7° Capitolo
Alla fine la sveglia fu zittita dallo sceriffo
che entrò diversi minuti dopo, spalancando la porta e sbraitando qualcosa su
rumori molesti e crimini perseguibili, sulle orecchie che gli stavano
esplodendo e sull’inaffidabilità del figlio, soprattutto sull’impossibilità che
Stiles non l’avesse sentita per tutto quel tempo.
Ma Stiles non riemerse nemmeno quando fu spenta
e l’uomo rimase interdetto e senza parole, osservando la figura che rimaneva
raggomitolata sotto le coperte, senza che un solo accenno venisse fuori. «Stai
bene?».
Il ragazzo si morse le labbra, sopprimendo quel
sospiro burrascoso che gli invadeva la gola. «Sì» la risposta fu accompagnata
da un cenno appena visibile, che fece muovere a stento le coperte, ma che non
si scossero, rimanendogli incollate. A proteggerlo.
Lo sceriffo lo guardò dubbioso, poco convinto
da quella risposta pacata e senza la solita vitalità a caratterizzarlo; non che
Stiles fosse immune all’annebbiamento mattutino, ma era in grado di sovrastarlo
e gestirlo. Era, però, sicuro che in quel momento ci fosse qualcosa a bloccarlo
ed il fatto che si nascondesse sotto il piumone sosteneva la sua tesi. «Sei
sicuro?».
Stiles abbracciò d’istinto il suo cuscino, più
forte di quanto non avesse fatto in quei minuti e durante il suo risveglio,
premendogli contro la testa come se potesse liberarlo. Sarebbe rimasto in
quella posizione per ore, nascondendosi alla luce del mondo e alla valanga di
pensieri disturbanti che gli inquinavano il cervello. «Sì, papà. Va tutto bene»
dovette prendere coraggio per uscire dal suo antro protettivo, abbandonare il
conforto dato dalle lenzuola, ripiegare le coperte e far emergere la testa per
sottolineare quanto fosse vera la sua affermazione e sfuggire
all’interrogatorio del padre. «Non ho dormito molto».
L’uomo sembrò tranquillizzarsi quando incontrò
gli occhi assonnati del figlio, per quanto fossero già vigili e coscienti di
primo mattino, ma anche quella era una sua caratteristica data
dall’iperattività e dal suo modo di relazionarsi con l’universo. «Sei rientrato
tardi? Non ti ho sentito».
Nemmeno lui si era sentito. Non aveva la più
pallida idea di come ci fosse arrivato e quando, di come avessero fatto ad
entrare dalla finestra senza emettere un solo rumore. Derek doveva saper
gestire bene le sue abilità da licantropo e se c’era qualcosa di positivo in
tutto quello, era la conferma che fosse riuscito a riprendere il controllo di
sé, non cedendo agli istinti animali e alla trasformazione che sembravano avere
la meglio.
Dio, Derek era un lupo mannaro; uno autentico, uno che poteva staccargli la
testa come niente ed invece si era abbandonato a lui, alle sue mani e alle sue
parole. E l’aveva perfino riportato a casa senza un solo graffio, ripulendolo
dal proprio sangue ed adagiandolo sul letto senza svegliarlo. «Ero abbastanza
cotto, sono crollato subito» disse con evidenza, indicando gli abiti della sera
precedente che ancora indossava – gli aveva persino tolto le scarpe.
La sua non era nemmeno una bugia. Aveva passato
l’intera notte con Derek sul tetto della loro scuola, a farsi sentire in ogni
modo possibile, a trasmettergli la totale fiducia che aveva in lui ed aveva
accantonato la paura nel momento in cui aveva capito cosa in realtà fosse, la
creatura che rappresentava ed il mondo del sovrannaturale che si mostrava a
lui, facendo subentrare l’ansia e la preoccupazione nei suoi confronti, la
certezza che avrebbe dovuto fare qualcosa, senza scappare dagli incubi delle
persone comuni.
Era rimasto con Derek per ore infinite, quelle
più scure e fredde, e se non fosse stato circondato dal calore emesso dal lupo
mannaro, sarebbe congelato senza possibilità di fuga.
«Va bene» proferì convenevole e comprensivo lo
sceriffo, perché conosceva abbastanza bene quelle occasioni in cui Stiles si
stremava così tanto da non connettere più, poggiandogli una mano sulla fronte e
scompigliandogli i capelli – una mano amica, soprattutto quella di suo padre,
era quello che serviva a Stiles in quel momento. «Ma ti conviene alzarti se non
vuoi fare tardi e questa volta non ti abolirò nessuna multa per eccesso di
velocità».
«M-mh» mormorò il
sedicenne, godendosi quella piccola attenzione e chiudendo gli occhi per
assaporarla completamente –
poteva evadere totalmente, poteva dimenticare Derek Hale e le
verità schiaccianti che si abbattevano intorno a lui ogni volta che il mannaro
diceva o faceva qualcosa in sua direzione –, ma fu un attimo fugace. Multa. Eccesso di velocità. Auto.
Dov’era la sua auto? «Forse dovrai darmi un passaggio».
La mano dell’uomo si allontanò, lasciando
scoperto il suo unico figlio. «Perché?».
Grandiosa domanda. Certamente Derek non aveva potuto pensare anche a quello; probabilmente
era ancora nel parcheggio della scuola, esattamente dove l’aveva lasciata. «Ho
prestato la Jeep a Scott; sai, un po’ di galanteria ogni tanto con Allison non
gli fa male. Non può vivere facendosi scarrozzare da me o lei e purtroppo per
noi, Scott ha una buona spalla che si sacrifica per lui».
La parlantina di suo figlio era decisamente
tornata, come tutti i giri di parole che facevano confondere la gente. «E tu
come sei tornato?».
Sulla spalla di un lupo mannaro con problemi di autocontrollo. «Lydia, sì, con grande scontento e vari sbuffi
poco graditi da parte di Jackson».
«E lui non ha bisogno di fare il galante?»
domandò retoricamente l’uomo con occhio critico, indagando con discrezione e
conoscendo perfettamente i pensieri della sua progenie.
«Pff, figurati»
proferì annoiato e seccato, agitando pigramente un braccio. «Avrebbe bisogno di
un corso di buone maniere, ma sa come tenersela stretta».
Lo sceriffo indugiò appena, conoscitore dei
sentimenti che suo figlio provava per la ragazza dai capelli rossi – biondo fragola, papà! – e dell’astio che
riversava contro Jackson Whittemore, la gelosia che
con gli anni era cresciuta insieme all’insoddisfazione e alla profonda
tristezza.
Non era stato facile per Stiles rincorrere
qualcuno che non riusciva a vederlo minimamente, che a stento sapeva della sua
esistenza – anche se per anni l’aveva ignorata – e che non riconosceva
minimamente. Ma non era stato altrettanto facile quando il cambiamento avvenne
e la conoscenza arrivò, l’inizio della loro amicizia e il ruolo di migliore
amica che lei si era ritagliata, imponendolo senza che Stiles potesse ribattere
e meditarci su.
Stiles era rimasto destabilizzato per diverso
tempo, senza capire a pieno cosa fosse successo e cosa fosse mutato, come
avesse fatto a non accorgersi del cambiamento e come si fosse trasformato da
uno spasimante incallito, con l’abilità di essere un osservatore attento e
acuto – si dice stalker, Stiles –, al
prolungamento del suo cervello, entrando a far parte completamente della sua
vita. Non avrebbe mai risolto l’arcano, ma Stiles gli sarebbe stato sempre
devoto. «Allora datti una mossa» disse semplicemente, tirandogli le coperte per
gioco e lasciandolo al freddo della stanza, uscendo come se nulla fosse dalla
porta.
Stiles fissò il punto dove sparì suo padre e
prese un profondo respiro, gettando la testa all’indietro e puntando le perle
ambrate sul tetto immacolato.
Era completamente incapace di reagire con il
turbine disturbante di pensieri che gli girava per la testa, ma dal cellulare,
dentro la sua tasca – insieme alle chiavi dell’auto –, provenne il suono
dell’arrivo di un nuovo messaggio e lo estrasse con lentezza, non
particolarmente interessato dal mittente – che non era nient’altro che Scott,
come ogni mattina –, fissandolo con non curanza e adagiandolo sul comodino
quando ebbe il coraggio di alzarsi ed affrontare la giornata.
I suoi occhi caddero sulla finestra lasciata
lievemente aperta e la guardò per così tanto tempo da perdere ogni cognizione,
sfiorando appena con la punta delle dita il bordo di legno e picchiettando
incerto con l’altra mano sul davanzale.
Dovette tornare completamente padrone di se stesso per farsi forza ed abbassare il vetro, chiudendo
l’imposta e lasciandola dietro di sé.
La sua preziosa auto, la sua bambina, era
esattamente dove l’aveva lasciata la sera prima, impeccabile e senza un graffio
e lo reclamava a gran voce, offesa per averla abbandonata lì tutta la notte. Ma
era meglio averlo fatto, che essere vittima della guida di una creatura della
notte che non riusciva ad avere padronanza di sé.
Padronanza di sé. Derek stava bene?
Non si rese minimamente conto di quanto
velocemente quella giornata scorresse, dell’impossibilità che gli si era
presentata nello scorgere il mannaro tra la folla, cercando il suo viso, i suoi
occhi; accertarsi che andasse tutto bene.
L’unica cosa che lo rasserenò fu la
tranquillità di Erica che prestava particolare attenzione al capitano della
squadra di basket, sembrava sollevata e meno apprensiva di quanto non fosse
apparsa quella sera, ma per quanto Stiles fosse rimasto ad occhieggiarli tra i
corridoi con tutta la discrezione che possedeva e che forse non voleva nemmeno
nascondere, Derek non aveva mai alzato lo sguardo su di lui ed aveva proseguito
la sua mattinata scolastica senza impedimenti o indugi. Lo sapeva, sapeva che
poteva sentirlo, ma il lupo lo ignorò comunque.
«Non sei più tornato ieri sera» elargì la rossa
quando lo raggiunse davanti all’armadietto, lo stesso dov’era rimasto davanti
per un quarto d’ora buono, senza muoversi e lasciando l’anta semplicemente
aperta.
Stiles la percepì appena, troppo concentrato
sul gruppo di quattro persone che stava al di là del corridoio, impegnati a
dialogare tra loro – cioè Erica, Derek era sempre impassibile ed Isaac
semplicemente disinteressato, appoggiato ad un armadietto qualsiasi, mentre
Boyd si limitava a rimanere al fianco della bionda. «Mh,
sono tornato a casa» ad un certo punto.
«Quando, esattamente? La tua auto era ancora lì
quando il concerto è terminato» accurò meticolosamente Lydia, fissandolo
attentamente ed intercettando a chi erano rivolte le sue attenzioni.
«Sul tardi» molto
tardi, aveva perso completamente la cognizione del tempo.
La ragazza metabolizzò l’informazione,
meditandoci su e lanciando un’occhiata furtiva alla direzione dove le iridi
ambrate di Stiles continuavano a tornare. «L’hai trovato, quindi».
«Sì, l’ho trovato» non aveva bisogno di
concretizzare o confermare la notizia che Lydia sembrava aver colto, ma non si
trattenne comunque dal farlo.
«E come sta?» stava diventando un po’
ripetitivo, Lydia si lasciava sfuggire spesso quella domanda, come se fosse
qualcosa di cruciale ed importante, come se potesse risolvere tutti gli arcani
del mondo. O quanto meno quelli che giravano intorno a Derek e Stiles.
«Sta bene, credo» soppesò mentalmente il figlio
dello sceriffo, partendo da una nota certa fino a sfumare ad una malferma.
Quello era sicuramente un passo avanti dopo le
settimane precedenti, dove vi era tutto tranne quella condizione. «E non te ne
sei ancora accertato personalmente?» era evidente, si vedeva dal comportamento
di Stiles, da come reagiva il suo corpo e da come fosse proteso totalmente
verso quello di Derek.
Stiles posò per la prima volta gli occhi su di
lei da quando le si era fiondata accanto ed avevano iniziato quella
conversazione a cui aveva prestato poca attenzione. «No, mi sta evitando».
Lydia ne rimase visibilmente sorpresa,
altalenando lo sguardo da una parte all’altra, tra le due figure dove vi era un
divario insostenibile. «Siete ridicoli, non è possibile. Vi date il cambio, per
caso?».
L’umano roteò gli occhi esasperato, quasi
immune alle parole della ragazza. «Ha le sue ragioni» proferì semplicemente,
poco propenso a voler fornire dettagli. «E va bene così».
Le perle di smeraldo si ingrandirono stupefatte
ed era come se Stiles fosse a conoscenza di qualcosa, qualcosa di profondamente
intimo e prezioso per Derek, qualcosa che non poteva essere divulgato, ma
protetto. Qualcosa a cui Stiles non avrebbe mai dato voce. O forse erano molte
di più. «Per ora».
Il quartetto si allontanò sotto le gemme
ambrate, con Erica visibilmente entusiasta aggrappata al braccio del playmaker
e sotto il suo sguardo scocciato, ma da cui lei non si sarebbe separata. «Posso
lasciargli un margine di tempo».
La sera arrivò cogliendolo irrequieto e Stiles
sentì il bisogno di affacciarsi per osservare la luna piena che si mostrava,
magnifica e bellissima come il giorno precedente, ma appariva meno imponente,
meno maestosa, come se avesse compiuto l’incarico che si era prefissata e che
aveva portato a compimento.
Era sciocco, ridicolo, ma non riusciva a
togliersi quell’idea pazzesca dalla testa, come non riusciva a distogliere lo
sguardo dalla sfera luminosa. Ebbe perfino l’impressione di sentire un ululato
in lontananza ed altri in risposta, e la sua ansia e preoccupazione crebbero
all’unisono, perché l’unica cosa che riusciva a pensare era in che condizioni
fosse Derek, se stesse bene e se l’episodio della scorsa notte fosse solo
passeggero, che non avrebbe portato ad un’ulteriore ricaduta ed a varchi
insuperabili.
Ma tra quegli ululati non vi era quello di
Derek, ne era quasi certo, avrebbe potuto scommetterci su – con quali prove? –,
come la convinzione che non fosse con il suo branco.
Dov’era?
«Dove sei, Der?» domandò in un mormorio ad una
stanza vuota, con il fiato caldo che si scontrava con il vetro freddo della
finestra a ghigliottina, creando un velo sottile di condensa. «Stai bene?».
Quando tornò tra le sue coltri, immergendosi
nelle lenzuola e coprendosi – le stesse con cui Derek si era preso cura di lui
meno di ventiquattro ore prima –, avvertì una risposta sottile, una sensazione
morbida che partiva dall’anello, la stessa che provava quando il lupo mannaro
era nelle vicinanze.
Ebbe l’illusione che fosse lì con lui, da
qualche parte, per rassicurarlo e tranquillizzarlo.
O forse era Derek stesso ad averne bisogno.
Il suo margine
di tempo scadde proprio il giorno dopo, la pazienza e l’attesa non erano le
doti migliori che lo caratterizzavano, anche se aspettava la stessa ragazza da
otto anni.
Per tutta la mattinata scolastica, come quella
precedente, Derek non diede alcun segno di notarlo o qualunque altra cosa ed a
Stiles non rimaneva che guardarlo da lontano, cercando di capire se fosse una
sua impressione o se stesse impazzendo del tutto.
Aveva una sola idea ed una sola possibilità per
intercettarlo, se l’avesse lasciata sfuggire non sarebbero mai tornati indietro
e Stiles avrebbe dovuto tenere quel segreto per sé per sempre, senza nemmeno
poter proferirne parola con lui.
Quando le lezioni volsero al termine e ciò che
rimaneva erano soltanto i vari laboratori e gli allenamenti giornalieri delle
squadre, non gli restò che aspettare dove sapeva avrebbe trovato il playmaker,
senza che avesse una reale scusa per non presentarsi e sviarsi da lui.
Stiles aspettò per quasi mezz’ora appoggiato al
muro del corridoio ombrato che dava sugli spogliatoi della squadra di basket,
con lo zaino buttato per terra ed il picchettare continuo delle dita sulle
tasche per la noia e l’agitazione.
Era ironico e burlesco, gli aveva intimato di
non immischiarsi, di non immergersi nella faida che le sue ragazze stavano
creando con lui, di stare praticamente fuori dalla sua vita – era implicito,
gli era sfuggito, non lo pensava nemmeno – ed adesso stava disubbidendo alle
sue stesse parole e l’unica cosa a cui riusciva a pensare era proprio il lupo.
«Mi stai tendendo un agguato?» era una domanda
buttata nel vuoto, qualcosa che doveva semplicemente rompere il silenzio e
richiamare Stiles dai pensieri in cui era caduto; onestamente a Derek non sembrava
interessare un granché, ma pareva molto infastidito e nemmeno tanto sorpreso di
trovarselo lì.
Derek arrivava sempre prima di tutti gli altri
agli spogliatoi, una delle sue tante abitudini che l’umano aveva imparato a
registrare stando al di là del bordo campo, e gli altri lo raggiungevano molto
più in là, prendendosela comoda.
A differenza di Stiles, Derek aveva bisogno di
silenzio e di tempo per se stesso e quello era
soltanto uno dei modi con cui poteva ottenerli.
Quasi saltò in aria quando la sua voce lo
riportò nel mondo reale ed i suoi occhi ambrati si voltarono subito per
incontrare quelli di giada, per accertarsi che fosse proprio lui, che fosse lì
e che non stesse fuggendo – da lui? Improbabile. «Non ne sarei capace, dovresti
essere tu l’esperto» il sarcasmo ilare che rendeva il figlio dello sceriffo
quello che era difficilmente faticava ad affiorare e sapeva sempre dove
colpire, anche se Derek riusciva a gestirlo al meglio.
«Lo sono, infatti» disse tagliente il moro, con
l’aspetto da predatore che viveva in lui.
Sottile minaccia, sì, il sedicenne poteva
riuscire a percepirla senza difficoltà ed il mannaro poteva portare chiunque a
credere di essere caduto in un tranello – avrebbe potuto farlo –, ma il modo
con cui gli stava tenendo testa, senza abbassare il capo e distogliere lo
sguardo, sembrava consumargli molte energie. Era così difficile guardarlo?
«Continuerai ad evitarmi?».
Le iridi verdi brillarono appena, come se
fossero state stuzzicate dalla sua domanda e le pupille si dilatarono
impercettibilmente. «Sai cosa sono, non c’è altro da aggiungere».
Non era proprio la risposta che si aspettava,
era consapevole che sarebbe stato liquidato immediatamente, senza aggiungere
chissà quali parole o creare una situazione di stallo, ma il modo in cui il
licantropo riusciva a tagliarlo fuori lo angustiava un po’ e non lo liberava
dalle sue preoccupazioni. «C’è ancora la luna piena».
Il diciottenne lo guardò in modo strano, un
modo che Stiles non riuscì bene ad identificare – che avesse detto qualcosa di
sciocco? Di sbagliato, prendendo un enorme abbaglio? «La luna piena dura
soltanto una notte».
«Sì, è vero, ma…» una volta al mese la luna si
mostrava nella sua forma completa, durava soltanto un millesimo di secondo –
anche meno –, ma i suoi effetti persistevano per molto più tempo e ad occhio
umano manteneva quella forma per qualche giorno; quattro, per l’esattezza –
tre; la notte prima dell’effettiva luna piena non contava. «Oggi ha il 98% di
visibilità e credo abbia comunque degli effetti su di voi».
Derek apparì meravigliato e stupito, quasi come
se non avesse calcolato che Stiles fosse in grado di avere accesso a quelle
informazioni o anche la sola curiosità di consultarle. Ma le aveva addirittura
apprese e sapeva sostenerle. «Nessuno ti strapperà la gola con i denti».
L’umano rabbrividì appena quando quella
rappresentazione fotografica entrò a far parte del suo immaginario – non era
difficile rendere protagonista di quell’azione Derek –, senza che la sola idea
l’avesse accarezzato, ma dopotutto si trovava dinnanzi ad un lupo mannaro ed
avrebbe dovuto metterlo in conto. «Non è questo che mi preoccupa».
Derek raddrizzò le spalle e le riportò
indietro, quasi scottato da quella rivelazione che l’attraversò in pieno. «Sei
preoccupato per me?» fu pronunciata a
metà di una domanda trattenuta, troppo assurda per essere anche solo pensata ed
ancora di più per prestarle voce.
Era così assurdo? Era così assurdo che pensasse
a lui in quel modo, che cercasse di trovare una soluzione e tentasse di
aiutarlo? Derek doveva viverla così male? «Potresti venire da me, a casa mia,
ed affrontarla insieme» forse lo era davvero, una volta data forma concreta ai
suoi pensieri.
«Hai idea di cosa stai dicendo? Di cosa stai
proponendo» lo riproverò il mannaro con voce pressante, facendo esaltare la
follia che andava comunicando. «Posso ucciderti in qualsiasi momento».
Stiles si sentì punto sul vivo, messo con le
spalle al muro ed accusato di essere un vero pazzoide suicida. Non gli piaceva
essere ripreso in quel modo. «Non rifilarmi la solita manfrina».
Il capitano sospirò esausto, scrollando le
spalle ed avvicinandosi di un passo. «Tu vuoi chiuderti in una stanza non
attrezzata, con un lupo mannaro e la luna piena alta nel cielo».
Forse così suonava un po’ pazzesco e da veri
squilibrati, ma non aveva bisogno di Derek per sapere come stavano i fatti.
«Esattamente».
«Hai davvero istinti suicidi» sentenziò il
licantropo in conclusione, ma non suonava affatto come una risposta positiva ed
appariva sempre più propenso a non avvicinarsi troppo.
La conversazione sembrava essere terminata,
proprio lì, proprio con quelle parole e loro non avevano più alcun motivo per
intraprendere qualsiasi tipo di interazione o qualsiasi altra cosa che potesse
legarli. Ma non era Stiles a mettere dei paletti e dei muri chilometrici che
avrebbero dovuto separarli, senza neppure dare la possibilità di guardarsi ed
adocchiarsi, nessuno sguardo accidentale di sfuggita. Forse era proprio quello
che Derek voleva, far cessare qualsiasi rapporto tra loro e non doverlo
guardare; d’altronde non l’aveva evitato per due giorni per niente, senza
essere capace di alzare gli occhi sui suoi. Era della sua natura che si
vergognava? Del fatto che si fosse mostrato per quello che era? O semplicemente
di essersi fatto scoprire, per poi essere stato aiutato proprio dall’essere
umano più fastidioso dell’intero istituto?
Aveva svelato il suo mondo, non era qualcosa di
poco conto e Stiles riusciva a capirlo, anche lui probabilmente avrebbe agito
di conseguenza, ma a differenza del lupo, nessuno doveva strappargli le parole
di bocca. «Hai paura che sveli il tuo segreto? Che non sappia mantenerlo?».
Derek intercettò subito la sua voce, la
conversazione che era appena ripresa ed il timore della sfiducia che il figlio
dello sceriffo si sentiva addosso. «Sai mantenerli. Almeno quelli importanti».
Oh, eccolo di nuovo. Il Derek che sembrava conoscerlo così bene, che si
lasciava scappare le cose senza nemmeno rendersene conto; il lupo che aveva
prestato orecchio. «E allora cosa c’è che non va? Perché non riesci a
guardarmi?».
La testa del mannaro fece un unico scatto, uno
scatto in avanti per poi tirarsi indietro, colpito e preso in contropiede. La
rigidità del suo corpo si mostrò all’istante.
Non sei l’unico a saper osservare. «Der» chiamò piano e con parsimonia,
prestando ascolto ed aspettando con pazienza.
«Non sono un Alpha» disse come unica e sola
risposta, quella che gli avrebbe dato ciò che voleva, quella che lo
mortificava, ma che non poteva cambiare perché non era nella sua natura. Era
solo un Beta, un Beta dagli occhi blu metallici; gli occhi di un assassino.
A Stiles parve come se l’avesse deluso, come se
le sue aspettative e l’averlo sempre associato ad un grande Alpha fossero
andate in frantumi. Sembrava colpevolizzarsi di averlo ingannato, di non essere
come si era immaginato, affidandogli un ruolo a cui credeva ciecamente.
Pensava di avere un grande capo, un Alpha con
il comando, che sapeva prendersi cura del proprio branco, mettendolo al primo
posto e con dei grandi occhi infuocati, quelli che sembravano piacergli tanto.
Invece si ritrovava soltanto un lupo che valeva poco, che non figurava nemmeno
nei primi tre posti più vicini alla successione, e che aveva unicamente le mani
sporche di sangue, sangue innocente.
Stiles agì d’istinto, non poteva proprio vedere
quello sguardo che fuggiva da lui, che si puniva per qualcosa che non aveva
nemmeno fatto, per delle aspettative che non erano mai esistite. Stiles vedeva
solo quello che c’era. «Lo sei» disse con totale convinzione, allungando il
braccio destro ed afferrandogli la mano che gli era di fronte e che ricadeva
abbandonata lungo il corpo. «Lo sei per me» proferì in una cantilena premurosa
che invase il nervo acustico del mutaforma, mentre
l’umano l’attirava a sé, portandolo sempre più vicino e toccandolo maggiormente
ad ogni attimo. «Sei un Alpha per me».
Derek era completamente soggiogato, abbandonato
nuovamente alle mani dell’umano che lo stavano vezzeggiando, intrecciando le
dita e limitandogli ogni via di fuga. Era lui il predatore, era compito suo
mettere alle strette gli altri, ma la delicatezza e la testardaggine del figlio
dello sceriffo erano ineguagliabili e non gli permettevano alcuna salvezza.
«È solo una proposta, Der» soffiò con
raffinatezza ed accuratezza, incendiandogli i timpani e portandolo indietro.
«Puoi stare con il tuo branco, puoi affrontarla con chiunque vorrai e quando lo
desidererai» articolò con maestria, sottolineando punti cardine e le abitudini
che probabilmente il moro già possedeva. «Ma la mia porta è sempre aperta e
puoi raggiungermi in qualunque momento ne avrai bisogno. Devi solo sapere che
sono lì, per te».
Il lupo mannaro soppresse il respiro affranto
che gli bruciava i polmoni, rispondendo alla stretta che Stiles gli infondeva e
che accentuava. «Ti metterai in un mare di guai».
«Sono la mia specialità» ammiccò da vera volpe
predatrice, curvando le labbra nella piega che più la caratterizzava,
insinuandosi totalmente in lui. «Non farmi aspettare troppo».
L’attesa era l’ultimo dei problemi, perché da
Stiles Stilinski non si scappava.
La luna era già alta nel cielo, con la stessa
luminosità dei giorni precedenti ed agli occhi di Stiles appariva completamente
piena e tonda, ben sapendo che non era possibile. Era comunque il suo ultimo
giorno del mese in quella forma, poi avrebbe dovuto attendere prima di
rincontrarla. Come sarebbero state le cose per allora?
L’anello d’argento mandò una scarica tiepida
lungo il dito, scemando successivamente in tutto il corpo e poco dopo un tenue
rumore appena accennato gli arrivò all’udito.
Sorrise di sbieco quando aprì la finestra a
ghigliottina, piegando un gomito che premeva sul davanzale e poggiando una
guancia sulla mano aperta, curvando tutto il corpo. «Gentile da parte tua
passare di qui».
Derek lo guardò accigliato e per nulla convinto
delle sue scelte, perfettamente a suo agio in piedi su un tetto nel cuore della
notte. «Mi avresti dato il tormento».
Le labbra dell’umano si curvarono in una linea
felina, quasi ad accogliere e confermare quanto detto, come se non ci fosse
nulla di più vero. «Mi conosci proprio bene».
Il mannaro lo ignorò volutamente, sorpassando
alla velata allusione che lo stuzzicava oltremodo, sbuffando scocciato con
classe.
Stiles era davvero deliziato, quasi euforico e
vincitore, perseverando ad osservarlo dal basso della sua posizione con occhi
maliziati e sopraffini, senza togliere il sorriso da volpe furba che tanto lo
caratterizzava. «Cosa stai aspettando?» domandò quando lo vide ancora immobile
sul suo tetto, con le mani dentro le tasche del giubbotto di pelle nera e senza
accennare ad un solo passo verso la sua direzione. «Hai bisogno che ti inviti
ad entrare?» lo derise bonariamente, allargando il suo sorriso saccente e
pizzicandolo su ciò che gli dava fastidio. «Puoi entrare».
«Non sono un vampiro» lo riprese con assenza di
carineria, irritato dalle continue frecciatine dell’altro che lo associavano a
creature disgustose e che non avevano nulla da spartire con lui.
Il figlio dello sceriffo ridacchiò trionfale,
divertito ed orgoglioso del potere che aveva sul lupo. «Non ne sarei così
convinto».
Derek lo fulminò volutamente e severamente,
prima di attraversare la finestra una volta che il sedicenne si fu scostato,
lanciandogli un ulteriore invito a varcarla con un unico gesto della mano.
Stiles era già seduto a gambe incrociate in
bilico sul bordo del letto, ma sembrava mantenere l’equilibrio con calma
perfetta, incurante della totale mancanza di controllo del proprio corpo, come
se non esistesse il suo essere scoordinato per natura e fosse pronto ad
affrontare chiunque obiettasse su quello.
Derek era ancora restio ad avvicinarsi. Per
quanto avesse compiuto il grande passo di entrare in casa alla luce del sole e
con tanto di testimoni ed avesse accettato in silenzio la sua compagnia, gli
era ancora difficile completare il cerchio. Non aveva idea di cosa fare, perché
fosse lì, come avrebbe dovuto comportarsi. L’unica cosa che gli rimaneva da
fare, era restare esattamente dov’era in quel momento, un po’ spostato verso il
centro della stanza, ma più vicino alla finestra, come se fosse ancora in tempo
per tornare indietro ed uscire; come se potesse ancora scappare. Stiles non
l’aveva nemmeno chiusa, soltanto abbassata un po’, giusto perché fuori faceva
un freddo cane e lui non era propriamente immune alle basse temperature né
riusciva a gestirle come i licantropi.
«Non devi davvero farlo» esalò Derek di punto
in bianco, persistendo nel rimanere esattamente dov’era, senza accennare un
solo movimento che potesse scuoterlo.
Stiles notò come non si stesse guardando
intorno, lanciando occhiate furtive ad angoli casuali della sua stanza o
lasciando emergere un vago sentore di curiosità. Derek guardava solo lui,
esattamente davanti a sé, senza mai staccargli gli occhi di dosso o farli
scivolare giusto un po’; sapeva esattamente dove dovesse guardare e non è che
credesse alla sua natura interessata, stuzzicata appena dal voler conoscere chi
lo circondava – Derek era pur sempre un pezzo di ghiaccio indifferente –, ma
era qualcosa che stimolava il continuo girare dei suoi ingranaggi, senza che
potesse fermarli e non si cullava nella semplice spiegazione che il lupo fosse
entrato tra quelle mura esattamente quarantotto ore prima ed avesse taciuto la
sua parte non discreta – non che sapesse quanto tempo Derek fosse rimasto lì
dentro con lui –; era qualcosa di diverso, qualcosa al di là del coro, quasi
come se conoscesse già tutto quello che si trovava tra quelle pareti, a
menadito. «Voglio farlo».
«È stato soltanto un episodio isolato»
specificò e chiarì il mannaro, senza che volesse ci fossero fraintendimenti e
lui fosse così sciocco ed inesperto da non saper controllare la sua parte
animale, il suo lupo, il suo stesso io.
Aveva superato da tempo quel momento della sua
vita, quando la luna aveva completo controllo su di sé ed era quasi impossibile
reprimersi. Quando aveva bisogno di sua madre, il suo Alpha, o di suo zio per
imparare a controllarlo, facendo sacrifici immani ed urlando nel cuore della
notte per il dolore. Quando doveva stringersi a sua sorella maggiore che aveva
imparato a gestire la sua natura soltanto da poco e che cercava di spronarlo a
fare lo stesso. Quando lui stesso aveva presenziato alla lotta che Cora e Malia
avevano affrontato, identica, nel momento in cui era diventato sicuro di sé ed
il controllo gli scorreva nelle vene come sangue. Era lontano dall’essere un
lupo mannaro alle prime armi.
«Ne sono certo» Derek era un lupo, un lupo in
ogni suo aspetto; era quello che aveva sempre visto in lui. Stiles confidava
nella sua natura e nel suo essere, nell’avere completa padronanza di sé e
nell’aver affrontato un trauma così grande come quello della perdita di Paige,
che ancora si trascinava dietro e che in occasioni estreme lo faceva perdere.
Tutto quello che era accaduto due sere prima, era soltanto il connubio di più
fattori messi insieme, qualcosa che aveva fatto scattare la scintilla e che
aveva premuto lì dove la cicatrice non si era ancora sanata totalmente; era
bastato semplicemente un punto scoperto. Stiles non aveva alcun motivo per
giudicarlo.
Il lupo mannaro lo guardò ancora per un
momento, un lungo e prolungato momento, e Stiles arretrò, scivolando verso il
centro del materasso fino ad arrivare a poggiare la schiena semi curva sul
muro, lasciando l’altra metà del letto completamente libera e pronta per essere
occupata da chiunque volesse raggiungerlo.
L’esitazione di Derek la vide chiaramente,
insieme al groppo in gola che tratteneva e che poi ingoiò, seguito dal
movimento fluido del suo pomo d’Adamo. Dopo poco il mutaforma
lo seguì, togliendosi solamente le scarpe ed irremovibile dal disfarsi della
sua giacca di pelle.
Stiles non disse niente stretto nel suo pigiama
vissuto, si limitò unicamente a scostare le lenzuola dalla propria parte ed a
seppellirsi per metà, incitando l’altro a fare lo stesso.
Tra un movimento e l’altro, lento e calcolato,
alla fine entrambi furono sotto le coperte, con Derek coricato di schiena a
fissare il soffitto e Stiles posizionato di lato verso la sua direzione.
«Non mi chiederai nulla?» domandò il capitano
della squadra di basket quando il silenzio tra loro calò per troppo tempo.
«Dovrei?» chiese di rimando il padrone di casa,
sollevando appena il capo per posizionarsi meglio sul cuscino, dandogli la
possibilità di ampliare il suo campo visivo.
«Dovresti» sentenziò il mannaro con voce cruda,
senza alcuna possibilità di scampo e doveroso che dovesse conoscere come
stessero le cose.
«Goditi questo momento, Derek; ad un certo
punto sarai sommerso dalla mia sete di conoscenza» rivelò con leggerezza e quel
segno distintivo di divertimento, curvando appena le labbra verso l’alto.
Derek rilasciò uno sbuffo appena trattenuto,
dedicandogli un’occhiata di sbieco. «Esistono solo estremi con te».
«Io sono un estremo» convenne il sedicenne,
ammiccando deliberatamente ed orgoglioso del suo essere. «Lo sei anche tu».
«E a te sta bene, quello che sono, quello che
rappresento» suonava come una mezza domanda piena di consapevolezza, ma anche
come l’assurdità che una cosa del genere potesse essere vera e che Stiles non
avrebbe mai dovuto accettarla; soprattutto non con quella spiccata fiducia in
lui ed il suo essere così sereno.
Non era difficile capire a che cosa si stesse
riferendo, alla parola assassino che
si tatuava automaticamente negli occhi pieni di sensi di colpa e vergogna, con
tanta rabbia verso se stesso. «È solo un colore,
Derek. Pigmenti, chimica, una reazione che è accaduta, non rappresenta quello
che sei».
Derek fu accecato dalla certezza e dalla
concretezza che Stiles sapesse esattamente cosa indicava il colore dei suoi
occhi da lupo e per quanto ne avesse avuto un assaggio pochi giorni prima,
aveva ancora un forte ascendente quella consapevolezza totale. «È così che
funziona».
«No» asserì assoluto il figlio dello sceriffo,
allungando la mano destra per prendere quella dell’altro, l’incontro per la
prima volta dei due anelli gemelli che rilasciarono un tintinnio ultraterreno,
come se si fossero riconosciuti. «Tu combatti per dimostrare il contrario, per
non essere qualcuno che viene identificato da un colore, per non piegarti ad
una sete di sangue che potrebbe vincerti».
Il mannaro fu apertamente colpito dalle sue
parole e le iridi verdi si illuminarono appena, ma ricaddero subito nella
penombra, con la verità che si dimenava dentro di sé. «Sai così poco. Le tue
sono solo supposizioni».
Le dita di Stiles si intrecciarono a quelle di
Derek e gli anelli si toccarono e rimasero in contatto. «Non sbaglio mai un
colpo, Der. E domani potrai raccontarmi a monosillabi tutto quello che vorrai»
era un domani simbolico, Derek
avrebbe potuto non raccontargli mai la verità, non prendere mai l’argomento.
Stiles poteva perfino aver perso l’unica occasione in cui avrebbe parlato, ma
sarebbe stato forzato e pieno di dolore e non voleva che fosse così. Sarebbe
comunque stato dispendioso e la verità era che nessuno dei due era ancora
pronto per affrontare la realtà dei fatti, ciò che si sarebbero ritrovati
dinnanzi e senza sapere se fossero stati in grado di superarlo.
Stiles si limitava a vedere ciò che era messo
in vista, le azioni che Derek compiva ed il suo modo di rispondere al mondo. Al
momento non gli serviva nient’altro e non voleva cadere nello sconforto di non
poter essere di alcun aiuto al mutaforma, di non poter
tenere in piedi i pezzi che si andavano staccando. Non voleva vederlo crollare
e doveva tenersi in allerta per poter raccogliere i cocci. Almeno per quella
sera si sarebbe accontentato di condividere il letto con lui.
Derek rimase in silenzio per un attimo
incredibilmente longevo e poi le sue sopracciglia si contrassero. «Sarebbe la
tua buonanotte?».
Stiles soffiò una risata delicata, alleggerendo
e ripulendo tutta l’aria pesante ed irrespirabile che si era creata intorno a
loro. «Dipende. Ti troverò al mio risveglio?».
«Non credo» suonava molto di più come un te lo puoi scordare, ragazzino. Stiles
apprezzò comunque.
«Buonanotte» proferì in un sospiro morbido e
caldo, circondandolo tutto, portando le mani intrecciate in una trama
sconosciuta esattamente in mezzo a loro, ad equidistanza. «E buongiorno, lupastro».
Prima che Morfeo lo accogliesse completamente
tra le sue braccia e la coscienza di se stesso andasse
perduta, sentì Derek girarsi verso di lui, in un fruscio appena udibile e così
impercettibile da non far muovere le coperte dove si trovavano, ricambiando la
stretta alle dita.
Entrambi gli anelli rilasciano la dolce
temperatura tiepida che prendeva vita quando erano nelle vicinanze, annunciando
la presenza dell’altro, e fondendosi in un unico calore complementare che
emergeva soltanto quando erano insieme.
Non credo di avere molto da aggiungere,
insomma, Stiles è in bilico dal voler essere sordo a qualcosa che riguarda
Derek, ma dall’altra parte è del tutto reattivo ad ogni aspetto dell’altro,
tanto da dargli del tempo per assestarsi e comprenderlo, rimanendo un po’
ferito dal fatto che lo ignori. Ma siccome Stiles è Stiles, le sue parole
valgono molto poco quando ha ben altre intenzioni e quelle riguardano il
licantropo di cui ormai è a conoscenza. Quindi questo tempo che voleva
concedergli si è assottigliato notevolmente e… se lo porta a casa, nemmeno
fosse un randagio che ha trovato per strada ed a cui vuole dare un tetto sulla
testa.
E Derek, mh… Derek
sembra aver bisogno di quello, anche se vorrebbe tirarsi indietro, ma poi
resta, resta eccome.
Lo scorso venerdì non ho nemmeno avuto il tempo
di aggiungere qualche parola sull’inizio della sesta stagione di Teen Wolf e adesso siamo addirittura al secondo episodio e… il
tema dei ricordi, del cancellare una persona è qualcosa che mi tocca parecchio,
soprattutto considerando che gli ho dedicato un’intera storia lo scorso anno e
sì, voglio proprio vedere quanti frame avremo in tutta la stagione di Stiles.
Al prossimo venerdì,
Antys