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Autore: Christine Enjolras    27/11/2016    1 recensioni
Marius Pontmercy, sedici anni, ha perso il padre e, nel giro di tre mesi, è andato a vivere con il nonno materno, ora suo tutore, che lo ha iscritto alla scuola privata di Saint-Denis, a nord di Parigi. Ora Marius, oltre a dover superare il lutto, si trova a dover cambiare tutto: casa, scuola, amici... Ma non tutti i mali vengono per nuocere: nella residenza Musain, dove suo nonno ha affittato una stanza per lui dai signori Thénardier, Marius conoscerà un eccentrico gruppo di amici che sarà per lui come una strampalata, ma affettuosa famiglia e non solo loro...
"Les amis de la Saint-Denis" è una storia divisa in cinque libri che ripercorre alcune tappe fondamentali del romanzo e del musical, ma ambientate in epoca contemporanea lungo l'arco di tutto un anno scolastico. Ritroverete tutti i personaggi principali del musical e molti dei personaggi del romanzo, in una lunga successione di eventi divisa in cinque libri, con paragrafi scritti alla G.R.R. Martin, così da poter vivere il racconto dagli occhi di dodici giovanissimi personaggi diversi. questo primo libro è per lo più introduttivo, ma già si ritrovano alcuni fatti importanti per gli altri libri.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Marius

La giornata di Marius stava procedendo nel migliore dei modi: lui e Enjolras avevano parlato molto quella mattina, sia durante le lezioni che tra l’una e l’altra, e a pranzo riusciva a intervenire nei discorsi senza dubbi o esitazioni. Tutte quelle piccole cose che lo avevano preoccupato il giorno prima sembravano delle sciocchezze in quel momento. I ragazzi lo avevano accolto nel loro gruppo come si fa con un vecchio amico che torna da un lungo viaggio e non lo avevano fatto sentire ‘quello nuovo’. Marius non riusciva a smettere di pensarci e continuava a ripetersi che era stato davvero fortunato ad incontrare dei ragazzi così simpatici e amichevoli: nessun altro ragazzo che aveva conosciuto lì a scuola era come loro, questo gli parve evidente. Prima di arrivare aveva pensato che avrebbe trovato degli spocchiosi figli di papà, invece aveva trovato un gruppo di ragazzi alla mano, umili, divertenti, semplici… dei ragazzi che, già solo dopo due giorni, gli avevano fatto provare una bella sensazione, quasi come fosse quello il posto in cui doveva stare: quasi quella fosse casa sua.

Quel giorno in mensa avevano preparato le omelette. Ogni studente poteva scegliere un ripieno a suo piacere e le cuoche lo riscaldavano sul momento: queste mense da ricchi! Marius stava per addentare l’ultimo boccone della sua omelette con prosciutto e formaggio quando una specie di uragano umano si avventò sul loro tavolo.

“RAGAZZI!” gridò Courfeyrac, sbattendo lo zaino sull’unico angolo libero del tavolo, accanto a Bossuet. Marius si sporse in avanti e riuscì a vederlo dall’altra parte di Joly e Bossuet, ansimante, come avesse corso.

“Se non ti dispiace io la sto ancora mangiando quell’omelette” disse Combeferre con tutta la calma di cui era capace, lasciandosi sfuggire tuttavia una nota di disapprovazione: per poco Courfeyrac non aveva colpito il suo vassoio e quello di Feuilly.

“Ma guarda chi si fa vivo!” esclamò Joly, non appena si fu ripreso dallo spavento. “Ma dov’eri finito?”

“Già!” sembrò dargli ragione Bossuet, mentre Joly gli ripuliva il maglioncino azzurro da tante piccole macchie di sugo. “Non ti sei fatto sentire tutta mattina!”

Courfeyrac si sedette sull’estremità della panca, accanto a Bossuet, spostò lo zaino a terra e disse: “Eh non potevo!” Poi afferrò la forchetta di Feuilly, seduto di fronte a lui, e diede un morso alla sua omelette al tonno.

“No ma fai pure: tanto non avevo fame!” disse il giovane custode, sarcastico. Marius pensò che Courfeyrac non avesse sentito la punta di sarcasmo nella sua voce perché lo vide prendere il piatto ancora mezzo pieno e mangiare come se non mangiasse da mesi mentre mormorava qualcosa a Feuilly con la bocca piena. Poi vide Enjolras, seduto di fronte a lui, allungare pazientemente quello che rimaneva della sua omelette con verdure a Feuilly: Marius aveva già intuito quella stessa mattina che Enjolras non doveva essere una di quelle persone che mangiano molto e anche l’esile fisico del ragazzo confermava la sua teoria. 

“Ehi, morto di fame!” Marius sentì la voce di Bahorel alzarsi da dietro la sua testa. “Vuoi dirci che cosa ti è successo o dobbiamo tirare ad indovinare?”

“Ci hai fatto preoccupare…” aggiunse Jehan “Perché hai scritto quelle cose?”

Courfeyrac notò che tutti lo stavano fissando, quindi inghiottì l’ultimo pezzo di omelette al tonno, si alzò in piedi, con la testa bassa e un’espressione cupa in volto. Stette in silenzio con gli occhi chiusi qualche secondo, poi allargò le braccia davanti a sé e fissando un punto imprecisato disse: “Momento flashbaaack!”

Raccontò che quella mattina era arrivato in classe e si era seduto in fondo, vicino al muro, in modo da nascondersi il più possibile dall’insegnante. Poi aveva visto le notifiche dal gruppo su Whatsapp e si era distratto, preso dall’entusiasmo che Marius fosse stato aggiunto. Mentre stava scrivendo a manetta, aveva sentito il professore aprire la porta e lo era riuscito a vedere entrare oltre la testa della ragazza che aveva davanti.

“Buongiorno, ragazzi.” Il temibile e severissimo ‘la-legge-sono-io’ Javert aveva fatto il suo ingresso in aula e tutti gli studenti si erano alzati in piedi per salutarlo, tranne Courfeyrac, ma gli era sembrato che il professore non se ne fosse accorto. Courfeyrac raccontò poi che per scherzo aveva fatto partire la ‘Toccata e fuga in Re minore’ di Bach dal lettore mp3 del suo iPhone, accompagnando l’ingresso del professor Javert con un cupo suono d’organo – TANANAAAAA! TANANANAAANAAAAAAA! – Courfeyrac proseguì il racconto della sua traumatica esperienza, dicendo di aver sentito i suoi compagni ridacchiare e di aver visto Javert alzare lo sguardo dall’elenco verso di lui e chiudere il registro.

Dopodiché lo aveva sentito dire, sospirando: “Monsieur De Courfeyrac. Noto che anche quest’anno ha deciso di mettersi al centro dell’attenzione fin dalla prima lezione.” Poi si era alzato in piedi e aveva ripreso: “Anch’io, allora, recupererò fin da oggi le abitudini dell’anno scorso: mi dia immediatamente quel telefono cellulare.”

E detto ciò aveva iniziato a camminare con passo lento e deciso verso Courfeyrac, con la schiena perfettamente dritta e le mani poste elegantemente dietro essa. Il ragazzo aveva fatto giusto in tempo a scrivere quegli ultimi quattro messaggi che i suoi amici ricordavano prima di vedersi portar via il telefono.

 

“Mi dicono che hai fatto una cosa molto furba…” disse Enjolras quando Courfeyrac ebbe terminato il suo racconto. “Come ti è venuto in mente di usare il telefono durante l’ora di Javert, scusa?!”

“Effettivamente… neanch’io avrei fatto una cosa così stupida, nemmeno da ubriaco!” disse Grantaire recuperando la bottiglietta d’acqua che aveva sul vassoio.

Bahorel scoppiò in una sonora e profonda risata e poi disse, ancora senza fiato: “Avrei voluto essere lì solo per vedere la faccia di quel mastino mentre sentiva la tua colonna sonora!”

A sentire questo scambio di opinioni, a Marius venne da chiedersi fino a che punto potesse essere terribile questo professor Javert... La cosa gli metteva una certa ansia, ma non lo diede a vedere: si limitò ad ascoltare e a cercare di immaginarselo. Per un attimo la figura elegante e curata che si era formata nella sua testa si sovrappose a quella di Lord Voldemort… o forse nemmeno lui era abbastanza terribile?

“E dopo che è successo? Dove sei stato fino ad ora?” aveva ripreso Enjolras, con lo stesso sguardo esasperato con cui una mamma guarda suo figlio rientrare a casa pieno di graffi.

“Sono andato a fare un sopralluogo” raccontò Courfeyrac prima di emettere un sonoro rutto. “Ops… scusate!”

“Oh oh! Questo sì che era un rutto come si deve!” aveva esclamato stupefatto Bossuet, “Schiaffami un cinque, amico!”

“Aaah ma dai! Che cosa… disgustosa!” aveva invece affermato Joly, tappandosi il naso per l’odore di tonno che si era diffuso a causa dell’alito di Courfeyrac. “Almeno potevi coprirti la bocca!”

“Ma che dici? È stato uno dei migliori rutti che abbia mai sentito!” gli fece notare Bossuet.

“Può darsi, ma non batterà mai il campione di rutto in carica!” disse allora Bahorel: Marius capì che si stava riferendo a sé stesso, e pure con un certo orgoglio!

“Sono perfettamente d’accordo. Nessuno può battere te: il volume dei tuoi suoni corporei supera i decibel consentiti dalla legge!” lo prese in giro Grantaire. Marius lo vide girarsi verso la sua sinistra: Enjolras lo stava guardando con uno sguardo severissimo, quasi terrificante. Non aveva mai visto uno sguardo simile in tutta la sua vita: era persino peggiore di quello che aveva lanciato a Bahorel poco dopo l’arrivo di Feuilly. Grantaire sembrava a disagio per via di quello sguardo, ma non smise comunque di guardare il biondo leader del gruppo.

“Possiamo non sviare il discorso?!” li riprese tutti quanti Enjolras. “Un sopralluogo dove? Per fare cosa?” Courfeyrac lo fissò in silenzio, poi passò una rapida occhiata a tutti gli altri.

“Voi mi dovete aiutare!” disse sbattendo la mano sul tavolo. Si poteva percepire la preoccupazione dei ragazzi riempire l’atmosfera.

“Perché qualcosa mi dice che ci metterai tutti nei guai?” disse Combeferre, che già stava per affondare la testa nelle mani, disperato.

“Devo riavere il mio telefono! Mi è stato tolto ingiustamente!” A questa affermazione di Courfeyrac, l’intero gruppo rimase in silenzio, quasi fossero sconvolti ed esasperati insieme.

Enjolras fu il primo a rompere il silenzio: “Io non credo proprio che tu possa parlare di ingiustizia.”

“Non puoi portare pazienza?” disse Marius, non capendo perché Courfeyrac avesse tanta fretta.

“Marius ha ragione!” lo sostenne Combeferre. “Te lo ridarà alla fine della settimana, in fondo.”

“Ma cosa faccio una settimana senza telefono?!” chiese Courfeyrac con lo stesso sdegno che Joly aveva mostrato prima riguardo al rutto.

“Si possono fare tante cose senza telefono!” gli disse Jehan, a bassa voce; Marius quasi non lo sentì, coperto dalle voci che riempivano la mensa. “Potresti trovare un nuovo hobby, come il disegno, la lettura o la scrittura!”

Marius pensò che Courfeyrac ci stesse riflettendo davvero, perché lo vide rimanere in fissa su Jehan in silenzio, con lo sguardo pensieroso posato sulla larga felpa marroncina del ragazzo coi capelli rossi. “Ma io lo rivoglio subito, il mio telefono!” Come non detto: Courfeyrac si ridestò dalla sua fissa e sbatté violentemente la mano sul tavolo… di nuovo.

“La vuoi piantare di martoriare questo povero tavolo?!” lo sgridò Feuilly.

“Ho bisogno di te!” gli disse Courfeyrac, indicandolo. Feuilly si stava pentendo di aver parlato: glielo si poteva chiaramente leggere in faccia. Courfeyrac riprese quasi immediatamente: “Mi serve che tu mi porti una piantina dell’edificio!”

“P-perché?” Si vedeva che Feuilly aveva paura di sentire la risposta che gli sarebbe stata data.

“Questo è un edificio vecchio! Ci saranno sicuramente dei passaggi segreti che conducono all’ufficio di Javert!” Courfeyrac sembrava davvero convinto mentre spiegava la sua tesi. Gli altri ragazzi del gruppo si limitarono a guardarsi allibiti, senza trovare le parole per descrivere la sua pensata.

Marius prese la parola: “Tu sai che questo non è un film giallo, vero?”

“Courfeyrac” iniziò Combeferre, “questo è un palazzo medioevale: forse puoi trovare una via di fuga sotterranea verso l’esterno, ma passaggi segreti ne dubito, specialmente al piano superiore. Il primo piano era quello dedicato agli appartamenti del padrone!”

“E anche se ci fossero non ho a portata di mano piantine abbastanza vecchie da riportarli!” aggiunse Feuilly. “Ci vorrebbero quelle originarie e non credo che siano nella scuola.”

“Grantaire, tu conosci ogni luogo in città!” tentò testardamente Courfeyrac. “Non sai come posso infiltrarmi nell’ufficio di Javert?”

“Ah mi spiace Courfeyrac: questo è l’unico posto in cui non ho agganci!” gli rispose Grantaire, sorridendo divertito, ma alzando le mani in segno di resa, quasi volesse starne fuori.

“Tanto il problema non si pone” disse Enjolras, interrompendo la discussione, “perché tu non ti infiltrerai nell’ufficio di Javert, Courfeyrac: discorso chiuso.”

Quello fu l’ultimatum del leader del gruppo: nessuno controbatté. Feuilly dovette correre verso l’orfanotrofio e gli altri lo accompagnarono all’ingresso per salutarlo. Rimasero nel chiostro a parlare ancora un po’ prima della ripresa delle lezioni, mentre Courfeyrac cercava nuovamente di convincere il gruppo ad aiutarlo a recuperare il suo telefono di nascosto. Enjolras e Combeferre tentavano in tutti i modi di dissuaderlo da quest’idea, ma sembrava non ci fosse nulla da fare. Anche Marius provò a farlo ragionare, ma niente: più i ragazzi cercavano di fargli cambiare idea, più Courfeyrac insisteva.

Persero tempo a discutere e si fece ora di tornare in classe per le lezioni del pomeriggio. Joly e Bossuet furono i primi ad andare via: Joly non voleva fare tardi a lezione e si tirò dietro il suo ragazzo. Gli altri ragazzi scortarono Bahorel in aula per essere sicuri che ci andasse e poi salirono tutti insieme per lo scalone monumentale diretti al primo piano, dove si trovavano le aule in cui avrebbero avuto lezione. Courfeyrac fu l’ultimo a rimanere assieme a Marius e ad Enjolras finché non arrivarono davanti alla sua aula.

“Ho tre ore per elaborare un piano perfetto. Ce la farò a riprendermi il telefono!” Queste furono le ultime parole che Marius e Enjolras sentirono pronunciare a Courfeyrac prima che richiudesse la porta dell’aula dietro di sé. Marius rimase a fissare la porta quasi sconvolto, poi si girò verso Enjolras e lo vide alzare gli occhi al cielo; infine si diressero verso l’aula di storia, passando accanto alla scala di servizio. Mentre percorrevano il corridoio che si affaccia sulla piazza principale, incrociarono un uomo alto, robusto, con i capelli corti già ingrigiti e la barba lasciata leggermente lunga, ma molto curata. Aveva un portamento elegante e composto, indossava un raffinato completo scuro e sotto la giacca portava una camicia azzurro chiaro: pur non avendo la cravatta, il suo abbigliamento risultava molto distinto. Quando fu abbastanza vicino a loro, Marius riuscì a notare che quell’uomo doveva essere circa sulla cinquantina e riuscì a vedere da vicino i suoi luminosi occhi verdi, tanto gentili quanto severi.

“Ah! Buongiorno, monsieur Enjolras!” disse cortesemente l’uomo.

Enjolras fece un cenno di saluto con la testa e rispose al saluto: “Buongiorno professor Javert.” Quello era Javert?! Era completamente diverso da come se lo era immaginato Marius… non sembrava per niente così terribile come dicevano gli altri ragazzi.

“Ho avuto modo di constatare che quest’anno sarà nella mia nuova classe in scienze politiche” riprese il professore, senza levare gli occhi da quelli di Enjolras. La sua voce aveva un tono molto basso e il suo modo di parlare era gentile, quasi rassicurante. “Si prepari: dai miei studenti chiedo il meglio!” Poi spostò lo sguardo verso Marius, lo guardò dalla testa ai piedi quasi incuriosito per qualche istante: davanti all’eleganza del vicepreside, Marius si sentì quasi in soggezione vestito con la sua vecchia camicia blu a maniche corte aperta sulla maglietta bianca e i jeans un po’ sciupati. Ma poi il professor Javert gli sorrise e l’imbarazzo si affievolì. “Non ricordo di aver già fatto la sua conoscenza, monsieur …?”

“Lui è Pontmercy” disse Enjolras capendo il disagio di Marius. “È appena arrivato, professore.”

“Ah ma certo! Marius Pontmercy! È anche lei nella mia classe del terzo anno!” Javert tese la mano a Marius e si presentò: “Io sono il professor Javert, insegnate di diritto e vicepreside di questo istituto: sarò il suo professore per i prossimi tre anni.”

Marius rispose al sorriso cortese del professore e gli strinse la mano, dicendo: “È un piacere conoscerla, professor Javert.”

“Purtroppo non riuscirò a venire in classe vostra, questa settimana: sono occupato a terminare le pratiche dei nuovi assunti. Ora vi lascio andare: non vorrei faceste tardi.” Detto ciò, fece un cenno di saluto accompagnato da un sorriso per congedarsi e lasciò passare i due ragazzi, in modo che potessero dirigersi velocemente in aula.

A Marius il professor Javert aveva fatto un’ottima impressione: non sembrava per niente così terribile e severo, tutt’altro! Iniziò a pensare che forse Courfeyrac aveva esagerato, che forse era stato melodrammatico nel suo racconto… o forse no? Non riusciva a spiegarsi il perché di quelle descrizioni così poco lusinghiere: a lui era sembrato cortese e, a prima vista, anche molto competente. Inutile pensarci in quel momento: lo avrebbe scoperto presto.

   
 
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