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Autore: charly    27/11/2016    1 recensioni
In questo libro conclusivo assisteremo ai primi anni di matrimonio di Deja e Zaron, in cui lei si renderà conto di provare qualcosa per suo marito, qualcosa di profondo, che la spingerà a cercare con insistenza la compagnia di suo marito e la passione che scopre tra le sue braccia. Saranno anni turbolenti: le avances non richieste di un terzo incomodo, la gelosia e due attentati. Riuscirà Deja a conquistare il cuore di Zaron?
Estratto:
Deja aveva atteso con trepidazione l’arrivo del suo quindicesimo compleanno. […] Presto sarebbe stata un’adulta e di sicuro suo marito l’avrebbe vista con occhi diversi. Di sicuro.
-
Avrebbe voluto che le cose tornassero a com’erano prima, a quando lei aveva avuto dodici anni e il loro rapporto era stato semplice, […], quando l’aveva considerata una bambina graziosa e la sua vicinanza tra le lenzuola non l’aveva mai turbato.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il cuore di un drago'
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IV. SOLO PERCHÈ PUOI NON VUOL DIRE CHE DEVI*

 
 
Deja aveva atteso con trepidazione l’arrivo del suo quindicesimo compleanno. Con la maggiore età si aspettava che la sua vita cambiasse, soprattutto temeva e desiderava che la sua vita matrimoniale cambiasse. Presto sarebbe stata un’adulta e di sicuro suo marito l’avrebbe vista con occhi diversi. Di sicuro.
Non era ben certa di quando si fosse innamorata di lui ma un giorno, semplicemente, si era resa conto di esserlo. Zaron era la stella attorno cui lei orbitava, un suo sorriso poteva scatenarle una gioia incontrollata nel petto e ogni suo tocco veniva sentito come la carezza di una fiamma viva. Persino il suo aspetto, che l’aveva tanto spaventata quando aveva avuto dodici anni, ora l’attraeva: se prima aveva guardato le sue braccia muscolose e aveva temuto la violenza che esse potevano applicare, ora pensava a come quelle braccia avrebbero potuto stringerla, a quanto protettive fossero; i suoi occhi scuri e il suo piglio severo l’avevano intimorita ma ora le suscitavano un’emozione tenera e uno sfarfallio inaspettato, perché per lei quell’espressione diveniva gentile e quegli occhi brillavano d’affetto. Si sorprendeva a fantasticare per ore sulle sue mani, grandi e calde, che le sfioravano il viso e le si posavano sulla spalla con naturalezza e che le suscitavano un imbarazzante desiderio di essere toccata altrove. Soprattutto le sue labbra erano oggetto delle sue fantasie notturne: riviveva ancora e ancora quell’unica volta in cui si erano posate su di lei e nei suoi sogni a occhi aperti lei non aveva avuto paura, ma gli stringeva la nuca e gli guidava il viso per ricevere altri baci. Desiderava ardentemente ricevere il suo primo bacio sulle labbra e più il suo compleanno si avvicinava, più quel desiderio si acuiva. Se anche lui non avesse voluto fermarsi a un semplice bacio non le importava, si sentiva pronta, e cercava di ricacciare nel fondo della sua mente gli spasmi di timore che il pensiero di dividere per davvero il suo letto, come moglie e marito, riusciva ancora a suscitarle. Lui non le avrebbe fatto del male, ne era sicura. Lei voleva… non sapeva esattamente cosa, ma ricordando il consiglio di Perla aveva cominciato a toccarsi, seppellita sotto le coperte del proprio letto, rossa d’imbarazzo, senza mai riuscire ad arrivare fino in fondo, ottenendo solo lacrime di frustrazione davanti alla propria incapacità e immaturità. Lei, che si era sempre ritenuta più matura per la sua età, non riusciva a spingere le proprie mani al di sotto della cintola, neanche quando era sola, nell’intimità della propria camera e nascosta nel proprio letto. Era sicura che Zaron avrebbe risolto il suo problema, che con lui non sarebbe stata così disperatamente timida, ma ogni volta che cercava di figurarselo, le mani di suo marito su di sé, dove le proprie non andavano, le si formava un bollente groppo in gola e le membra le tremavano.
Quante volte aveva pianto, disperatamente, quando notava che era il turno di Perla di intrattenersi con Zaron. Voleva molto bene alla concubina, lei si comportava quasi come una madre con lei, e apprezzava sinceramente gli sforzi che questa faceva, e che Deja aveva notato con stupore, di avvicinarla a suo marito. Ma non poteva fare a meno di essere gelosa, terribilmente gelosa, per come lui la trattava, della familiarità, dell’affetto che li legava. Una vita passata insieme con cui Deja non credeva di poter competere. Tuttavia era così smaniosa del suo amore che si sarebbe accontentata persino delle briciole se lui avesse voluto dargliele.
Il problema, con Zaron, era che se in pubblico la trattava come la sua amante preferita, quando erano nell’harem la trattava come una delle sue figlie. Mai uno sguardo allusivo si era poggiato sulle sue labbra, mai i suoi occhi le avevano guardato il seno anche se, doveva ammetterlo, a differenza delle concubine Deja non era mai uscita dalle sue stanze private senza il blouse. Non che ci fosse granché da vedere, pensava con frustrazione: le concubine di Zaron avevano seni floridi e fianchi larghi mentre Deja rimaneva sottile come una ragazzina, il seno si era sviluppato ma era rimasto piccolo e i fianchi stretti e crescendo in altezza aveva acquisito un fisico asciutto, divenendo alta ma restando magra.
Il suo più grosso problema era che non poteva parlare con nessuno di quello che l’affliggeva: discuterne con le concubine che la vedevano tutti i giorni era fuori questione, sarebbe stato troppo imbarazzante, Famira, anche se ora era sposata e aspettava il primo figlio, non sapeva che suo marito ancora non l’aveva ancora toccata e non doveva saperlo, Anka… lei era l’unica con cui sentiva di potersi confidare, forse l’unica che avrebbe capito dato che aveva intuito anche prima di lei il mutare dei suoi sentimenti nei confronti di Zaron. Ma lei era troppo lontana e, come Deja, terribilmente inesperta, anche se almeno avrebbero potuto condividere la loro inesperienza e Deja si sarebbe sentita meno isolata.
Perla l’aveva presa da parte e le aveva detto, in confidenza, che se aveva qualcosa, qualsiasi cosa, di cui desiderasse parlare, lei l’avrebbe ascoltata e consigliata, senza giudicare e senza tradire la sua confidenza. Ma Deja non era riuscita a parlare con lei del desiderio che la tormentava e dell’amore che le era sbocciato in cuore, non con lei, non dopo quello che le era capitato di vedere.
Era stata una notte chiara e calda e Deja non era stata in grado di prendere sonno. Stava meglio fisicamente, le occhiaie erano sparite, non aveva più crisi di debolezza, ma tutti insistevano a farla riposare il più possibile durante il giorno, con il risultato che la sera faceva fatica ad addormentarsi, così aveva cominciato a leggere per stancarsi abbastanza ma quella notte in particolare non aveva funzionato. Frustrata, era uscita dal letto indossando la sua leggera veste da camera sopra la lunga camicia da notte e, prendendo spunto dal libro di astronomia che stava sfogliando, era uscita in giardino per osservare le stelle. Era notte inoltrata e tutti erano già a letto da ore e non si aspettava di trovare nessuno ancora in piedi, soprattutto in giardino. Deja si era mossa al buio, facendosi guidare dalla luce della luna e delle stelle e nell’oscurità aveva notato un bagliore: in una parte seclusa, tra piante fiorite e cespugli verdi, distesi sull’erba, c’erano Perla e Zaron. Accanto a loro c’era un piatto con della frutta, due coppe e una bottiglia di vino vuota. Lei era seduta e alla luce di alcune candele leggeva a voce alta da un libro di poesie il cui argomento fece venire le orecchie rosse alla ragazza, Zaron era disteso, con il capo poggiato sul grembo della donna e guardava il cielo, accarezzandole pigramente una gamba. Deja se ne stette immobile e poi con lentezza si nascose nell’ombra per non essere sorpresa a spiare. Zaron si voltò su un fianco, dando la schiena a Deja, e infilò il braccio sotto la gonna di Perla, attraverso lo spacco laterale, e la ragazza si rese conto che lei non indossava i tipici pantaloni di seta. La voce di Perla si fece ansimante, poi chiuse il libro e lo poggiò sull’erba, prima di rovesciare la testa all’indietro, chiudendo gli occhi e spalancando la bocca, lasciandone uscire un prolungato gemito roco. Zaron la seguì mentre si distendeva supina, baciandole con passione il seno e poi la bocca e scostandole la gonna, posizionandosi tra le gambe scure della donna, che lo cinsero con forza. Deja ne approfittò per voltarsi e fuggire, tenendo entrambe le mani sulla bocca per soffocare i singhiozzi. Si era rifugiata nel suo letto, piangendo e dandosi della stupida. Lui l’ama, si ripeteva, lui l’ama, non essere sciocca, certo che lui l’ama come non potrà mai amare te: lei è bellissima e intelligente e non ha il corpo di un ragazzo.
Quindi aspettava i suoi quindici anni, quando sarebbe stata adulta e lui di sicuro avrebbe voluto finalmente consumare il loro matrimonio, magari non l’amava, magari non la desiderava neppure, ma erano sposati e il matrimonio andava consumato prima o poi perché Deja doveva dare al trono un erede. Si ripeteva che non le importava se lui non l’avrebbe mai amata o cercata come faceva con Perla, che si sarebbe accontentata della dolcezza con cui trattava Mira e Cara, dell’apprezzamento con cui mirava le forme di Oscia e persino della malizia e della tensione che c’erano tra lui e Tallia. Qualsiasi cosa che non fossero gli affettuosi buffetti sulla testa che riceveva in privato al pari delle sue bambine. Sapeva che le possibilità che lui la toccasse a Issa erano nulle, non lo avrebbe fatto nel letto che era stato del padre di lei, ma forse, una volta tornati a Halanda, in una di quelle notti che passava nelle sue camere, forse…
Quando finalmente il suo compleanno arrivò e si recarono a Issa, nuovamente accompagnati da Perla a cui si era aggiunta Cara, per la prima volta Deja desiderò che il tempo della sua visita scorresse in fretta così da lasciare la sua città natale e tornare presto a casa, a Halanda. Suo padre era stato nervoso e sulle spine e Deja con un lampo imbarazzato si rese conto che temeva ciò che Deja invece desiderava: che le attenzioni di suo marito si volgessero finalmente verso di lei. Con il suo compleanno oltretutto il suo ruolo di Lord Protettore veniva a cadere e Deja gli accordò un posto permanente nel suo consiglio, licenziando con soddisfazione uno dei consiglieri impostole quasi tre anni prima da Zaron e che non aveva superato positivamente la valutazione dell’imperatore sul suo operato.
Con gli anni, come aveva previsto Aborn, i membri del consiglio avevano imparato a collaborare e la maggioranza dei nobili rakiani si era adattata sorprendentemente bene alla vita a Issa, incoraggiati dal comportamento del loro khan, alcuni addirittura prendendo moglie lì. Soprattutto il loro atteggiamento nei confronti della regina era cambiato rispetto ai primi tempi: Zaron la sosteneva in tutto, trattandola come una sua pari e mostrando di favorire coloro che adottavano costumi issiani, per cui anche loro si adattarono al cambiamento, inchinandosi con sincera deferenza e rispetto alla loro regina. Solo due andavano controcorrente, facendo resistenza ad accettare la mutata situazione e, pur essendo rispettosi e deferenti, rimanevano saldi nei loro usi di considerare gli affari di stato come un’attività non consona al genere femminile, snobbando l’unica donna del consiglio e discutendo sempre contro le disposizioni della regina, per il semplice fatto che era lei a proporle.
La cosa più positiva della sua permanenza a Issa fu la possibilità di parlare a quattr’occhi con Anka. La sua amica aveva compiuto gli anni tre mesi prima ed era stata quindi da poco introdotta in società e aveva già ricevuto due richieste di corteggiamento che l’avevano lasciata interdetta e preoccupata.
- Papà pensa che sia perché siamo amiche, lo sai?
Le aveva detto, quando finalmente avevano potuto parlare e confidarsi al riparo da occhi e orecchi indiscreti.
- Ma lui li ha rifiutati entrambi senza neanche chiedermelo prima, e a ragione! Avevano chiesto di ballare con me al mio debutto ma non mi erano piaciuti.
Anka sospirò.
- Non me ne è piaciuto nessuno!
Si lamentò con Deja.
- Forse è semplicemente ancora presto. Hai appena compiuto i quindici anni, puoi aspettare tutto il tempo che vuoi per fidanzarti e poi un fidanzamento può durare molti anni in cui hai tutto il diritto di cambiare idea.
Aveva saggiamente osservato la regina. La sua amica l’aveva guardata di sottecchi.
- Basta parlare di me e della mia inesistente vita sentimentale, raccontami piuttosto di te e di lui.
A Deja era venuta voglia di piangere e Anka si era allarmata vedendo la sua espressione, balzando subito alle conclusioni sbagliate.
- No Anka!
Aveva dovuto dire Deja, frustrata ed esasperata.
- Lui non mi guarda neppure: è questo il problema!
- Vuoi dire,
Aveva suggerito esitante l’amica.
- Che adesso tu vuoi che lui ti noti?
- Sì! Io… io… oh, Anka credo di amarlo!
Deja si era coperta il viso con le mani ed era scoppiata in lacrime per la costernazione dell’altra ragazza che l’aveva abbracciata cercando di consolarla.
- Perché piangi, Deja? Non dovrebbe essere meraviglioso essere sposate con l’uomo che si ama?
- Non se lui non ti ama, non se lui ama un’altra e ti tratta come una bambina piccola, come una delle sue figlie!
Si era sfogata la regina.
- Non mi ha mai baciata sulle labbra, non mi ha mai toccata, non mi ha neanche mai guardata come se fossi una donna, mai! E se anche lo facesse sarebbe solo un dovere a cui assolve perché deve… Questo mi fa soffrire.
Anka le aveva asciugato le lacrime.
- Hai mai provato a parlarne con lui?
Le chiese e Deja scosse la testa.
- Non ci riesco, mi… vergogno.
- E di cosa?
Aveva replicato stupefatta l’amica.
- Sei sua moglie, non sei un’estranea!
Inaspettatamente Deja si mise a ridere, ma non c’era gioia, solo rimpianto nella sua risata.
- Se penso a quando ci siamo sposati, alla paura folle che avevo che lui mi avrebbe costretta! E adesso guardami, mi consumo di lacrime al pensiero che lui non mi vuole e non mi ha mai voluta!
- Secondo me dovresti parlargli,
Aveva insistito Anka.
- E dirgli quello che provi per lui. Potrebbe esserne lusingato, oppure magari non ti avvicina perché pensa che tu non lo voglia. Magari,
La ragazza si illuminò, trasportata dall’idea che aveva avuto.
- Lui sta aspettando che sia tu a fare il primo passo perché non vuole spaventarti né farti pressioni o essere rifiutato!
Deja era evidentemente dubbiosa.
- Tu dici?
- Ma certo, che può esserci di peggio che vivere nell’incertezza? Tu non sei felice della situazione e lui non sembra intenzionato a fare nulla da quel che mi dici. Quindi tocca a te essere propositiva e farti avanti, visto che è lui quello che esita!
Anka sembrava molto orgogliosa del suo discorso e strappò un sorriso tremolante a Deja.
- Lo sai? Magari seguirò il tuo consiglio. Alla peggio confermerà di non potermi amare, ma dovrà trattarmi come la moglie che sono. Non può continuare a ignorarmi in eterno.
E così Deja aveva pazientato, non dando nessun segno dei suoi intendimenti durante la sua visita a Issa, aspettando di tornare a Halanda, aspettando di rimanere da sola con lui nei suoi appartamenti e nel suo letto prima di farsi avanti con suo marito.
A differenza di quello che pensava Deja, Zaron aveva notato la maturazione fisica di sua moglie e aveva semplicemente deciso di guardare da un’altra parte. Ogni volta che lei lo abbracciava e lo baciava sulla guancia, ogni volta che il suo occhio distratto cadeva sulla curva del suo piccolo seno, lui si ripeteva con decisione che lei era ancora una bambina, che non era ancora venuto il momento giusto, che solo un uomo spregevole avrebbe approfittato di tanta innocenza e fiducia. E così guardava altrove, interpretando volutamente male i suoi sorrisi e i suoi abbracci e i suoi timidi baci. Una bambina, si ripeteva come un mantra, è ancora una bambina e aveva finito per convincersene, riuscendo finalmente a tornare a suo agio con lei, dopo il disastro che era stato il suo involontario abuso di alcolici a Mabdiba, quando lei aveva così maldestramente cercato di farsi baciare come un’adulta. È il liquore a parlare, si era detto, lei non lo vuole davvero, e di sicuro non vuole te: ricorda le sue lacrime, la sua espressione di terrore la prima volta che avete diviso la camera da letto. Al mattino dopo lei non ricordava nulla e Zaron aveva tirato un sospiro di sollievo, non sapeva cosa avrebbe fatto se Deja avesse preteso il bacio promesso, di sicuro non glielo avrebbe dato, lei aveva avuto solo tredici anni e l’idea di toccare in modo disonorevole una ragazzina così giovane lo aveva nauseato.
Poi Deja si era ammalata e a Zaron era crollato il mondo addosso. Aveva avuto paura, per la prima volta in tanto tempo. L’idea che lei sarebbe morta lo aveva lasciato inebetito e aveva vegliato al suo capezzale fino a che non era crollato. La prospettiva che quella splendida ragazza, così piena di vita e che gli era divenuta così cara, potesse morire lo aveva annichilito. Dopo, quando lei si era ristabilita, non si era dato pace e aveva messo al lavoro i migliori guaritori del suo impero per capire cosa avesse minacciato la vita della sua regina. Alla fine, scoraggiati dalla mancanza di risultati, la maggioranza dei guaritori aveva suggerito un avvelenamento e Zaron era stato preso da una furia inarrestabile. Aveva dovuto allontanarsi alcuni giorni, approfittando del fatto che una piccola crisi a Myanam aveva avuto bisogno della sua supervisione. Deja, nel suo stato, non si era neanche accorta della sua assenza, durata appena tre giorni e due notti. Zaron aveva voluto che fosse scoperto il veleno, il modo di somministrazione e soprattutto il colpevole. Alla fine era stato ipotizzato l’uso del distillato di fukirtup, una piccola pianta di palude, pressoché sconosciuta, che era inodore e insapore e che colpiva il cervello delle vittime, causando febbre alta, allucinazioni, delirio e morte dopo sette giorni. Fu suggerito che il dosaggio fosse stato fatto malamente oppure che qualcosa che la regina aveva mangiato o bevuto assieme al distillato ne avesse modificato gli effetti, perché non c’erano state allucinazioni né deliri, solo una febbre alta e persistente che l’aveva lasciata indebolita. Cupamente Zaron aveva ordinato che tutte le persone con cui sua moglie era entrata in contatto durante la sua visita a Pudja fossero controllate minuziosamente.  Era stato un lavoro difficile che aveva richiesto settimane e alla fine aveva dato risultati parziali: otto persone tra il personale di servizio dei luoghi che avevano visitato erano diventati irraggiungibili dopo la visita dell’imperatore e dell’imperatrice. Sei erano stati trovati e interrogati, ma senza risultato, due erano morti: uno era stato ucciso dall’amante e l’altro era stato trovato impiccato. Le indagini avevano rivelato che l’uomo era già morto quando gli avevano avvolto la corda attorno al collo e nonostante le ricerche effettuate non si riuscì a capire chi lo avesse ucciso per tappargli la bocca. Zaron era frustrato e allarmato per non essere riuscito a trovare chi avesse attentato alla vita di Deja e aveva quindi aumentato la sorveglianza adducendo come scusa la convalescenza della regina per indurla a muoversi il meno possibile, relegandola più che poteva nell’harem, in cui era certo che lei fosse al sicuro, avendo un ferreo controllo sulla servitù di palazzo che veniva regolarmente controllata a campione e a sorpresa. Sapeva tuttavia che chi aveva attentato alla sua vita ci avrebbe provato ancora.
Lui e le sue ragazze assieme alle bambine avevano fatto quadrato attorno a Deja ma alla fine Zaron aveva dovuto concederle il recupero delle sue libertà, notando quanto frustrata e nervosa stesse diventando la sua piccola regina, rispondendo bruscamente a Perla e riservandogli a volte sguardi pieni di rancore. Aveva anche a malincuore dovuto prometterle una vacanza veloce a Issa, durante la quale lei gli era rimasta vicina di sua volontà, lasciando il suo fianco solo per passare del tempo con la sua giovane amica, che Zaron aveva finalmente avuto l’occasione di conoscere perché lei era venuta a palazzo per stare accanto a Deja. Con gioia e soddisfazione aveva anche notato come sua moglie preferisse la sua compagnia a quella del padre e l’aveva stretta a sé in ogni occasione in cui il suocero poteva vederli e ribollire di rabbia impotente. 
Dopo il suo quindicesimo compleanno aveva notato un preoccupante cambiamento nell’atteggiamento di Deja e nelle sue abitudini notturne. Lei lo guadava con un’intensità inconsueta, mordendosi il labbro pensierosa, come a considerare un complicato problema di cui non riusciva a trovare il capo con uno sguardo che Zaron non riusciva a interpretare. A Issa Deja, solitamente così agitata nel sonno da prendere maggior parte dello spazio disponibile nel letto, lo aveva cercato tra le lenzuola, rotolando dalla sua parte finché non si era ritrovata premuta contro il suo fianco. Zaron non aveva avuto modo di allontanarsi dato che già si trovava sul bordo del materasso e, immobile e incredulo, aveva sentito sua moglie poggiargli la testa sulla spalla e buttargli un braccio sul torace, sospirando contenta nel sonno prima di insinuare i piedi sotto i suoi polpacci.
Zaron aveva dormito poco, preoccupato che un suo movimento potesse svegliarla in quella posizione compromettente. Con il braccio imprigionato tra il proprio corpo e quello di lei riusciva a sentire la forma morbida del seno di sua moglie attraverso la leggera camicia da notte, percepire il calore della sua pelle e l’espandersi del suo torace a ogni respiro. Il profumo dei suoi capelli gli riempiva le narici e al mattino la reazione involontaria del proprio corpo lo aveva disturbato. Aveva iniziato a levarsi prima dell’alba, agitato e irritato per la propria mancanza di autocontrollo, timoroso che lei si svegliasse e pretendesse di sapere cosa lo turbasse tanto. Aveva dovuto andare da Cara, sperando che lei non gli chiedesse il perché di quelle visite mattutine e una volta, mentre era avvolto nel suo abbraccio, affondato nel corpo morbido e arrendevole della concubina, si era sorpreso a pensare a Deja. Aveva chiuso gli occhi, immaginando le gambe lunghe e chiare di sua moglie avvinghiate al proprio bacino, i suoi capelli sparsi sul cuscino mentre lei rovesciava indietro il capo, scoprendo la pallida curva del collo. Si era figurato i suoi occhi azzurri farsi scuri di passione, la sorpresa e poi il piacere sul suo viso, mentre la prendeva, la sensazione che avrebbe provato, a essere accolto nel suo copro innocente. Le spinte di Zaron erano divenute lente e i suoi baci languidi, delicati, e aveva accarezzato ad occhi chiusi le forme di Cara. L’odore, il gusto di lei, lo avevano riscosso e con vergogna si era ritrovato a dover strizzare forte le palpebre, cercando di richiamare alla mente i gemiti che aveva emesso Deja quando l’aveva baciata sul collo, solo così era riuscito a terminare quello che stava facendo. Da quella volta aveva lasciato dormire Cara fino a tardi, preferendo un bagno ghiacciato all’ignobile piacere che quel pensiero gli aveva procurato. Aveva considerato con parziale ansia l’avvicinarsi del loro appuntamento mensile, quando la sua regina avrebbe dovuto mostrare di passare la notte nel suo letto. Il suo presentimento infausto si era rivelato veritiero quando lei lo aveva affrontato, rendendogli finalmente chiara la natura dell’inquietudine che l’aveva colta.
Mentre cenavano insieme lei era parsa nervosa, ridendo con voce acuta alle sue battute e non incrociando i suoi occhi, arrossendo spesso e tormentandosi il labbro inferiore con i denti, come le aveva visto fare spesso ultimamente. Si quietava con un sorriso radioso e contento solo quando lui la toccava, sfiorandole la mano o il braccio e quando le aveva accarezzato la fronte, invitandola a ritirarsi con lui in camera da letto, lei aveva chiuso gli occhi evidentemente compiaciuta del suo tocco e aveva piegato il capo per seguire il movimento della sua mano e prolungare il più possibile il contatto. Lui aveva ritirato velocemente l’arto e si era schiarito nervosamente la voce.
Zaron era solito cederle l’uso della sala da bagno per cambiarsi prima di recarvisi anche lui, e al suo rientro in camera Deja era abitualmente già sotto le lenzuola.
Quella sera invece lei si sedette sul letto, dopo essersi tolta i gioielli, e cominciò a giocherellare con le dita delle mani, guardando il pavimento e arrossendo violentemente.
- Zaron…
Aveva iniziato con voce sicura, solo per interrompersi e serrare con forza gli occhi, ansimando.
- Cosa c’è Deja?
Aveva chiesto lui, immediatamente preoccupato, accovacciarsi difronte a lei e prendendole le mani. Deja aveva riaperto gli occhi e gli aveva sorriso debolmente.
- Zaron,
Aveva ricominciato.
- Il mio quindicesimo compleanno è passato, da mesi ormai. Sono… un’adulta adesso.
Deja era impallidita e i suoi occhi avevano iniziato a vagare per la stanza. Zaron aveva una mezza idea di dove lei stesse andando a parare e stava per aprire la bocca per dirle che non aveva nulla da temere da lui, che non l’avrebbe costretta a fare nulla, perché era ancora troppo giovane per il talamo nuziale, ma lei lo interruppe, continuando a parlare.
- Siamo sposati da anni e io ho imparato a conoscerti bene e a provare un… affetto profondo nei tuoi confronti. Non ho paura di te, non più.
Anche mentre diceva quelle parole Zaron poteva vedere il timore adombrarle gli occhi, le strinse ancora di più le mani.
- Deja…
- Se tu volessi consumare finalmente il nostro matrimonio…io… Lo vorrei anch’io, Zaron.
Lei si era chinata su di lui, avvicinando i loro visi come per baciarlo sulle labbra e Zaron era scattato in piedi, allontanandosi di qualche passo. Deja si era impietrita, gli occhi sgranati dalla sorpresa.
- No, Deja. Non devi, non sei costretta a…
Le aveva poggiato una mano sui capelli, carezzandole la testa, cercando di tranquillizzarla e confortarla.
- Non pretendo che tu sia pronta solo perché adesso hai quindici anni. Sei praticamente ancora una bambina, mia piccola cara. È presto.
Lei aveva guardato fisso difronte a sé, il volto pallido paralizzato dall’incredulità e poi i suoi occhi avevano cominciato a riempirsi di lacrime.
- Non mi vuoi?
Aveva chiesto con un filo di voce, mentre le lacrime cominciavano a solcarle le gote.
- Perché non mi vuoi?
Aveva ripetuto con un singhiozzo angosciato. Zaron non sapeva cosa fare, non sapeva cosa dire.
- Ma Deja…! Sei solo una ragazzina, lo sai che io non tocco le ragazzine, non potrei mai volerti…
Prima che potesse finire la frase lei era scattata in piedi con un urlo, sollevando un braccio e colpendolo al petto.
- Ma vuoi lei, vero? Tu ami solo lei, vero?
Zaron l’aveva guardata completamente confuso e la mente gli era tornata al loro litigio, a Issa, quando Perla aveva detto che Deja era stata gelosa di lei perché infatuata di lui.
- Di cosa parli? Ti riferisci a Perla?
Sentendo nominare la concubina i singhiozzi di Deja si erano fatti più violenti e profondi.
- Allora è vero: tu la ami!
Zaron si era coperto il viso con le mani, non riuscendo a capire come il discorso potesse essere andato a finire sui suoi sentimenti per Perla. Tuttavia doveva dire qualcosa, lei si era lasciata ricadere sul bordo del letto, era sempre più isterica e piangeva così forte che le mancava il fiato. Si era seduto e l’aveva attirata contro il proprio petto. Lei era stata rigida inizialmente, ma poi aveva accettato il suo conforto, aggrappandosi a lui e nascondendo il viso contro il suo collo.
- Ascoltami Deja, ascoltami bene. Io amo Perla. Così come amo Cara e Mira e Oscia e anche Tallia, nonostante litighiamo in continuazione. Perla è la mia più cara e vecchia amica ma…
Aveva esitato, cercando di trovare parole che lei avrebbe compreso.
- Ma non sono innamorato di lei. Lo sono stato, in gioventù, ma il sentimento che provo ora per Perla è… diverso, meno intenso e non prevede il legame unico e speciale che tu sembri credere che ci sia.
- Non capisco…
Aveva ammesso Deja, che si era in parte calmata.
- Lo so che non riesci a capire.
Aveva detto lui, con tono indulgente, stringendola forte e baciandole la tempia.
- Questo perché sei giovane, così giovane ancora, Deja. Non avere fretta: sarai pronta quando sarai pronta e non un attimo prima. Io non ti forzerò in alcun modo.
Lei aveva emesso un gemito frustrato, ma poi si era rilassata tra le sue braccia, continuando a piangere silenziosamente. Zaron l’aveva cullata per un po’, insoddisfatto dalla propria incapacità di confortarla e di cancellare ogni suo dubbio. Alla fine lei si era sciolta dal suo abbraccio ed era andata a cambiarsi in sala da bagno. Non era felice però, qualcosa ancora la turbava e Zaron non riusciva a farsi dire cosa. Quella notte Deja si addormentò piangendo, Zaron cercò di toccarla sulla spalla, per offrirle conforto, ma lei si irrigidì e quando lui ritirò la mano, scoraggiato, lei pianse ancora più forte.
Da quel giorno Deja era sempre apparsa infelice e Zaron si era sentito impotente difronte alla propria incapacità ad aiutarla. Avrebbe voluto che le cose tornassero a com’erano prima, a quando lei aveva avuto dodici anni e il loro rapporto era stato semplice, quando lui non aveva avuto bisogno di ripetersi in continuazione che lei era solo una ragazzina, troppo giovane per lui, quando l’aveva considerata una bambina graziosa e la sua vicinanza tra le lenzuola non l’aveva mai turbato.
Alla fine si era arreso e aveva cercato il consiglio di Perla. Lei si era strattonata i capelli, in un inusuale dimostrazione di frustrazione e gli aveva dato dell’idiota. Questa volta però Zaron si era arrabbiato e avevano finito per litigare.
- Si può sapere cosa volete da me?
Aveva tuonato.
- Lei ha solo quindici anni, Perla, quindici! E io ne ho trentanove! È piccola ancora.
Lei aveva socchiuso gli occhi, sibilando rabbiosa.
- Sapevi qual era la differenza d’età quando l’hai sposata. Sapevi di essere ventiquattro anni più vecchio di lei, e questa distacco non si colmerà mai, Zaron: sarai sempre di ventiquattro anni più vecchio di lei. Aspettando la distanza che vi separa non si accorcerà magicamente!
- Ma lei sarà più vecchia.
Aveva continuato lui, cocciutamente.
- Adesso è ancora una ragazzina, non è pronta.
- A cosa non è pronta, Zaron? A te? Nessuna fanciulla è pronta, il momento in cui si concede a un uomo per la prima volta è sempre velato di paura perché l’ignoto suscita timore. Sei stato paziente e hai aspettato che maturasse, quanto ancora hai intenzione di aspettare? Che le vengano i capelli bianchi come a me?
Zaron con un grido inarticolato diede un calcio a una sedia, rovesciandola. Perla sobbalzò ansimando di sorpresa: lui non era mai aggressivo davanti a lei. L’uomo sembrò rendersi conto di aver superato il limite, raddrizzò la sedia e vi si accasciò, con espressione sconfitta.
- Cosa volete da me?
Ripeté con tono sfinito. Perla gli carezzò il capo, sussurrandogli le proprie scuse per averlo fatto adirare.
- Sei sicuro di non essere tu quello che non è ancora pronto?
Gli aveva chiesto, affondando le dita nei capelli corti dell’amante mentre lui l’attirava in grembo e poggiava il capo sul suo seno.
- Non posso Perla… la mia coscienza…
Aveva mormorato senza guardarla. Lei aveva sorriso, cingendogli le spalle, perché lui aveva detto che non poteva, non che non voleva.
- Sii sincero con me Zaron. In confidenza, cosa provi per lei?
Aveva sussurrato la domanda, sperando che lui avrebbe accettato di confidarsi e non si sarebbe chiuso in sé stesso.
- In confidenza? Non … non lo dirai a nessuno?
- Nessuno, solo io e te. Non posso aiutarti se non so cosa vuoi.
- Io…
Aveva ammesso lui, con la voce roca e bassa di chi confessa un terribile delitto.
- Io la voglio, Perla. Averla al mio fianco di notte è… una tortura. La desidero e… me ne vergogno.
La mano di lui si strinse spasmodicamente sul fianco della donna.
- A volte penso a lei quando giaccio con voi. Cerco di non farlo ma non ci riesco, l’immagine di lei si sovrappone a quella della donna con cui sono. Il ricordo della mattina dopo il nostro matrimonio, quando le ho lasciato quel livido sul collo, i gemiti che ha fatto… mi chiedo come sarebbero adesso, se la baciassi così di nuovo, se la toccassi dove non devo. È disgustoso, io sono disgustoso…
- No, Zaron, no…
Aveva cercato di consolarlo.
- Non sei disgustoso e il tuo desiderio non è disgustoso. Deja non è più una bambina ma se a livello fisico te ne sei accorto, a livello mentale ancora non vuoi accettarlo, perché?
E alla fine, con un gemito soffocato di vergogna, la verità era venuta a galla.
- Io non sono mio padre…
La donna si era raggelata. Sapeva che Zaron era rimasto profondamente turbato dall’apparente preferenza del suo genitore naturale per le ragazzine giovanissime, ma forse non si era mai resa conto di quanto lui ne fosse stato colpito.
- Certo che non sei lui!
- Ma... Deja ha solo un anno più di mia madre quando lui… Hai visto anche tu com’erano le sue concubine. Non potrei tollerare che la mia Deja avesse la stessa espressione smarrita e spenta. Non per colpa mia, non perché io non sono riuscito a frenare la mia lussuria. È presto.
Aveva ribadito ringhiando, con determinazione.
- Quindici anni è troppo presto.
Difronte a tale, indomita volontà, Perla aveva dovuto lasciar cadere l’argomento. Zaron non era semplicemente pronto ad affrontare una relazione fisica con sua moglie, se Perla avesse insistito, se Deja avesse cercato di forzargli la mano, il risultato poteva essere positivo, oppure poteva essere un disastro, con uno dei rari e incontrollati scoppi di violenza di Zaron, che avrebbe potuto spingerlo a fare qualcosa di imperdonabile. 
Pela non aveva più sollevato l’argomento né ne aveva parlato con Tallia o Deja e aveva dovuto aspettare, come la regina, che il tempo scorresse e che il passare dei mesi la facesse maturare a sufficienza per i canoni di suo marito.

 
* “Solo perché puoi non vuol dire che devi”: anni fa sono stata in Inghilterra e mi sono presa un libro da leggere in aereo, tale “Acheron” di Sherrilyn Kenyon e per mia enorme sorpresa mi sono ritrovata tra le mani un libro di vampiri e dei dell’Olimpo. Poi ho scoperto che quello che avevo comprato era l’ultimo di una lunga serie, ma che i libri essendo autoconclusivi potevano essere letti singolarmente. Acheron, che è il capo dei cacciatori, all’insaputa dei suoi compagni è anche una divinità infernale ma a causa della vita da mortale che aveva vissuto (in cui aveva subito terribili abusi) aveva sviluppato questo motto: solo perché hai il potere, la forza di fare qualcosa, non vuol dire che tu la debba fare (anche se sei un dio che può scatenare l’apocalisse quando vuole non vuol dire che lo farai solo perché ti girano). Una nota infinita per spiegare da dove viene il titolo. Scusate.
 
NOTE DELL’AUTRICE: E finalmente Deja e Zaron hanno avuto la discussione che avrebbero dovuto avere al capitolo II…Anche se non avevo avuto intenzione di tirar fuori dal cassetto la pedofilia del padre di Zaron, mi è semplicemente… venuto. Ho bisogno di sapere se da questo capitolo si capisce che Zaron si sta innamorando di Deja senza rendersene conto e che la sua reazione fisica a lei è legata al suo coinvolgimento emotivo, e non viceversa. È importante sapere per me se sono riuscita a dare il giusto messaggio, perché non sono sicura di esserci riuscita.
 
  
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