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Autore: Tamar10    28/11/2016    2 recensioni
L’Alchimista di Fuoco odia la pioggia, ma, come per ogni cosa, esistono delle eccezioni. I cinque giorni di pioggia più felici della sua vita.
[Royai]
Dal quarto capitolo:
“Pioggia nel deserto”.
“Come scusa?”.
“Pioggia nel deserto. Era quello che speravo ogni fottuto giorno quando eravamo quaggiù, se avesse piovuto, almeno per quel giorno, la mia alchimia non avrebbe funzionato e non avrei potuto sterminare tutte quelle persone” spiegò con voce amara e addolorata “Ma in fondo era un pensiero da stupidi, non credi? La pioggia nel deserto è un evento impossibile. È un po’ come sperare che tu mi conceda quella fatidica cena insieme”.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Riza Hawkeye, Roy Mustang, Team Mustang | Coppie: Roy/Riza
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Note:
Ci tengo particolarmente a questa storia, probabilmente perché è nata di getto proprio durante delle camminate sotto la pioggia milanese di questi giorni. Personalmente mi piace la pioggia e ho pensato che anche se il nostro caro Colonnello la detesta tanto (perché lo rende inutile, come tutti tengono a ricordargli) devono pur esserci stati dei giorni di pioggia che ricorda con felicità.
In tutto saranno cinque capitoli (ho già praticamente finito di scriverli tutti) che procedono in ordine cronologico e seguono l'evolversi del rapporto fra Roy e Riza, compariranno anche gli altri membri della squadra però serviranno più che altro come sfondo. Questo è il più breve e anche quello che mi piace meno, anche perché è un episodio molto trattato, ma era necessario come introduzione.
Spero che la storia possa piacere e vi chiedo che mi lasciate delle recensioni per sapere se ha senso andare avanti a pubblicare o meno.



 
 
Roy aveva passato notti a studiare la schiena di Riza. Il giorno doveva compiere il suo lavoro da militare, ma la notte si recava nella casa che era stata del suo maestro e al lume di una lanterna cercava di decifrare il tatuaggio che la ragazza aveva impresso sulla pelle. Era diventato una specie di rito, strano e infelice, ma Roy era ben felice di sacrificare le sue ore di sonno per quello. Non era solo la possibilità di poter finalmente dominare l’Alchimia del Fuoco, ma anche solamente per poter passare del tempo con la signorina Hawkeye.
Non che si divertissero, ogni notte era stato sempre lo stesso rituale: lei che gli apriva la porta, scambiava pochi convenevoli, poi si spogliava dalla cintola in su e si sdraiava sul letto. Per le prime due notti aveva anche pianto, in silenzio, ma non aveva potuto nascondere i singhiozzi. Roy non aveva osato parlare, in parte perché non avrebbe saputo cosa dire, in parte perché sapeva che qualsiasi cosa avrebbe detto non sarebbe servita.
Suo padre le aveva inciso la propria ricerca sulla schiena, cosa si poteva provare in questi casi? Inoltre lui non aveva alcun diritto di giudicare, la stava studiando, come se fosse un dannatissimo libro. Quella era stata la prima volta che aveva pensato che gli Alchimisti fossero delle persone orribili.
La terza notte aveva preso coraggio, forse anche perché lei non stava più piangendo, e le aveva proposto che, vista la situazione, avrebbero pure potuto cominciare a chiamarsi per nome. Aveva provato a buttarla sul ridere nella speranza di riuscire a strapparle almeno un sorriso, non c’era riuscito ma perlomeno lei gli aveva accordato quel permesso.
Le notti successive aveva scoperto che era più facile parlarle quando la chiamava Riza, anche se le risposte che otteneva erano poco più che monosillabi e non è mai piacevole conversare con qualcuno di cui vedi solo la nuca. I suoi erano più che altro dei monologhi, le raccontava della sua vita o della sua giornata o dei suoi sogni, parlava a ruota libera cercando di distrarla, di ricordarle che lei non era un manoscritto o un libro, ma una persona.
La penultima notte fu la prima volta che lei lo interruppe.
“Certo che parli un sacco. Sicuro di riuscire a studiare e chiacchierare contemporaneamente?”.
Roy rimase spiazzato per qualche secondo, cercando di capire se fosse una sorta di umorismo o un secco rimprovero, probabilmente era entrambe le cose.
“Riesco a fare più cose insieme” replicò, non senza una punta di orgoglio “E poi ho quasi finito”.
La ragazza irrigidì le spalle per un attimo, ma poco dopo le rilassò nuovamente.
“Bene, si concentri” disse semplicemente, tornando automaticamente al lei.
Quando l’ultima notte dichiarò lo studio concluso e vide Riza riallacciarsi la camicetta per quella che sarebbe stata l’ultima volta Roy fu sommerso da un fiume di tristezza, sapeva che difficilmente le loro strade si sarebbero ri-incrociate. Certo, era euforico per ciò che aveva appreso, ma forse non gli sarebbe dispiaciuto metterci un po’ di più per svelare i segreti del suo maestro per trascorrere altro tempo in compagnia di sua figlia.
All’improvviso fu fulminato da un’idea, mancavano ancora almeno due ore all’alba quindi aveva tempo per provare ciò che aveva imparato e, per la prima volta, gli sarebbe piaciuto fosse presente anche Riza.
“E su cosa vorrebbe provare?” domandò lei, guardandosi intorno lievemente preoccupata, quando lui le espose la sua idea.
“Possiamo andare nei boschi intorno alla casa”.
Sorprendentemente non fu troppo difficile convincerla, forse era curiosa di vedere coi suoi occhi se il progetto a cui suo padre aveva dedicato tutta la sua attenzione, a scapito di sua figlia, funzionasse davvero. Roy si disegnò un cerchio alchemico sulla mano uguale a quello sulla schiena della ragazza e trovò un pezzo di stoffa d’accensione nell’ex-studio del suo maestro.
“Possiamo andare” annunciò, talmente eccitato da non stare più nella pelle.
Prima di uscire Riza prese un vecchio fucile da caccia che faceva bella mostra in salotto.
“Quello per che cos’è?” domandò il ragazzo.
“Solo una precauzione, non si sa mia cosa si può trovare in queste zone abbandonate” rispose tranquillamente la ragazza.
Fuori era buio e faceva freddo, non si intravedeva neanche una stella perché il cielo era completamene coperto. Riza insistette ad addentrarsi nel cuore del bosco, con una lanterna in mano, dicendo che conosceva il posto adatto e che non voleva rischiare che Roy desse fuoco alla sua casa, una delle poche cose che le erano rimaste. Dopo qualche minuto di cammino sbucarono in un’ampia radura attraversata da un sottile ruscello.
“Perfetto” disse Roy portandosi al centro dello spiazzo.
Tutto d’un tratto si sentiva nervoso, voleva fare bella figura davanti a Riza per dimostrarle che aveva fatto bene a fidarsi di lui, ma c’erano un milione di cose che avrebbero potuto andare storte. Forse non sarebbe riuscito a sfruttare l’ossigeno dell’aria per la combustione o aveva tracciato male il cerchio alchemico o non sarebbe riuscito a controllare la fiammata e avrebbe dato fuoco a tutto il bosco.
Era così perso nei suoi complessi che non si accorse neanche che era cominciata a scendere una pioggerellina leggera. Poi un rumore secco alle sue spalle lo fece voltare: al limitare della radura, dal lato opposto a quello in cui si trovava Riza, un grosso cinghiale lo fissava con fare minaccioso.
“Questo sarebbe un ottimo momento per fare sfoggio delle tue abilità” suggerì la ragazza con voce tesa.
L’animale intanto avanzava, con il chiaro intento di scacciare gli intrusi dal suo territorio. Lo sguardo di Roy si soffermò in particolare sulle lunghe zanne appuntite.
Richiamò alla mente le nozioni imparate, portò avanti la mano sulla quale aveva disegnato il cerchio alchemico e sfregò il tessuto di accensione. Seguì un lungo istante di silenzio, come se il bosco intero stesse trattenendo il fiato, ma non successe niente.
“Quanto ci mette precisamente a fare effetto?” domandò Riza dopo qualche secondo.
“In teoria ha effetto immediato” ribatté Roy corrucciato “Ma non riesco ad accendere”.
E per sottolineare il fatto provò a sfregare ancora la stoffa che però non emise alcuna scintilla.
Intanto il cinghiale aveva percepito il tentativo di attacco ed era diventato parecchio irrequieto. Roy stava ancora lanciando imprecazioni, fermo al centro della radura, quando l’animale decise di caricare. Il ragazzo si girò ad affrontare la bestia armato solo dell’inutile stoffa bagnata, le zanne si avvicinavano e lui si sentiva maledettamente impotente.
Per un attimo temette il peggio, poi, quando mancavano solo un paio di metri prima che fosse trasformato in uno spiedino, sentì uno sparo e l’animale sbandò, accasciandosi a terra poco più in là.
Roy guardò il luogo da cui era partito il colpo, Riza aveva il fucile spianato ancora puntato verso il corpo del cinghiale e uno sguardo risoluto. Passarono dei minuti lunghissimi in cui nessuno si mosse, il ragazzo ricominciò a respirare e sentì i battiti del suo cuore ritornare lentamente regolari.
“Penso sia morto” si decise a dire infine.
“Sì, ci conviene tornare a casa, Alchimista. Prima che ci capitino altre brutte sorprese”.
Roy la seguì senza dire una parola, lo stomaco bruciante per la delusione. La pioggia intanto era cresciuta di intensità e gli appiccicava i capelli corvini alla fronte. Cercava di immaginare i pensieri della ragazza che camminava spedita davanti a lui, di sicuro era furiosa per aver affidato ad un tale incompetente il prezioso segreto di suo padre.
“Grazie” sussurrò infine quando giunsero in vista della casa “Io...non so, pensavo avrebbe funzionato, ma...non avevo pensato che da bagnata la stoffa non producesse scintille”.
Riza si fermò e si girò per guardarlo negli occhi. La luce della lanterna le illuminava il volto in modo spettrale, ma Roy rimase comunque incantato dal suo sguardo ambrato. Per una settimana intera aveva parlato alla sua nuca, non si era mai reso conto di quanto fossero intensi e profondi i suoi occhi.
“Non è colpa tua” disse lei con voce dolce e Roy non poté fare a meno di tirare un sospiro di sollievo: non era arrabbiata con lui. “Capita a tutti di sbagliare un colpo. Almeno adesso sappiamo che sei inutile quando piove”.
Nonostante tutto, Roy non poté fare a meno di unirsi alla risata della ragazza.
Quello fu il giorno in cui Roy Mustang cominciò ad odiare la pioggia, ma anche il primo giorno di pioggia in cui fu davvero felice. Aveva provato per tutta la settimana a strappare un sorriso a Riza Hawkeye e, se qualche goccia d’acqua era il prezzo per poter sentire la sua risata, era ben contento di pagarlo. Inoltre non gli importava di essere inutile, non finché avrebbe avuto qualcuno come lei a coprirgli le spalle.






Note finali: Riza passa dal tu al lei in maniera inconscia, perché non è abituata ad avere così tanta familiarità con Mustang. Il tatuaggio di Riza io do per scontato sia nero fin da quando ho letto il manga, anche se nell'anime è rosso; inoltre non sono affatto sicura ci possa essere un bosco con dei cinghiali di fianco a casa Hawkeye, ma lasciatemi questa licenza poetica.
A presto :)
  
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