.
Un piccolo tuono provenne dall’ingresso, accompagnato da una fiammata. Il Gatto cadde su un ginocchio, mentre dal polpaccio destro un rivolo di sangue cominciava a scorrere verso il pavimento.
Sei uomini si fecero avanti in quello che fu il salone di quell’abitazione, brandendo lunghi coltelli e cose simili a dei tubi di ferro dal manico di legno.
Hile non provò a dire altro. Prese rapidamente otto coltelli, tenendone quattro per mano, per poi avventarsi verso il gruppo che gli si parava davanti.
La mano dal quale era nato lo scoppio cadde a terra con un clangore metallico dell’oggetto ad accompagnarla. Il corpo sgozzato di quell’uomo li ricoprì poco dopo.
Nirghe provò a rialzarsi, estraendo una spada dal suo fodero.
Un lampo colpì nuovamente il suolo, illuminando per un attimo la stanza e le persone che vi erano all’interno.
Per un attimo il Lupo fu cieco. Mentre le sue pupille cercavano di riadattarsi all’oscurità, un secondo scoppiò fuoriuscì da un altro tubo in ferro, colpendo nuovamente il Gatto, che cadde schiena a terra con un lamento.
Il tuono che ne seguì fece da sottofondo alla morte di un uomo, che si trovò un coltello piantato nella gola, mentre un suo compagno cercava disperatamente di tenere alla larga il grosso lupo che gli si avventò addosso con le grosse zampe grigie e le zanne snudate.
Il gatto nero si posizionò davanti al suo compagno, con la pelliccia della groppa sollevata e i denti affilati in mostra.
Hile si voltò appena in tempo per vedere una canna puntata in direzione del suo viso.
Ci fu un terzo scoppio, ma la fiammata fu ben diversa dalle due precedenti. Il tubo di ferro esplose, portando con se l’impugnatura di legno e la mano dell’aggressore, che venne azzannato alla gola dall’Athur grigio.
L’assassino ripensò per un attimo a quello che il direttore gli aveva detto riguardo la pericolosità di quella nuova polvere esplosiva.
I due superstiti, si voltarono verso la porta, cercando la salvezza sotto la pioggia scrosciante.
Un pugnale corse silenzioso e letale nell’aria, andando a colpire il più lento dei due alla base del cranio, facendolo cadere riverso del fango.
Il Lupo partì all’inseguimento dell’ultima preda rimasta, accompagnato dal suo compagno.
Corse sicuro nell’oscurità che man mano aumentava, seguendo l’odore di paura e sudore che l’uomo lasciava dietro di sé e il suono bagnato dei suoi passi sul terreno.
La preda fu in vista. Hile appoggiò per un secondo la mano destra a terra, in modo da darsi uno slancio maggiore di quello che avrebbe potuto offrirgli la sola forza delle sue gambe, per superare i pochi metri che lo dividevano dal corpo davanti a lui.
 Con un balzo gli fu addosso, mentre Buio lo precedeva per tagliargli qualsiasi via di fuga. Due pugnali si fecero largo tra i muscoli della schiena, mentre un terzo aprì un profondo taglio alla base della gola dell’uomo.
Hile prese fiato, cercando di calmare il sangue che gli ribolliva nelle vene. Intanto, la pioggia gli cadeva addosso battente, scorrendogli veloce sul corpo e sui vestiti.
Non appena i muscoli tesi smisero di tremare, il Lupo riprese i pugnali, pulendoli dal sangue negli abiti dell’uomo, per fare ritorno alla casa e controllare le condizioni di Nirghe.

Il Gatto respirava a fatica, sui suoi vestiti si erano disegnati fiori rossi di sangue.
Nelle ferite circolari che erano nate sulla gamba e sulla spalla destre, erano penetrate due palline di ferro.
- Questo farà sicuramente più male a te che a me. Ora ci sarebbero utili Mea e Seila… -
Hile spogliò della camicia il cadavere più vicino, strappandola per farne tante strisce di tessuto. Con un coltello, poi, accuratamente, fece leva sulle sferette per farle uscire dai muscoli in cui si erano rintanate.
Nirghe soppresse un urlo quando la prima fu estratta.
Il Lupo tamponò immediatamente la ferita con i brandelli della camicia per evitare che troppo sangue ne fuoriuscisse.

Il mattino seguente il sole tornò ad illuminare la piana e i ruderi che su questa sorgevano.
Hile si alzò in piedi indolenzito, guardando lo spadaccino che, febbricitante, dormiva disteso per terra. Accanto a lui, il grosso gatto nero sonnecchiava raggomitolato su se stesso, era rimasto al suo fianco per tutta la notte, senza mai lasciare quella postazione.
Le bende cominciavano già a tingersi di carminio là dove le ferite erano state inflitte.
Il Lupo uscì per un attimo dalla casa, guardando in direzione della Grande Vivente. Non era lontana, probabilmente l’avrebbe raggiunta in mezza giornata e, con un po’ di fortuna, in sette ore sarebbe arrivato a Gerala. Se fosse andato a prendere dei medicamenti in città, però, avrebbe lasciato solo Nirghe per due giorni e in quelle condizioni non se la sarebbe potuta cavare.
Il naso umido di Buio gli toccò il palmo della mano, mentre quegli occhi intelligenti guardavano quelli del suo compagno.
- Tu potresti trasportarlo, vero? –
L’Athur si sedette, appoggiando la grossa testa grigia sul fianco dell’assassino.
- Potrebbe funzionare. – disse ancora Hile, guardando un’ultima volta i lontani tronchi, prima di rientrare nella struttura e prepararsi per il viaggio che li stava attendendo.
Nirghe non sarebbe sopravvissuto per più di un giorno e mezzo, in quelle condizioni, si doveva sbrigare, gli altri non gli avrebbero mai perdonato se lo spadaccino fosse morto.
Mentre il Lupo assicurava il corpo dell’amico al dorso del lupo grigio con i vestiti che aveva recuperato dai cadaveri, dalla borsa dello spadaccino cadde un piccolo cilindro di legno, attorno al quale dei sottili fili blu erano stati legati. Il lanciatore di coltelli lo infilò nella tasca vuota della sua casacca, quella che una volta era occupata dal pugnale di Renèz, ci avrebbe prestato attenzione più avanti.
Dieci minuti dopo fu pronto per partire. Il gatto nero gli salì sulla spalla destra, destabilizzandolo per un momento, ma, non appena si fu abituato allo scompenso di peso, scattò in avanti, imprimendo tutta la forza che poteva nei passi cha andavano a colpire il terreno fangoso.
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Sento un fremito nella Trama del Reale… è strano. Non è una cosa che si avverte tutti i giorni.
Mi ricorda quando Vago si sacrificò per far resuscitare i suoi compagni…

Un uomo dalla carnagione pallida passeggiava tranquillamente sul versante del vulcano di El Terano. I capelli neri gli coprivano in parte gli occhi verde scuro, mentre sulle labbra esangui, circondate da un paio di baffi corti e da un pizzetto accennato, si disegnava un sorriso di meraviglia.
La lunga giacca nera copriva gli abiti grigi di pregevole fattura, svolazzando alle spalle dell’uomo ad ogni suo passo su quella roccia.
L’uomo si diresse sicuro in direzione della pozza scura che ristagnava tra le insenature delle rocce, senza però smettere di ammirare il paesaggio intorno. Infine, giunto alla sua meta, si abbassò fino a far appoggiare un ginocchio sul terreno.
- Come ti sei ridotto… - con una mano a coppa raccolse una parte della sostanza nera che gli si presentava davanti, facendola poi ricadere per diventare nuovamente un tutt’uno con la pozzanghera.

Ti odio. Mi sono ridotto così perché nessuno ha mai mosso un dito per aiutarmi.
Stavo morendo.
Stavo morendo per colpa degli stessi idioti che dovrei aiutare, sotto ordine di mortali che si credono dei, solo perché siete troppo impegnati per salvare una musa imprigionata.
Ho dato fondo alle mie abilità per sopravvivere. Ho fatto solo quello che dovevo e di certo non l’ho fatto volentieri.
Ma tu dovresti saperlo, no?


L’uomo si alzò in piedi passandosi un palmo sulla gamba per pulire il pantalone dallo sporco che aveva raccolto da terra.
- Ti credi tanto vecchio, ma non sei ancora abbastanza maturo. Io ti ho fatto il dono più grande che potessi immaginare, non ti ho legato a niente e nessuno, sei la quintessenza della libertà. Se volessi potresti addirittura uccidermi, e io non potrei fermarti. Come puoi riservarmi tutto quest’odio, dopo tutto quello che ho fatto per te? –

Continui a non capire. Non puoi capire.
Ho assistito al genocidio della mia specie. Ho visto i miei amici, i miei fratelli morire uno dopo l’altro. Passione, Melodia, Passione, Mito, Tragedia, sono tutti morti. E tutto questo è avvenuto perché non siete intervenuti.
Cos’hai fatto per me, tu?


- Ti ho dato la vita. Credi non abbia pianto quando ho visto la razza più bella che ho mai creato venire decimata? Ma non sono potuto intervenire, perché null’altro che le loro scelte li portarono a quel finale. Proprio come le vostre scelte portarono te e… -

Non nominarla. Non osare dire il suo nome.

- La decisione di fuggire vi permise di rimanere in vita. Non prendertela con me, per le scelte che presero loro. Comunque, non sono qui per far valere le mie ragioni. Ho bisogno che tu torni ad essere il mio servitore così come quando ti creai. –
Nel polso dell’uomo si aprì una ferita, dalla quale un viscoso liquido nero cominciò a fuoriuscire, per poi colare nella pozza.
Il liquido scuro prese a ribollire, contraendosi e spandendosi. Cominciò quindi a prendere una forma riconoscibile, si definirono le gambe e le braccia, la testa fu il passo successivo. I capelli scuri si delinearono sul capo dell’elfo che si stava creando, mentre una ciocca argentata comparve come un fulmine sul cielo scuro.
- Ascolta. – disse l’uomo appoggiando una mano sulla spalla dell’elfo esile. – Ho bisogno che tu porti quei sei ragazzi alla loro meta. Conducili per mano ai loro poteri, proteggili e, insieme, sconfiggete il demone perché non possa più nuocere al Creato. –
- Perché io. Sai meglio di me che, nonostante tutto lo schifo che porto in questo corpo, non mi rifiuterò, ma dimmi solo questo: perché io? Avete quattro servitori, lassù. Senza contare che siete tornati in possesso delle vostre armi elementari. Io sono una musa, mi creasti per portare l’arte e l’ispirazione nel mondo, non per combattere. –
L’uomo si lisciò il pizzetto, mentre gli occhi scuri correvano lontani, come per afferrare una risposta soddisfacente. – Mettiamola così. Io mi fido di te. Sei una meravigliosa incognita, sai giocare con le regole che ti vengono imposte e finora ne sei uscito sempre vincitore. Tu sei l’unica cosa che Follia non conosce e per questo hai un potere immenso. –
- Rendimi immortale, allora, fai in modo che il veleno non possa nuocermi e le lame non possano trafiggermi! Allora andrò danzando verso il demone per infilzarlo su quel maledetto stiletto che quei sei ragazzini hanno trovato. Oh, già che ci sei, non è che potresti dirmi chi di loro è il traditore? Sono convinto che prevenire sia meglio che curare. –
- La paura della morte ti rende molto più pericoloso di quanto tu creda. Inoltre non ti dirò mai il nome del traditore, perché, per ora, ancora non sa di esserlo. Lascia che il Fato faccia il suo corso, come è giusto che sia. –
- Quindi? Ora mi lasci qui con una pacca sulla spalla a sistemare tutti i casini che sono successi nelle ultime ventiquattr’ore? Sai, mi sono tenuto aggiornato. Uno di loro sta morendo e… per favore, no. Eccone un altro che vuole rivedere il Parco delle Anime. –
- No. Non ti lascerò con una pacca sulla spalla. –
L’uomo con la giacca nera si avvicinò all’elfo, stringendolo in un abbraccio, mentre quello si irrigidì a quel contatto, senza né ricambiare, né ritirarsi.
- Commedia, fai del tuo meglio. –
- Fato, tagliati quel pizzetto. –
L’uomo scomparve in un attimo, lasciando l’elfo dai capelli neri solo tra le rocce vulcaniche. In cielo, intanto, due imponenti figure volavano, compiendo larghi cerchi sopra la capitale del regno.

Si riparte, quindi. E dovrò combattere, evidentemente.
Mi dispiace, ma credo che sia arrivato il mio momento. Avanti, non ho una mezza possibilità contro il demone, sono una musa, un mutaforma, non un combattente.
Ora sarà meglio che vada a sistemare i casini che si sono creati in mia assenza, non vorrei che papino tornasse a rimproverarmi.


Un corvo si levò in volo dall’isola dei draghi, puntando in direzione della Grande Vivente.


Angolo dell'Autore
Salve a tutti!
Questo sarà un angolo un po' diverso dal solito, visto che non parlerò di questa storia.
Questa setttimana ho raggiunto un traguardo che non avrei mai potuto neanche immaginare di poter vedere: Il primo capitolo della prima storia che ho pubblicato ha raggiunto l'incredibile numero di 1000 visualizzazioni, si, proprio mille, non mi è scappato uno zero di troppo.
Ho quindi deciso che era doveroso ringraziare chi ha reso possilbile tutto e ciò e questo angolo è probabilmente il modo migliore che ho per raggiungere più lettori possibile.
Bando alle ciance, quindi, e passiamo alle cose serie:
Grazie, grazie davvero a tutti voi per aver posato un mattone dell'alta struttura su cui mi trovo ora.
Buona lettura a tutti, non ho intenzione di dilungarmi oltre. Ci vediamo venerdì prossimo con un nuovo capitolo.
Vago 

   
 
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