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Autore: Cathy Earnshaw    29/11/2016    1 recensioni
La Terra dei Tuoni è un luogo popolato da creature magiche ed immortali, e una convivenza pacifica non è facile. L'equilibrio è fragile, la pace è labile e soggetta alle brame di potere. E quando i Draghi attaccano la capitale del Regno dei nani, questi reagiscono con violenza, ponendo i presupposti di una nuova guerra.
Nota: Tecnicamente "La guerra dei Draghi" è il prequel di "La Cascata del Potere", anche se la scrivo ora, a "Cascata" conclusa. Le trame non hanno grossi punti in comune, perciò l'ordine di lettura non deve essere necessariamente quello temporale.
Buona lettura!
Cat
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Di guerre e cascate - La Terra dei Tuoni'
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Capitolo 13
L’esercito di fuoco
 
 
Frunn sosteneva lo sguardo di un silenzioso Glenndois da qualche minuto, ormai. Odiava con tutta l’anima quando il Generale cercava di intimorirlo a quel modo. Oltre ad essere una perdita di tempo, era certo di non meritarselo. Senza contare che restare da solo davanti a lui dopo aver accolto le confidenze di Ailyn solo pochi giorni prima si stava rivelando davvero difficile.
Quando era giunto a Class manifestando la necessità di parlargli, quello spocchioso gli aveva chiesto dove avesse trovato il coraggio di abbandonare il capezzale della monarchia, poi aveva capito che non era il caso di fare dell’ironia. E quando Frunn aveva finito di fare rapporto era rimasto lì a fissarlo come fosse stata sua la colpa della nascita di un cugino idiota. Pensare che aveva così fretta di andarsene… Spostò il peso da una gamba all’altra e si schiarì la voce.
«C’è qualcosa che devo riferire a Sua Maestà?»
Glenndois si corrucciò. Con quell’espressione sul viso, assomigliava tremendamente a Dodo.
«Ho bisogno di rifletterci un po’, prima.»
Frunn fu fatto accomodare in un salottino in attesa di venire riconvocato. Il torto più grande che il Governatore potesse fargli era proprio quello: lasciarlo solo con sé stesso a riflettere. L’autocommiserazione era un lusso che non poteva più concedersi, e se si fosse fermato a pensare sarebbe impazzito.
Possibile che Lantor avesse montato una cosa del genere solo perché non aveva ricevuto Phia? Lui non lo conosceva direttamente, ma solo attraverso i racconti che suo padre intesseva. Scremati da tutto il pittoresco, ovviamente, ma era un’operazione che l’abitudine aveva reso semplice. Lantor aveva sempre abbaiato senza mordere. Era vero che, per dirla nello stile di suo padre, “a forza di briciole si faceva un panino”, ma quante briciole sarebbero servite perché un parente stretto del Re arrivasse a svendere la propria gente ai draghi? E c’era un’altra domanda a cui Frunn cercava invano una risposta: che cosa aveva spinto Bearkin ad attaccare Altapietra? Tutto era cominciato da lì, non poteva essere stata una scelta casuale.
 
Meowin aveva assistito con orrore crescente alle operazioni di partenza dei draghi. Erano tanti, e tra loro c’era anche il Re. Sarebbe stato impossibile confondere Bearkin con un qualunque altro drago, era molto più grosso di tutti gli altri, le sue ali erano ampie, i muscoli possenti, le squame cangianti. Se lo stesso Bearkin si preparava a partire, doveva esserci qualcosa di grosso in ballo. Mei pregò con tutto il cuore che quel qualcosa non fosse Lumia.
 
«Se vogliamo scoprire qualcosa, non avremo mai un’occasione migliore di questa» sussurrò Impialla emergendo cautamente da suo nascondiglio.
«Ci beccheranno» rispose Mark, affranto.
La partenza di tutti quei draghi li aveva lasciati sgomenti. Non erano stati in grado di contarli mentre passavano in volo sulla loro testa, diretti a nord. Era chiaro che se si era lasciato trascinare fino a lì, nell’estremo Sud, era stato tutto per quel momento, per vedere che cosa si celava dietro al nome “Alti Nidi”. Per questo, senz’altro aggiungere, seguì Impialla. Il nano si muoveva sicuro tra le ombre. Certamente la città era popolata nonostante tutto, e forse una fuga precipitosa non sarebbe stata sufficiente a salvare loro le chiappe in caso di necessità.
Impialla aggirò un punto di vedetta e strisciò in una feritoia, varcando le mura.
“Non ci voglio credere” si disse Mark imitandolo.
Certamente non si era aspettato nulla di simile. Che cosa se ne faceva un drago di simili mura di cinta? Sputavano fuoco, non era abbastanza? E a che pro fortificare il nulla? Oltre la cinta non c’era affatto una città a misura di drago, come si era aspettato, tutt’altro. Una serie di picchi di roccia affilata che si stagliava contro il cielo azzurro. Ciascun picco era costellato di bocche, che si aprivano su tutta la sua lunghezza, e nelle quali si intravedevano baluginii lattei, come luci di deboli lanterne magiche.
«Ti muovi?» sbottò Impialla tirandolo per un braccio nell’ombra delle mura.
«Che cosa cavolo è questo posto?» balbettò.
«Gli Alti Nidi. Che cosa ti aspettavi?»
Il nano proseguì verso sud, lanciandosi attorno occhiate furtive.
Gli Alti Nidi, naturalmente. Nidi in alto. Non era la capitale perché i draghi ci abitavano, ma perché vi custodivano le proprie uova.
«Quelle luci…?» mormorò.
«Uova» rispose Impialla. «Credo che nella loro storia non siano mai state così poche.»
Mark deglutì a vuoto. Kirik non gli era mia piaciuto più di tanto e quella cosa delle uova distrutte gli sembrava ancora più becera, ora che era lì. Impialla puntò l’indice verso sud.
«I draghi popolano le montagne circostanti perché il Monte Alba sia ben sorvegliato.»
«Non mi sembra funzioni bene.»
«Quando siamo stati qui, li abbiamo colti di sorpresa, non si aspettavano una simile audacia. Oggi, invece…» esitò. «Non so se sperare che tornino presto o no.»
Mark annuì.
«Che cosa pensi che possiamo scoprire, qui? Ci sono solo uova…»
«Ti sbagli» tagliò corto il nano.
Mark sospirò. Gli elfi stavano sicuramente ridendo di loro…
 
Frunn balzò in piedi quando Glenndois irruppe nella stanza come una furia.
«Che succede?» domandò allarmato dallo sguardo di fuoco del Generale.
«A Spleen, subito. Ora. Prima. Horlon ci aspetta là.»
Frunn sentì lo stomaco contrarsi.
«Un nuovo attacco?»
«Bearkin.»
Il nome del Re dei draghi risuonò come una sentenza di morte.
Mentre Glenndois scompariva da dov’era venuto, qualcuno gli legò addosso alcune placche di un’armatura altrui e gli fissò una spada corta alla vita.
«Non la so usare questa» balbettò, sentendosi un idiota.
Un idiota terrorizzato. Ma nessuno sembrava considerarlo più. Il mago che l’aveva accompagnato lì ricomparve, visibilmente a disagio, e lo afferrò per un polso.
«Aspetta! Dov’è il Generale?»
«Ci raggiungerà» tagliò corto il mago, prima di trascinarlo in quel vortice di nausea e vertigini.
 
Horlon non perse tempo ad aspettare la risposta di suo fratello. Con Storr e i suoi maghi si precipitò a Spleen, domandandosi ancora una volta che cosa ci fosse là di tanto importante. Ormai aveva perso il conto degli attacchi che la città aveva subito, e da vero idiota non aveva ancora obbligato Rowena e Ailyn a trasferirsi a Lumia, ma avrebbe rimediato.
La città bruciava già al loro arrivo, nonostante la tempestività. Vide Storr lanciarsi verso il quartiere del porto per essere più vicino al suo elemento e decise di avvicinarsi al Palazzo. Bisognava trovare Bearkin, doveva esserci una spiegazione per la presenza del Re dei draghi. Sarebbe stato sufficiente Tom contro di lui?
«Signore!»
Un elfo coperto di sangue gli correva incontro zoppicando.
«Signore, lui è a palazzo!»
Horlon si sentì morire il respiro in gola e corse più veloce che poté. Quando la mole della residenza del Governatore emerse dagli edifici circostanti, però, esitò. Un’ala del palazzo era distrutta, dalle rovine saliva un brutto fumo scuro.
«No…» mormorò.
Ricominciò a correre, ma le gambe non funzionavano più così bene. Dove accidenti era Glenn?
«Zio!»
Rowena gli si gettò tra le braccia.
«Nana! Stai bene?»
«Io sì, ma mia madre è con Bearkin! L’ha portata via!»
Horlon raggelò. In una frazione di secondo la sua mente vagliò tutti i peggiori scenari, poi tornò la lucidità, tanto velocemente da far male.
«Hai visto Nastomer?»
«Lo sta inseguendo.»
«Nana, mettiti al riparo.»
«Ma…»
«Fallo!»
Nonostante non avesse alzato la voce, Rowena ammutolì. Annuì e corse via.
 
Frunn rincorreva un fantasma, ormai. Dal momento stesso in cui aveva masso piede in quell’inferno che era stato la pacifica Spleen, aveva iniziato a cercare Horlon. Seguendo le notizie di avvistamento aveva raggiunto ciò che restava del palazzo, e là aveva trovato Rowena. Si era unita agli arcieri e gli aveva detto che Lady Ailyn era stata rapita, così, sempre nel vano tentativo di raggiungere il Re, si stava avvicinando al cuore della battaglia – se battaglia si poteva chiamare una situazione tanto impari. Se fosse sopravvissuto gi avrebbe dato due bei ceffoni, oh sì che l’avrebbe fatto! E se fosse morto per colpa sua sarebbe tornato a perseguirlo in eterno. Non si poteva essere così scemi da essere Re e rischiare la vita per inseguire un drago assassino.
 
Horlon non sapeva più che cosa fare. Stava rincorrendo l’ombra di Bearkin in giro per la città con la drammatica consapevolezza di non poterlo avvicinare finché restava lassù. Poteva limitarsi a guardarlo, a guardare quello scricciolo che teneva stretto tra gli artigli.
«Horlon!»
Richard della Terra gli si affiancò.
«Richard! Con cosa si tira giù il bestione?»
Il mago si asciugò un rivolo di sudore dalla fronte.
«Con niente finché tiene la moglie di Glenn con sé.»
Horlon imprecò.
«Dov’è lo stregone?»
«Attaccato alle squame del suo didietro, ma è ferito e nonostante le sue capacità rigenerative è in difficoltà.»
Imprecò di nuovo.
«Mio fratello?»
«Al porto con Storr.»
«Frunn?»
«Non sono un indovino!» sbottò.
«Scusa. Se vedi Glenn mandalo da me!»
Si bloccò di colpo. Stava succedendo qualcosa di strano. Il fuoco intorno a loro stava assumendo forme precise, forme umane.
«Cosa accidenti siete voi?!» balbettò.
Uno dei sembianti puntò nella sua direzione, obbligandolo a impugnare la spada. Anche l’uomo di fuoco aveva un’arma, fatta di fiamme anch’essa. Richard si interpose fra il Re e il sembiante.
«Vai, faccio io!»
Horlon non se lo fece ripetere due volte.
 
Nastomer aveva il fiato corto. Non aveva mai rincorso un drago.
«Fermo!» gridò di nuovo.
Bearkin lanciò un ruggito, cui risposero molti altri intorno a lui. Come faceva ad attaccarlo? Aveva un ostaggio, e lui era ferito! Sentì un’onda di potere promanare da Bearkin e diffondersi nella città, e si guardò intorno. Le fiamme si stavano trasformando in ombre di persone. Un esercito di fuoco. Quando riportò gli occhi sul drago, un lampo nero gli passò davanti. Ebbe la fugace visione di squame lucide e lunghe zanne affilate, poi il vuoto.
 
Era certamente là, Frunn ne percepiva la presenza come avrebbe sentito un sasso in una scarpa. Il bagliore delle fiamme gli feriva gli occhi mentre passava in rassegna le persone impegnate a contrastare quei sembianti che le fiamme creavano. Non aveva mai visto niente di simile, non lo credeva neppure possibile. Strinse gli occhi e finalmente lo individuò. Frunn si strinse forte alla spada che sapeva a stento impugnare e deglutì.
 
«Bearkin! Vieni giù, razza di codardo!» latrò Horlon ghermendosi dalla fiamme con uno scudo raccolto lungo la strada.
Il drago volava in cerchio sulla sua testa, Ailyn ancora stretta tra gli artigli, troppo lontana perché potesse capire se stava bene.
«Se anche lo facesse?» domandò una voce alle sue spalle.
Dalle fiamme emerse Lantor, e per un attimo Horlon pensò si trattasse di un fantasma.
«Tu?!» balbettò.
«Speravo proprio di riuscire ad intercettarti!»
«Perché stai facendo una cosa del genere?» gridò Horlon per sovrastare il fragore delle fiamme.
«Perché te lo meriti!» rispose Lantor.
La luce instabile del fuoco gli danzava sul viso, creando ombre mostruose.
«Me lo merito? Anche se fosse, queste persone devono pagare le mie colpe?»
Lantor ghignò.
«Sì, capisco che ti sconvolga, non hai l’abitudine di condividere il destino del tuo popolo…»
Horlon tentò un affondo, ma Lantor parò. Era sempre stato più abile di lui nel corpo a corpo.
«Di cosa accidenti stai parlando? Quand’è che non avrei condiviso il destino del mio popolo? Hai una vaga idea di quali responsabilità comporti la Corona?»
Fu il turno di Lantor di attaccare. La spada cozzò contro quella del Re e scivolò fino alla guardia.
«E tu ce l’hai una vaga idea di quanti elfi siano morti a Riva Scoscesa, e nelle settimana successive, mentre tu ti godevi la tua vacanza dagli Unicorni?»
Horlon liberò l’arma e fece un balzo indietro.
«Ero più morto che vivo, non avevo nessuna capacità decisionale!»
«Questo è il motivo per cui Lady Ailyn si trova là» disse alzando gli occhi su Bearkin, che fluttuava indisturbato sopra di loro.
Horlon si sforzò di non fare altrettanto. Il pensiero che lei fosse abbandonata tra gli affilatissimi artigli del Re dei draghi era una lama costantemente conficcata nel costato.
«Cosa speri di ottenere? Infierire su Lyn non ti renderà tuo padre.»
Gli occhi di Lantor si assottigliarono.
«Proprio non capisci, vero?»
«Che cosa? Cos’è che devo capire?»
Attaccò e Lantor fu pronto a difendersi.
«Non sei degno della Corona!»
«E lo saresti tu
Horlon balzò di lato. Gli attacchi del Capitano si facevano sempre più feroci.
«Io? Non sono degno nemmeno di Phia.»
«Tu sei pazzo!» gridò. «Non è distruggendo le nostre città che otterrai un risarcimento per ciò che hai perso!»
Lantor proruppe in una risata sprezzante.
«Sono anni, ormai, che ho rinunciato a quel risarcimento. Anzi, credo di avervi rinunciato nel momento stesso in cui ho capito che non mi avresti nominato Governatore. In fondo, perché mostrarsi riconoscente nei confronti di qualcuno che ha continuato a battersi sul campo nonostante una brutta ferita ancora fresca e nonostante l’improvvisa perdita dell’amato padre?»
Horlon attaccò e riuscì a ferirlo lievemente, ma Lantor non si fece intimorire e contrattaccò.
«Allora perché tutto questo?» domandò il Re indietreggiando.
«Vendetta. Non sai cosa significhi la prospettiva dell’eternità al servizio di un Re che ti ha tolto tutto…»
«Ma di cosa stai parlando?!»
«…tuo padre, la gloria, la meritata ricompensa, la gratificazione di una carica politica solida, che avrebbe potuto fruttare anche un buon matrimonio…»
«Lantor, stai vaneggiando!»
«…e per questo, ora siamo qui, uno di fronte all’altro, su questo campo di battaglia. Guarda la tua bella vita, cugino, perché stai per perdere tutto!»
Horlon fece un passo verso di lui, ma si bloccò, assalito da un brutto presentimento. Alzò gli occhi a cercare Bearkin. Il Re dei draghi era ancora là, e nessuno osava attaccarlo finché teneva Lady Ailyn con sé. Quando abbassò gli occhi, Lantor era scomparso. Horlon prese un respiro profondo. Doveva trovarlo, c’erano ancora troppe spiegazioni che gli doveva dare. Perché i draghi, per esempio? Come aveva fatto a prendere contatti? Quante persone aveva infiltrato a Cyanor?
«Lantor!» berciò, senza ottenere risposta..
Un edificio crollò, soffocato dalle fiamme, obbligando Horlon ad allontanarsi.
«È tutto inutile
La voce profonda, antica , echeggiò nella sua testa, stordendolo.
“Bearkin”. L’angoscia gli strinse il petto.
«Qualunque cosa tu faccia, è tutto inutile. La Terra dei Tuoni è destinata a me
«Vieni giù, razza di codardo! Dove è finita la tua dignità? Ora ti allei anche con i disertori altrui?» gridò.
Una risata gutturale gli diede i brividi.
«Ti riferisci a Lantor?»
Un esplosione catapultò il corpo senza vita di Lantor ai suoi piedi, e Horlon sentì lo stomaco fare le capriole.
«Lantor era semplicemente una pedina, e ora non mi serve più. Così come lei.»
Horlon vide la stretta degli artigli allentarsi e gridò. Il tempo perse consistenza mentre Ailyn precipitava verso il basso. Paralizzato dal terrore, con la risata profonda del Re dei draghi che gli risuonava nella testa, assistette impotente all’urto con il suolo. Incantesimi di ogni sorta volarono nella direzione del drago, ma Horlon non ci faceva più caso. Faticosamente, riuscì a riprendere l’uso delle gambe e cominciò a correre verso di lei.
 
 
   
 
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