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Autore: Rory Moore    29/08/2016    2 recensioni
Quando si era trasferita a Milano, in cerca della propria indipendenza e di una tranquilla vita da neo-esorcista, Rebecca non immaginava di ritrovarsi ad aver a che fare con una città indomabile: demoni, maledizioni, portali, guerre tra clan fatati.
In una Milano esoterica, crocevia tra i vari mondi, Rebecca dovrà destreggiarsi tra i vari pericoli e scoprire, alla fine, i segreti che si celano nelle fondamenta.
Genere: Azione, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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.Capitolo due.





Davanti alla scrivania, intrappolato alla sedia da manette e un pentacolo protettivo, c'era un diavolo vestito con un impermeabile di gomma che piagnucolava.

Era un spettacolo piuttosto patetico: del muco gli colava dal rosso naso aquilino e aveva la faccia rattrappita dal pianto.

Mi sedetti accanto a lui. Nella finestra dietro la scrivania vedevo il mio riflesso: avevo la stessa espressione schifata che riservavo alla lettiera di Beril, quando era troppo colma per essere ignorata.

-Hai la faccia di uno che ha succhiato un carretto di limoni- dissi.

Non doveva essersi accorto di me, perché alzò la testa di scatto lanciando uno strillo acuto. Cadde all'indietro e urtò con la schiena contro la parete invisibile del pentacolo protettivo. Ci fu uno sfrigolio, come quando si butta una bistecca su una griglia bollente, poi nell'aria si levò una sfilza di blasfemie miste all'odore di gomma bruciata.

-Che sta succedendo?- Camlo era entrato nella stanza. Reggeva in una mano quello che sembrava un antico vaso da notte in creta.

-Lo dovrei chiedere io! Tu chi cazzo sei?- mi urlò in faccia il diavolo, mentre tentava di spegnere le fiamme dell'impermeabile a forza di manate. Notai che sotto era completamente nudo.

Volevo dargli una risposta che gli facesse capire con chi aveva a che fare: io quelli della stirpe di Lilith li odiavo, li combattevo con ferocia. Volevo che mi temesse, che la mia presenza instillasse in lui un terrore mai provato. La mia vita era consacrata già prima della mia nascita alla lotta contro i diabolici depravati, e lui doveva saperlo.


Volevo una frase ad effetto, ecco.


-Io di lavoro stacco la testa a quelli come te- dissi, abbassando la voce per darmi un tono. Corrugai anche la fronte. Misi la mano sotto il mento, in posa.

E, con mio grande disappunto, nessuno in quella stanza sembrava colpito o terrorizzato.

Camlo fu il primo a interrompere il silenzio.

-Rebecca, ho scoperto una perdita.- disse in tono pratico, sedendosi dietro alla scrivania. Tirò fuori da un cassetto un foglio arrotolato. Lo aprì e dispiegò davanti a me: era una piantina disegnata in inchiostro viola di quelli che sembravano sotterranei.

Camlo indicò con una macchia, rossa e vibrante, nella parte sinistra del foglio. Forse era un'allucinazione, ma pulsava come un organo sinistro. -Si è aperta ieri nelle catacombe. Mezzanotte all'incirca, non ti ho potuta avvisare.-

Avvicinai il naso al foglio per osservarla meglio. Non era un scherzo dei miei occhi: si muoveva davvero, i contorni che si espandevano e restringevano simili a onde del mare.
La carta del foglio puzzava di zolfo, lavanda e salvia officinalis. L'odore della magia mi punzecchiò le narici di un fastidioso prurito.
Girai la testa e starnutii in faccia al diavolo.

-Vaffanculo,
bitch.-

Bene, abbiamo anche il diavolo cosmopolita.

-Scusa, non l’ho fatto apposta- dissi, per metà mentendo e per metà no. Il diavolo si strofinò la faccia con manica del cappotto. Mi indirizzò così tante maledizioni in lingue sconosciute che il portapenne di Camlo cominciò a vibrare contro il legno della scrivania.

-Dicevo...- diss
e Camlo seccato, stringendo con la mano il portapenne per tenerlo fermo. -È aperta da meno di dodici ore, ma più tempo passa più potrebbe generare guai. Vai a chiuderla oggi. Io l'ho esaminata stanotte, a distanza di sicurezza: è sotto l'ospedale San Raffaele. Se non lo fai saltare in aria come il club di ieri sera è meglio. Sai, non vorrei che associarmi a te mi rovinasse la reputazione. -

Colpo basso. Non me lo meritavo.

Camlo era uno stronzo. Non per niente era aveva una dominante scorpionica nel suo tema natale.

-Aspetta! Allora sei tu quella che ha dato fuoco al Dark Hole? Seriamente?-
Il diavolo si era sporto verso di me per osservarmi meglio, gli occhi gialli da serpe sgranati a metà tra la sorpresa e la derisione. Due millimetri e rischiava di bruciarsi anche il naso contro la barriera protettiva.

-E tu come lo sai? L'hai letto su l'Oggi Infernale?- Mi mossi a disagio sulla sedia. Ero arrabbiata ma, ancora peggio, mi
vergognavo. -C'eri anche tu ieri e mi son dimenticata di farti la pelle?-

-Tranquilla, forse tre o quattro persone in tutta Milano o nei nove cerchi infernali non sanno ancora della tua avventura di ieri notte.-
Si rilassò contro lo schienale della sedia, sghignazzando. Aveva la faccia di uno così soddisfatto che si sarebbe fumato una sigaretta.

-Leggi- disse Camlo, mentre mi spingeva un quotidiano piegato sotto il naso.
In prima pagina il titolo
Attacco ieri al Black Hole! Uccisi tre turisti americani lampeggiava in rosso. Sottotitolo: Ancora nessuna rivendicazione dell'attentato da parte delle più note cellule terroristiche.

“Col cazzo Americani! A meno che l'imminente elezione di Drumpf non faccia dell'America una succursale dell'inferno” pensai.

C'era un mio identikit a pagina tre. Grazie a Dio non avevano azzeccato la faccia: il naso troppo porcino, le labbra sottili invece che carnose, uno sguardo vacuo alla Kate Moss ai tempi della droga. I capelli rossi ricci erano notevoli, però.
Sbuffai, gettando il giornale sulla scrivania. Questa era una seccatura: dovevo stare più attenta ad andare in giro, soprattutto armata.

-Non ho altri a cui chiedere se non a te.- Ero io o negli occhi neri di Camlo c'era stato un guizzo di compassione? -James domani parte per l'Irlanda per la nascita di suo nipote. O, almeno, questo è quello che mi ha detto.-

James era un mio collega. L'unico, per essere precisi, che operasse nel raggio di centinaia di chilometri dalla mia zona, secondo il registro del Vaticano.
Era un codardo di dimensioni bibliche e il peggior partner che si potesse avere in una missione mortale. Ci avevo lavorato insieme due volte e il resoconto delle nostre avventure lo tiravo fuori alle cene di Natale, quando la conversazione pregava di essere rallegrata.
Lo sopportavo solo perché mi prestava soldi finanziando il mio problema di shopping compulsivo online, e perché somigliava a Ron Weasley. Nella mia scala di priorità di fan di Harry Potter, non puoi odiare
per davvero una persona che somiglia a Ron Weasley. È immorale.

-Che peccato! Una nascita così poco opportuna!- Speravo si sentisse il mio sarcasmo. Mandai mentalmente a quel paese sia James che le sue scuse patetiche. Ero sempre da sola in situazioni potenzialmente pericolose come quella. Potevo contare solo su di me, ed era una cosa per niente rassicurante.

-Mi dispiace, Becca. In compenso...- Camlo indicò il diavolo seduto accanto a me. -Tetigistus ti accompagnerà. È la miglior guida delle catacombe che puoi sperare di trovare.-

Casino e proteste. Odio e rivoluzione.

-Con questa tardona?- disse Tetigistus.

-Ma col cazzo!- dissi io.

Ci scambiammo occhiate malevole alla Mezzogiorno di Fuoco.

-Non mi fido di lui- aggiunsi. Ed era vero. Andare nel buio e magia nera delle catacombe con Tetigistus poteva significare un pugnale conficcato tra le spalle e la gola tagliata. I diavoli non erano famosi né per la morale, né per il loro amore per la sottoscritta.

-Neanche io, ovviamente- disse Camlo.

Prese il simil pitale di creta e lo poggiò al centro della scrivania. Se a prima vista mi era sembrato antico, mi dovetti ricredere vedendolo da vicino: era prediluviano. Mille o duemila anni prima doveva essere stato decorato da lucenti disegni in smalto, di cui rimanevano solo rimasugli frammentati. Crepe rigavano tutta la superficie ovale, e mi pareva un miracolo che un tale oggetto riuscisse anche solo ad esistere.

Camlo lo girò e ci mostrò il fondo: vi era disegnato il quadrato di Rotas, in quello che sembrava essere sangue fresco.

-Ho fatto in modo che tenerti in vita sia il suo principale interesse. Fidati, se tu muori pregherà anche lui di fare la stessa fine.- Camlo diede un paio di colpetti affettuosi al vaso, come a rafforzare il concetto. Un rumore sepolcrale ne uscì ed echeggiò per lo studio.

Tetigistus si agitò sulla sedia, a disagio. -Sì, uh, ho recepito il messaggio. Capo, metti via quella cosa, mi dà i brividi.-

Camlo rimise il pitale sotto la scrivania.

Non avevo la più pallida idea della natura delle precauzioni che Camlo aveva messo in atto; ero sempre stata una
sega, definizione esatta data da Gabriele, il mio precettore romano di Esoterismo, a percepire e identificare tracce di magia.
Camlo era a momenti petulante e velenoso, crudele e vendicativo con i suoi nemici, e non era di certo il tipo che avrei invitato a una festa, data la sua totale assenza di senso dell'umorismo. Ma era professionale e, all'incontrario di James, non aveva mai tradito la parola data. Alla fine, forse mi sbagliavo: su qualcuno potevo contare, oltre me stessa.

-Ok, parlami di questo varco- dissi.
Mi appoggiai con i gomiti alla scrivania, in ascolto.



***



Nella sala centrale del bar, in fondo a sinistra c'era una piccola porticina scura. Aprendola ti ritrovavi a percorrere un corridoio fatto di ampie vetrate in stile Art Noveau. Fiori di legno, sinuosi e eleganti, sbocciavano dalle cornici delle finestre.
Da fuori proveniva lo scrosciare di un fiume: girava attorno al Bar Alafair come se l'acqua si fosse adattata all'edificio e non il contrario. I prati ampi e verdi rilucevano di rugiada alla luce del sole.
In lontananza c'era una foresta di pini. Le punte degli alberi ondeggiarono e uno stormo di uccelli dalle ali viola ne uscì, volando via.
Qualunque posto fosse, non era di certo Milano.

Alla fine del corridoio, entrai nell'ufficio contabilità.


Grace alzò la testa, seduta dietro la scrivania al centro della stanza, tutta un sorriso smagliante e perfetti boccoli biondi.
-Rebecca!- esclamò. Si alzò dalla sedia e venne ad abbracciarmi, schiacciandomi le tette contro un lato della faccia. Amavo la vita.

Camlo gestiva il locale e aveva messo i soldi per costruirlo, ma era Grace la proprietaria nominale del “Bar Alafair”: il sangue rom di Camlo gli impediva di possedere terre e locali di qualsiasi tipo.
Sospettavo da un annetto che i due scopassero, ma l'ultima persona che aveva messo il naso negli affari di Camlo si era ritrovata all'ospedale con un braccio in più che gli spuntava dalla fronte, quindi avevo preferito la via della discrezione.

-Camlo mi ha mandata qui per la paga di ieri. Ha detto che lo scorso lunedì, con la fornitura di liquore, è arrivata una cassa di armi. Ieri ho fatto fuori la mia Colt.-

-Certo, cara. Siediti pure, ci vorrà un minuto.-

Mi sedetti su uno sgabello cremisi, guardandomi attorno. La stanza era grande il doppio dello studio di Camlo e file di archivi su archivi d'oro ricoprivano le pareti. Un candelabro di cristallo blu pendeva dal soffitto.
Grace prese una mazzetta di soldi dalla cassa sotto la scrivania e la mise nel conta banconote d'oro. Con un rumore meccanico, che ricordava una macchina da cucire, questo si accese. Le banconote venivano contate così velocemente che si trasformavano in un arco arancio.

Grace si alzò e si diresse verso un armadietto appeso al muro. Lo aprì: c'erano diverse chiavi, alcune dalle forme e materiali stravaganti. Una chiave si mosse e cercò di spiccare il volo con le sue gracili ali da libellula, ma Grace con un ceffone la stordì. Penzolava inerte, attaccata alla catenella, quando l'armadietto venne richiuso.

-Ancora un secondo.- Grace uscì dalla stanza sculettando sui tacchi, nella mano una semplice chiave Silca di ferro.

Con un ronzio, il conta-monete si spense. La cassa era ancora aperta, piena al suo interno di mazzette arancioni, verdi, gialle e viola.
Non servivano telecamere o complessi sistemi di sicurezza contro i ladri al Bar Alafair: ogni mattina, aperto il bar, Camlo girava per i locali e rinnovava le sue protezioni. Se avessi preso anche solo un centesimo, senza il consenso suo o di Grace, le mie mani si sarebbero tramutate in sale.
Un cameriere che non lo sapeva aveva cercato di fare il furbo, tre anni prima. Brutta storia.

Grace rientrò nella stanza con una custodia di violino tra le braccia. Aveva in faccia un'espressione funerea.
-Scusami, Rebecca. Davvero, scusa!- I suoi occhi azzurri erano tristi e si mordicchiò le labbra rosse: il ritratto del dispiacere.
-Per cosa?-
-Io... non l'ho chiesto a Camlo. Era un prestito per un amico, alla fine.-

Grace poggiò ai miei piedi la custodia di violino. Sorrise nervosamente.
-Ho solo questo: il Remington che è arrivato la scorsa settimana l'ho dato a James. Lo conosci, ha la fobia degli aerei e in treno deve passare dalla Francia per raggiungere la Manica. Sai che lì ha molti nemici...-

Le avventure di James con i vampiri della Sorbonne era uno degli episodi preferiti che tiravo fuori alle feste.

Aprii la custodia, speranzosa. Cosa poteva esserci di peggio di una Colt con la canna piegata? Un moschetto a pallini? Un archibugio?

Poggiato sul velluto nero c'era un fucile Bernardelli Hemingway, con la canna mozza artigianale, un rinculo che ti disloca la spalla e una precisione che facevo prima a mirare a destra del bersaglio per colpirlo. Probabilmente era il fucile che Camlo usava per dare la caccia ai conigli.
E io ci sarei dovuta andare nelle catacombe.

Maledetto. James.

-Dai, va più che bene- mentii, mentre lo esaminavo da vicino e ne valutavo il bilanciamento. Dall'espressione, Grace non se la bevve.


Dovevo affrontare una missione potenzialmente pericolosa per la mia vita, con come alleati un fucile anti-diluviano e un diavolo nudista. L'inizio della settimana prometteva bene.









NdA: Scusate a tutti per il ritardo! Con la fine delle vacanze gli aggiornamenti diverranno più frequenti :)
Ringrazio erzsi che mi ha betato il capitolo e tutti quelli che hanno messo nei seguiti/preferiti la storia!



   
 
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