Videogiochi > Ensemble Stars
Segui la storia  |       
Autore: Rota    28/11/2016    0 recensioni
Esistono persone non pazienti per natura, che hanno la necessità fisiologica di far quadrare tutto secondo aspettative o piani, sostenendo un eventuale e personale diritto alla perfezione solo in merito al duro lavoro svolto e alla presunta ricompensa che il fato dovrebbe elargire loro. Persone che poco tollerano che qualcosa a questo mondo interferisca con la simmetria di karma e destino, o che sfasi i piani studiati ad arte e su misura per un’esigenza tutt’altro che generosa e tranquilla.
Insomma, persone che troverebbero alquanto fastidioso un viso non brillante di contentezza al proprio addio al nubilato – e che hanno persino la presunzione di considerarlo quasi un affronto personale, giacché non riescono a concepire un motivo valido per tale atto di pura ribellione all’equilibrio del mondo.
D’altronde, dopo una settimana pazza a sistemare tutto quello che si doveva sistemare, tra lavoro di routine in sartoria e la preparazione di cerimonia, pranzo, ballo e luna di miele, Shu Itsuki aveva pensato di passare una bella serata in compagnia degli amici di sempre come non si faceva da parecchio tempo. Non chiedeva troppo dalla vita, almeno dal suo punto di vista.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eichi Tenshouin, Kuro Kiryu, Shu Itsuki, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
Tetora Nagumo comincia ad avere seri sospetti riguardo il fine ultimo del favore che Shu gli ha chiesto così calorosamente al telefono, disperato, poche ore prima, quando con la propria vettura – una limousine lunga e nerissima affittata per l’occasione speciale – entra nel parcheggio di un ospedale piuttosto famoso e rinomato.
Deve ammettere che Shu è sempre stato fin troppo particolare ai suoi occhi, per usare un termine simpatico, ma tutto si poteva aspettare tranne che proprio quello. Anche perché, a quanto gli risulta, nessuno degli invitati al matrimonio era stato di recente ricoverato in quei lidi.
Quando apre lo sportello della vettura, con fare da vero galantuomo, non si risparmia quella sola domanda impertinente.
-Non faremo tardi per la cerimonia, Itsuki- san?
Shu esce dalla limousine con una grazia principesca, quasi che il mondo, quel giorno, stia esaltando unicamente la sua persona, e lui ne sia fin troppo consapevole. Quindi, come al solito, pronuncia un’ovvietà alla stregua della più grande verità assoluta.
-Nessuno si sposa finché io non sarò presente.
E poi lo guarda male, perché neppure il testimone del suo futuro sposo può permettersi di dubitare così di lui – e men che mai esplicitare ad alta voce i propri dubbi riguardo la mancanza di perfezione nel suo programma.
-Comunque, ho calcolato i tempi al millisecondo. Non faremo tardi, a meno che tu non intenda rivolgermi altre domande sciocche.
Tetora abbassa il capo d’istinto, per chiedere scusa: anche volendo, non intende proprio indispettire di più lo sposo, senza contare che conosce bene le conseguenze della sua irritazione.
Così, vestiti e preparati già per la cerimonia, uno in abito bianco panna e l’altro di un nero senza anima, si incamminano assieme verso l’ingresso della grande struttura; il mantello, staccabile dal resto del completo, rimane in una borsa di plastica nella vettura, in modo che non si possa sporcare neanche un poco.
Eppure, per quanto il piano malvagio di Shu sia perfetto, non c’è persona che non si giri al suo passaggio, o che non fermi la carrozzina per fissarlo mentre marcia sicuro verso la propria meta. Lui ne è inconsapevole, più che altro per la consueta e ferma indifferenza che elargisce verso il popolino qualunque, ma Tetora vede qualsiasi cosa sfugga a lui, compresa la vecchina che sorride compiaciuta per diversi secondi.
Non osa dire nulla, neppure di fronte all’espressione sbalordita della signorina del centro informazioni, alla quale Shu chiede dove possa trovare Eichi Tenshouin. È orario di visita, quindi non c’è bisogno di un preciso permesso per incontrare i pazienti.
Sfortuna vuole che il reparto che ospita quel malato che a loro tanto interessa sia ben lontano dall’ingresso, e che quindi la coppia debba camminare per lunghi corridoi e prendere ben due ascensori prima di giungere a destinazione – nessuno fa domande, almeno, perché sono tutti troppo impegnati a guardare la piuma selvaggia e larghissima appesa al cappello a cilindro sopra il capo di Shu, e ne rimangono così incantati che tutto il resto del mondo scompare.
Arrivano con dieci minuti di ritardo sulla tabella di marcia: questo indispettisce Shu di molto.
Stanza 56/71B, lato destro. Quando i due sono sulla porta, esce un’infermiera in camice bianchissimo, che non alza neppure lo sguardo su di loro ma diligente spinge il carrello con tutte le siringhe, le fiale e i flaconi vari da disperdere per i pazienti del piano, come vuole la normale routine di quell’ora. Così, la porta rimane aperta, e loro possono ammirare ciò che è dentro la stanza ancora prima di entrarci davvero.
Un unico letto non troppo lontano dalla finestra ampia e aperta, circondato da comodino e un palo dove appendere flebo e altre cose; una struttura complessa per regolare altezza e inclinazione delle varie parti, più una piccola sedia a rotelle appoggiata di lato, nera e semplice, per ogni necessità di moto improvviso.
Eichi è disteso tra le lenzuola, con il viso rivolto dall’altra parte rispetto all’entrata della stanza. Non registra il rumore dei loro passi – o meglio, non vi reagisce, pensando invece che siano quelli dell’infermiera che ha dimenticato qualcosa. Quando però si accorge che le persone sono due, e che sono ai piedi del suo letto, impiega qualche secondo a realizzare di chi si tratti: è così meravigliato che strabuzza gli occhi, incredulo.
Ma parla solo quando è sicuro delle proprie parole, per quanto la sua voce sia evidentemente affaticata.
-Questa visita particolare denota che per me è arrivato il giorno del giudizio?
Lui sorride, non si sa bene per quale ragione ma sorride, molto cordiale. Shu no, affatto, e Tetora è più preoccupato per questo che per tutto il resto della situazione: ha cominciato a sentire l’ansia nel momento peggiore possibile.
Shu si schiarisce la propria, di voce, e con il suo solito fare drammatico pronuncia chiaro il nome del proprio interlocutore.
-Eichi Tenshouin.
Interlocutore che non si risparmia dal rispondergli, scimmiottandone serietà e modi, nonché procedure.
-Shu Itsuki.
Shu non viene neanche toccato dalla sua ironia, o non si lascia toccare apposta da quella sottile provocazione di gentilezza falsa, e continua in uno scambio di battute quasi surreale, dove la sua strada viene battuta con insistenza, senza badare ad altro.
Gli è difficile simulare cortesia umana, anche se finge piuttosto bene.
-Ho saputo del tuo stato di salute dal mio dolce amico Wataru.
-Oh, non dovevi disturbarti a farmi visita, Itsuki-kun. Specialmente conciato in questo modo.
-Sono venuto ad annunciarti che tu oggi hai un impegno. Da questo momento fino a sera.
-Ah, non mi risultava, sempre ammesso che giacere inerme su questo letto non sia un impegno effettivo.
-Verrai al matrimonio mio e di Kiryuu.
Un attimo, e per la terza volta nel giro di pochissimi minuti la sorpresa si dipinge sul volto di Eichi. Quando lo ha visto entrare, quando lo ha sentito parlare senza alcuna minaccia di morte esplicita, e ora questo.
Addirittura.
Gli scappa un verso di pura gioia, sotto quelle guance rosse dalla contentezza.
-Oh, è così?
Shu è trionfante, anche se non capisce che Eichi non ha propriamente accettato di assecondarlo per le sue grandi dote oratorie o per la convinzione con cui ha esplicitato per l’ennesima volta la poca sanità mentale di cui è dotato.
Più che altro, è per quella naturale propensione a trovare troppo soffocanti gli spazi chiusi, nonché nauseabondo l’odore del disinfettante – e quel posto ne è intriso, per ovvie ragioni.
Eichi non potrebbe essere più raggiante di così. Sono anni che progetta una fuga mirabolante: aveva bisogno soltanto di due pazzi al seguito.
-Beh, allora accetto molto volentieri l’invito, Itsuki-kun.
Qualcosa afferra, però, Shu per il braccio, e trascina l’uomo in un angolo dove spera di non essere sentito, nei sussurri che pronuncia.
Shu guarda malissimo Tetora, di più per quello che sta tentando di fare al proprio vestito che per quel commento assolutamente inutile – e sì, ignora molto tranquillamente la tensione dipinta sul suo volto, come se non esistesse.
-Itsuki-san, non credo che sia una buona idea.
-Non credo di averti interpellato.
Tetora ingoia diverse parole inopportune: ha imparato che con Shu la forma vale quasi più della sostanza, e quindi quando formula un pensiero coerente, è così educato e pomposo da fare una certa impressione.
Il succo del discorso comunque non cambia.
-Mi permetto l’ardire di farti notare che non è una buona idea.
E ancora prima che Shu possa mostrare apprezzamenti per l’eleganza delle sue parole, sullo sfondo Eichi si strappa la farfalla della flebo con davvero poca grazia e lascia penzolare il tubo ormai inutile dal piccolo braccio di metallo dove il sacchetto pieno di liquido è appeso.
Tetora lo guarda perplesso, e lui gli sorride cordialissimo.
-Ho un po’ di difficoltà nell’alzarmi. Potreste aiutarmi, per favore?
Shu non si sposta, aspetta tranquillo che sia l’altro a rispondere alla richiesta fatta.
Non può certo rovinarsi il vestito. O permettere che si stropicci più di quello che già è.
Tetora capisce cosa deve fare anche senza che glielo si dica a parole – ed esegue per puro istinto, perché tra la propria morale e la paura di una qualche ritorsione da parte di Shu è ben più forte questa. Quando si avvicina al letto, Eichi ha già scansato le coperte ed è pronto a salire sulla carrozzina.
-Quella roba non ti serve?
-Le infermiere credono che facendomi dormire il dolore passi da solo. Ho riposato abbastanza però per riuscire a stare sveglio almeno tre giorni di seguito, quindi non c’è problema.
Con un po’ di peripezie, Eichi riesce a raggiungere il sellino della sedia a rotelle, e a prendere una copertina spessa per coprirsi le gambe lasciate nude dal pigiama corto.
-Spero ci sia anche una grande torta al tuo banchetto.
-Cinque piani di torta, Tenshouin.
-Magnifico.
Sempre più raggiante. Non sembra neanche che debba morire da un momento all’altro. Chiede di essere diretto all’armadietto dei suoi effetti personali e, una volta raggiunto, ravana nella propria valigia fino a che non trova una bustina contenente una serie di piccole chip card dall’aspetto molto truffaldino. Poi è davvero pronto.
Shu non comprende come una persona, in una condizione normale, richiederebbe quantomeno una spiegazione, una motivazione per acconsentire a tutto quello, e dovrebbe almeno insospettirsi della totale mancanza di resistenza. L’unico suo pensiero è il ritardo, in questo momento, e il fatto che ha lasciato il telefono cellulare in macchina e non può tenersi in contatto con Mika circa gli sviluppi della preparazione materiale della cerimonia. Quindi, è ovvio che non pensi a dettagli insignificanti come la volontà di Eichi.
Ma Tetora ha ancora qualche dubbio morale, proprio mentre si accinge a spingere la carrozzina con il loro rapito.
-Itsuki-san, io continuo a credere che non sia una buona idea.
-Nagumo, stai ostacolando l’operazione.
Shu vorrebbe davvero uscire da quella stanza – magari prima che qualcuno arrivi e chieda cosa stia succedendo, perché il signor Tenshouin non dovrebbe lasciare il proprio letto a pochi giorni dall’operazione – e dirigersi verso la macchina parcheggiata, per questo motivo lo guarda male come suo solito. Forse vagamente scocciato.
Tetora però, prima di consegnarsi al lato malavitoso di sé, vorrebbe almeno sapere se il proprio accompagnatore è semplicemente pazzo, come pensa che sia, oppure c’è un barlume di razionale consapevolezza.
-Questa persona non dovrebbe lasciare l’ospedale. Ne sei consapevole?
Con il manubrio tra le mani, scuote tutta la carrozzina, perché sia evidente di cosa stia in effetti parlando, e di conseguenza anche Eichi, che giusto giusto gli fa notare di non gradire molto il trattamento.
Ma Shu è irremovibile, e lo mette in chiaro una volta per tutte.
-Tenshouin mi occorre, è assolutamente fondamentale che ci sia alla cerimonia.
-Per quale assurdo motivo?
-È la mia prova d’amore.
Tetora decide di guardarlo sconvolto, e incredulo. Gli crede, è questa la sua condanna: con il tempo, e con gli anni, Shu è riuscito a raggiungere quello stadio naturale delle cose in cui difficilmente dice ciò che non pensa, anche se molto spesso lo fa in modo contorto e molto fantasioso, più verso la metafora che una vera e propria comunicazione diretta.
Eichi tenta di spezzare il suo gelo con un’osservazione fuori luogo.
-Non credo di capire cosa stia accadendo, ma sono d’accordo.
Tetora scuote la testa, e questa volta si rivolge soltanto a Eichi – forse, pensa di trovare in lui un barlume di sanità mentale, perché teme davvero di essere in minoranza, data la situazione.
-Tenshouin-san, non ci si metta anche lei.
-Le fughe dall’ospedale mi sono sempre piaciute un sacco.
-Perché, ne ha già fatta una?
-Un paio, ma molto tempo fa. Poi Keito è diventato più restrittivo nel sorvegliarmi.
-E ora lui dove si trova?
-Ah, penso stia partecipando al tuo matrimonio, come ospite di Kiryuu-kun.
L’uomo si era anche molto scusato dell’impossibilità di andare a trovarlo anche quella mattina, come ogni mattina da due settimane e mezzo a quella parte, ma Eichi gli ha fatto notare come ci si sposi una volta sola nella vita, si spera, e quindi perdere una festa del genere del proprio amico non gli sembrava proprio il caso, anzi.
Ma il cerchio si chiude lì. Con Tetora abbastanza sconfitto, che china il capo di fronte al sorriso trionfante di Shu.
Lo sposo, ancora vestito di un bianco panna incredibilmente pulito, commenta qualcosa a riguardo i dodici minuti di ritardo che stanno accumulando, sostenuto dal malato di turno che ritiene che sia una cosa inammissibile e qualcuno debba porvi rimedio il più presto possibile.
Ci sono i pazzi per vocazione, e i pazzi consapevoli.
Tetora non appartiene a nessuna di queste due categorie, però.
-Itsuki-san. Tu sei assolutamente sicuro che questo sia estremamente necessario? Perché penso che stiamo per violare la legge.
È serio, molto, e risulta incredibile dal momento che si immerge in quella follia non ancora compiuta. Persino Eichi sembra un attimo tentennare, per poi pensare che in realtà, a conti fatti, lui è solo la vittima, quindi può anche non sentirsi troppo in colpa.
Shu si avvicina al proprio compagno di avventura, abbastanza vicino perché lo guardi negli occhi senza problemi.
È bellissimo: ha passato mezz’ora a truccarsi, e altrettanto a pettinarsi; ha un profumo persistente e sicuro, ma non invasivo. Di certo, ha fatto di tutto per essere il meglio del meglio che poteva pretendere da sé, e notarlo con questa dovizia di particolari solo in questo momento lo mette ancora più a disagio.
Ma Shu rivolge a lui quella sicurezza e quella passione che tanto hanno fatto innamorare il suo ex. E che tanto è il motivo per cui Kuro è, appunto, ex.
-Ti ho chiamato perché mi fido del giudizio di Kuro. E so che lui si fida di uomini capaci di credere nel cuore della gente. Quindi sono anche sicuro che tu possa credere alle mie parole.
Per un attimo dimenticano la fretta, per un attimo dimenticano la buona creanza. Tetora ascolta e assorbe le sue parole, le fa proprie, ne è ispirato.
Ne ricerca conferma nella causa giusta, soltanto perché così può conservare nel cuore la più illustre delle verità, e Shu non si risparmia dal donargliela.
-Kuro-san ne sarà felice?
-Sì, io credo di sì.
Eichi sorride, batte le mani e li riporta alla realtà: sarebbe il caso di muoversi. Davvero.
 
 
È evidente come Eichi abbia passato le sue lunghe giornate di noia a fantasticare su una possibile fuga dall’ospedale, altrimenti non saprebbe elargire tutti i particolari necessari perché non vengano fermati appena fuori dalla sua stanza.
Chiede, come prima cosa, a Shu i dettagli del suo piano, e appena quello inizia a parlare lui lo zittisce e gli propone qualcosa di più concreto che non un “ti prendo e ti porto fuori”. C’è sorveglianza di ogni tipo, per quanto il perimetro non sia visionato da telecamere, e non è proprio pensabile lasciare quel luogo con una carrozzina senza che qualcuno chieda ragione, motivo, identità del malato e una lunga serie di dettagli che fermerebbe i due loschi figuri assieme al malato sulla strada per la libertà.
Non si fanno queste cose, signor Shu Itsuki-kun. Si dovrebbe pensare cinque secondi in più prima di pretendere di rapire qualcuno. Specialmente con un abito del genere addosso.
Per qualche secondo, è ben chiaro come Shu stia soltanto reprimendo la tentazione di prenderlo di peso e buttarlo fuori dalla finestra: si era dimenticato di quanto poco lo sopportasse, e non tanto per le sue parole – allo scherno si è abituato negli anni, non si interessa poi più tanto del parere delle persone che lui ritiene inferiori – quanto per la sua presenza fisica, per la sua essenza, per la sua esistenza stessa. Conta fino a cinque e si ricorda che sta morendo, e che quindi magari è il caso che gli faccia far qualcosa che gli piace, in punto di morte.
Si sente così tanto magnanimo che si commuove da solo, quasi.
Docile, un po’ troppo, gli permette di andare avanti con l’esposizione del proprio piano, al ché Eichi sbrilluccica nello sorridere e definisce il punto focale della strategia da mettere in atto.
Non potendo uscire da quel posto con la limuosine con cui sono entrati i due uomini, lo dovranno fare con un altro mezzo, preso in prestito per l’occorrenza al personale ospedaliero.
Vale a dire, insomma, un’ambulanza.
Prima ancora che qualcuno gli chieda chi e come, Eichi ha già designato Tetora come l’esecutore materiale ultimo della losca evasione, e gli ha chiesto di prendere il cruciverba e la penna che sono sul suo comodino, mai aperti in anni e anni di frequentazione dell’ospedale, così da potergli disegnare accuratamente la mappa del pronto soccorso.
Ha percorso quelle stanze e quei corridoio una quantità di volte innominabile, e soltanto la metà di quelle era privo di sensi, ben saldo su un lettino bianco: per loro fortuna, è dotato di una memoria fotografica piuttosto buona, nonché di un buon senso degli spazi e della profondità.
Così spiega dove è l’ufficio del custode, dove si passa per fare il normale check-in, dove non deve farsi assolutamente vedere perché altrimenti lo beccano e lo fermano lì sul posto. E magari sarebbe il caso che si cambi d’abito perché è davvero troppo vistoso, in fondo a destra c’è lo spogliatoio degli infermieri, questa non è l’ora del cambio quindi non dovrebbe esserci nessuno.
Infine, il parcheggio delle ambulanze, bello ampio.
Quando Eichi e Shu alzano i loro sguardi assorti dal disegno, notano una certa espressione di terrore sul viso del terzo uomo, che sembra aver preso piena consapevolezza di ciò che si accinge a compiere.
E il malato ha un modo tutto suo per fargli coraggio, appoggiandogli delicatamente una mano sulla spalla.
-Stai tranquillo. Nessuno ha mai rubato un’ambulanza, non se lo aspettano.
Aggiunge subito che ha cinque minuti per abbandonare quel piano, prima che l’infermiera lo possa vedere.
Così, mentre Tetora si accinge a eseguire il perfetto lavoro di un vero eroe coraggioso e senza paura, Eichi rivela a Shu il suo ruolo fondamentale da quel momento in avanti.
Spingere la carrozzina e farsi vedere da tutti.
 
 
La ruota scricchiola un poco, sotto il suo peso – c’è quella leggera pendenza verso sinistra che altera il procedere in linea retta, e obbliga Shu a uno sforzo maggiore del previsto.
-Continuo ad avere dubbi circa l’efficacia di questo piano.
È la terza volta che lo dice, perché non pare contento di averlo già fatto. Eichi, da canto suo, saluta proprio quella vecchietta sbigottita seduta sulla panchina assieme al marito tutto fasciato e ingessato, che sta guardando il suo accompagnatore come se stesse vedendo, davvero, qualcuno pronto ad andare all’altare. Rossa d’emozione uguale.
E l’uomo è incredibilmente tranquillo.
-Shu Itsuki-kun, ma non vedi? Sta già funzionando.
Si rimette composto, con la schiena ben distesa contro lo schienale della carrozzina; porta leggermente la testa indietro, in modo da poterlo guardare in viso mentre gli rivolge il più tenero e audace dei propri sorrisi.
-Tutti notano te, e ne sono così intenti che ignorano me.
L’acciottolato bianco del sentiero del piccolo giardino interno dell’ospedale rallenta ancora di un poco l’andatura della carrozzella e dell’uomo che la spinge, che se non fosse così tanto perplesso dall’effettiva efficacia di quell’assurda strategia non si degnerebbe di guardarsi attorno, alla ricerca di conferma nell’attenzione e negli sguardi della gente.
Fiori ed erba ovunque, assieme agli ospiti, anziani o meno, ricoverati in quelle mura bianche.
-Non è logico.
-Lo so, Itsuki-kun. Non è logico affatto. Ma finché funziona, noi continueremo così.
Arrivano a quella che sembra una sorta di spiazzo ampio di verde variopinto e una larga fontana rotonda con una bella statua in mezzo, di putti e satiri che giocano a spruzzarsi addosso. Eichi sospira e inala felicemente l’aria fresca piena di umidità di quella piccola zona, gonfiando il petto quasi non gli sia in effetti permesso di uscire dalla propria stanza neanche sotto minaccia di morte. A conti fatti, rientra a tutti gli effetti sotto i parametri che Shu possiede di “malato molto terminale”. Ma lui, Shu Itsuki, non rinuncia alla propria espressione scocciata, neppure di fronte al sorriso di lui così tanto tranquillo.
Lo indispone tantissimo: il fatto che tutto stia andando come Tenshouin ha previsto e predetto. Persino un paio di infermiere, tunica bianca e scarpe comode ai piedi, non fanno altro che salutare il loro paziente per poi continuare a spingere le proprie carrozzelle, chiacchierando amabilmente con vecchietti mezzi addormentati che proprio non sembrano avere né la forza né lo spirito di formulare una frase di senso compiuto.
Shu pensa al ritardo, pensa alle proprie scarpe che si stanno sporcando, pensa ai guanti candidi macchiati del nero del manubrio di quello stupido aggeggio, pensa un po’ troppo e non si accorge della rabbia con cui sta camminando – lo deve frenare amabilmente Eichi, preoccupato della vicinanza eccessiva del bordo di marmo e dell’acqua cristallina.
-Non andare troppo veloce, però. Qualcuno potrebbe chiedersi come mai hai così fretta di spingere la carrozzina di un povero malato. Oppure se hai intenzione di buttarlo direttamente nella fontana.
Shu vorrebbe rispondergli che è molto tentato, ma sa che farebbe il suo gioco. Quindi, pieno di nobiltà e pietà per quell’essere che non potrà più dispensare cattiverie al prossimo in un futuro non troppo lontano, calma il proprio spirito e procede in avanti, finché non è Eichi stesso a fargli cambiare direzione, indicando un viottolo quasi deserto che si allunga a destra.
-Di qui.
Una farfalla, sbucata dal nulla, interrompe per mezzo secondo la passeggiata: la traiettoria del suo volo si avvicina troppo al volto di Shu, che sorpreso rallenta ancora di più e la segue finché non sparisce di nuovo in mezzo ai cespugli.
Vede fiori, di quel colore dalla stessa gamma di gradazione del bouquet che dovrebbe tirare entro poche ore. E non pensa più al tempo, per qualche istante, non pensa all’ansia che prova per quel durante, perché il significato ultimo che viene accompagnato da quel gesto lo riempie di tenerezza. Per lo sposo e per il suo amore.
Rosa, perché Kuro Kiryuu è sempre stato dolce.
Eichi non interrompe la sua contemplazione; riprende a parlare solo quando sente la medesima energia di prima nel venire spinto. 
-Sono molto sorpreso, comunque. Non mi aspettavo un simile risvolto.
Con animo più tranquillo, Shu è in grado di rispondergli – e di sfoderare, anche in quell’occasione, quella punta di rivalità e di acredine che per lui ha provato per tantissimo tempo. Non c’è pietà che tenga, in quelle occasioni.
-Lo straordinario fa parte della vita degli uomini superiori, Tenshouin.
Eichi sogghigna un po’, con la mano portata al proprio viso a coprire un pezzo di bocca. Riconosce la matrice di una tale boria: quel tipo di genio è stato quel qualcosa che ha invidiato tantissimo, e la cui gelosia lo ha fatto muovere a determinate azioni.
-Mi sembra di parlare con Wataru.
Ma sono entrambi uomini adulti, ormai. Ciò che rimane del passato non è catalogabile come vago ricordo, o come sensazione sfuggevole. Rimane nella classificazione quadrata di un passato a cui ci si lega con più nostalgia che altro, e uno strano sentimento di compassione.
Eichi guarda avanti, anche quando la carrozzina supera un grosso sasso e la sua ruota sinistra si alza di qualche centimetro di troppo.
-È stato lui a dirti dove mi trovavo, vero?
-Non fa altro che parlare di te. Fa impressione vedere quanto sia preso dalla tua persona.
-Gli uomini superiori hanno un modo molto particolare di mostrare i loro sentimenti.
Shu è colpito da questa risposta, e la sincerità di sentimenti che ha raggiunto negli ultimi anni, ancora più di prima, gli impedisce di nasconderlo bene – specialmente quando Eichi si sporge ancora all’indietro, e guarda direttamente il suo viso.
Sembra proprio che quel dannato sorriso non gli si schiodi dalla faccia.
-Anche tu lo hai sempre avuto.
La sottile boria innata che accompagna quell’insinuazione di comprensione lo indispone oltremodo.
E non gli fa notare quanto, in molti atteggiamenti e modi di porsi, siano così simili; anche se forse, è semplice istinto di sopravvivenza di una persona già abbastanza traumatizzata dalla vita.
-Non credo che tu mi conosca abbastanza bene da permetterti di dirlo.
-Hai ragione, ho potuto solo intuire chi fossi, in quei pochi anni che siamo stati vicini.
Il suo sguardo si fa malinconico, a toccare dolcemente quel suo passato, tralasciando giudizi inutili e recriminazioni fuori luogo. Nessuno di loro ha ancora dimenticato, pur nella vita che scorre inesorabile.
Il suo collo comincia a dolergli, tra le altre cose, e lui è costretto a tornare a guardare davanti a sé, prima di sospirare quasi affranto.
-Spero tu sia cambiato, rispetto a quello che eri.
Shu è ancora più stizzito – fa persino un verso strano prima di distanziarsi ideologicamente e moralmente dall’altro uomo.
-Non sono cambiato affatto. Rimango sempre io.
Eichi è contento, lo si può notare dalla spigliatezza gioiosa con cui incalza il suo interlocutore, e affabilmente lo provoca e un po’ lo schernisce.
-Dici? Eppure non sono ancora finito nella fontana.
-Se ci tieni così tanto, posso rimediare.
-Sei veramente uno spasso, Itsuki-kun. Tu e la tua vivacità così esuberante!
Shu si trattiene dal rispondere, questa volta per coscienza. Non gli pare così brutto provare pietà per lui, e avvalersi di questa scusa per essere un poco più buono d’animo nei confronti dell’umanità, anche se l’istinto di farlo rotolare per terra è così forte che a stento di frena.
Si concentra su quello che accadrà: la cerimonia, il bacio con Kuro, il suo mantello meraviglioso, il ritardo terribile che sta avendo e di cui non ha fatto rapporto a Mika, Mika che di sicuro starà impazzendo d’ansia e-
Si ferma. Prima di impazzire e mettere le mani al collo di Eichi, che intanto alza il braccio destro, tranquillissimo.
-Di qui, ora.
L’apparizione di un vecchio – che si dev’essere perso sicuramente, per quanto sbigottito li guarda, metro dopo metro. Per fortuna, poi un insetto lo distrae, e loro possono proseguire.
L’ospedale ora è piuttosto lontano, anche se incombe intimidatorio per tutta la sua altezza, dal suolo fino quasi al cielo. Da quella distanza, sembra quasi minaccioso, e Shu prova una sensazione di disagio immenso nel scorgerlo con la coda dell’occhio, quando prosegue di lato e gli mostra il fianco; ma mai un senso di colpa per star rapendo Eichi, assolutamente, perché quello rientra ancora nel suo tentativo di riequilibrare il mondo.
Anche se Eichi insiste a voler comunicare con lui: pare proprio che non resista ad avere rumore di voce umana attorno.
-Già il fatto che non usi più la tua bambola per parlare denota un cambiamento. Eri veramente inquietante, con quella cosa in mano. E a tratti anche patetico.
Shu scatta, senza pensare che magari quella è una provocazione fatta apposta. Magari. E forse anche rispondergli di cuore, senza pensare troppo, è proprio ciò che Eichi desidera.
Ha ancora quel desiderio irrisolto di analizzare l’animo umano.
-Non ti permetto di parlare così di Mademoiselle.
-La ritieni ancora una persona? Un essere vivente dotato di coscienza propria?
-Certi oggetti hanno significati talmente grandi da eguagliare la dignità umana. Ma quelli come te, questo non lo possono capire.
S’è messo persino in posa, con il mento in alto, per pronunciare quelle parole. Il silenzio seguente che ottiene lo denotano come vincitore dello scambio di sentenze, almeno per quanto lo riguarda, e il suo petto si gonfia come quello di un gallo vincitore in un recinto di sole galline.
Si sente bello, si sente perfetto, si sente incredibile.
Il sorriso di Eichi un po’ lo smonta, perché è così sinceramente gentile che rende molto bene l’inutilità di certi suoi sentimenti.
-Buona risposta, Itsuki-kun. Non abbassare mai la testa. E non rinnegare il tuo passato.
Non lo farebbe mai, per quanto abbia capito quanto e in che misura ci siano stati degli errori, nella sua condotta e in certe sue azioni. Non gli risponde, però, e continua a spingere la carrozzina in avanti, pieno di pensieri strani circa un senso inaspettato di gratitudine e una gioia che non sa bene definire.
Non c’è proprio nessuno, in quella zona. Sono finite persino le aiuole verdi e colorate, che hanno lasciato spazio al muretto di recinzione e la grata alta di ferro, con quelle punte acuminate che davvero, sembrano un po’ quelle di un carcere per Shu. E vorrebbe domandarsi il perché, se non fosse quantomeno inopportuno.
Eichi lo ferma nei pressi di un’entrata larga, che dà a un parcheggio secondario e quasi vuoto, sollevando veloce il proprio braccio.
-Oh, siamo arrivati.
-Qui non c’è nessuno.
-Nagumo-kun deve aver avuto un piccolo rallentamento. Stai tranquillo, è tutto nella norma.
La tensione nella voce di Shu ora è più che palpabile, e pare che Eichi la stia bellamente ignorando. A Shu non piace essere ignorato, né che si prenda sottogamba la sua preoccupazione. Per questo motivo, sottolinea una cosa importante, come se già prima non l’avesse fatto abbastanza – ma Eichi è pronto a rispondergli, non si lascia cogliere impreparato.
-Siamo in ritardo di ventitré minuti.
-Oh cielo, la cerimonia è già iniziata?
-Nessuno inizia niente finché non arrivo io.
-Beh. È logico. Sei la sposa.
-Lo sposo.
-Lo sposo vestito di bianco.
Eichi sorride, preparando una domanda impertinente a cui ha pensato nell’esatto momento in cui l’ha visto arrivare così tanto pomposo nella sua stanza.
-Hai scelto questo colore perché sei vergine, Itsuki-kun?
E data la reazione, esagerata e rossa per tutta l’estensione della pelle esposta del viso, Eichi ha già la sua risposta ancora prima che Shu gli strilli addosso con tutta la propria forza.
Lui non può capire il significato, il simbolo, la più alta delle prove di fedeltà, e pure un certo disinteresse per quella materia organica e fisica di cui se ne fa quasi poco, in realtà. Caste coccole serali a parte.
-Non sono affari tuoi, Tenshouin!
-Non alzare troppo la voce, potrebbero sentirti.
Non è vero, non potrebbe sentirli nessuno a quella distanza – forse qualcuno del pronto soccorso, al di là del parcheggio e oltre un’altra struttura satellite – ma il solo fatto che glielo abbia detto, censura d’istinto Shu, che piuttosto chiude le labbra e gli ringhia a quella maniera, come un gattino particolarmente isterico e impotente. Vorrebbe dargli torto, vorrebbe davvero continuare a blaterare cose insensate circa il proprio diritto di vestirsi bene e a modo, parlando per ore e ore della fatica spesa a orlare ogni singolo centimetro del bordo di quell’affare.
Per fortuna arriva una folata di vento a rubargli il cappello e quindi l’attenzione, altrimenti avrebbe fatto girare la carrozzina e sarebbe davvero partito per la fontana, senza l’intenzione di tornare in tempo. Uno spreco di minuti e pazienza, in effetti.
Quindi, giusto per non guardare più né lui né il suo maledettissimo sorriso, comincia a fissare l’orizzonte e a contare i secondi. A centouno smette perché rischia davvero di accrescere la voglia di porre fine alle pene del suo accompagnatore, proprio quando da una strada laterale arriva, lentamente, un’ambulanza cubica e di color bianchissimo.
-Oh, dovrebbe essere lui.
E in effetti si ferma a pochi metri da loro, proprio davanti all’apertura del parcheggio. Ancora prima che Shu ritorni a prendere il manubrio della carrozzella, una voce piuttosto disperata li raggiunge da dentro, oltre il finestrino abbassato.
-Salite dietro, presto!
Nagumo Tetora veste di una strana divisa color celeste, ha i capelli tutti spettinati sotto il casco bianco, e il cartellino con un nome falso che Eichi gli ha fornito all’inizio dell’operazione ancora appeso al petto. Oltre che un senso di vergogna altissimo e piuttosto palese dipinto sul volto.
Ha sicuramente una bella storia da raccontare, quando sarà il momento.
Lancia le chiavi del retro a Shu, che per fortuna ha una buona presa e dei buoni riflessi. Eichi riesce persino a fare un commento poco appropriato, prima di venir spinto via.
-Ti sta bene la divisa da infermiere, Nagumo-kun.
Non l’ha ovviamente visto bene, essendo in una posizione da cui sarebbe impossibile, ma lo dice con così tanta convinzione che Tetora ci crede pure, e per questo alza la voce.
-Presto!
 
 
Mika ha questa speranza che, guardando il display del proprio telefono cellulare ogni cinque secondi circa, questo magicamente gli annunci che lo sposo di cui sta attendendo notizia in effetti gli abbia mandato aggiornamenti circa la propria posizione e che quel ritardo di ben due minuti e tredici secondi sia tutto calcolato per creare suspance tra gli invitati e chi l’altare l’ha già raggiunto.
Quel silenzio gli fa pensare alle peggiori cose – e già lui non parte con previsioni proprio rosee, di solito, solo che lasciato a se stesso è in grado di toccare più punti di non ritorno nella paranoia che pare quasi ammirevole. Anche perché passare dalla psicosi di un messaggio ogni cinque minuti al silenzio più tombale non è qualcosa che ha previsto, quella mattina.
E per questo si è convinto che sia successo qualcosa di terribile a Shu. Contempla davvero l’idea di dirlo a Kuro, ma l’attimo in cui ha dato l’ordine al suo piede di muoversi verso di lui, qualche passo per raggiungerlo dal lato del palco rialzato al centro vero e proprio, davanti all’altare della funzione, è anche l’attimo in cui si rende conto che così facendo dovrebbe anche spiegare tutta la situazione e dovrebbe anche dire allo sposo dove, come e perché Shu si trovi in un ospedale a rapire una persona invalida, con tanto di testimone di nozze del proprio promesso al seguito.
Non ha idea di cosa sia più terribile, se rimanere lì in attesa oppure svuotare il sacco e cominciare a urlare.
Rimane immobile al suo posto, accanto a uno degli aiutanti del funzionario addetto alla celebrazione del matrimonio, troppo preso a perdersi nella contemplazione dei mille dettagli precisi di tutta la decorazione del palco, tra i fiori, gli addobbi e gli oggetti vari per effettivamente avere il sospetto che qualcosa non quadri.
Gli ospiti sono abbastanza tranquilli, almeno la maggior parte di loro. Le vecchie oddballs, damigelle dello sposo vestito di bianco, tra cui ovviamente anche il secondo testimone di Shu, si guardano già perplessi l’un con l’altro, chiedendosi quale stratagemma scenico il loro amico abbia adottato per riuscire a sopportare tutti quei secondi di ritardo. Cominciano anche a preoccuparsi alquanto,  nascosti nel preambolo della stanza principale della cerimonia con le fedi sul cuscino e i cesti dei petali da spargere. Sussurrano cose, guardano orologi, camminano in tondo in attesa di qualche notizia certa.
Ma più di tutti, è preoccupato lo sposo vestito di nero. Sia per quanto riguarda il proprio futuro consorte, sia per quanto riguarda il proprio testimone di nozze.
Quindi non ha problemi ad affrontare a viso aperto Mika, avvicinandolo con pochi passi decisi – e mandandolo ancora di più nel panico.
-Kagehira.
-Kiryuu-san!
L’altro quasi strilla, ed è evidente dall’espressione sul suo viso che desideri più di ogni altra cosa sparire inghiottito dalla terra, proprio in quel momento. È così terribilmente sospetto che Kuro non riesce a provare molta pietà per lui.
-Che sta succedendo?
-N-non lo so davvero, Kiryuu-san! Non ne ho proprio idea!
Non lo guarda in viso, gioca con il cellulare tra le sue dita sudate, muove la punta del piede destro senza riuscire a trattenersi. Ha un senso di ansia tremendo addosso che è contagioso.
La voce di Kuro si fa più grave, le sue sopracciglia si aggrottano sulla fronte, pare quasi essere tornato ai tempi del liceo dove non riusciva proprio a trattenere la sua naturale espressione burbera.
Insiste.
-Sei sicuro di non sapere nulla?
Sa che basta poco a Mika, per vacillare. Non è stato abituato a resistere a lui, come non resiste a Shu. È ancora impregnato di quel senso di lealtà e fedeltà che lo porta realmente a considerare la verità come soluzione finale, anche quando questo vorrebbe dire infognarsi in un tradimento a danno di terzi.
Tergiversa, quindi, anche se non riesce ad alzare ancora lo sguardo su di lui.
-Beh, ecco…
Kuro trattiene il fiato, senza osare interromperlo.
-Forse Itsuki-san si è dovuto trattenere altrove…
Ma quello è eccessivo, e l’uomo non si trattiene più.
-Dove avrebbe dovuto andare? Non doveva fare niente di niente a parte inbellettarsi, stamattina.
Ha insistito in modo eccessivo: gli occhi di Mika si sono allargati così tanto di colpo che è chiaro che si sia reso conto di aver detto qualche parola di troppo. E anche insistere di nuovo, a quel punto, non lo porta ormai più da nessuna parte.
-Kagehira.
-Mi dispiace, non posso! Mi perdoni, Kiryuu-san!
Piega il capo in un inchino formale e scappa via, verso la parte degli ospiti a lui familiare. Si avvicina alla signora Itsuki, che pare sgomenta quanto tutti gli altri parenti, e si lascia travolgere dalla sua ansia: pare quasi meglio che rimanere a parlare con lui.
Kuro sbuffa a lungo, insoddisfatto e molto più preoccupato di prima. Si rifiuta di guardare l’orologio al polso che Shu gli ha regalato innumerevoli compleanni fa, giusto per non cedere ulteriormente alla paranoia, ma il suo nervosismo è così palese che tutti attorno gli si scansano appena lui fa un passo in una direzione.
L’unico che ha il coraggio di andargli incontro, e di rivolgergli pure una parola gentile e rassicurante, è Rei Sakuma.
-Non ti preoccupare, Kuro-kun. Shu-kun non è più un ragazzino.
Kuro lo guarda, trovando in lui la perfezione estetica degna della damigella di nozze di Shu Itsuki – quel ciuffo molesto messo di sbieco sulla sua fronte a parte, se dev’essere sincero; ma Shu ha imparato a non pretendere proprio tutto tutto dai propri amici, quindi pensa bene che quello non sarà motivo di fastidio, alla fine.
E per quanto Rei sia stato coraggioso e gli abbia diretto quell’unico gesto di empatia di cui aveva bisogno, comunque Kuro non riesce a stare neanche un attimo meglio. Rimugina molto, arrivando a pensare cose davvero brutte.
-Devo aver detto qualcosa di troppo, ieri sera.
Rei ha la prontezza di immaginare su che argomento i due possano avere discusso, e anche di rispondergli nella stessa maniera rassicurante con cui si è rivolto poco prima. Sempre un grande sorriso, sempre una posa molle, che non tradisce quasi preoccupazione.
-Dubito. Ma anche se fosse, Shu-kun non è una persona così fragile da mancare per un motivo del genere.
Sogghigna, dandogli ragione.
-Verrebbe qui anche solo per orgoglio.
Un attimo rincuorato, sul serio, Kuro riesce ad accennare un angolo di sorriso, al lato sinistro della sua bocca, e a sollevare lo sguardo da terra con un po’ meno l’intenzione di far bruciare tutto. Si prende persino una pacca sulla spalla dalla damigella, in un gesto molto virile di incoraggiamento.
-Abbi fiducia in lui. È amore anche questo, giusto?
 
 
Il sorriso di Eichi non si incrina proprio mai – non riuscirebbe, data la situazione, perché ha l’umore talmente alto che neppure essere trapassato da parte a parte da un cartello stradale potrebbe variare la sua gioia di vivere, in quel preciso momento.
Solo che viene disturbato da qualcosa di persistente, che lo colpisce al lato del viso. E già la posizione assunta su quella barella dura non lo aiuta molto a rilassarsi, perché si deve tenere con la poca forza che possiede nelle braccia alla maniglia su cui è seduto di lato, per lasciare in qualche modo spazio anche all’altro; aggiungendo quel tipo di fastidio, diventa un motivo valido per rompere quel silenzio imbarazzante creatosi da qualche minuto.
Così, volta il viso verso l’uomo messosi accanto a lui, e gli si rivolge nel modo più cordiale possibile.
-Qualcosa non va, Itsuki-kun?
La curva d’espressione che rende rugosa tutta la sua fronte non si stende manco per mezzo centimetro, e lui non ha il minimo rimpianto nel pronunciarsi in tutta la propria acidità.
-Molte cose non vanno.
-Oh, mi dispiace sinceramente. Ma quale delle molteplici cose che non vanno ti turba di più?
-Il colore dei tuoi abiti.
Eichi rimane qualche secondo interdetto, perché una risposta del genere proprio non l’aveva prevista. Ancora poco e persino il suo sorriso si sarebbe incrinato, ma per fortuna ha abbastanza presenza di spirito per riuscire a ribattere a questo appunto inatteso – e un balzo dell’ambulanza che li sta trasportando lo aiuta a trovare il momento giusto.
-Come prego?
Shu muove la mano verso di lui, indicando approssimativamente più o meno tutta la sua persona. Prima additando la coperta sulle sue gambe, poi il pigiama che indossa, i suoi capelli spettinati, insomma qualsiasi cosa lo riguardi dal punto di vista esterno.
-Non sei abbinato a nessuna delle decorazioni che ho scelto per la cerimonia. Né come me o con le mie damigelle.
-Oh. Ed è una cosa così insopportabile per te?
-Mi è difficile guardarti, Tenshouin.
È così convinto da essere tenero, in qualche modo. Ed è così disturbato, nell’insieme, che d’altra parte non si riuscirebbe a non prenderlo sul serio. A meno che tu non sia Eichi Tenshouin, divertito anche solo per la possibilità di procurargli un fastidio intimo più insolente di una malattia genitale, e con la capacità di dipingere lo stesso tipo di irritazione sul volto di lui con poche e mirate parole.
-E pensare che io credevo che la tua espressione di disgusto fosse rivolta alla mia persona per altri motivi.
-Non ho mai detto che tu mi piaccia!
-Per fortuna.
Ma Shu è più turbato di quanto Eichi possa o voglia risolvere. Il suo sguardo non esprime soltanto fastidio, ma un vero e proprio disagio interiore. In questo modo, senza rendersene conto, sta mostrando al proprio eterno rivale un lato di sé debole che non ha mai previsto di rendere palese, e Eichi è toccato dalla cosa in un modo che non riesce neanche a descrivere.
Forse, il destino lo sta graziando con ogni sorta di benedizione e divertimento.
Lo assiste in silenzio nel suo processo mentale, chissà quanto fantasioso; si curva persino verso di lui, cercando nell’espressione del suo viso un qualche indizio in più. Ma Shu sbotta all’improvviso qualcosa di troppo prevedibile, assolutamente non divertente.
-Devo dire a Nagumo di fermarsi in una boutique.
-Non pensi al ritardo, Itsuki-kun? Ne vuoi aggiungere altro?
-Se ci dev’essere un difetto, dev’essere solo quello. Posso anche sopportare il ritardo, se tutto il resto è perfetto.
È davvero convinto. Eichi deve fermarlo in qualche modo, prima che davvero parta spedito per dove vuole.
-Va bene, va bene. E come intendi pagare?
Questo quesito in effetti lo mette molto in crisi, perché non ci ha pensato prima. Tende ancora a dimenticare di essere spoglio di qualsiasi carta o cosa utile, persino il suo prezioso cellulare ora è da qualche parte a sciogliersi al sole, senza che lui lo possa controllare venti volte al secondo.
C’è ancora un barlume di speranza nel suo volto, e Eichi la frantuma in zero nanosecondi.
-Nagumo dovrebbe avere-
-Nagumo-kun temo sia spoglio quanto te di documenti validi o altri portaoggetti. Credo sia già un miracolo che si sia tenuto addosso il vestito della cerimonia.
Gli sorride pure, indicando con la mano la tasta del proprio pigiama.
-Però se ti può tornare utile ho qualche spicciolo.
Ora sì che lo vorrebbe uccidere.
Si alza all’improvviso e per un attimo Eichi teme sul serio che abbia l’intenzione di mettergli le mani al collo. Per fortuna, Shu si dirige, un po’ traballando perché l’auto svolge una curva a sinistra ben stretta, alla fine della cabina, contro la sottile parete di plastica che li divide dal guidatore. E comincia a battere i pugni contro quella.
-Nagumo. Nagumo, ferma l’auto!
Nessuna risposta al richiamo.
Eichi lo incoraggia come meglio può.
-Batti più forte, non credo ti senta.
Shu lo guarda di nuovo male e questa volta è davvero convinto, nel prendere a pungi quella parete.
-Nagumo!
La macchina si blocca di colpo ed entrambi gli uomini finiscono addosso alla parete, l’uno premuto contro l’altro. Eichi ringrazia flebilmente Shu per la sua morbida presenza, Shu non lo morde a sangue soltanto perché il portellone posteriore si apre all’improvviso e Naguma è sull’orlo evidente di una crisi di nervi, tanto che per un attimo crede che stiano lottando.
-Che succede? Cosa c’è? Qualcuno si è fatto male?
Shu scansa Eichi e si avvicina a Tetora con il solito fare impetuoso – e non si arresta il suo imperare neanche di fronte al giusto sbigottimento di lui, che alla fine non pare riuscire a reggere tutto il peso della sua follia.
-Nagumo, dobbiamo passare a casa mia.
-Cosa?
-Devo prendere una cosa di vitale importanza.
Persino Eichi strabuzza gli occhi, anche se per motivi palesemente diversi dai suoi.
Tetora boccheggia qualche istante prima di riuscire ad articolare un pensiero di senso compiuto.
-Ora? In questo momento? Ma il matrimonio?
-Non citare quella cosa! Non dirlo! È proprio per salvarlo che dobbiamo passare per quella casa!
È troppo, è davvero troppo. Tetora quasi collassa a terra, con le ginocchia che gli vanno sull’asfalto. Si è parcheggiato in fretta e furia a lato della strada, quando ha sentito Shu chiamarlo a quel modo tanto disperato, e ora qualche passante a piedi sta guardando la scena con incredibile e molesto interesse.
Tra tutti e tre, quello che sembra stare meglio è quello vestito da paziente.
-Itsuki-san, io non credo di poterlo fare.
Shu lo guarda male, non sa cosa fare. Arriva persino a guardare Eichi per la disperazione, perché proprio non ha parole di conforto per l’altro e la situazione lo scuote così tanto da non farlo ragionare. A quest’ora lui avrebbe già dovuto chiamarsi Shu Kiryuu. Eichi, nella sua estrema umanità, gli fa un cenno con la testa e gli indica Tetora ancora mezzo riverso a terra, sull’orlo del pianto.
Così, Shu scende dall’ambulanza, si china sul giovane uomo e lo solleva tenendolo per le spalle, scuotendolo come si fa con un inerme sacco di patate.
-Kuro si fida di te. E anche io mi fido di te. So che ce la puoi fare.
Con quella prima frase, Shu riesce ad avere l’attenzione di Tetora, ma deve pronunciare almeno altre due frasi altrettanto smielate per riuscire a smuoverlo davvero e a convincerlo a seguirlo ancora. Si ritrova quindi a sobbalzare con l’ambulanza su un nuovo tragitto stradale, accanto a Eichi ancora più sorridente.
-Levati quel sorriso dalla faccia, Tenshouin. Mi irrita.
-Non credo mi sia possibile, Itsuki-kun.
Altri venti minuti di tensione silenziosa, finché l’ambulanza non si ferma di nuovo. Aperto lo sportellone, prima la carrozzina e poi Eichi vengono fatti scendere in un quartiere residenziale, in periferia, ben lontano dalla zona elegante abitativa e ricca a cui è abituato.
È sempre Tetora a spingere la carrozzina in avanti, fino all’ingresso dell’abitazione.
Lì, i tre si fermano – e mentre Eichi è perso a contemplare la struttura della casa e tutti quei fiorellini sulle balconate che la fanno indubbiamente la casa di Shu Itsuki, qualcuno pensa bene di esporre un quesito piuttosto fondamentale.
-E ora che dovremmo fare?
Shu fa qualche passo in avanti, baldanzoso e sicuro di sé, come se stesse percorrendo la navata dell’edificio dove si dovrebbe sposare. Salvo poi fermarsi di fronte alla porta di ingresso, realizzando una terribile verità. Ed è così sconvolto da parlare in modo meccanico, quando Tetora cerca di scuoterlo dalla sua posizione.
-Itsuki-san?
-Dobbiamo entrare.
-D’accordo. Tu ha la chiave?
Shu ritrova la propria risoluzione in un lampo, terribile per Tetora. E gli mostra di nuovo quella sicurezza demoniaca, per cui qualsiasi mezzo giustifica il fine, che sempre ha temuto in tutti quegli anni.
-Nagumo, devi rompere una finestra.
 
 
Con la sua sciarpetta leggera dal colore rosa antico al collo, che pende morbidamente sulla spalla destra e si rifugia sul lato destro sotto il pigiama dell’ospedale, Eichi deve reggersi sul braccio debole quando l’ambulanza curva per l’ennesima volta in malo modo e fa ballare tutto quanto contiene in una direzione che lo porta quasi a sbattere contro il portellone per l’esterno.
Accanto a lui, Shu è una statua di sale, ma almeno ha smesso di guardarlo con disgusto. Sta facendo girare i pollici tra di loro, probabilmente contando secondi inesistenti. Cerca di smuoverlo un poco, perché pare davvero molto messo male.
-Ho l’impressione che Nagumo-kun stia avendo una crisi isterica.
-Va tutto bene. È un uomo forte. Ci farà arrivare il prima possibile alla cerimonia.
Risposta secca, senza ammissione di obiezioni. Eichi gli sorride intenerito, e cerca di spostarsi appena sul materassino dove sono entrambi seduti, per farsi più vicino a lui. Shu non ha neppure la forza di ritrarsi: i suoi occhi si fissano sul telo che l’altro ha ora al collo, e pare ricavare un briciolo di rassicurazione da quella vista.
-Com’è possibile che tu e lui siate in contatto?
-È il testimone di nozze.
-Il tuo testimone?
-Certo che no!
-Il testimone del tuo sposo?
Shu non proferisce verbo, e questa è già una risposta completa. Gli occhi di Eichi si spalancano, di sorpresa e di meraviglia, e anche di una certa nota di divertimento. E il pensiero corre rapido a diversi collegamenti – il suo cervello è allenato a immagazzinare informazioni utili per tutte le situazioni, specialmente laddove possono essere utilizzate in modo da indebolire l’avversario.
Conosce Kuro solo attraverso le immagini di Keito e le parole di lui, ma qualcosa gli torna in mente, ed è ben chiaro.
-Mi ricordo vagamente che si accompagnava spesso a Kiryuu-kun, ai tempi delle scuole. Sembrava quasi stessero assieme.
La smorfia sul viso dello sposo gli dà ragione, quindi lui azzarda la domanda di conferma con una punta di malizia peccaminosa.
-È così?
Anche in questo caso, il silenzio e l’espressione di Shu sono le risposte che lui ottiene. Non gli interessa neanche più essere sballottato di qui e di là dalla guida isterica di Nagumo, si sta divertendo come non avrebbe mai potuto prevedere.
E siccome i dialoghi con Shu, se vogliono essere portati a risultati soddisfacenti, devono per forza di cose passare per la provocazione, Eichi provoca Shu in modo mica tanto velato.
-E di grazia, per quale assurdo motivo Kiryuu-kun ha lasciato un partito così rispettabile per arrivare persino a unirsi in matrimonio con te?
Shu, perché è un allocco, risponde esattamente come Eichi ha pensato che lui debba rispondere.
-Ti stai allargando troppo, Tenshouin!
-Sono solo curioso, tutto qui.
Il sorriso sul viso del malato è così luminoso da risultare abbagliante: Shu lo detesta per tutta una serie di ovvi motivi. Eppure, data l’occasione, non può risparmiarsi dal vantarsi delle proprie qualità e del proprio indissolubile legame che lo lega al compagno e futuro marito.
Sembra quasi incredibile, data tutta la situazione e il litigio da cui è partita, ma Shu non metterebbe mai, davvero mai in dubbio i sentimenti profondi e tutta la storia che lo uniscono a Kuro.
-Nessuno conosce Kuro come lo conosco io. E nessuno lo può comprendere così profondamente. Senza contare che la mia arte è così sublime e alta che chiunque ne rimarrebbe toccato, persino i comuni e rozzi plebei. E Kuro non è un comune e rozzo plebeo. Non poteva esserci paragone tra me e Nagumo.
Eichi lo stuzzica ancora, perché è diventato così pomposo che sarebbe un peccato non sgonfiarlo proprio in quel punto.
-O forse è solo che Kiryuu-kun è pazzo quanto te.
Shu lo fulmina con lo sguardo, irritatissimo, e appena prova a parlare di nuovo lo zittisce in malo modo.
-Beh, tra simili ci si accompagna.
-Così stai insultando Wataru.
-Hai ragione, perdonami. 
Passa del silenzio, e anche un paio di curve che fanno scontrare le loro spalle, prima che qualcuno decida di parlare ancora.
Eichi ha il tono della voce un poco stanco, rilassato, come se stesse parlando di qualcosa che non può essere toccata dalla realtà del momento, in quanto verità assoluta.
-Senza Wataru non sarei riuscito a toccare una costante sensazione di felicità e appagamento.
Shu non capisce da dove venga quel genere di confidenza così gratuita. Per un attimo, ne rimane anche interdetto, perché davvero non pensava che l’altro si sentisse così tanto a proprio agio da arrivare a fare una cosa simile.
Conosce abbastanza Wataru da sapere ogni singolo particolare della loro relazione – ed esserne disgustato di conseguenza, ma questi sono altri discorsi – eppure sentirlo proprio dalla voce di Eichi Tenshouin ha un altro significato.
È gratitudine, è affetto sincero, è la prova che il suo amico è davvero ricambiato, e l’anello che ha al dito ha un valore vero.
In un qualche modo, è calore.
-Ci sono persone straordinarie a cui è concesso persino ammirare il lato più umano di esseri come noi.
Eichi sorride piano e lo guarda di nuovo.
-Ah, posso vedere l’intensità del tuo amore. Sei sempre stato eccezionalmente passionale, Itsuki-kun. Da questo punto di vista, Kiryuu-kun è un uomo fortunato.
Si permette persino un’osservazione in più, gratuita e disinteressata.
-E poi sei oggettivamente splendido, in quell’abito.
Shu si sente arrossire appena; è ben consapevole della propria bellezza, ma per poco tempo si era persino dimenticato cosa gli stesse addosso. Reagisce con una smorfia, come al solito, e quel movimento del visto fintamente indispettito.
-Questi complimenti non ti faranno guadagnare una fetta in più di torta, sappilo.
-Che peccato! E io che ci speravo proprio!
Sorride, ride appena, pare completamente slegato da quei vecchi dissapori che li tenevano uniti; a pensarci, in effetti, solo Shu ha sempre provato un rancore tale nei suoi confronti da essere accecante.
Tutto ciò che sta facendo non avrebbe senso, se lui non si sentisse moralmente in obbligo di fare un ulteriore passo in avanti, proprio di fronte a Eichi Tenshouin.
Quindi sospira, incassa la testa nelle spalle, alza il viso e lo guarda in modo diretto, senza sottrarsi in alcun modo a lui né a se stesso.
-Siamo adulti. Non è forse vero, Tenshouin? E gli adulti traggono conclusioni diverse dai ragazzi. Le elaborano secondo un metro diverso di giudizio.
Eichi non smette di sorridere, ma capisce da subito che c’è qualcosa di diverso nel tono della sua voce, indovinando immediatamente la serietà con cui l’altro vuole trattarlo.
-Questo è il senso di continuare a vivere, esatto.
Shu si spoglia, alla fine, di ogni proposito stupido e infantile di vendetta, si spoglia di quella zavorra terribile che gli ha reso il cuore nero per moltissimo tempo. Lo fa in una situazione paradossale, in cui crede che non si siano neppure conseguenze, in un posto isolato dove l’unico destinatario delle sue parole è il diretto interessato e non altri.
E per quanto il tutto sia a suo favore, e lo possa dipingere come un essere meschino e approfittatore, lo fa, ed è l’atto più liberatorio e maturo che possa concedere a se stesso. Senza a se stesso rinunciare, neppure di un grammo.
-Io non credo di riuscire ancora a perdonarti per quello che hai fatto, quando eravamo più giovani. Però, però vorrei che oggi fosse una bella giornata, per te. E che tu riesca a divertirti.
Interpreta la luce negli occhi di Eichi, che altro non è che emozione sincera, come qualcosa di più simile alla meraviglia, così che si sente in dovere di sottolineare qualcosa che l’altro sta dando per scontato.
-Lo dico sinceramente.
Eichi gli sorride in un modo diverso, toccato davvero da quanto gli è stato detto – toccato abbastanza che entrambi devono abbassare rispettivamente lo sguardo, come adolescenti, perché è qualcosa che nessuno dei due si sarebbe mai aspettato di dover affrontare.
Shu si meraviglia della propria forza, Eichi non crede alla propria fortuna. È un giorno speciale, in ogni senso possibile.
Eichi sta per dire qualcosa di molto carino, che alla fine si è deciso di ringraziarlo anche a parole e non soltanto con l’espressione, quando il suo sguardo capita su un particolare allarmante.
E il tono della voce cambia di conseguenza, mettendo sull’attenti Shu.
-Dimmi. Tu hai paura delle api?
-Moderatamente, perché?
-Perché ne hai una sul cappello.
Non ha ancora guardato in basso che già Shu ha mosso il braccio in modo talmente veloce che non solo il cappello bianco è finito all’aria, buttato chissà in che angolo dell’autovettura, ma pure diversi oggetti riposti a caso all’angolo del lettino, tra cui una bottiglia di disinfettante e diverse garze, che srotolandosi finiscono per creare una sorta di incredibile ragnatela che ingarbuglia gli arti dell’uno e dell’altro uomo.
C’è un isterismo di fondo, in Shu, che lo fa muovere come non dovrebbe. L’uomo prende in mano un aggeggio lungo e piatto, di cui manco sa il nome, e comincia a picchiare ovunque sospetti si sia posato l’animale; Eichi si è rintanato in un angolo del lettino e gli indica posti a caso, con una vista fallace da chi si sta divertendo troppo e una brutta interpretazione di ogni piccola ombra.
Alla fine, pare che la bestia di satana si sia fermata in un punto: Shu guarda in direzione di Eichi con occhi di fuoco.
-È lì! Sopra la tua testa!
Eichi non osa muoversi, appiattendosi contro la superficie verticale contro cui è spalmato.
Shu letteralmente gli balza addosso, riuscendo persino a mancare il suddetto insetto, ma per una mancanza di equilibrio momentaneo gli scivola contro e finiscono più o meno entrambi distesi sul letto, mentre Shu regge qualcosa di potenzialmente letale in mano ed esattamente quella mano troppo vicina al viso di Eichi, proprio nel momento in cui Nagumo apre lo sportellone dell’ambulanza e annuncia tutto trafelato e isterico qualcosa.
-Ci fermiamo qua!
 
 
Ci sono voluti altri dieci minuti per rassicurare Tetora che Shu non stesse cercando di uccidere Eichi, in nessun modo – nonostante un certo qual desiderio sopito lo mantenga, dentro di sé, ma è anche abbastanza civile e fermo da non lasciarsi vincere da certe pulsioni animalesche.
E sottolineando questo, Tetora si è arreso all’evidenza che quello sia soltanto un incubo terribile.
Il testimone si è persino prodigato a parcheggiare il veicolo in un vicolo abbastanza isolato del quartiere, dove sarebbe difficile notare un’ambulanza abbandonata tra rifiuti e cassonetti, in cui a malapena riusciva a passare quella e la carrozzina di Eichi accanto, per strisciare fuori e quindi raggiungere il marciapiede illuminato dal sole. Si è anche tolto la divisa da infermiere, prima di spingere Eichi con notevole forza, in direzione Est.
Ma a Shu qualche particolare è comunque sfuggito, e non esita a chiederne spiegazione.
-Esattamente, perché stiamo facendo questo pezzo di strada a piedi, Nagumo?
-Mi sembrava sospetto parcheggiare l’ambulanza vicino al luogo della cerimonia.
Ancora non capisce – e forse non è un caso che, in lontananza, in qualche strada non ben identificata, si senta passare la sirena spiegata di un’auto della polizia. Tetora non ha una bella espressione, davvero no.
-Potrebbero trovare subito Tenshouin-san.
Non riesce a capire se Shu ritiene normale rapire gli invalidi e rubare beni comuni oppure non concepisce proprio il concetto di reato; forse, però, gli balena in testa l’ipotesi che stia attraversando una fase acuta di negazione, cosa che dovrebbe concedersi anche lui visto quel che sta succedendo.
Non sa se è più imbarazzante passeggiare accanto a qualcuno vestito così tanto di bianco oppure le frasi non propriamente lusinghiere di Eichi, dette a voce abbastanza alta da essere sentite perfettamente da chiunque li affianchi, su quel marciapiede affollato.
-Vedi che è bastato poco per attivare un senso truffaldino in piena regola, nella tua testa.
-Per favore non dire niente del genere!
Ma ecco che Shu pare avere un’epifania, qualcosa di terribile che gli attraversa la mente. Sulle prime Tetora non comprende, e quando lo vede fermarsi all’improvviso lo incita con un tono di voce davvero poco comprensivo.
-Non ti fermare, Itsuki-kun!
Poi però le sente: le campane che segnano mezzogiorno e mezzo. Non sono troppo lontane, ricorda che ci fosse una chiesa e un campanile abbastanza vicino al luogo della cerimonia, e questo significa che non manca molto alla meta.
Così come significa che sono esattamente quarantacinque minuti in ritardo.
Shu è immobile, peggio di una statua. Eichi non capisce e rimane a guardarlo senza proferire parola, mentre Tetora si avvicina piano a lui, deglutendo e parlando a fatica.
-Itsuki-san, non è ancora tutto perduto. Possiamo arrivare a un orario decente.
Shu abbassa gli occhi: sono diventati due buchi neri capaci di inghiottire qualsiasi cosa – Tetora pigola ancora, cercando di mitigare la sua furia.
-Forse. Se ci muoviamo.
Shu non sbatte neanche le palpebre, per quanto i suoi muscoli facciali siano stati presi da un tic nervoso piuttosto evidente, nella parte bassa della guancia sinistra.
-A quest’ora Kuro avrà ucciso tutti.
-È molto probabile, ma forse ha risparmiato il funzionario e quindi la cerimonia si può fare lo stesso. Il boss ha sempre mostrato rispetto a chi di dovere.
-Hai ragione.
Shu si riprende, talmente tanto che afferra il manico della carrozzina e comincia a spingere in prima persona. Un po’ troppo veloce, perché Tetora ha cominciato persino a trottargli accanto, ma nessuno se ne lamenta troppo.
C’è solo Eichi che sorride luminoso e si sistema la copertina sulle proprie gambe.
-Quando organizzate delle feste, è sempre così movimentato?
-No, di solito tutto fila come deve andare. Specialmente se sono io a dirigere tutto. Tu sei l’imprevisto.
-Darmi così tanta importanza forse non ti conviene molto, Itsuki-kun.
La zona è tranquilla, priva di ingente traffico a quell’ora del giorno. I negozi sono già chiusi, c’è qualche ristorante aperto, e degli alberi lungo il ciglio della strada, che costeggiano la zona pedonale per un lungo tratto.
I tre arrivano a un semaforo, si devono fermare per forza. Una volta attraversata la strada, basta percorrere mezzo isolato in avanti e poi svoltare, per seguire un viale curato che porta direttamente al luogo della cerimonia: un palazzo vecchio, di forma e architettura occidentale, che una volta veniva usato come sede comunale, mentre negli ultimi anni è stato rilegato per lo più a auditorium per assemblee politiche e quant’altro. E dal momento che Mika lavora nel settore amministrativo, Shu ha potuto mettere gli occhi sull’edificio da diverso tempo.
Tetora, alla sua vista, non trattiene la propria felicità, pur nell’affanno della corsa.
-Eccolo lì. Siamo quasi arrivati.
Nota anche qualcuno che si muove, davanti a loro, e sembra star venendo loro incontro.
-Quello è… Kanata-san.
Shu non rallenta il proprio passo neanche quando l’altro uomo, una delle damigelle, finalmente li raggiunge. Ha il solito sorriso calmo e tranquillo in faccia, per quanto sia leggermente trafelato dal movimento appena fatto. Lo affianca subito, seguendolo mentre continua la propria marcia.
-Sei vivo.
-Ancora per un po’, sembra.
Non si scompone, non pare neanche un poco turbato dall’angoscia nel tono della sua voce.
Fa un cenno con la testa al contenuto della carrozzina, prima di prendere il suo manubrio direttamente dalle mani di Shu, perché giusto appena appena incuriosito.
Non una parola sul ritardo, non una parola sulla mancanza di limousine, non una parola sull’abito da sposo incompleto – perché sì, lui s’è quasi cavato gli occhi a furia di guardare quel vestito e la sua lavorazione, assecondando uno Shu fin troppo entusiasta.
-Lui è un nuovo invitato?
-Sì. Da questo momento sì.
Ma anche Shu vuole sapere una cosa. Una cosa soltanto, che potrebbe essere motivo di un crollo definitivo oppure una possibile risoluzione.
-Dove sono gli altri?
-Ti stiamo tutti aspettando.
Appena detto, qualcun altro li accoglie. Rei è sceso nel cortile a fumare, mentre tutto il resto degli ospiti è rimasta al proprio posto. Non riusciva a sopportare l’umore pessimo dello sposo, che sembrava davvero sul punto di scoppiare e distruggere tutto. Ha tentato persino di sfogarsi sul povero Mika, Kuro, prima che quello scappasse da qualche parte per non farsi più ritrovare.
La situazione è piuttosto tragica. Ma Rei sembra più che raggiante di vedere il proprio amico arrivare, finalmente.
-Shu!
Non si cura della sigaretta che gli cade dalle labbra e finisce per terra, pestata tra l’acciottolato bianco e le sue scarpe lucidate di nero. Gli si butta quasi addosso e lo abbraccia stretto, sentendo tutto il suo batticuore forsennato.
-Eravamo preoccupatissimi! Dove sei stato fino ad adesso?
Lo ferma però prima ancora che risponda alla sua domanda, perché in effetti avverte il pericolo in essa e tutto l’odio di Shu nello sguardo che quello gli rivolge.
-No anzi, non lo voglio sapere.
Lo pettina, gli sistema un secondo il colletto scomposto della camicia linda, mentre lo sposo si prende qualche attimo per respirare e si gode le sue attenzioni premurose. Il fatto che stia sentendo del calore umano sta allentando la tensione con cui ha trattenuto fino a quel momento l’isteria, e il momento dello scoppio si sta avvicinando pericolosamente. Shu lo sa e vorrebbe evitare di cominciare a strillare di fronte a tutti.
-Qualcuno mi chiami Kagehira, ho bisogno di lui.
Rei non lo ascolta, più che altro si accorge di un altro particolare, accanto a un Tetora quasi inginocchiato a terra che tenta di non vomitare.
-Che cosa ci fa lui qui? Lo ha invitato Wataru?
-No, l’ho portato io qui.
L’uomo, la damigella, lo guarda decisamente stranito, perché collegare assieme tutti i pezzi del puzzle e tutto ciò che è accaduto nelle ultime ventiquattro ore non è semplice senza la dovuta spiegazione. Ma Shu sembra piuttosto sicuro e fermo, almeno in questo, e non pare sotto effetto di un qualche ricatto o di un probabile colpo di testa. Deve averci perso il sonno, oltre che la sanità mentale.
Quindi, è giusto il momento che lui faccia quello che deve fare.
Lo prende per le spalle e così facendo lo obbliga a guardarlo in viso, mentre gli parla.
-Shu, il tuo sposo ti sta aspettando da quasi un’ora.
-Lo so.
-E anche tutti gli invitati.
-Lo so.
-Mika era alquanto isterico quando non ti ha visto arrivare in tempo.
Viene interrotto sul più bello da un’altra voce, che si fa all’improvviso così raggiante e felice da non apparire quasi umana.
-Mio Eichi!
Wataru appare in tutta la sua sgargiante bellezza all’entrata dell’edificio, e riesce a percorrere la distanza da quel luogo alla carrozzina di Eichi – circa sei metri e mezzo – in un solo balzo. Anche Eichi si illumina quando lo vede, e tenta persino di alzarsi dalla propria sedia a rotelle, azione che viene sostenuta dall’abbraccio del compagno, quando lo può stringere forte a sé. C’è qualche secondo di stasi, in cui il loro scuoricinare impunito riempie tutta l’atmosfera.
Poi Wataru si accorge dell’espressione disgustata dello sposo vestito di bianco, quindi gli sorride cordiale.
-Oh, anche tu Shu!
Rei riprende lo sposo sperando che non sia troppo tardi.
-Shu…
Ma lo è, e Shu gli scoppia addosso. Alza la voce e comincia persino a gesticolare.
-Lo so! Sono in ritardo! Ho fatto attender tutti! Non ho neanche il mio mantello, sono un disastro, credo di aver commesso più reati nell’ultima ora che in tutta la mia vita, sono così irritato col mondo che probabilmente farò-
Batte le proprie mani sulle sue guance – rischiando di lasciargli un segno rosso indelebile, è vero, e quindi renderlo ancora più isterico, ma a quel punto il pericolo maggiore non può essere davvero quello – e lo interrompe bruscamente, per riportarlo con forza alla calma.
-Sei al tuo matrimonio, Shu. Nel luogo dove prenderai come tuo legittimo sposo Kuro Kiryuu.
Basta davvero quell’unico nome per quietare ogni ansia nell’uomo. Quello che l’amore fa, con lui, è incredibile.
Arrossisce persino, al pensiero di rivederlo: sono tre giorni che lo sente soltanto al telefono, per colpa di quelle stupide “tradizioni” a cui lui si è assolutamente voluto attenere. Sembra di nuovo un ragazzino in età da prima cotta.
-Lui è ancora qui?
Rei ne sorride, e lascia quindi le sue guance.
-Non fare questo genere di domande, come se non te l’aspetti.
Shu gli restituisce uno sguardo languido, tranquillo. Non può che esserne intenerito.
-Gli stai facendo una grande sorpresa. Figurati quando vedrà Teshouin.
Anche Shu ridacchia, a quello, pensando a tutto quello che è successo per colpa di quell’uomo.
Il suo testimone e la seconda damigella si avvicinano ai due, chiudendo il cerchio perfetto di quattro persone. Lo incoraggiano, gli fanno sentire la propria presenza, lo scaldano dentro.
-Shu. Questo è il tuo giorno. Il più bello che possa esserci. Ricorda lo scopo di quello che stai facendo.
-Siamo con te, Shu. Ti accompagneremo tutti all’altare.
-Cerca solo di non piangere come hai fatto durante le prove, che ti cola quel trucco perfetto che ti sei dipinto in faccia.
Wataru azzarda persino una domanda maliziosa, perché neppure lui ha realmente capito cosa stia succedendo.
-Anche Eichi fa parte del corteo?
-Veramente non-
-Itsuki-san!
Vengono di nuovo interrotti all’improvviso da un’altra persona, che sbuca da dietro un vaso, lì da chissà quanto tempo.
Gesticola peggio che Shu, a momenti, anche quando Shu gli si avvicina per tentare di comunicare con lui – i loro approcci sono rimasti invariabilmente molto disfunzionali, nel tempo, anche se hanno abbandonato quella sfumatura morbosa degli anni della scuola.
-Oh grazie al cielo! Kagehira!
-Ho qui le fedi! E la cerimonia! E tutti gli addobbi, i fiocchi e i fiori! Tutto a posto!
Mika continua a gesticolare e farfugliare senza interruzione, anche quando Shinkai si avvicina all’amico e gli sussurra cose alle orecchie.
-Kagehira è diventato ancora più isterico del solito.
Shu attende che l’altro abbia descritto nei dettagli ogni singola cosa fatta, ogni fiocco e ogni fiore degli addobbi, ogni tono di colore e anche la colonna sonora predisposta, il colore del tappeto lungo la navata e una serie di altre cose che nessuno, oltre a Mika, sarebbe riuscito a ricordare e a mettere a posto.
Si può concedere persino un sorriso soddisfatto, alla fine, e una velata concessione.
-Non mi sorprende che sia tutto perfetto. Non ho dato per niente l’incarico a te di provvedere al contesto.
Non rimane a fissare il suo volto rinfrancato di ogni fatica, quell’ansia che di colpo li scende dal petto con un solo sospiro.
Rei lo spinge in avanti, verso l’entrata dell’edificio, che hanno perso già abbastanza tempo.
È ora che il matrimonio si compia.
 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Ensemble Stars / Vai alla pagina dell'autore: Rota