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Autore: Rota    25/11/2016    2 recensioni
Esistono persone non pazienti per natura, che hanno la necessità fisiologica di far quadrare tutto secondo aspettative o piani, sostenendo un eventuale e personale diritto alla perfezione solo in merito al duro lavoro svolto e alla presunta ricompensa che il fato dovrebbe elargire loro. Persone che poco tollerano che qualcosa a questo mondo interferisca con la simmetria di karma e destino, o che sfasi i piani studiati ad arte e su misura per un’esigenza tutt’altro che generosa e tranquilla.
Insomma, persone che troverebbero alquanto fastidioso un viso non brillante di contentezza al proprio addio al nubilato – e che hanno persino la presunzione di considerarlo quasi un affronto personale, giacché non riescono a concepire un motivo valido per tale atto di pura ribellione all’equilibrio del mondo.
D’altronde, dopo una settimana pazza a sistemare tutto quello che si doveva sistemare, tra lavoro di routine in sartoria e la preparazione di cerimonia, pranzo, ballo e luna di miele, Shu Itsuki aveva pensato di passare una bella serata in compagnia degli amici di sempre come non si faceva da parecchio tempo. Non chiedeva troppo dalla vita, almeno dal suo punto di vista.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eichi Tenshouin, Kuro Kiryu, Shu Itsuki, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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*Note: Posso solo dire che originariamente non doveva venire nè così lunga nè così disastrosamente comica. Ma è successo, perché come al solito le mie fic prendono vita propria e fanno quello che vogliono *LOL
Buona lettura (L)











Esistono persone non pazienti per natura, che hanno la necessità fisiologica di far quadrare tutto secondo aspettative o piani, sostenendo un eventuale e personale diritto alla perfezione solo in merito al duro lavoro svolto e alla presunta ricompensa che il fato dovrebbe elargire loro. Persone che poco tollerano che qualcosa a questo mondo interferisca con la simmetria di karma e destino, o che sfasi i piani studiati ad arte e su misura per un’esigenza tutt’altro che generosa e tranquilla.
Insomma, persone che troverebbero alquanto fastidioso un viso non brillante di contentezza al proprio addio al nubilato – e che hanno persino la presunzione di considerarlo quasi un affronto personale, giacché non riescono a concepire un motivo valido per tale atto di pura ribellione all’equilibrio del mondo.
D’altronde, dopo una settimana pazza a sistemare tutto quello che si doveva sistemare, tra lavoro di routine in sartoria e la preparazione di cerimonia, pranzo, ballo e luna di miele, Shu Itsuki aveva pensato di passare una bella serata in compagnia degli amici di sempre come non si faceva da parecchio tempo. Qualche ora allo stesso tavolo e un paio di drink, per chi riesce a reggere gli alcolici meglio di lui, separati dal mondo dalle pareti sottili di una delle salette private del pub dove si raccolgono quelle tre volte l’anno in cui la maggior parte di loro è presente su suolo giapponese e hanno più o meno tutti la disponibilità di mezza giornata libera. Non chiedeva troppo dalla vita, almeno dal suo punto di vista.
Invece, il primo dei suoi due testimoni di nozze si era presentato all’appuntamento non frizzante come al solito, ma con un’espressione certo non degna della vigilia di un fatto così straordinario e gioioso. E così era rimasto per ben settantatré minuti e ventisette secondi, da quanto dice il suo orologio da polso.
Shu non è contento della situazione, affatto. Sorseggia la sua acqua brillante – la seconda e ultima della serata, perché poi tutte quelle bollicine gli gonfiano la pancia e non va bene affatto – con lo sguardo di chi è molto scocciato della situazione. Kanata sta giocando con l’ultima oliva rimasta sul fondo del suo cocktail, usando il bastoncino a cui era attaccata per infierirle diversi buchi impietosamente, cercando di estraniarsi in questo modo dal mondo che lo circonda; è un’abitudine che non ha mai perso, nonostante abbia passato il quarto di secolo d’età. Dal tablet posto sul tavolo, il cui schermo è interamente occupato dalla schermata skype che li collega dall’altra parte del mondo, Natsume-chan rimane in silenzio impedito nel fare qualsiasi cosa, senza la possibilità reale di dissipare tutto quel disagio che palesemente intrappola i suoi amici. Solo Rei, in tutto quello, ha provveduto a mantenere un contatto con il diretto interessato, il cui braccio tiene costantemente accarezzato rimanendo però in perfetto silenzio; ha persino dimenticato il suo calice in un angolo del tavolo, preso dalla situazione.
Shu decide di averne abbastanza, ad un certo punto. È stanco, piuttosto nervoso, e tutto quello non gli sta piacendo neanche un po’.
-Insomma! Io capisco che possa essere emozionante un avvenimento del genere, ma fare quel tipo di espressione alla festa dedicata a qualcun altro mi pare davvero troppo!
Il tono della sua voce, come anche il gesto di sbattere non troppo delicatamente il bicchiere sulla superficie del tavolo, fa sobbalzare tutti in un colpo solo – anche quel povero uomo in America, che dalla sua non può rendere neppure troppo evidente lo stupore che lo ha preso.
Kanata si ritrova però a guardarlo storto, perché per quanto lui si sia estraniato dalla vicenda, non può che riconoscere una certa indelicatezza nei modi dell’amico. E a dargli man forte, è proprio la voce proveniente dal tablet poco distante.
-Shu-nii, non essere scortese. Wataru-san sembra più sensibile del solito.
-Qualcosa dev’essere per forza accaduto.
Il futuro sposo guarda entrambi molto male, masticando le proprie stesse labbra. Certo non è sua intenzione scaricare addosso tutta la propria frustrazione su Wataru, che sembra abbastanza sconsolato e vittima della sfortuna planetaria, ma quella punta di irritazione che si distanzia dalla naturale preoccupazione lo fa agire di conseguenza, senza fargli pensare ad altro.
Cerca di venirgli incontro, in un modo tutto suo.
-Wataru, sei davvero così sconvolto per il fatto che io mi leghi in matrimonio a qualcuno?
L’altro alza gli occhi dal tavolo, guardandolo per la prima volta in quella serata. Gli mostra esattamente il viso di chi è in gran pena, e questa cosa un po’ lo smuove.
La mano di Rei, intanto, si è alzata alla spalla di Wataru, e con un tocco leggero, tra capelli immensamente lunghi e trecce improbabili, lo incita ad aprirsi a chi, davvero unici nel loro ruolo, saprebbe prendere ogni sua parola per vera.
-Wataru-kun, permettici di essere tuoi confidenti.
L’uomo sospira un paio di volte prima di assumere una posa assai assurda, giusto per rendere il tutto con estrema evidenza una tragicommedia annunciata.
-Oh, amici miei! Voi siete le persone più amorevoli e care che esistano su questa terra! Ma purtroppo neppure tutto il vostro affetto e tutto il vostro amore possono cambiare i fatti!
Non aggiungendo niente a quello che gli altri già sanno, li lascia ancora più perplessi di prima. Kanata torna alla propria oliva, mentre l’espressione sul volto di Shu si è fatta pericolosamente tesa.
Il tablet suona di una voce accomodante, che sembra quasi avvicinarsi di più al gruppo.
-Wataru-san… esponi le tue preoccupazioni.
Rei, di nuovo, che credendo di fargli un favore sposta qualche sua ciocca dietro l’orecchia piena di orecchini fastosi, lasciando libero alla vista il profilo del volto scavato dalla preoccupazione.
-Anche solo per sfogarti. Non va certo bene trattenere simili dolori!
Wataru cerca di nuovo Shu, perché si ricorda che è lui il vero festeggiato, e solo lui può dargli il permesso o il divieto di fare qualcosa. E il giovane Itsuki è davvero un po’ troppo esasperato per pensare qualche secondo alle conseguenze delle proprie parole: come sempre, diretto e sincero fin al nocciolo più crudo della propria verità.
-Dillo adesso o trattienilo per sempre. Non voglio vedere quell’espressione anche domani, dall’altare!
Qualcuno sorride piano, credendo che quell’esasperazione nasconda almeno un poco di reale preoccupazione.
Così, finalmente Wataru dice quello che tutti stanno attendendo, creando un momento di gelo imbarazzante.
-Il mio dolce Eichi è all’ospedale. Da settimane!
Kanata riemerge dal proprio bicchiere, ormai svuotato anche dell’ultima oliva superstite. Pronuncia un nome antico, che nessuno nomina da anni, e che per quanto collegato direttamente a Wataru per questioni di parentela acquisita – come testimonia uno dei tanti anelli alle sue dita – non si cita spesso per altri, ovvi motivi.
-Eichi Tenshouin?
Scuote la testa così forte che pare debba staccarsi in quel preciso momento, in una cascata di capelli che sembrano onde marine. Ha persino alzato la voce, ora che può si può permettere d’esprimere i propri sentimenti.
-Mi è permesso vederlo solo poche ore al giorno! È sempre più straziante! Sempre di più!
Muove ancora la testa – Kanata è affascinato da tutto quell’ondeggiare, mentre Shu sta fissando un punto nel vuoto da diversi secondi e non sembra molto intenzionato a cambiare traiettoria di sguardo, perso tra i colori calmi e tranquilli delle pareti di carta sottile.
-Non riesco a sopportare questa situazione! Non è una cosa che capita raramente, ma questa volta lui è così debole e sciupato, e io non riesco a stargli vicino come dovrei!
Rei, unico del gruppo a essere rimasto ad ascoltare ogni sua accorata parola, alla fine gli prende le mani nelle proprie e si fa guardare, mentre cerca di rassicurarlo come meglio può.
Sentirlo tremare così non gli fa piacere, e anche se Wataru è ben famoso sia per lasciarsi trasportare dai propri stessi sentimenti sia per accrescerli fino all’esasperazione, questi sentimenti, quella verità contenuta nei suoi occhi è ben visibile all’altro uomo.
-Siamo tutti sicuri che tu stia facendo quanto è in tuo potere per dargli supporto. E se ti permette di stargli vicino vuol dire che anche lui lo capisce.
Wataru si rifugia sulle sue mani, continuando a gnaulare cose tra borbotti e piagnistei scomposti.
-È così triste! È tutto così triste!
Shu, dall’altra parte del tavolo, proprio mentre inizia una nuova canzone di musica leggera che viene colta nel sottofondo ora diventato silenzioso, si accorge di non avere più niente del proprio calice quando già il gomito è ben alto in aria. Deve sbattere le palpebre diverse volte per ricordarsi quale sia la realtà.
-Ordino qualcos’altro da bere.
Kanata si alza ben più che volentieri, a chiamare la cameriera, che solerte arriva e prende le ordinazioni in pochi secondi: Shu ha deciso che quella sera può permettersi dell’alcool in corpo. Gli occorre dimenticare diverse cose che non credeva di ricordare ancora, in effetti.
Wataru lo fa sobbalzare quando si stende quasi sul tavolo e va a prendergli le mani, stringendo forte.
-Mi dispiace così tanto, caro Shu! Sto rovinando tutto! Il tuo momento perfetto e bellissimo! La magia del compimento ultimo del tuo amore!
Se Shu lo guarda male, è solo perché sente dolore fisico, non psicologico – non gli risparmia una cattiveria che però viene assolutamente ignorata, perché è incredibile cosa nasce dall’unione di chi parla per il gusto di farlo e di chi sente unicamente ciò che ritiene interessante.
Quei due funzionano a meraviglia proprio per questo, perché riescono a evitare conflitti inutili e continui.
-No, non sei certo tu a farlo. È Tenshouin. Tu non hai colpe.
-Sono così costernato, ma non riesco a smettere di pensarci! Poche ore fa le mie dita stringevano le sue, così magre ed esili! E ora! Mentre io sono qui a divertirmi e a onorare per l’ultima volta la tua condizione di uomo libero, lui è relegato in un letto scomodo e con un cuscino troppo sottile per la sua cervicale delicata!
-Povera creatura.
-Esatto! Che condizione!
Scuote di nuovo la testa, lasciando cadere i propri capelli sul tavolo, scansando solo per miracolo il bicchiere ovviamente ancora pieno che Rei ha avuto l’accortezza di ordinare per il loro tablet, giusto per essere in sintonia anche con i non presenti.
Wataru si ritira piano, millimetro dopo millimetro, in una gestualità studiata che lascia intendere tutto e significa allo stesso tempo proprio niente. Sorride persino, mentre formula una delle ultime sentenze.
-Però, i dottori hanno detto che non dovrò pazientare ancora per molto.
Silenzio assoluto attorno a lui, nessuno ancora osa fiatare.
-Finirà tutto presto.
Una terribile incomprensione aleggia tra di loro, nata dal timore di pronunciare parole scomode proprio alla vigilia di un matrimonio – e tutti loro sanno quanto Shu crede nella mala o nella buona sorte, con tanto di scalogna e prognostici – che porta alla fine Kanata a balbettare qualcosa senza senso.
-Tu… Eichi…
Wataru gli sorride, e tronca così ogni altro tentativo di approccio.
Fortunatamente, arriva qualcuno in grado di salvare la situazione, e specialmente quel poco di Shu che è rimasto in lui.
Dall’entrata della saletta privata, oltre gli stipiti di legno laccato, si sporge la cameriera di prima, assieme al vassoio pieno.
-Chi di voi signori ha ordinato una vodka alla fragola?
 
 
Trattiene a stento un piccolo rutto, dietro il palmo della mano, proprio quando la vettura del taxi volta l’angolo della strada e si immette nel piccolo viale che conduce alla sua dimora. Shu guarda fuori dal finestrino, e nota scorrere le facciate di case che saranno per un bel po’ di anni il suo vicinato stretto – è così da qualche tempo, ormai, ma soffermarsi su questa considerazione dipinge il tutto di un significato appena diverso, com’è giusto che sia.
È notte fonda e quindi non si notano bene i colori di siepi ed alberi, dei vasi sui terrazzi e i tetti di mattoni, ringhiere scure che sembrano teneri tentativi di proteggere un’intimità gelosa. La luce dei lampioni toglie un po’ di magia alle stelle e alla luna, definendo i contorni delle cose con un arancio molto artificiale.
L’auto si è fermata prima che se ne sia reso conto. Recupera quindi il proprio borsello e la propria giacca, allungando dopo qualche secondo diverse banconote, mancia compresa, al conducente, che con un sorriso largo riesce persino ad augurargli la buona notte prima che lui esca dalla vettura e sbatta senza troppa grazia l’anta di metallo.
Sente la testa pulsargli – ora può dire di aver avuto esperienza di una sbronza, almeno, o fare finta che sia così. Perché certo è che non gli è mai capitato di far fatica a camminare per raggiungere il proprio cancello, o sbagliare a infilare la chiave nel lucchetto per ben due volte, mentre la giacca gli cade dal braccio e lui tenta di salvarla con un piede finito in aria a vuoto.
Per fortuna, nessuno è lì che lo può guardare.
Alla fine riesce a raggiungere anche la porta d’ingresso e infilarvisi dentro senza rovinare al suolo, accendere persino la luce e illuminare l’atrio della casa. Perfettamente lindo e in ordine, futuro nido d’amore di due sposi novelli: anche questo, come mille altri particolari, è un suo motivo d’orgoglio.
Hanno deciso assieme, lui e Kuro, che quella sarebbe stata la loro casa ancora diversi mesi prima, dopo un anno di convivenza in un appartamento piccolo e stretto, adatto soltanto a una coppia appena formatasi.
Si erano sacrificati abbastanza, senza chiedere soldi o prestiti da nessuno, ed erano riusciti ad acquistare quella piccola villetta in periferia, lontani abbastanza dal centro cittadino ma con pace e tranquillità tanto necessarie.
È tutto magico, per Shu. Davvero tutto.
Riesce a indovinare l’imbocco giusto per le scale che lo portano al piano superiore, dove ci sono le stanze da letto. Non c’è nessuno ovviamente, in casa, ma quel silenzio in cui si espande l’eco dei suoi passi non gli procura altro se non una discreta aspettativa: gli basta aspettare meno di ventiquattro ore perché tutto quello venga riempito di altri suoni e altre percezioni, come lui ardentemente desidera.
Spegne le luci, si ritrova davanti al proprio letto – matrimoniale, grande, con un sacco di cuscini ricamati da lui e dal suo consorte, una tra le tante tipologie di regalo che si sono scambiati spesso in quegli anni di assurdo e imbarazzantissimo corteggiamento. Si spoglia con una certa difficoltà, perché pare che i bottoni della sua camicia elegante siano nel periodo di ribellione e non vogliano togliersi al primo colpo, e tra fiocchi, lacci e altro, come per aggiustarsi prima di uscire, prima di riuscire a mettersi in pigiama gli occorrono sedici minuti di intenso e duro lavoro.
Ma alla fine, riesce persino a stendersi per qualche secondo, accompagnando il gesto con un lungo sospiro, prima che il telefono squilli al suo fianco, proprio dal comodino dove l’aveva lasciato prima di uscire, con la chiara intenzione di non essere disturbato proprio da nessuno.
E quando lo prende in mano e vede sul display il mittente della chiamata, sorride. Ignorando quelle tre chiamate perse e cinque messaggi non letti.
La voce del suo futuro sposo gli fa più piacere che una doccia fresca e rigenerante.
-Prima che tu dica qualcosa. I due sposi non si devono vedere o incontrare, ma nessuno ha mai parlato di telefonarsi.
Sorride piano, sistemandosi meglio sul letto e cercando una posizione comoda sia per la propria spalla che regge il dispositivo elettronico sia per il resto del corpo.
-Tu hai imparato fin troppo bene come sfruttare certi cavilli.
-Non potrei sognare di vivere con te, altrimenti.
-Quanto siamo arditi.
Shu ha i sensi un po’ alterati, ma la sente benissimo la sua piccola risata, dall’altra parte della cornetta. È abbastanza tardi perché nessuno possa sentirli, in quel silenzio totale che avvolge quasi tutto il mondo.
-Sono molto eccitato.
-Chi non lo sarebbe.
Fa bene a entrambi quella felicità così palese: li unisce, li scalda, li consola di quella breve solitudine che si sono imposti – o meglio, che Shu ha imposto loro, anche onde evitare di fargli vedere le numerose crisi nervose di cui è stato soggetto nelle ultime settantadue ore.
Shu porta istintivamente la mano di lato, dove di solito dorme Kuro. Lo immagina lì, mentre parla, e con la fantasia riesce a vederlo mentre gli rivolge parole gentili
-Com’è andata, stasera? Vi siete divertiti?
-Abbiamo passato diverse ore a chiacchierare piacevolmente. E ho bevuto ben due calici di vino bianco liscio prima della fine.
-Che coraggio.
Sbadiglia, totalmente rilassato. Gli dona pace sentire la sua voce, e considerando il tipo di persona che è, la sua pace precede in modo immediato un sonno dolce e perfetto.
-Ho un po’ di sonnolenza. Penso che stanotte dormirò profondamente.
Guarda il soffitto della stanza per qualche secondo, poi solleva la mano e ne contempla le dita. L’anulare, in specie, che gli sembra così sottile e spoglio, ora come ora.
Non è rivestito dei gioielli giusti, non della promessa più eterna e romantica, di nessun progetto per il futuro costruito assieme. Lo muove avanti e indietro, quasi che non sia reale.
Questa distrazione, dovuta per lo più all’alcool nel suo corpo, lo porta a considerare troppo tardi la tensione del silenzio che si è creato tra lui e il suo Kuro.
-Shu?
-Dimmi, futuro signor Itsuki.
-È successo qualcosa?
Niente si può nascondere, a Kuro. Neppure le cose che razionalmente non si conoscono.
Infatti, Shu deve sbattere le palpebre un paio di volte prima di realizzare la natura del quesito che gli è appena stato posto.
-Perché mi fai questa domanda? Sai che mi sono diretto verso un locale discreto, per festeggiare. Nessun ballerino dai dubbi costumi e nessuna possibilità di tradimento.
-Non dubiterei mai di te. Mi sembri un po’ strano.
Di nuovo quell’espressione di prima, arrampicata sul suo volto stanco, che Kuro non può ovviamente vedere – ma è come se la sentisse, perché ogni cosa che riguarda Shu riguarda anche lui, in quel vincolo stretto e indissolubile di sensibilità ed empatia che di comune accordo riescono a chiamare amore.
E quindi Shu gli parla del tema centrale delle chiacchiere della serata, la tristezza di Wataru e la sua dichiarazione quasi tra le lacrime. Kuro rimane ad ascoltare in silenzio, senza interrompere mai il proprio consorte e facendo giusto una domanda alla fine, per mettere in chiaro un punto focale.
-Quindi, Eichi Tenshouin è ricoverato?
-Da quanto ha lasciato intendere Wataru, non lo sarà ancora per molto.
Prende un lungo sospiro, rilassato e tranquillo; no, non è toccato dalla preoccupazione di Kuro, non la percepisce neanche, finché non è lo stesso suo uomo a rimproverarlo per qualcosa che è davvero evidente, ma che gli sta sfuggendo alquanto
-Shu.
-Sì?
-Non è una cosa bella.
-Che cosa, non è una cosa bella?
-Che Tenshouin stia male.
Shu deve pensare a cosa rispondere, a una simile affermazione.
Per certi versi, la concezione comune dei rapporti sociali gli sfugge in quanto a significato e comprensione. L’estrema sua emotività lo ha portato all’esaltazione di un ego delicato, dal fragile sistema di difesa, e questo lo rende a tratti prevenuto e a tratti restio al confronto, persino con una persona come Kuro.
Qualcosa è rimasto, del suo passato.
-Non sentivo pronunciare il suo nome da anni. È stato davvero qualcosa di strano.
Sospira e si posiziona di lato, poggiando un fianco sul materasso del letto e lasciando in bilico il telefono sulla sua guancia, senza reggerlo con la mano.
-Quasi come se un vecchio fantasma fosse tornato a infestare la mia dimora, proprio adesso.
Kuro sente questo distacco, e non si lascia impressionare. Lui era presente, quando l’animo di Shu era spezzato, e all’epoca non aveva potuto fare altro che aspettare che lui stesso aprisse una breccia per lasciarlo passare.
Ora che è dentro il suo cuore, ora che può, non ha intenzione di lasciarlo andare, neppure se questo significa fargli vedere come sta sbagliando.
E le parole gli escono più dure del voluto.
-Che sia un fantasma o meno per te, rimane sempre un uomo. E anche il compagno di Wataru.
-Non credo di poter provare pietà, per lui.
-Almeno un po’ di umana compassione.
Non può, e non vuole, soddisfare il senso di attesa nella sua voce – ora che lo sente, l’alcool si è annidato alla base del suo collo ed è diventato stupida irritazione.
-Giammai.
Deve aspettare qualche secondo di silenzio, prima che Kuro riprenda a parlare. Ha perso totalmente la dolcezza delle prime parole, è piuttosto duro e questa sua durezza stimola una risposta altrettanto dura in lui, nel più equilibrato gioco del suicidio di coppia.
-Shu, non stiamo più parlando di competere in qualche spettacolino sorprendente. Qui è in gioco qualcosa di ben diverso.
-Quello che ha distrutto lui non era solo uno “spettacolino”, Kuro. Era altro.
-Vuoi dirmi che quello che è stato vale di più di una vita umana?
-Certo il mio orgoglio e la mia reputazione valgono più della mia vita.
-Non fare questo tipo di discorsi. Non mi impressioni, e non devi farlo. Sembri soltanto il te stesso di quegli anni.
Tasto dolente, molto dolente.
Shu, per la rabbia, si mette persino a sedere sul letto, e fissa male il vuoto come fisserebbe Kuro nel ripetergli quelle parole piene di ostilità e disprezzo.
Non ha mai imparato a censurarsi, Shu, specialmente in questo genere di sentimenti così forti e totalizzanti. E se da una parte Kuro lo apprezza, perché dal suo punto di vista la sincerità è una dote incredibile, dall’altro paga lo scotto in una testardaggine che non si può vincere in nessun modo.
-Non abbiamo mai parlato di questa cosa e non intendo farlo proprio la sera prima del mio matrimonio. Non voglio permettergli di rovinare tutto!
-L’unico che sta rovinando tutto sei tu, Shu. Come puoi essere felice per la morte di una persona?
-Non ho mai detto questo.
-E cosa avresti detto, allora?
-Che è la punizione che si merita.
Non avrebbe mai detto parole del genere, in un contesto normale. Forse l’avrebbe pensato, perché il subconscio è animale e l’istinto è una terribile bestia, ma non avrebbe permesso alla propria razionalità di essere tanto meschina. Tuttavia, lo ha detto, e ora non può che assumersene le conseguenze.
Prima tra tutte, il gelo nel tono di lui.
-Questo comportamento è da vigliacchi, Shu. E quello che hai detto è davvero terribile.
Cerca ancora di ribellarsi al senso di colpa e al senso di fastidio, Shu – dà la colpa all’alcool, intimamente, e forse un po’ ha anche ragione. Si dimena sul letto e muove le gambe a caso.
-Sembra che io sia il colpevole, qui, quando sono sempre stato soltanto una vittima!
Kuro non si lascia impressionare, come mai ha fatto durante i loro litigi: sarebbe durato soltanto un mese con Shu, altrimenti, perché dimostrare quel genere di debolezza equivale alla distruzione di qualsiasi rispetto e qualsiasi uguaglianza futuri.
-Quello che è stato ha cambiato entrambi in modo radicale. Ti devo forse ricordare cos’eri diventato?
Il burattinaio.
Ciò che è stato distrutto perché potesse nascere qualcosa di migliore – ciò che aveva monopolizzato la sua mente come un’ossessione totalizzante, e che qualcuno ha dovuto spezzare per permettergli, per quanto dolorosamente, di riuscire a raccogliere i cocci della propria esistenza un’altra volta.
Una possibilità sprecata nell’errore.
A Shu si attorciglia la gola al ricordo, e per questo Kuro va avanti da solo.
-Sei crudele, Shu. Non una vittima. E io sto per sposare qualcuno incapace di provare qualcosa di fronte a una tragedia del genere.
Non riesce a replicare: si morde persino le labbra nello sforzo, ma nessuna parola gli esce dalla bocca e qualcosa nel petto è diventato così pesante che quasi gli manca il respiro. Non avrebbe mai immaginato di poter sentire così tanto male, ed era tutta colpa sua.
Poi, Kuro scocca l’attacco finale.
-Sarò… tormentato da questo pensiero per tutta la notte. Non so come starò domani, ma certo non bene.
Qui qualcosa si apre, definitivamente. Si apre e si distrugge.
Il proprio dolore è una cosa, la consapevolezza netta e certa del dolore altrui è un’altra. E la tragedia sta proprio nell’importanza data all’una e all’altra cosa.
Kuro sembra sempre più sofferente. Vorrebbe così tanto abbracciarlo stretto.
-Tutto questo, Shu, mi pesa davvero.
Non riesce neanche a rispondergli quando, per ultimo, gli manda un messaggio velato di dolcezza.
-Ti auguro la buona notte.
Poi il silenzio, e il telefono che gli manda il segnale di fine conversazione.
 
 
Il suo cellulare è finito a terra già da qualche minuto, e lui ha dovuto trattenere diversi singhiozzi in gola per non scoppiare a piangere la notte prima del proprio matrimonio.
Sente un sentimento di odio generalizzato contro il mondo e chi ne fa parte, che non vuole frenare o censurare in alcun modo. Si è rannicchiato in un angolo del letto, ancora steso di fianco, con le gambe piegate e le ginocchia alzate quasi fino al petto. Tende i muscoli delle spalle, di tanto in tanto, e strofina ripetutamente il viso contro il cuscino morbido, per avere quantomeno un poco di sensazione tattile di sofficità.
Sono quasi le due di notte e ancora non riesce a prendere sonno; ora respira tranquillamente, dopo dieci minuti passati a cercare di regolarizzare il proprio fiato.
Si rifiuta di piangere, però, privandosi dell’unica effettiva ed efficiente valvola di sfogo che gli servirebbe davvero.
Fa l’errore fatale di decidere di accendere la luce sul comodino, per mettersi le ciabatte e andare in bagno a cercare qualcosa di simile a un sonnifero. Non si è ricordato, però, di aver lasciato aperte le ante del proprio armadio, entro cui spicca il prodotto di due mesi di duro lavoro.
Il suo abito nuziale, di un virginale bianco come vuole la tradizione – ma bianco non troppo bianco, più bianco panna, perché altrimenti acceca e basta e non è quello di non farsi vedere il suo scopo ultimo. Ha ricamato personalmente tutti i particolari, tra giacca, pantaloni, camicia e il mantello che andrà a sostituire la mancanza di velo sul suo volto.
Lo ha potuto mettere lì poiché Kuro non è più nei paraggi e non può ammirarlo prima del tempo, rovinando l’effetto sorpresa e tutto ciò che di sentimentale e romantico ci è collegato. Così come lui non ha visto il vestito del futuro consorte, altrettanto fatto a mano e altrettanto tenuto nascosto dal suo sarto.
Lo hanno definito un altro pegno d’amore reciproco, nel momento della proposta di Kuro.
Reagisce con un moto di puro rifiuto, spegnendo immediatamente la luce e rifugiandosi sotto le coperte, caso mai siano in grado di difenderlo da tutto quello che lo circonda. Gnaula e fa diversi versi, maledicendo ancora una volta metà del mondo e oltre, specialmente la perfezione dell’abito che è così bello e così irresistibile da avergli fatto aumentare il senso di colpa.
Rotola e si avvolge tra le coperte, in questo strano moto di allontanamento figurato e fisico. Si ferma sul pelo appena prima del vuoto, oltre il bordo del materasso, e lì pensa.
Pensa a Kuro, più che altro, e a quelle poche ore che passerà prima di essere costretto ad alzarsi e a prepararsi per andare dove si svolgerà la cerimonia nuziale. Insonne, come lui, perché dopo aver litigato nessuno dei due normalmente riesce a dormire – mancanza di serenità, nessun modo di recuperare la tranquillità necessaria.
Non pensa a lui a quel modo in cui gli amanti stupidi si annullano, dimenticando se stessi per qualcosa che loro definiscono amore ma che in realtà dell’amore non ha compreso nulla. Perché l’amore è un insieme, non un solo io che viene esaltato da un altro io.
Pensa al significato delle sue parole e alla gentilezza intrinseca, pensa all’affetto che Kuro prova per lui e a tutte quelle belle cose che può comprendere solo in un secondo momento, quando i suoi sentimenti sono più calmi e raffreddati dalla lucidità. Kuro non dice mai niente che non abbia una finalità precisa: non c’è cattiveria né malizia, soltanto un’inquietudine sincera.
E tutta, tutta rivolta a lui.
Shu non è così insensibile da non capire cosa ha tentato di dirgli, poco prima. E potrebbe condividere anche il messaggio di base, da un certo punto di vista, se il destinatario di tale umano progettare non fosse proprio Eichi Tenshouin.
Questo è il problema.
Non riesce a far finta che la sua sola esistenza non gli procura un certo fastidio – più per associazione mentale automatica che per altro, in realtà, perché certi traumi è riuscito a elaborarli nel tempo e quello che gli è rimasto addosso è un’irritazione sì cocente e l’orgoglio ferito, ma meno della metà del dolore che prima provava. È semplicemente passato tanto tempo, molte cose sono cambiate e lui non è più lo stesso, così come non è più lo stesso il modo con cui prende le cose.
Recepisce sempre il dolore altrui, e sa meglio come reagirvi. È persino riuscito a riallacciare i rapporti con Nito e a chiedergli sinceramente scusa: perché prova così tanto disprezzo per qualcosa che non c’è più, nonostante non sia molto peggiore di quello che lui stesso ha commesso?
La sconfitta brucia, il ricordo di un dolore reale anche.
Ma nella morte non c’è la minima possibilità di cambiamento o di riscatto.
Allora Shu si alza, liberandosi dalle lenzuola e dalle coperte in cui si è arrotolato – cade anche a terra dolorosamente nel farlo, perché non ha molto calcolato le distanze e la propria forza, ma per fortuna l’altezza esigua del letto gli impedisce di farsi davvero male.
Accende di nuovo la luce e si avvicina al proprio abito.
Bello, bellissimo. Ricamato di colore oro, bottoni neri e un paio di spille che sembrano ricoperte di smalto; camicia, ovviamente, il cui collo alto è legato con un fiocco discreto per quanto presente.
Vi passa una mano sopra, per sentire la consistenza del tessuto con cui si è quasi distrutto le delicate dita.
È reale, è tutto così tanto reale: il suo amore per Kuro, la realtà che li unirà presto, la risoluzione di essere un uomo migliore per affiancare suo marito per tutto il futuro che verrà.
Allora decide che è proprio il caso di sopportare l’abbandono di tutto quel peso chiamato risentimento.
   
 
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