.Capitolo
tre.
Una
perdita è una lesione della trama tra i vari mondi. Sono numerose,
ma innocue: raramente son più grandi della punta di uno spillo e
spesso si aprono nell'atmosfera o nelle profondità marine. Quando
sono ampie possono combinare guai, tipo il mostro di Lochness o gli
aerei persi nel triangolo delle Bermuda, ma sono casi isolati.
Camlo
era esperto in geomanzia e teneva sotto controllo le perdite
nell'area, per individuare quelle pericolose collegate ai regni
infernali.
Quindi si può capire quanto chiudere un varco di
grandi dimensioni, passaggio da e per la Caina, fosse un compito
della massima priorità per un'esorcista come me.
Ma ancora
più importante era quel tarlo, quel sassolino fastidioso che si
rifiutava di uscire dalla scarpa.
-Adesso noi andiamo da H&M
e ti compri un paio di mutande.-
Tetigistus roteò gli
occhi.
-Quanto sei noiosa!-
Una vecchietta, seduta
davanti a noi, ridacchiò maliziosa. Ci aveva scambiati per una
coppietta litigiosa, Dio mio. Mi dovetti trattenere
dal
rovesciare gli occhi.
Feci una ricerca mentale del negozio H&M
più vicino, un'abilità di cui vado abbastanza orgogliosa acquisita
tramite anni di dipendenza da shopping e paralizzante povertà.
La
metro diminuì la velocità, fino a fermarsi. La voce femminile
elettronica annunciò
la
fermata: Turati. Ancora due.
Una ragazza delle superiori, con
la maglietta dei My Chemical Romance, lanciò un'occhiata di
soppiatto a Tetigistus. Era attaccata al corrimano accanto a dove lui
sedeva, e il suo non era stato uno sguardo alla che
schifo, un viscido demone che prende la metro!
ma
più un ammazza,
che figo fotonico!
Usciti
dal Bar Alafair, con la stessa facilità con cui le persone si
mettono una maglietta, Tetigistus aveva incantato il suo aspetto.
Su
un livello, era un eccentrico lavoratore umano, sulla ventina, che si
atteggiava come il peggio sborone: aveva messo le mani dietro la
testa e sedeva a gambe larghe con un piede, calzato di un mocassino
lucido nero, poggiato sul ginocchio. Ne muoveva la punta per seguire
il ritmo di una canzone che solo lui sentiva.
I capelli neri e
lisci erano legati in una coda, che lasciava intravedere le rasature
laterali. Tentai di valutare se da sciolti sarebbero stati più
lunghi dei miei. Al naso, fine e con una leggera gobba, aveva un
anello; anche le orecchie erano piene di piercing. Non si era dato la
briga di cambiarne la forma a punta. Gli occhi erano di blu vivo,
un'illusione ben fabbricata.
Era inutile che avesse incantato il
suo aspetto da demone per evitare di attirare l'attenzione, quando
poi il suo alter-ego umano indossava una suit da manager di un rosso
intenso dalla testa ai piedi. Quando stavamo aspettando la metro,
avevo l'impressione snervante di stare vicino a un cartellone
pubblicitario di Playboy.
Se
non ero brava a distinguere le tipologie di magia, avevo un vero e
proprio talento per vedere attraverso illusioni, glamour delle fate,
incantesimi di camuffamento.
Mi concentrai sulla figura di
Tetigistus, come se volessi metterla a fuoco, e spostai il punto di
vista. Il livello cambiava, come in quelle figurine animate che
trovavo da piccola nelle patatine: i lineamenti di Tetigistus
rimanevano gli stessi, ma la pelle diventava scarlatta come il sangue
e gli occhi gialli avevano la pupilla rettile. Tutto il corpo nudo
era pieno scarnificazioni, piercing e tatuaggi di sigilli. Tenni lo
sguardo ben sopra al suo ombelico.
L'impermeabile era
carbonizzato e Camlo non aveva trovato una giacca da darci; ma
conoscendo quanto era tirchio, probabilmente mi aveva mentito.
La ragazza scese, non prima di essersi girata l'ultima volta verso Tetigistus. Me la immaginai da sola, di notte magari, in un vicolo con un diavolo. Rabbrividii.
Risuonò nel brusio della metro Girls Girls Girls dei Motley Crue, facendomi sussultare. Tirai fuori lo smartphone dalla tasca dei jeans.
Sullo schermo lampeggiava a bianche lettere la parola Papà.
***
Tetigistus
scostò la tenda e uscì dal camerino. I boxer con la stampa di palme
su sfondo blu contrastavano con la sua pelle rossa.
Erano lunghi e lo coprivano dai fianchi alle ginocchia.
Niente più
piselli al vento! Un traguardo per la civiltà!
Ero
commossa.
Tetigistus si rimirò nello specchio. Schioccò le
labbra e si girò verso di me.
-Dici che sono gli specchi di questo negozio che ingrassano?- Si accarezzò la pancia piatta, valutandola, come una mamma in dolce attesa.
Una
signora di mezza età, con una bambina piccola appresso, uscì dal
camerino e squadrò Tetigistus dalla testa ai piedi. Con la faccia di
una persona che ha appena mangiato una mosca, prese la bambina per la
mano e uscirono alla svelta verso il corridoio della cassa.
Doveva
essere ben strano vedere un uomo indossare un paio di boxer sopra i
pantaloni di una suit. Oppure si era scandalizzata per i piercing da
drogato; la mente della vecchia generazione è un mistero per me.
Lo smartphone squillò per l'ennesima volta. Continuai a fissare il numero di mio padre che lampeggiava sullo schermo. Smise di suonare; avevo lasciato cadere trentasette chiamate. L'insistenza era una qualità di famiglia.
-Se
sento ancora una volta la voce di Vince Neil che canta quello stupido
ritornello, trasformerò questo negozio in un lago di sangue prima
che tu riesca a fermarmi- disse Tetigistus. Conoscendo la natura dei
diavoli, l'avrebbe potuto fare anche solo per puro dispetto. Il caos
è l'obiettivo.
Misi il telefono in modalità offline e un
orribile senso di colpa mi prese lo stomaco, come se avessi fatto una
cosa molto, molto brutta. Una frase aleggiava nell'aria e diceva “Sei
la solita inaffidabile, buona a nulla!” e la voce era quella di mio
padre. Mi sudavano i palmi delle mani con cui reggevo lo smartphone.
In
coda alla cassa, sentivo il mondo circostante distante, galleggiare
lontano da me.
Cosa potevo fare? Non pensavo di doverlo
affrontare così presto. Non ci avevo voluto pensare.
Come aveva
fatto a sapere del Black Hole? Camlo si passava informazioni con la
canonica di Roma; era stato lui a tradirmi?
Ci
separavano seicento chilometri, ma era come se non me ne fossi mai
andata da casa. Potevo quasi vederlo, mio padre, seduto dietro la sua
scrivania che mi fissava con disapprovazione; “Oh, Becca, hai dato
fuoco a un locale? Questo è un nuovo traguardo di inettitudine anche
per te” avrebbe detto, scuotendo il capo.
Volevo urlare dalla
frustrazione,
ma alla fine mi uscì solo uno sbuffo arrabbiato.
La signora
cinquantenne di prima si girò a guardarmi sdegnosamente. Prese la
busta con i suoi acquisti e se ne andò via, con la bambina che le
trotterellava dietro.
La commessa afferrò i boxer e li passò
sopra lo scanner del registratore di cassa.
-Sono nove euro e
novantanove centesimi, prego- disse, mentre toglieva la placca
antitaccheggio.
Tetigistus sgranò gli occhi e alzò
le mani ai lati della faccia.
-Ah! Io non ho niente. Dove li
mettevo i soldi, scusa?- mi chiese, innocente.
Un posto ce
l'avevo in mente.
A malavoglia tirai fuori il mio portafoglio.
Dentro scintillavano gli ottocento euro in pezzi da cinquanta che
Grace mi aveva dato per la taglia dei tre diavoli del Black Hole. Li
avrei dovuti usare per le rate arretrate dell'affitto e le bollette;
anche il frigo era vuoto. Senza sapere perché, afferrai due pacchi
di calzini negli espositori vicino alla cassa, un set di lucidalabbra
e passai tutto alla commessa.
-Anche questi, grazie- le
dissi.
Avevo trecentosei paia di calzini a casa,
letteralmente. Non avevo il benché minimo bisogno di comprarne
altri, ma la stampa a fiori di ciliegio era carina. Mi ricordava il
Giappone.
Li pagai e mi sentii subito meglio.
***
C'erano
tre vie, a detta di Camlo, per entrare nelle catacombe: un passaggio
segreto in San Bernardino delle Ossa, nella cripta della chiesa
dell'Annunciata e infine nella basilica di Sant'Ambrogio. Ce n'erano
probabilmente di più, aveva detto, ma queste tre erano le più note
e agibili, sopravvissute ai bombardamenti della guerra.
Dubitavo
che avrei potuto usare la prima, sempre presa d'assalto da gruppi di
turisti giapponesi. La chiesa dell'Annunciata non avevo la benché
minima idea di dove fosse -avevo usato con Camlo la tecnica del
“sorridi e annuisci”.
Rimaneva la basilica di
Sant'Ambrogio, la scelta più facile e ovvia, se non fosse stato per
Tetigistus: stava facendo di tutto per essere una palla al piede.
Quando avevo fatto l'osservazione che gli umani non vanno in giro con
i boxer sopra ai pantaloni, lui aveva fatto sparire i pantaloni
frutto dell'incantamento. In pieno novembre, stava andando in giro
con i boxer a palme e una giacca rossa da manager.
Adorabile.
-Quanto vuoi star qui?- mi
sussurrò Tetigistus all'orecchio.
-Stammi lontano!- ringhiai.
Eravamo appartati dietro un pilastro nel portico della chiesa,
accucciati l'uno accanto all'altra. La puzza di zolfo di Tetigistus
mi irritava.
Cinque minuti prima un gruppo di chierichetti,
di ritorno dalle prove del coro, ci era passato davanti. Appena si
erano accorti di noi, il loro chiacchiericcio
era morto, e si erano messi a fissare Tetigistus come se fosse una
nuova specie di Pokémon.
-Ehi ragazzi, devo parlare con il Don. Dov'è?- gli avevo chiesto. Quello più sveglio aveva chiuso la bocca e mi aveva squadrato da capo a piedi.
-È ancora dentro dalla messa di stamattina, doveva vedersi con un fedele- e guardò l'orologio al polso magro. -Esce tra poco per il pranzo, te lo chiamo?-
-No,
grazie, lo aspetteremo qui.- Gli sorrisi, cercando di sembrare
rassicurante. Il ragazzino mi guardò con aria dubbiosa, come se non
sapesse se fidarsi o no. I suoi amici lo chiamarono, e il gruppo
sparì oltre al portone.
Mi sporsi dal pilastro per vedere la
porta d'ingresso della chiesa. Nessuna traccia del parroco.
-Non
lo puoi ipnotizzare? Manipolare? Circuire? Sai, quelle robe per cui i
diavoli sono famosi.- dissi, girandomi verso Tetigistus.
-Sì, se
è fuori dalla chiesa. Lì dentro la mia magia non ha effetto.-
rispose Tetigistus.
-Quindi aspettiamo che esca. Sei sicuro di riuscire a scassinare la porta?-
Tetigistus
mi sorrise lascivo, come se avessi fatto qualcosa di eccitante. -Le
mie dita sanno fare molte magie.-
Mi
mostrò il palmo vuoto della sua mano affusolata e magra. Schioccò
le dita e una sigaretta gli apparì tra indice e medio; se la mise
tra le labbra, sempre sorridendo. Quindi aveva mentito sul
portafoglio, poteva materializzare a sé gli oggetti di sua
proprietà!
Gli strappai la sigaretta dalla bocca con stizza e me
la misi in tasca.
-Non fumare.-
-Non abbiamo nient'altro da fare. Mi annoio.-
-Annoiati allora, basta che non inquini l'aria.-
I suoi occhi azzurri divennero ostili.
-Mi chiedo cosa mi stia trattenendo dal tagliarti la gola e andarmene via.-
-Camlo
e la sua maledizione?- dissi io, noncurante.
Tetigistus soffiò
tra i denti, simile a un gatto. Tornai
a sbirciare la porta di legno della chiesa: ancora
nessuna traccia di vita.
-Che maledizione è? Ti chiude in quel vaso per l'eternità, come il genio della lampada?-
-Non è una cosa legata al presente: è una maledizione che mi lega a tutti i tempi passati e futuri, usando un oggetto a scelta come nodo che collega le varie dimensioni temporali. Comunque non è un vaso: è un vomitatoio etrusco.-
-Ah-ha! Lo sapevo che non era un vaso per le piante: mi sembrava un pitale.- La mia voce rimbombò per il porticato. Pitale-ale-ale. -Finissimo- aggiunsi, abbassando la voce.
Ero seriamente ammirata dai poteri di Camlo: compiere, controllare e dominare una maledizione del genere era difficilissimo. Poteva rivoltarsi contro al mittente se il rituale non si chiudeva bene: aveva scommesso tutto sulla propria bravura pur di legare a sé un diavolo.
-Il
tuo amico è pazzo, mi fa paura- disse Tetigistus e rabbrividì.
-Parla con l'affettazione di un lord inglese, bello e borghese con la
sua chioma e baffi impomatati e tatuaggi old school, ma ho visto la
sua vera natura: è peggio di me. E' difficile essere peggio di
me.-
-Sì, lo chiamano il Ramsey Bolton di Sesto San Giovanni.
Vuoi dirmi cose che non so di già? O puoi stare zitto.-
Alzai gli occhi al cielo: un diavolo che si mette a fare la morale sulla stronzaggine degli uomini. Non l'aveva mai aperto un libro di storia?
Guardai l'orologio: erano le due e dieci.
-Ascolta, tu stai qui. Io vado a vedere come è la situazione nella chiesa.- Tetigistus alzò il pollice in segno di assenso. Non feci in tempo ad allontanarmi di qualche passo che aveva fatto comparire un'altra sigaretta.
Non ero mai stata a Sant'Ambrogio, nonostante mi fossi trasferita a Milano da un anno ormai. Aver avuto una professoressa stronza di storia dell'arte doveva avere notevolmente contribuito al mio disinteresse per gli edifici storici. Passai sotto le tre arcate del porticato. La porta era enorme, di legno, decorata con scene bibliche. Un battente era stato lasciato aperto.
Entrai nella chiesa. Nelle tre navate alleggiava il silenzio denso tipico dei luoghi sacri. Mi spostati verso destra dove, sopra a un piedistallo, la statua di Sant'Ambrogio guardava benevola un invisibile interlocutore, tendendogli la mano.
Ancora
nessuna traccia del parroco. Era
possibile che fosse uscito
senza che io e Tetigistus l'avessimo notato?
Percorsi tutta la navata fino in fondo, trovandomi davanti
all'altare, posto sotto a un magnifico ciborio di legno e oro. Stavo
per tornare indietro a chiamare Tetigistus quando sentii un lento
gocciolare d'acqua.
Mi girai per capire da dove provenisse. Gesù
Cristo, dipinto sul fondo della chiesa, mi guardava dall'alto del suo
trono. I suoi occhi erano grandi e neri, due pozzi senza emozione.
Ebbi un brivido di paura.
Mi spostai nella navata di sinistra, passando in mezzo ai banchi dove si siedono i fedeli durante la messa. Un piede mi scivolò in avanti e mi dovetti aggrappare con tutte e due le braccia alla colonna per non cadere.
Sul pavimento si apriva una pozza di sangue. Attaccato al muro, c'era il confessionale: una porta era stata divelta e pendeva dai cardini. L'altra era chiusa: da sotto filtrava sangue, che gocciolava giù per il legno e si allargava sul pavimento di pietra, raggrumandosi nelle intersezioni delle mattonelle.
“E'
troppo sangue per un uomo solo,” fu la prima cosa che pensai,
stupidamente. Il sangue aveva sporcato le mie scarpe. Nella pozza
scura mi sembrò di vedere riflesso un movimento e mi girai di
scatto. Non c'era nessuno, tutto era immobile nella tranquillità
della chiesa. L'odore dolciastro che
aleggiava nell'aria
mi punzecchiò il naso, nauseandomi.
Rimpiansi di aver lasciato la custodia di violino con il fucile
ai piedi di Tetigistus.
La superficie nera della porta del confessionale sembrò guardarmi.
Non volevo aprirla e volevo aprirla. Sentii il cuore battermi nelle orecchie mentre mi avvicinavo, facendo attenzione a dove mettevo i piedi.
Non
me n'ero accorta, per via del suo colore scuro, ma qualcuno aveva
inciso nel legno un pentacolo rovesciato in un cerchio. Diviso in
dodici spicchi, c'erano alcuni simboli di demonologia. Riconobbi
alcuni nomi di maggiori demoni: sembrava un simbolo di offerta.
Avrei dovuto chiamare Tetigistus, ma quella porticina mi parlava.
Sussurrava parole in lingue che non capivo, suoni che mi
accarezzavano le orecchie come insetti. Rabbrividii. Erano così
flebili da sembrare frutto della mia immaginazione. C'era qualcosa
che respirava dietro quella porta, chiamandomi a sé.
Misi la mano sulla maniglia. La aprii.
NdA:
Ringrazio chi ha messo la storia nelle preferite/seguiti e chi ha
commentato, siete dei tesorih.
Un grazie speciale va ad Aina, che mi ha betato questo capitolo :)