Il sole stava tramontando all'orizzonte
tingendo il cielo di sfumature rossastre, appena screziate dalle scie
dorate di alcune nuvole di passaggio.
Malia, distesa a terra tra
le secche foglie autunnali, osservava lo spettacolo offertole con una
certa dose di malinconia. Era il 28 novembre, il giorno del suo
compleanno, e a differenza della maggior parte dei suoi coetanei non
riusciva a trovare alcun motivo per cui festeggiare.
Il ricordo
della sua ultima festa di compleanno era fumoso, ma ricordava in modo
nitido il suono argentino della risata di sua sorella, il profumo del
pan di spagna appena sfornato e la bambola ricevuta in
regalo.
Afferrò una manciata di foglie, ne scelse una ingiallita
e la sollevò in alto, facendo in modo che gli ultimi raggi
di luce
la colpissero, affascinata dalle striature che la
attraversavano.
Quella bambola era stata per tanti anni la lapide
su cui aveva pianto per ciò che aveva fatto. Nonostante i
sensi del
coyote prendessero spesso il sopravvento, la presenza di quella
bambola aveva tenuto sempre accesa l'ultima fiamma della sua
umanità.
Perché cosa c'era di più umano del rimorso?
Sentì una leggera
vibrazione sotto di sé e poggiò l'orecchio sul
tappeto di foglie
per ascoltare meglio: una macchina si stava avvicinando. Quando si
mise in piedi il rombo era già udibile e ben presto la jeep
verdeacqua di Stiles svoltò l'angolo e si fermò
davanti al
vialetto.
Malia fece un passo indietro e guardò stranita il
ragazzo che scendeva dall'auto.
Le cose tra loro due erano strane.
Dopo la notte nel seminterrato di Eichen House, Stiles era stato
vittima di una creatura soprannaturale e la sua amica Allison era
morta per mano di quel mostro.
Lei non aveva avuto modo di
conoscerla a fondo, ma ricordava il modo gentile in cui l'aveva
trattata dopo che Scott l'aveva costretta a tornare umana. L'aveva
aiutata a fare il bagno e le aveva regalato alcuni dei suoi vestiti,
rassicurandola con un tono di voce così melodioso da
risultare
materno.
Si era un po' pentita di non aver preso parte al suo
funerale, ma non era ancora pronta a varcare i cancelli del cimitero
dove erano sepolte la madre e la sorella che lei stessa aveva ucciso.
Allo stesso tempo sapeva che sarebbe stata di troppo, un'estranea
incapace di condividere l'intimo dolore di chi aveva davvero
conosciuto e amato Allison Argent.
Erano passati pochi giorni,
forse una settimana dall'accaduto, e tutta la città era in
lutto.
Non aveva avuto più notizie di Stiles e temeva che lui si
sarebbe
presto dimenticato anche il suo nome.
Si sentiva attratta da quel
ragazzo che conosceva appena, come una calamita era attratta dal
ferro. Le era capitato di vederlo alcune volte per strada nei giorni
precedenti, ma non si era azzardata a farsi vedere nonostante il
bisogno, la necessità, di sentirlo ancora vicino. La
signorina
Deaton le aveva spiegato che i sensi da coyote erano ancora
preponderanti e che quindi l'istinto verso quel genere di cose poteva
essere meno facile da controllare. In realtà lei non si era
mai
sentita tanto umana come quando si era ritrovata a pensare alle
labbra di Stiles, ai suoi penetranti occhi nocciola e alle sue ciglia
morbide contro la pelle.
«Ehi»
disse lui impacciato, grattandosi il viso e poi la nuca, mentre con
un piede spostava alcune foglie.
«Ehi»
Malia abbozzò un sorriso, incrociando le braccia al petto.
«Scusa
se sono piombato qui all'improvviso, è che mi sono accorto
di non
avere il tuo numero così... sì,
insomma...» incespicò a
disagio sulle ultime parole.
«Non
importa, tranquillo. Sei qui per qualche motivo? Cerchi mio
padre?»
«Cosa? No! No, cercavo te.
Posso...?» mosse le mani in avanti in un gesto circolare, a
indicare la distanza che li separava. Malia all'improvviso
capì.
«Oh,
sì giusto. Scusami, non sono abituata a questo genere di
cose.
Posso... ehm, offrirti un bicchiere di scotch?» disse,
provando a infondere tutta la gentilezza possibile in ogni parola.
Era ciò che diceva suo padre agli amici che andavano a
trovarlo, ma
a giudicare dall'espressione di Stiles forse la proposta non andava
bene per tutti gli altri.
Il ragazzo si avvicinò di qualche
passo, finché non si ritrovarono uno di fronte all'altra, e
le tolse
con estrema naturalezza alcune foglie rimaste impigliate tra i suoi
lunghi capelli. Malia non riusciva a staccargli gli occhi di dosso,
poteva sentire di nuovo l'odore fruttato del suo respiro e il battito
veloce del suo cuore. Era una strana sensazione, come ritrovarsi di
nuovo nella sua tana nel bosco.
«Ehm,
hai dello sporco sul viso, ti dispiace se...»
iniziò a dire,
ma non le diede il tempo di rispondere, le sue dita fredde stavano
già sfiorandole il collo, mentre con il pollice strofinava
via
polvere e terriccio. Per un momento, un breve istante, lo sguardo di
Stiles si posò sulle sue labbra e le dita seguirono il
percorso
tracciato dagli occhi, ma quando arrivarono a toccare gli angoli
della bocca lui si ritrasse, nascondendo le mani nelle tasche dei
pantaloni color sabbia.
Malia era sempre più confusa... e lei
odiava non aver chiara la situazione.
«Perché
sei qui?» gli chiese a bruciapelo e Stiles
spalancò gli
occhi come un bambino colto con le mani nel barattolo dei
biscotti.
«Hai... hai da fare
stasera?»
«No, mio
padre ha il turno di notte» fece spallucce.
«Mmh,
bene. Ti andrebbe di, ecco, di venire a casa mia?»
Malia
ci pensò su: cosa le stava chiedendo? Suo padre le aveva
spiegato
che molto spesso dietro proposte banali c'erano significati nascosti.
Così, ad esempio, l'invito a prendere un caffè
era usato come scusa
per vedere qualcuno, stessa cosa per il cinema. E l'invito a casa?
Stiles parve agitato da quella pausa «Oh
non pensare male, non è per quello che credi!»
«Cosa
dovrei pensare? Non capisco» ammise candidamente.
«Be'
che io voglia portarti a casa per, per ripetere ciò che
abbiamo
fatto la prima... volta» sbuffò nascondendosi il
volto tra
le mani, rosso fino alla punta dei capelli.
Malia non capiva
davvero il motivo di tutto quell'imbarazzo, ma capiva che non lo
faceva stare bene, così lo costrinse a spostare le mani dal
viso.
«Va bene, andiamo»
disse con semplicità.
Il profumo dei sedili in pelle, unito a
quello di Stiles, la investì ancor prima di aver aperto lo
sportello. Decise che le piaceva, mentre affondava lentamente nel
posto del passeggero.
Stiles mise in moto e una musica leggera,
appena udibile, si diffuse nell'abitacolo.
«E
così sei riuscita a superare i tuoi problemi?» le
chiese, lo
sguardo fisso sulla strada.
«Sì, abbastanza da poter vivere con
mio padre senza rischiare di ucciderlo» arrotolò
una ciocca di
capelli tra le dita, guardando il paesaggio che sfrecciava veloce
attraverso il finestrino.
«Gli incubi invece?»
Malia si morse
il labbro inferiore. «Sto migliorando...»
Non avevano più
parlato dall'ultima volta e così lui non sapeva che dopo il
loro
incontro gli incubi erano meno frequenti. Anche lei stentava a
crederci, si era più volte chiesta com'era possibile che una
singola
notte d'amore fosse bastata a placare i suoi demoni interiori, ma era
successo e sperava che ci fosse dell'altro. Forse per la prima volta
il destino aveva qualcosa di bello in serbo per lei.
«Mi dispiace
non averti chiamata, ma...» si interruppe bruscamente, come
pentito
di aver accennato a quell'argomento. Fece una smorfia infastidita e
strinse più forte il volante.
Malia posò una mano sul suo
braccio teso e il volto del ragazzo si distese, mentre si girava a
guardarla con occhi lucidi.
«Va tutto bene» lo
rassicurò.
Quando arrivarono a casa di Stiles era buio
e le luci del portico erano già accese. Stiles
saltò giù dall'auto
e corse ad aprirle la portiera, aiutandola a scendere come se lei ne
avesse un reale bisogno.
La temperatura era calata di qualche
grado e il largo maglione bianco di lana non bastava più a
tenerla
al caldo, così si strinse nelle spalle saltellando sul posto
mentre
Stiles cercava le chiavi.
«Hai
ancora problemi di temperatura?» disse, rigirando la chiave
nella toppa.
Malia annuì, i denti che iniziavano a battere tra di
loro. Stiles spalancò la porta, ma invece di entrare le
andò dietro
e le coprì gli occhi con le dita.
«Che
stai facendo?» gli chiese mentre lui la sospingeva verso
l'interno della casa.
«Continua
a camminare, ci siamo quasi».
E poi si fermarono e Stiles la
liberò dalla leggera stretta. La casa era immersa
nell'oscurità, ma
gli occhi di Malia erano capaci di vedere anche in quelle
condizioni.
Davanti a lei c'era un tavolo con sopra dei dolci
infilzati da stecchini, o almeno così credette
finché Stiles non
iniziò ad accendere quelle che si rese conto essere
candeline.
Nove
candeline poste su una fila di altrettanti cupcake decorati da
deliziose rose di panna colorata.
«Ho comprato questi dolcetti,
ognuno con un sapore diverso, perché be', ho pensato che
avessi
molti compleanni e altrettante torte da recuperare,
così...» lasciò
cadere la frase, abbassando lo sguardo senza però smettere
di
guardarla, in attesa di una sua reazione.
Malia era pietrificata.
Osservò gli stoppini bruciare, le fiammelle emanavano una
luce
calda tanto quanto quella che le aveva inondato il cuore. Gli occhi
le si riempirono di lacrime e l'unica cosa che riuscì a fare
fu
rifugiarsi tra le braccia del ragazzo, mettendo da parte tutte le
lezioni sulle convenzioni sociali.
Stiles l'accolse,
accarezzandole i capelli mentre lei nascondeva il viso nell'incavo
del suo collo. Era così strano eppure così giusto
trovarsi lì, in quella posizione, ma forse era solo una sua
fantasia
e Stiles non provava le stesse sensazioni che provava lei.
Quella
consapevolezza la indusse a sciogliere l'abbraccio. Si
asciugò le
lacrime con una manica del maglione e poi abbozzò un
sorriso,
prendendo in mano uno dei cupcake.
«Grazie» gli disse sorridendo
apertamente e poi spense la candelina.
Stiles ricambiò il sorriso
e ridusse di nuovo la distanza che li separava. Intrecciò le
dita
della mano libera tra le sue e le diede un leggero bacio su una
tempia.
Malia guardò i suoi occhi limpidi illuminati dalla luce
delle candele, ma senza riuscire a decifrarli.
Se c'era una cosa
che aveva imparato in otto anni vissuti affidandosi all'istinto, era
che bisognava prendere ciò che la vita offriva, godendo dei
piccoli
momenti; così poggiò la testa sulla sua spalla e
si lasciò cullare
dal battito del suo cuore, mentre lui sussurrava “buon
compleanno,
Malia”.