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Autore: Rory Moore    28/11/2016    0 recensioni
Quando si era trasferita a Milano, in cerca della propria indipendenza e di una tranquilla vita da neo-esorcista, Rebecca non immaginava di ritrovarsi ad aver a che fare con una città indomabile: demoni, maledizioni, portali, guerre tra clan fatati.
In una Milano esoterica, crocevia tra i vari mondi, Rebecca dovrà destreggiarsi tra i vari pericoli e scoprire, alla fine, i segreti che si celano nelle fondamenta.
Genere: Azione, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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.Capitolo tre.




Una perdita è una lesione della trama tra i vari mondi. Sono numerose, ma innocue: raramente son più grandi della punta di uno spillo e spesso si aprono nell'atmosfera o nelle profondità marine. Quando sono ampie possono combinare guai, tipo il mostro di Lochness o gli aerei persi nel triangolo delle Bermuda, ma sono casi isolati.
Camlo era esperto in geomanzia e teneva sotto controllo le perdite nell'area, per individuare quelle pericolose collegate ai regni infernali.

Quindi si può capire quanto chiudere un varco di grandi dimensioni, passaggio da e per la Caina, fosse un compito della massima priorità per un'esorcista come me.

Ma ancora più importante era quel tarlo, quel sassolino fastidioso che si rifiutava di uscire dalla scarpa.

-Adesso noi andiamo da H&M e ti compri un paio di mutande.-

Tetigistus roteò gli occhi.

-Quanto sei noiosa!-

Una vecchietta, seduta davanti a noi, ridacchiò maliziosa. Ci aveva scambiati per una coppietta litigiosa, Dio mio. Mi dovetti trattenere
dal rovesciare gli occhi.

Feci una ricerca mentale del negozio H&M più vicino, un'abilità di cui vado abbastanza orgogliosa acquisita tramite anni di dipendenza da shopping e paralizzante povertà.
La metro diminuì la velocità, fino a fermarsi. La voce femminile elettronica annunciò
la fermata: Turati. Ancora due.

Una ragazza delle superiori, con la maglietta dei My Chemical Romance, lanciò un'occhiata di soppiatto a Tetigistus. Era attaccata al corrimano accanto a dove lui sedeva, e il suo non era stato uno sguardo alla
che schifo, un viscido demone che prende la metro! ma più un ammazza, che figo fotonico!

Usciti dal Bar Alafair, con la stessa facilità con cui le persone si mettono una maglietta, Tetigistus aveva incantato il suo aspetto.
Su un livello, era un eccentrico lavoratore umano, sulla ventina, che si atteggiava come il peggio sborone: aveva messo le mani dietro la testa e sedeva a gambe larghe con un piede, calzato di un mocassino lucido nero, poggiato sul ginocchio. Ne muoveva la punta per seguire il ritmo di una canzone che solo lui sentiva.
I capelli neri e lisci erano legati in una coda, che lasciava intravedere le rasature laterali. Tentai di valutare se da sciolti sarebbero stati più lunghi dei miei. Al naso, fine e con una leggera gobba, aveva un anello; anche le orecchie erano piene di piercing. Non si era dato la briga di cambiarne la forma a punta. Gli occhi erano di blu vivo, un'illusione ben fabbricata.
Era inutile che avesse incantato il suo aspetto da demone per evitare di attirare l'attenzione, quando poi il suo alter-ego umano indossava una suit da manager di un rosso intenso dalla testa ai piedi. Quando stavamo aspettando la metro, avevo l'impressione snervante di stare vicino a un cartellone pubblicitario di Playboy.

Se non ero brava a distinguere le tipologie di magia, avevo un vero e proprio talento per vedere attraverso illusioni, glamour delle fate, incantesimi di camuffamento.
Mi concentrai sulla figura di Tetigistus, come se volessi metterla a fuoco, e spostai il punto di vista. Il livello cambiava, come in quelle figurine animate che trovavo da piccola nelle patatine: i lineamenti di Tetigistus rimanevano gli stessi, ma la pelle diventava scarlatta come il sangue e gli occhi gialli avevano la pupilla rettile. Tutto il corpo nudo era pieno scarnificazioni, piercing e tatuaggi di sigilli. Tenni lo sguardo ben sopra al suo ombelico.
L'impermeabile era carbonizzato e Camlo non aveva trovato una giacca da darci; ma conoscendo quanto era tirchio, probabilmente mi aveva mentito.

La ragazza scese, non prima di essersi girata l'ultima volta verso Tetigistus. Me la immaginai da sola, di notte magari, in un vicolo con un diavolo. Rabbrividii.

Risuonò nel brusio della metro Girls Girls Girls dei Motley Crue, facendomi sussultare. Tirai fuori lo smartphone dalla tasca dei jeans.

Sullo schermo lampeggiava a bianche lettere la parola Papà.



***



Tetigistus scostò la tenda e uscì dal camerino. I boxer con la stampa di palme su sfondo blu contrastavano con la sua pelle
rossa. Erano lunghi e lo coprivano dai fianchi alle ginocchia.
Niente più piselli al vento! Un traguardo per la civiltà!
Ero commossa.

Tetigistus si rimirò nello specchio. Schioccò le labbra e si girò verso di me.

-Dici che sono gli specchi di questo negozio che ingrassano?- Si accarezzò la pancia piatta, valutandola, come una mamma in dolce attesa.

Una signora di mezza età, con una bambina piccola appresso, uscì dal camerino e squadrò Tetigistus dalla testa ai piedi. Con la faccia di una persona che ha appena mangiato una mosca, prese la bambina per la mano e uscirono alla svelta verso il corridoio della cassa.
Doveva essere ben strano vedere un uomo indossare un paio di boxer sopra i pantaloni di una suit. Oppure si era scandalizzata per i piercing da drogato; la mente della vecchia generazione è un mistero per me.

Lo smartphone squillò per l'ennesima volta. Continuai a fissare il numero di mio padre che lampeggiava sullo schermo. Smise di suonare; avevo lasciato cadere trentasette chiamate. L'insistenza era una qualità di famiglia.

-Se sento ancora una volta la voce di Vince Neil che canta quello stupido ritornello, trasformerò questo negozio in un lago di sangue prima che tu riesca a fermarmi- disse Tetigistus. Conoscendo la natura dei diavoli, l'avrebbe potuto fare anche solo per puro dispetto. Il caos è l'obiettivo.

Misi il telefono in modalità offline e un orribile senso di colpa mi prese lo stomaco, come se avessi fatto una cosa molto, molto brutta. Una frase aleggiava nell'aria e diceva “Sei la solita inaffidabile, buona a nulla!” e la voce era quella di mio padre. Mi sudavano i palmi delle mani con cui reggevo lo smartphone.

In coda alla cassa, sentivo il mondo circostante distante, galleggiare lontano da me.
Cosa potevo fare? Non pensavo di doverlo affrontare così presto. Non ci avevo voluto pensare.
Come aveva fatto a sapere del Black Hole? Camlo si passava informazioni con la canonica di Roma; era stato lui a
tradirmi?

Ci separavano seicento chilometri, ma era come se non me ne fossi mai andata da casa. Potevo quasi vederlo, mio padre, seduto dietro la sua scrivania che mi fissava con disapprovazione; “Oh, Becca, hai dato fuoco a un locale? Questo è un nuovo traguardo di inettitudine anche per te” avrebbe detto, scuotendo il capo.
Volevo urlare dalla
frustrazione, ma alla fine mi uscì solo uno sbuffo arrabbiato.
La signora cinquantenne di prima si girò a guardarmi sdegnosamente. Prese la busta con i suoi acquisti e se ne andò via, con la bambina che le trotterellava dietro.

La commessa afferrò i boxer e li passò sopra lo scanner del registratore di cassa.

-Sono nove euro e novantanove centesimi, prego- disse, mentre toglieva la placca antitaccheggio.

Tetigistus sgranò gli occhi e al
le mani ai lati della faccia.

-Ah! Io non ho niente. Dove li mettevo i soldi, scusa?- mi chiese, innocente.

Un posto ce l'avevo in mente.

A malavoglia tirai fuori il mio portafoglio. Dentro scintillavano gli ottocento euro in pezzi da cinquanta che Grace mi aveva dato per la taglia dei tre diavoli del Black Hole. Li avrei dovuti usare per le rate arretrate dell'affitto e le bollette; anche il frigo era vuoto. Senza sapere perché, afferrai due pacchi di calzini negli espositori vicino alla cassa, un set di lucidalabbra e passai tutto alla commessa.

-Anche questi, grazie- le dissi.

Avevo trecentosei paia di calzini a casa, letteralmente. Non avevo il benché minimo bisogno di comprarne altri, ma la stampa a fiori di ciliegio era carina. Mi ricordava il Giappone.

Li pagai e mi sentii subito meglio.




***



C'erano tre vie, a detta di Camlo, per entrare nelle catacombe: un passaggio segreto in San Bernardino delle Ossa, nella cripta della chiesa dell'Annunciata e infine nella basilica di Sant'Ambrogio. Ce n'erano probabilmente di più, aveva detto, ma queste tre erano le più note e agibili, sopravvissute ai bombardamenti della guerra.
Dubitavo che avrei potuto usare la prima, sempre presa d'assalto da gruppi di turisti giapponesi. La chiesa dell'Annunciata non avevo la benché minima idea di dove fosse -avevo usato con Camlo la tecnica del “sorridi e annuisci”.

Rimaneva la basilica di Sant'Ambrogio, la scelta più facile e ovvia, se non fosse stato per Tetigistus: stava facendo di tutto per essere una palla al piede. Quando avevo fatto l'osservazione che gli umani non vanno in giro con i boxer sopra ai pantaloni, lui aveva fatto sparire i pantaloni frutto dell'incantamento. In pieno novembre, stava andando in giro con i boxer a palme e una giacca rossa da manager. Adorabile.

-Quanto vuoi star qui?-
mi sussurrò Tetigistus all'orecchio.
-Stammi lontano!- ringhiai. Eravamo appartati dietro un pilastro nel portico della chiesa, accucciati l'uno accanto all'altra. La puzza di zolfo di Tetigistus mi irritava.
Cinque minuti prima un gruppo di
chierichetti, di ritorno dalle prove del coro, ci era passato davanti. Appena si erano accorti di noi, il loro chiacchiericcio era morto, e si erano messi a fissare Tetigistus come se fosse una nuova specie di Pokémon.

-Ehi ragazzi, devo parlare con il Don. Dov'è?- gli avevo chiesto. Quello più sveglio aveva chiuso la bocca e mi aveva squadrato da capo a piedi.

-È ancora dentro dalla messa di stamattina, doveva vedersi con un fedele- e guardò l'orologio al polso magro. -Esce tra poco per il pranzo, te lo chiamo?-

-No, grazie, lo aspetteremo qui.- Gli sorrisi, cercando di sembrare rassicurante. Il ragazzino mi guardò con aria dubbiosa, come se non sapesse se fidarsi o no. I suoi amici lo chiamarono, e il gruppo sparì oltre al portone.
Mi sporsi dal pilastro per vedere la porta d'ingresso della chiesa. Nessuna traccia del parroco.

-Non lo puoi ipnotizzare? Manipolare? Circuire? Sai, quelle robe per cui i diavoli sono famosi.- dissi, girandomi verso Tetigistus.

-Sì, se è fuori dalla chiesa. Lì dentro la mia magia non ha effetto.- rispose Tetigistus.

-Quindi aspettiamo che esca. Sei sicuro di riuscire a scassinare la porta?-

Tetigistus mi sorrise lascivo, come se avessi fatto qualcosa di eccitante. -Le mie dita sanno fare molte magie.-
Mi mostrò il palmo vuoto della sua mano affusolata e magra. Schioccò le dita e una sigaretta gli apparì tra indice e medio; se la mise tra le labbra, sempre sorridendo. Quindi aveva mentito sul portafoglio, poteva materializzare a sé gli oggetti di sua proprietà!
Gli strappai la sigaretta dalla bocca con stizza e me la misi in tasca.

-Non fumare.-

-Non abbiamo nient'altro da fare. Mi annoio.-

-Annoiati allora, basta che non inquini l'aria.-

I suoi occhi azzurri divennero ostili.

-Mi chiedo cosa mi stia trattenendo dal tagliarti la gola e andarmene via.-

-Camlo e la sua maledizione?- dissi io, noncurante.
Tetigistus soffiò tra i denti, simile a un gatto. Tornai a sbirciare la porta di legno della chiesa:
ancora nessuna traccia di vita.

-Che maledizione è? Ti chiude in quel vaso per l'eternità, come il genio della lampada?-

-Non è una cosa legata al presente: è una maledizione che mi lega a tutti i tempi passati e futuri, usando un oggetto a scelta come nodo che collega le varie dimensioni temporali. Comunque non è un vaso: è un vomitatoio etrusco.-

-Ah-ha! Lo sapevo che non era un vaso per le piante: mi sembrava un pitale.- La mia voce rimbombò per il porticato. Pitale-ale-ale. -Finissimo- aggiunsi, abbassando la voce.

Ero seriamente ammirata dai poteri di Camlo: compiere, controllare e dominare una maledizione del genere era difficilissimo. Poteva rivoltarsi contro al mittente se il rituale non si chiudeva bene: aveva scommesso tutto sulla propria bravura pur di legare a sé un diavolo.

-Il tuo amico è pazzo, mi fa paura- disse Tetigistus e rabbrividì. -Parla con l'affettazione di un lord inglese, bello e borghese con la sua chioma e baffi impomatati e tatuaggi old school, ma ho visto la sua vera natura: è peggio di me. E' difficile essere peggio di me.-
-Sì, lo chiamano il Ramsey Bolton di Sesto San Giovanni. Vuoi dirmi cose che non so di già? O puoi stare zitto.-

Alzai gli occhi al cielo: un diavolo che si mette a fare la morale sulla stronzaggine degli uomini. Non l'aveva mai aperto un libro di storia?

Guardai l'orologio: erano le due e dieci.

-Ascolta, tu stai qui. Io vado a vedere come è la situazione nella chiesa.- Tetigistus alzò il pollice in segno di assenso. Non feci in tempo ad allontanarmi di qualche passo che aveva fatto comparire un'altra sigaretta.

Non ero mai stata a Sant'Ambrogio, nonostante mi fossi trasferita a Milano da un anno ormai. Aver avuto una professoressa stronza di storia dell'arte doveva avere notevolmente contribuito al mio disinteresse per gli edifici storici. Passai sotto le tre arcate del porticato. La porta era enorme, di legno, decorata con scene bibliche. Un battente era stato lasciato aperto.

Entrai nella chiesa. Nelle tre navate alleggiava il silenzio denso tipico dei luoghi sacri. Mi spostati verso destra dove, sopra a un piedistallo, la statua di Sant'Ambrogio guardava benevola un invisibile interlocutore, tendendogli la mano.

Ancora nessuna traccia del parroco. Era possibile che fosse uscito senza che io e Tetigistus l'avessimo notato?
Percorsi tutta la navata fino in fondo, trovandomi davanti all'altare, posto sotto a un magnifico ciborio di legno e oro. Stavo per tornare indietro a chiamare Tetigistus quando sentii un lento gocciolare d'acqua.
Mi girai per capire da dove provenisse. Gesù Cristo, dipinto sul fondo della chiesa, mi guardava dall'alto del suo trono. I suoi occhi erano grandi e neri, due pozzi senza emozione. Ebbi un brivido di paura.

Mi spostai nella navata di sinistra, passando in mezzo ai banchi dove si siedono i fedeli durante la messa. Un piede mi scivolò in avanti e mi dovetti aggrappare con tutte e due le braccia alla colonna per non cadere.

Sul pavimento si apriva una pozza di sangue. Attaccato al muro, c'era il confessionale: una porta era stata divelta e pendeva dai cardini. L'altra era chiusa: da sotto filtrava sangue, che gocciolava giù per il legno e si allargava sul pavimento di pietra, raggrumandosi nelle intersezioni delle mattonelle.

E' troppo sangue per un uomo solo,” fu la prima cosa che pensai, stupidamente. Il sangue aveva sporcato le mie scarpe. Nella pozza scura mi sembrò di vedere riflesso un movimento e mi girai di scatto. Non c'era nessuno, tutto era immobile nella tranquillità della chiesa. L'odore dolciastro che aleggiava nell'aria mi punzecchiò il naso, nauseandomi.
Rimpiansi di aver lasciato la custodia di violino con il fucile ai piedi di Tetigistus.

La superficie nera della porta del confessionale sembrò guardarmi.

Non volevo aprirla e volevo aprirla. Sentii il cuore battermi nelle orecchie mentre mi avvicinavo, facendo attenzione a dove mettevo i piedi.

Non me n'ero accorta, per via del suo colore scuro, ma qualcuno aveva inciso nel legno un pentacolo rovesciato in un cerchio. Diviso in dodici spicchi, c'erano alcuni simboli di demonologia. Riconobbi alcuni nomi di maggiori demoni: sembrava un simbolo di offerta.
Avrei dovuto chiamare Tetigistus, ma quella porticina mi parlava. Sussurrava parole in lingue che non capivo, suoni che mi accarezzavano le orecchie come insetti. Rabbrividii. Erano così flebili da sembrare frutto della mia immaginazione. C'era qualcosa che respirava dietro quella porta, chiamandomi a s
é.

Misi la mano sulla maniglia. La aprii.












NdA: Ringrazio chi ha messo la storia nelle preferite/seguiti e chi ha commentato, siete dei tesorih.

Un grazie speciale va ad Aina, che mi ha betato questo capitolo :)







   
 
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