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Autore: Lione94    27/11/2016    2 recensioni
Danases è un mondo fantastico popolato da Elfi, Draghi, Nani e altre creature magiche, sull'orlo del caos.
La protagonista della nostra storia è Elien, una semplice mezz'elfa che vive nella foresta di Elwyn nel profondo nord del paese. Sono dieci lunghi anni che si nasconde, ma non può sfuggire a ciò che è.
Quando i fantasmi del passato torneranno a farle visita e l'ombra della minaccia di una guerra distruttiva tra Elfi e Draghi si allungherà sul suo mondo allora sarà costretta a lasciare il suo nascondiglio e a intraprendere un lungo viaggio che la porterà a compiere il suo Destino...
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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5. Il Mare Infinito




Uscimmo all’alba dalla città di Tedrasys e andammo dove, quattro giorni prima, avevamo lasciato i nostri due draghi.
« Daelyshia! Ogard! » li chiamai preoccupata perché non si trovavano dietro la collinetta.
« Arriviamo! » rispose Daelyshia, mandandomi un’immagine sfocata in cui si stavano avvicinando.
Dopo qualche minuto arrivarono. Ogard era cresciuto, adesso arrivava all’altezza della mia testa, invece della spalla, e anche Daelyshia era cresciuta moltissimo nei giorni in cui non era stata con lei, prima mi arrivava al ginocchio, adesso all’altezza del gomito.
Mentre Menfys abbracciava il corpo squamoso di Ogard, Daelyshia mi leccò il volto con la sua lingua ruvida, solleticando la guancia.
« Mi sei mancata ».
« Anche tu, Daelyshia ».
Menfys si allontanò da Ogard e i due si guardarono silenziosamente. Capii che Menfys gli stava raccontato ciò che era successo. Ogard mi lanciò uno sguardo veloce, infine Menfys si rivolse a me e Daelyshia: « Vi dirò dove si trovano le tre Pietre Elemento » il suo sguardo saettò da me a Daelyshia, e poi si posò nuovamente su di me « Le prime due, Terra e Acqua, si trovano rispettivamente nella città degli Elfi della Terra e nella città degli Elfi dell’Acqua. La terza, invece… ». 
« Cosa? » chiese Daelyshia, interrompendolo ansiosa.
« Il Grande Saggio pensa che la terza pietra, ovvero quella dell’Aria, si trova ad Astrakan ». 
Trasalii. Astrakan era il mondo degli umani. Che cosa ci faceva lì la nostra magia?
« Come faremo ad arrivarci? » domandai agitata, torcendomi le mani.
« Adesso non preoccupiamoci di questo… » disse Menfys, apparentemente tranquillo « La nostra prima tappa è Raducis, la città degli Elfi dell’Acqua! » esclamò fiducioso, con un sorriso obliquo. Sorrideva così tanto che sembrava l’avesse colpito una paralisi facciale.
Ogard fece guizzare la coda: « Non so il perché, ma quel sorriso non mi piace ».
«Non so il perché ma sono d’accordo con lui» confidai a Daelyshia che ridacchiò.
 

Ci mettemmo in viaggio. Procedevamo con un’andatura regolare. Camminammo per qualche ora, fin quando i due soli non furono alti a illuminare tutta la pianura di Abbarak, che si estendeva finché i suoi confini non si confondevano con l’orizzonte, facendomi sentire troppo piccola per un luogo così immenso e aperto. Ci fermammo per il pranzo ai margini di un piccolo boschetto, l’unico che si vedeva in tutta la grande pianura. Menfys raccolse della legna e accese il fuoco con un semplice incantesimo. Ogard e Daelyshia andarono a cacciare della selvaggina per mangiare e Menfys rimase a guardare, con occhi velati, il fuoco, che danzava scoppiettando davanti ai suoi occhi, grazie alla magia.
All’improvviso si sentì un fruscio tra gli alberi.
Menfys s’irrigidì e occhieggiò il boschetto.
« Che c’è? » chiesi, preoccupata dalla sua reazione.
« C’è qualcuno tra gli alberi » mormorò.
Allora i passi si sentirono più vicini, intravidi un’ombra tra gli alberi e i cespugli davanti a noi si aprirono. Comparì una figura dalla carnagione azzurrina: un’Elfa dell’Acqua. Indossava una lunga tunica marrone che le arrivava sino alle ginocchia e le copriva le spalle, ma lasciava scoperte le braccia sode. Portava degli stivali che, come i miei, le fasciavano i polpacci e sul collo aveva legata una sciarpa azzurra come la sua pelle, che le copriva le piccole branchie, che hanno tutti gli Elfi dell’Acqua. I suoi occhi erano castani, grandi e ornati da folte e lunghe ciglia, e i capelli marroni, dello stesso colore del suo sguardo, erano un po’ più corti dei miei e ricadevano con dei morbidi boccoli fino alle sue spalle, dandogli un’aria da bambina. Una folta frangetta di capelli ribelli le nascondeva la fronte e le sottili sopracciglia oblique. Non era alta, anzi, in confronto a Menfys, sembrava addirittura molto bassa, cosa che evidenziava le sue forme morbide e pronunciate. Il suo viso tondo m’ispirava fiducia e simpatia… aveva qualcosa di familiare…
« Chi sei? » domandai confusa, poi la riconobbi: quella era l’elfa che avevo visto dal Grande Saggio e che mi aveva accompagnato nella stanza silenziosamente, osservandomi curiosa.
«Il mio nome è Mavina» rispose l’elfa dell’Acqua.
La sua voce era sottile e morbida, come il suo corpo; era molto musicale, mi ricordava il canto degli uccellini che risuonava nelle foreste all’alba. 
« Mi manda il Grande Saggio » tossì quando, tirando indietro la piccola sciarpa che si stava sciogliendo, quasi si strozzò.
« Va tutto bene? » le chiese Menfys, trattenendo una risata.
Mavina avvampò e tossicchiò ancora, si sistemò la sciarpa in modo che respirasse, infine annuì: «Sono stata mandata per aiutarvi, vi servirà un'Elfa dell'Acqua per entrare a Raducis… per me questo è un grande onore, vostra altezza » esordì, chinando il capo nella mia direzione. I boccoli castani le rimbalzarono sulle spalle e quando la frangia le oscurò la vista, sbuffò e si rialzò, scostandosi i capelli dagli occhi; poi le sue labbra carnose si schiusero in un ampio sorriso, facendo formare due fossette sulle guancie. Capii che il Grande Saggio le aveva raccontato tutto. Il suo aspetto così dolce e rassicurante non mi fece dubitare sul perché l’avesse fatto.
« Ehm… chiamami Elien » le dissi in imbarazzo « E, per favore, non inchinarti più » non mi piaceva che qualcuno si inchinasse in quel modo.
Dopo tutto non ero solo che una mezz'elfa.
« Va bene » disse Menfys « Se il Grande Saggio si è fidato di te, ci fideremo anche noi ».
Dopo un po’ di tempo arrivarono Daelyshia e Ogard.
Menfys raccontò tutto a Ogard, mentre Daelyshia si rivolgeva all’elfa: « Come hai fatto a trovarci? ».
« Questa è l’unica strada per Raducis, quindi dovevate per forza essere qui » squittì Mavina, improvvisamente spaventata che la voce di un drago le entrasse nella mente.
Capendo il suo disagio la rassicurai: « Ti ci abituerai ». 
« Quanto manca per Raducis? » le chiese Menfys, all’improvviso. 
Mavina rifletté per un attimo: « Se ci mettiamo da adesso in marcia, arriveremo tra dieci giorni ».
Quando finimmo di mangiare riprendemmo il cammino verso Raducis. Il sentiero battuto che percorrevamo era poco calpestato, segno che in quel periodo era poco praticato dagli Elfi, ma Mavina camminava agile sul terreno e pensai che dovesse conoscere molto bene la strada. Anche se era molto più bassa di un elfo normale, si muoveva con la stessa grazia felina di Menfys, cosa che le invidiavo molto, al confronto della mia andatura veloce e goffamente poco graziosa. Il viaggio proseguì senza ostacoli, fino alla sera del sesto giorno, quando arrivammo all’entrata di una palude dall’aria malsana.    
« La palude Zoram… » esalò Menfys, con aria circospetta « È meglio se per questa sera ci accampiamo qui fuori » decise, guardando sospettoso quel posto acquitrinoso e umido davanti a lui chiamato palude.
« Ma se entriamo adesso in poche ore saremo fuori » obbiettò Mavina.
« Di notte non si viaggia nella palude Zoram! » insisté Menfys, caparbio « Non hai sentito delle voci che circolano in città? »  chiese a Mavina, che scosse il capo.
Allora Menfys disse: « Si dice che nella palude sia ritornato » e dalla voce che aveva assunto, capii che doveva essere qualcosa di pericolo.
« Ma quella era una vecchia storia per spaventare i bambini » ribatté Mavina, perplessa.
« Lo so » ribadì Menfys « Ma molti elfi sono scomparsi lì dentro. Quindi entreremo domani mattina ».
Dopo aver acceso il fuoco e aver mangiato la cena, composta da un po’ di carne arrostita, mi avvicinai a Menfys. Se proprio dovevo aiutare gli elfi, valeva la pena imparare altri incantesimi.
« M’insegni nuove magie? ». 
Menfys mi osservò. Per un momento temei che avrebbe rifiutato, dopo aver sentito quello che avevo raccontato dal Grande Saggio, però lui sorrise: « D’accordo ».
Mi fece esercitare con piccoli esercizi, che per lui non costavano nessuna fatica: far levitare altri oggetti, come pietre o bastoni, oppure piccoli incantesimi di guarigione. Ogni volta che sentivo il pensiero luminoso nella mia mente e lo usavo mi sentivo sempre più stanca, finché iniziai ad ansimare e Menfys mi fece smettere.
« Ti senti meglio? » mi chiese, dopo avermi fatto riposare.
« Sì grazie» risposi, riprendendo il mio colorito.
« Non devi preoccuparti. Stai andando molto bene » mi rassicurò.
« Lo spero ».
Il giorno seguente entrammo nella palude legati in vita con una corda per non perderci, con a capo Mavina, al centro i due draghi, poi Menfys e infine me. La palude sembrava ancor più terrificante della sera prima: aleggiava un’aria sinistra con tanto di nebbia impenetrabile, e le liane grigiastre che scendevano dagli alberi sembravano dei serpenti velenosi, pronti a catturare la preda, con i loro denti affilati. C’erano anche molte ragnatele, alcune erano così grandi che al centro si erano sfilacciate per il loro stesso peso. Una strana libellula, dalle ali viola, rimase imprigionata in una grossa ragnatela e fu subito ingogliata da un gonfio ragno a otto zampe. Repressi un brivido di disgusto. Seguimmo per tutto il tempo il corso del fiume Okaya, sicuri che ci avrebbe portato all’uscita perché sfociava nel lago Baab, situato appena fuori della palude. Il fiume in un punto si allargava e fummo costretti a avvicinarci all’acqua malsana. Camminavo silenziosa, vicino a Menfys, quando all'improvviso sentii qualcosa di viscido afferrarmi la caviglia.
« Qualcosa mi sta tirando giù! » urlai cadendo e cercando con le mani qualcosa per non essere trascinata nell’acqua, che già mi stava bagnato le gambe. La corda che legava tutto il gruppo si tese e cominciò a sfilacciarsi. Quando la  fune tra me e Menfys si ruppe, mi aggrappai alla sua mano, però la mia era troppo sudata a causa dell’agitazione per garantirmi una presa sicura. Dall’acqua emerse un mostro con tanti tentacoli pieni di bolle pulsanti di verde veleno e una testa viscida senza occhi. Alzò i tentacoli e spalancò una bocca piena di denti affilati. Senza volerlo un urlo di terrore uscì dalle mie labbra. Era la creatura più orrida e ripugnate che avessi mai visto.
Mavina strillò orripilata: « Allora esiste veramente! ». 
« Stai calma Elien! » esclamò Menfys, quando la mia mano scivolò dalla sua « Ti salveremo! ».
Con la spada liberò gli altri dalla corda, poi prese l’arco dalla faretra e cominciò a tirare delle frecce argentate contro l’orrida creatura. Intanto il mostro delle paludi stava avvinghiando le mie gambe con alcuni tentacoli, cercando di trascinarmi verso la sua bocca. Ansimai un gemito e sentii le gambe intorpidirsi, a causa della presa troppo forte.
« La sta soffocando! » disse Ogard, che cominciò a tirare dei sassi con la coda, colpendo una bolla verde e pulsante che la bestia aveva sui tentacoli, da dove iniziò a uscire un liquido verde e puzzolente.
« Resisti Elien! ».
Menfys unì le mani e dalle dita davanti a sé, in direzione del mostro, si diresse un fascio di luce bluastra, che colpì la bocca del mostro ed esplose. La creatura urlò di dolore e mi lasciò cadere. Sentii la pressione nelle orecchie quando colpii la superficie dell’acqua bruscamente e annaspai cercando l’aria. Vidi Mavina che nuotava veloce per riuscire a prendermi, mentre stavo lentamente andando verso il fondo, sentendo la testa girarmi. Quando mi raggiunse, sentii le sue mani sicure spingermi fuori dell’acqua per farmi respirare. Mi trascinò a terra, dove mi lasciai cadere, esausta. Sentivo i polmoni bruciarmi e tossii, sputando dell’acqua. Daelyshia e Ogard presero delle liane resistenti e, con una veloce mossa, le legarono ai tentacoli dell’enorme mostro e tirarono: quello cadde all’indietro e affondò nel fiume. Per alcuni secondi nessuno si mosse, ma il mostro non riemerse dall’acqua. Menfys si avvicinò a me: « Elien, mi senti? ».
Avevo chiuso gli occhi, facendo grossi respiri. Cercai di dire qualcosa, però ero troppo stanca per rispondere, ma non per sentire Menfys prendermi tra le sue braccia e, insieme al gruppo, uscire dalla palude quasi correndo, per evitare altri inconvenienti.
Di questo passo non so se sarei arrivata viva alla fine di questo viaggio.


Guardai la mappa che Menfys aveva in mano e che stava consultando con attenzione.
« Dove si trova la Pietra dell’Acqua? » chiesi, e Menfys indicò un punto a ovest della mappa, dove c’era nel mare una piccola scritta con un inchiostro nero: Raducis.
« E la Pietra della Terra? » continuai curiosa, e Menfys indicò un punto a nord-est della mappa, nel mezzo di una grande foresta.  
« Quanto sono lontani » commentò Daelyshia, mentre continuavo a guardare il puntino, affascinata.
La mappa del mondo di Danases non era una mappa qualsiasi: riproduceva tutti i particolari e i suoi contorni si muovevano a seconda di come soffiava il vento, facendo ondeggiare gli alberi e le onde increspare il mare. Seguendo il movimento della mappa, che segnava il nostro percorso, impiegammo dieci giorni per vedere il terreno cambiare sotto i nostri piedi e diventare sabbia dorata, l’aria farsi umida. Però riuscimmo a scorgere il mare solo il giorno dopo, quando ci accampammo su una spiaggia riparata dal vento, che rendeva il mare agitato. 
« Dobbiamo entrare là dentro? » chiesi intimorita, guardando un’onda che s’infranse contro uno scoglio con grande violenza provocando un violento fragore.
« Temo di sì » rispose Menfys, accendendo un piccolo fuocherello con la magia.
Mavina sorrise vedendomi angosciata: « Non avere paura. Il vento cesserà la mattina… È sempre così ».
E la mattina, come aveva predetto Mavina, il vento cessò, il mare tornò calmo e gli uccelli si avvistarono all’orizzonte. L’aria piena di salsedine rendeva gli occhi cisposi e le mani sudate a tutti, tranne che all’Elfa dell’Acqua che sembrava essere perfettamente nel suo elemento. Anche se la sera precedente mi era sembrato un luogo spaventoso, adesso non riuscivo a staccare gli occhi dalla luce dei soli che si specchiava nell’acqua, increspata lievemente da un refolo di vento.
Il rumore continuo delle piccole onde m’incantava.
« Come faremo a entrare? » chiese Ogard, guardando Daelyshia, che scosse la testa dubbiosa.
« Come faremo noi a entrare! » lo corresse Menfys, indicando se stesso, me e Mavina « È fuori discussione che voi entriate con noi ». 
« Certo » concordai, anche se un po’ titubante perché non volevo separarmi da Daelyshia « Non potete venire con noi ».
Daelyshia contestò con furia, frustando la coda: « Non possiamo sempre nasconderci! ».
« È per il vostro bene! » insisté Menfys, impuntandosi « C’è una guerra tra i draghi e gli elfi! ».
« Lo sappiamo benissimo! » ribatté Ogard, acido.  
« Ogard, Daelyshia » intervenì Mavina « Cosa pensate che farebbero gli Elfi dell’Acqua se vedessero arrivare dei draghi? Sicuramente li attaccherebbero senza lasciargli via di scampo ».
I due draghi provarono di nuovo a contestare però Menfys li zittì, così esclamarono rattristati: « D’accordo, ci nasconderemo ».
Mavina annuì e si rivolse a Menfys: « Dovremo aspettare il segnale per entrare » disse, guardando il mare e poi sospirò « Da quando c’è la guerra, le misure di sicurezza sono aumentate così tanto che dovremo stare attenti a non ritrovarci con le guardie alle calcagna, perché ci credano draghi mascherati ». 
All’improvviso sentii una grande tristezza. La mia faccia doveva essere così afflitta, tanto che Menfys mi chiese cosa succedeva.
« È triste. Non è vero? » domandai mestamente « È triste vivere costantemente nella paura di perdere la propria vita ». 
« Sì, ma noi siamo qui per questo, no? »  sorrise, quando lo guardai confusa, e continuò: « Per riportare la pace ».
All’improvviso dall’acqua provenne uno schizzo e così ci avvicinammo al mare, mentre i due draghi si avviarono velocemente verso le pianure per cercare un nascondiglio. Dall’acqua emerse un grosso pesce rosso, con due occhiali poggiati vicino agli occhi e un fiocco su quello che doveva essere il suo collo squamoso. Ridacchiai alla sua vista.
« Non è educato ridere in faccia alle persone » mi riprese parlando e sbarrai gli occhi, sorpresa.
« Ma tu sei un pesce » ribatté Menfys, pacato. A volte sapeva essere davvero fastidioso.
Mavina cercò di recuperare la situazione e chiese con garbo al pesce che guardava offeso Menfys: « Possiamo entrare a Raducis? ».
« L’ingresso è aperto, ma se volete entrare dovete sbrigarvi, non lo sarà ancora per molto » detto questo il pesce sparì sott’acqua con un guizzo di coda.
Mavina guardò Menfys: « Per arrivare a Raducis, tu ed Elien dovete usare l’Incanto dell’Aria… quando arriveremo alla città potrete respirare liberamente ». 
« Che cos’è… » cominciai, ma fui zittita da Menfys che fece uno strano movimento con le mani ed esclamò: « Acquarium! ». 
Qualcosa si mosse davanti a me.
Aprii gli occhi e misi a fuoco Menfys con la testa dentro una bolla d’aria e con le mani palmate come le rane. Mi guardai le mani e vidi che anche le mie erano diventate palmate, allora mi toccai la testa e sentì una bolla d’aria avvolgerla.
« La magia è riuscita benissimo » affermò Mavina che non aveva nessun incantesimo, ma si era tolta la sciarpa azzurra per respirare con le sue piccole branchie.
Agitò una mano: « Andiamo? » e iniziò a nuotare verso il basso.
Nuotammo per circa un’ora, immersi completamente nel buio, fino a che un’intensa luce, accecante, si parò davanti a noi, e quando riuscii ad aprire nuovamente gli occhi lacrimanti vidi un’enorme città, poggiata sul fondo marino, che risplendeva di una luce argentata: Raducis.
« Siamo arrivati! » esclamò Mavina, continuando a nuotare verso la meta.
Ci avvicinammo e sentii un improvviso calore. L’Incanto dell’Aria svanì, lasciandomi respirare normalmente, come se al posto dell’acqua ci fosse l’aria, solo che ogni respiro emesso creava delle piccole bollicine. Entrammo in città, e notai che gli Elfi dell’Acqua camminavano normalmente, con i piedi poggiati per terra, come aveva iniziato a fare Mavina, dopo essersi posata al suolo. Come facessero, era un mistero. Quando anche Menfys ed io ci poggiammo al suolo, iniziammo a camminare. A Raducis vivevano anche molte Sirene e Tritoni che però, al contrario degli elfi, si muovevano nuotando nell’acqua, agitando le loro eleganti code.
Gli edifici della città erano, per la maggior parte, circolari con davanti delle colonne con delle incisioni. Tutte le costruzioni, osservai, erano fatte con materiale simile al corallo del mare aperto, brilluccicante, e nel centro sorgeva un edificio ovale che continuava in altezza, girando su se stesso come una spirale.
« Quella è la casa del Grande Saggio dell’Acqua » spiegò Mavina, indicando l’edificio ovale.
Camminammo, finché non arrivammo al magnifico portone dell’edificio, con due altissime colonne intagliate con splendide immagini di elfi e sirene. Mavina bussò e sulla porta il suono si amplificò, fino a diventare come il ruggito di un drago.
Rimasi a bocca aperta, quando l’ingresso si aprì e comparve una sirena, dalla lunga coda dorata e dalle mani palmate, che ci guardò altezzosa e, scuotendo i lunghi capelli violetti, cantando disse: « Dichiarate il vostro intento ».
Menfys balbettò qualcosa, mentre guardava la sirena, affascinato. Sembrava non ne avesse mai vista una da vicino. Ecco perché si diceva che le sirene avevano il potere di incantare: erano così belle. Ma su di me l’incantesimo non aveva effetto e così diedi una gomitata a Menfys.
« Patetico » mormorai e lui mi guardò offeso.
In un angolo remoto della mente, sentii Daelyshia ridacchiare, divertita.
« Dobbiamo vedere il Grande Saggio » annunciò Mavina, allora la sirena annuì e fece segno di seguirla con una piccola mano palmata.
Come a Tedrasys, il palazzo del Grande Saggio era in piena attività, con Elfi dell’Acqua e sirene che andavano e venivano da un piano all’altro del palazzo. I rumori dei passi si confondevano con il suono delle voci cristalline.
« Non credo sia conveniente continuare gli esperimenti con le meduse » esclamò un tritone. L’elfo che gli camminava al fianco era immerso nella lettura di un libro. Lessi il titolo, divertita: "Meduse e Polpi: i bisbetici rapporti marini".
« Hai ragione Alean » concordò l’altro, alzando lo sguardo verso il tritone « Sono diventate troppo bisbetiche ». 
Seguimmo la sirena che continuava a scuotere i capelli, irritandomi. Salimmo una splendida scala, dal corrimano fatto di rossi coralli. Dopo tre piani, quando arrivammo all’ultimo scalino, notai che c’era una calma piatta, e che le porte erano intagliate con eleganti ghirigori, i muri pieni di dipinti e le mattonelle del pavimento formavano maestosi disegni argentati. Ci fermammo davanti a una porta, la sirena ci fece un piccolo saluto e, con mio grande sollievo se ne andò, lasciandoci soli.
Mavina entrò, aprendo la porta di scatto. All’improvviso sembrava ansiosa di entrare. Io e poi Menfys la imitammo, varcando la soglia e chiudendoci la porta alle spalle.
Il Grande Saggio era seduto su una sedia di coralli gialli che era incastonata nel pavimento dello stesso colore, era come se fossero fusi insieme. Era voltato e, dandoci la schiena, osservava con espressione assorta il muro di marmo, splendente davanti a lui, dove mi accorsi, meravigliata, c’era un dipinto, fatto con i coralli, che ritraeva il volto di una giovane elfa, dallo sguardo dolce e limpido. Il colore del corallo che formava il suo volto era azzurro e quello dei capelli, che le ricadevano morbidi oltre le spalle, era marrone chiaro. Osservando bene il ritratto notai che quell’elfa somigliava molto a Mavina. Il resto della stanza era spoglio, ad eccezione di una piccola finestra da cui filtrava la luce, illuminando l’ambiente, insieme a una lampada rossa vicino alla porta da cui eravamo entrati. Sembrava che l’essenza della stanza fosse racchiusa nel dipinto sulla parete marmorea, o almeno così sembrava a me…
Mavina si fermò dietro il Grande Saggio e sospirando lo fece voltare. Notai che aveva il colore della pelle più scuro degli altri elfi dell’Acqua. Aveva i capelli corti e una corta barba grigia. Il volto era segnato dagli anni e il suo sguardo era nero, scurissimo, la pupilla e l’iride formavano un tutt’uno dandogli un’aria profonda. Indossava una tunica verde smeraldo, con dei ricami dorati uguali a quelli del Grande Saggio a Tedrasys, che frusciò quando si alzò.
« Benvenuta mia sovrana, benvenuto Menfylius di Tedrasys »  disse il Grande Saggio, facendo un profondo inchino e arrivando a toccare le ginocchia con la fronte.
Rimasi stupita da quando fosse flessibile il suo corpo, che doveva avere un bel po’ di anni. Lanciai un’occhiata a Menfys, e dalla sua espressione capii che non aveva molto gradito di essere chiamato con quel nome. Rimasi ancor più sorpresa quando l’anziano elfo abbracciò Mavina, dicendole: « Bentornata a casa, figlia mia ».
« Figlia? » sussurrai sorpresa a Menfys, che scrollò le spalle, confuso. 
« Io sono Dun Grubbed, il Grande Saggio che diede origine al popolo degli elfi dell’Acqua, per servirvi » annunciò il Grande Saggio, staccandosi dall’abbraccio di Mavina e rivolgendosi a me, inchinandosi nuovamente.
Tutti quegli inchini iniziavano a mettermi in imbarazzo e anche a irritarmi.
« Il Grande Saggio Dun Morongh mi ha detto perché siete qui… ora però non è il momento di parlare di questo, dovete riposare. Mavina vi accompagnerà nelle vostre stanze… » disse il Saggio.
« Ma… non possiamo, dobbiamo sbrigarci! » lo interruppe Menfys. 
« Mio caro ragazzo, questa faccenda è molto seria! » esclamò Dun Grubbed con un’espressione solenne in volto, ed ebbi l’impressione che fosse un elfo con poca pazienza « Anche se è ancora mattina, dovete riposare dopo un lungo viaggio da Tedrasys a qui. Sento la vostra energia molto debole e per affrontare il futuro vi serviranno tutte le vostre forze. Ora seguite Mavina » ci sorrise e un lampo di stanchezza attraversò i suoi occhi « Vi aspetterò domani mattina all’alba ». « Padre… io volevo? » Mavina lanciò uno sguardo esitante al Saggio. 
« Certo, figliola, vai pure » rispose Dun Grubbed « Si trova nella sua stanza ».
Io e Menfys ci scambiammo uno sguardo confuso.
Uscimmo dalla stanza e Mavina ci guidò attraverso il castello, fino a portarci davanti a una porta di legno. Mavina la spalancò: dentro c’era un letto, dove stava seduta un’elfa dell’Acqua con un piccolo bambino che dormiva. Lei aveva un lungo vestito e con piccoli movimenti, per cullare il bambino, faceva ondeggiare i lunghi capelli, marroni come quelli del piccolo elfo. Si fermò di scatto e spalancò gli occhi neri quando il suo sguardo guizzò sui nostri volti.
« Mavina? » l’elfa balzò in piedi, facendo attenzione al piccolo elfo « Mavina! ». 
« Aishia! » Mavina abbracciò l’elfa, facendo sempre attenzione al piccolo, che dormiva, ignaro della confusione.
Mavina si staccò dall’abbraccio dell’elfa sconosciuta e disse: « Elien, Menfys, questa è mia sorella Aishia, e… » un piccolo rumore interruppe Mavina.
Il piccolo elfo si era svegliato e si agitava, scalciando e spingendosi verso Mavina: « Mam… mà ».
« … Questo è mio figlio Cearly » terminò Mavina, prendendolo in braccio.
Un po’ sorpresa mi avvicinai al bambino e gli scompigliai i capelli castani. Cearly mi fece una smorfia. Non credevo che Mavina avesse un figlio, invece quel piccolo elfo lo era veramente; i loro occhi erano uguali, come i loro volti rotondi. Eppure Mavina sembrava così giovane…
« Quanti anni hai, Mavina? » chiese Menfys, dando voce al mio pensiero.
« Sono nata dopo la Caduta ». 
Non avevo idea di quale Caduta parlasse Mavina, invece Menfys aveva capito.
Tradusse per me: « Duecento anni fa ».
Rimasi immobile per qualche secondo a causa della sorpresa. Duecento anni! Anche se per gli elfi era un’età normale, poiché vivevano per circa cinquecento anni, mi sentii smarrita. Era evidente che avrei dovuto riconsiderare i miei canoni di età. Guardai Menfys: la prima volta che l’avevo visto mi era sembrato molto giovane, anche se nel viaggio aveva dimostrato di avere molta più esperienza dei pochi anni che gli avevo attribuito. Una domanda mi premeva sulle labbra… Quanti anni aveva lui?
Il mio sguardo era diverso, perché essendo mezza umana io non avrei avuto una vita lunga come la loro. Cercai di guardare con gli occhi di un elfo e osservando bene la figura di Menfys gli attribuii più di cinquant’anni. Rabbrividii io, quando e se ci fossi arrivata, non sarei stata certo giovane come lui… poi mi ricordai che non ero una semplice mezz’elfa. Ero legata con un drago e quindi il mio tempo si era allungato, ma continuava a rimanere quello di un umano.  
« Tu sei davvero la figlia del Grande Saggio? » sentii la voce curiosa di Menfys domandare a Mavina. Mi riscossi dai miei pensieri. Mi promisi di non ripensarci finché tutta quella faccenda dei cambiamenti e dei legami con i draghi non si fosse chiarita.
« È una storia lunga, ma cercherò di essere breve » Mavina sorrise « Mia madre, quand’era giovane, trovò lavoro qui al castello: controllava la Grande Biblioteca. E quando conobbe il Grande Saggio gli donò il suo cuore. Nacque Aishia » indicò la sorella, che la stava ascoltando attenta « Poi mia madre morì, dandomi alla luce » il suo sguardo si fece velato « Ancora adesso, dopo tutto questo tempo, vedo mio padre soffrire quando si ricorda di lei… » sospirò « Era quell’elfa che è ritratta nella sua stanza ».
Io e Menfys ci scambiammo un’occhiata malinconica e Aishia tirò su col naso.
« Dov’è papà? » chiesi poi al piccolo Cearly, scompigliandogli di nuovo i capelli e facendogli la linguaccia. Rise, divertito.
« È ad Ayulin, nell’isola di Avly » rispose Mavina « E poiché il mio compito è aiutare il Grande Saggio a Tedrasys, mia sorella si è presa cura di Cearly ». 
« Ma adesso che sei tornata » la interruppe Aishia « Potrai passare molto tempo con lui ». 
« No, mamma non si ferma » disse Mavina a suo figlio; i suoi occhi erano accesi di una dolce luce, mentre lo stringeva tra le braccia « Mamma deve aiutare i suoi amici ». 
Stranamente, notai che sua sorella non contestò, ma rassegnata prese tra le braccia Cearly che mi fece un’altra smorfia e rise nuovamente. Dovevo piacergli molto.
« Non sei costretta a venire con noi » affermò subito Menfys ed io annuii « Tuo figlio è più importante ». 
« Non posso abbandonarvi adesso » ribatté Mavina « E poi servire gli elfi dell’Acqua è un onore » ci guardò con intensità « Lo faccio anche per Cearly, perché possa crescere in un futuro migliore ».
Ammirai il suo coraggio e la sua lealtà, ma dissi: « Noi ce la caveremo ».
« Senza di me? » l’Elfa dell’Acqua rise « Non penso proprio ».


Il mattino successivo, l’alba ci sorprese nella stanza di Dun Grubbed.
« La pietra si trova nelle viscere di questa città, nei sotterranei più segreti del mio palazzo, che conoscono solo in pochi – tra cui, di quei pochi, sono rimasto solo io – però, a guardia della pietra c’è qualcosa di mostruoso… qualcosa che creò la pietra nei tempi Antichi di Danases per difendersi ».
« Perché difendersi? » chiesi « Da chi? ». 
« Per non essere presa con facilità dagli elfi » rispose il Grande Saggio « La pietra possiede un grande potere, immaginate che cosa potrebbe succedere se cadesse in mani sbagliate ».  
« Allora come faremo a prenderla? » domandai ancora, visibilmente preoccupata, mentre nella mia mente si formava l’immagine di un mostro ripugnante, a forma di ragno, con sette occhi lattiginosi, che addentava con gusto un pezzo di Menfys. Trasalii, al ricordo di quello che avevo visto nella palude di Zoram.
« Ce la farete, dovrete sconfiggere il guardiano… la pietra riconoscerà se le vostre intenzioni sono buone » il Grande Saggio mi sorrise, poi annunciò: « È ora di andare… vi accompagno ».
« Vi accompagno? Ce la farete? » ripeté Menfys confuso, preso alla sprovvista, guardando l’anziano elfo « Ma, allora, non ci aiuta a prendere la pietra! ». 
« Ovviamente! » esclamò Dun Grubbed « Dovete farcela da soli » spiegò con calma.
Il Grande Saggio uscì dalla stanza e ci guidò attraverso i piani inferiori del palazzo. Ogni elfo o sirena o tritone che lo vedeva faceva una profonda reverenza, per poi tornare al suo dovere. Al piano terra, il Grande Saggio si diresse verso una sudicia porta, incrostata dalla ruggine, nascosta in una nicchia sotto la scala principale. Percorremmo un antico corridoio, illuminato da delle torce, su cui ardevano delle piccole fiammelle azzurre, che proiettavano le loro ombre sui muri, rendendole mostruose. Vidi l’ombra di un piccolo pesce nuotare verso di noi e poi sorpassarci di corsa.
« Che brutto posto » sussurrai, rabbrividendo.  
« È da molto tempo che questi passaggi non vengono percorsi » disse Dun Grubbed sfiorando con le dita il freddo muro  « Risalgono all’Era Antica di Danases ».
« Non sapevo della loro esistenza » mormorò Mavina.
Il padre ridacchiò: « Mantengo bene i segreti ».
Continuammo a camminare per un po’ di tempo, quando il tunnel curvò e il Grande Saggio, improvvisamente serio, si fermò e ci fece segno di proseguire.
« Per uscire dovrete ripercorrere questo corridoio all’inverso » sussurrò, guardandoci a uno a uno « E mi aspetto di rivedervi tutti nella mia stanza ».
L’anziano elfo abbracciò Mavina, si girò e ripercorse il tunnel al contrario. Riprendemmo a camminare, quando l’eco dei suoi passi si affievolì fino a sparire.
All’improvviso il tunnel si allargò e ci ritrovammo in un’immensa sala circolare.
« Guardate! » esclamò Menfys indicando un punto.
Al centro c’era una deca con dentro una pietra azzurra: la Pietra Elemento.
« Attenta! » sentii mormorare Daelyshia da lontano, in una parte remota della mia mente.
Facemmo cautamente un passo avanti. All’improvviso un forte bagliore ci accecò e allora apparve il mostro: era alto più di tre metri, fatto interamente di ghiaccio, che sulla sua schiena formava punte acuminate dall'aria molto pericolosa. Urlai spaventata e Menfys mi tappò la bocca con una mano.
« Ehi… uhmf » dissi con la voce soffocata dalla mano di Menfys « … Lacciami! ».
« Shh… zitta » sussurrò Menfys lasciandomi « Guarda, è cieco! Cerchiamo di prendere la pietra senza farci sentire e andrà tutto bene » detto ciò si appiattì al muro e iniziò a strisciare verso la pietra. Io e Mavina lo seguimmo.
Il Guardiano dell’Acqua, non avendo gli occhi, restò immobile, cercando di avvertire i nostri movimenti.
Mentre camminavo, lanciavo continue occhiate nervose al guardiano. Inciampai in una vecchia pietra nel pavimento e caddi a terra storcendomi una caviglia. Gemetti, ansante, stringendola. Accidenti! Il mostro, avvertendo il rumore, si girò verso di noi e ci attaccò, tirando dei grandi ghiacci, appunti e taglienti come rasoi, dalla sua schiena.
« Menfys, aiuto! » urlò Mavina, afferrandomi e trascinandomi via dalla traiettoria dei ghiacci.
Cercai di seguirla zoppicando, ma la caviglia dolorante cedette e Mavina non riuscì più a trascinarmi. Strisciai verso il muro e mi coprii la testa tra le mani. Non era un gesto molto coraggioso ma non ero di molto aiuto agli altri se non riuscivo a camminare. Menfys, con uno scatto repentino, afferrò il suo arco dietro alla schiena, e scagliò delle frecce contro il mostro, però quelle rimbalzarono contro il duro ghiaccio, senza nemmeno scalfirlo. Allora l’elfo si mise a correre, pestando rumorosamente i piedi a terra. Si diresse verso l’altra parte della stanza, allontanando il Guardiano da me e Mavina, che cercò di nuovo di mettermi in piedi.
« Menfys! » tentò di chiamarlo.
« Sono un po’ impegnato, al momento! » ululò lui, provocando un’altra raffica di ghiacci appuntiti, che evitò facendo un salto contro il muro, dove si ficcarono quelli, sibilando.
Allora Mavina usò la magia, urlando l’incantesimo. Spedì una grossa pietra contro la schiena del guardiano, che ringhiò furioso e con un grosso pezzo di ghiaccio colpì alla testa l’elfa dell’Acqua, che cadde a terra svenuta. Guardai la scena, impotente, stringendomi la caviglia. Mi voltai, presi un frammento di ghiaccio che si era incastrato nel pavimento sibilando e, senza riflettere, lo poggiai sulla caviglia cercando un po’ di sollievo dal dolore. Il ghiaccio scomparve al contatto con il calore del mio corpo e all’improvviso capii.
« Menfys! » urlai, mettendomi in piedi, in bilico sulla caviglia sana « Fuoco! Devi utilizzare l’incantesimo del Fuoco! ».
« Fuocaius! » esclamò Menfys e sulle sue mani comparvero delle fiammelle dorate. Le diresse verso il Guardiano che lanciò un urlo di dolore, poi gridò: « Elien, prendi la pietra! ».
Iniziai a zoppicare verso il centro della stanza ma ad ogni passo non riuscivo a trattenere un gemito. Il mostro mi sentì e attaccò. Percepii il sibilo dei ghiacci. Cercai di allontanarmi ma ero troppo lenta.
« No! ». 
Uno scudo argentato mi comparì davanti. Continuai a zoppicare mentre Menfys, con enorme sforzo, cercava di mantenere lo scudo e di lanciare del fuoco contro il Guardiano. Ero vicina alla pietra quando lo scudo di protezione evocato svanì, seguito da un tonfo. Vidi Menfys scivolare a terra, ansimante, quando il mostro di ghiaccio lo colpì.
Mi guardai intorno, disperata, e come al richiamo della mia silenziosa richiesta di aiuto, sentii una scarica di energia lungo la schiena. La stanchezza era sparita. Mi sentivo forte, abbastanza forte da lanciare un incantesimo. Puntai le mani verso il mostro e urlai. Nella stanza si sprigionò una luce immensa, che centrò in pieno il mostro. Si sgretolò e diventò polvere ghiacciata. 
Caddi a terra e anche se stremata, lottai per restare sveglia e resistere all’improvviso sonno. Strisciai verso la teca, la aprii e presi la Pietra. In quel momento cedetti e tutto divenne buio.




Angolo autrice:
Aggiornamento lampo! Chiedo scusa se c'è qualche errore ma vado di corsa, però dato che avevo un po' di tempo ne ho approfittato per mettere un nuovo capitolo! :)


 

  
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