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Autore: roughgirl    30/11/2016    1 recensioni
1870, Inghilterra.
La giovane bella, caparbia e ribelle Jane Lewis deve lottare contro la mentalità contorta di un Ottocento pieno di pregiudizi e correnti ottuse che vedono la donna sottomessa dell'uomo ma, soprattutto, deve combattere quotidianamente contro le rigide regole di sua madre che, dopo la morte improvvisa della graziosa sorella, deve rassicurare trovando un buon partito, nonostante la sua opposizione.
Ma se ad un ricevimento incontrasse due occhi glaciali pronti a sbranarla o a salvarla? E se questi occhi appartenessero a un affascinante e arrogante ex capitano di marina, William, che si rivela un diavolo con un passato offuscato? Saranno scintelle d'odio, e poi? Amore?
Dal testo:
"Come vi permettete?! Mi state dando della brutta, della istupidita e della vigliacca!" Alzò il tono, ormai con la ragione offuscata: quegli aggettivi avrebbero fatto alterare anche una sgualdrina.
"Vedremo se mi considererete ancora vigliacca quando vi prenderò a pugni con le mie stesse mani." Continuò digrignando i denti.
Ormai la situazione stava degenerando e addio per la seconda volta alle buone maniere con quello sconosciuto.
"Oh, non osereste mai colpire William Stevens, ragazzin..." non finì la frase che si ritrovò cinque dita ben stampate e marcate sulla guancia sinistra.
Genere: Introspettivo, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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"Marge! Perché piangi?" La piccola si avvicinò alla sorella. Erano sole nella sua immensa stanza e Jane era davvero entusiasta: era una delle rare volte che sua sorella aveva accettato di giocare con lei, aveva preso il suo cavalluccio di legno contenta, ma si era bloccata vedendo scendere quella calda lacrima su una delle guance rosee di Margaret. Sapeva cosa significasse: dolore.

"Jane, lo sai cosa vuol dire essere forti, nonostante tutto e tutti?" Gli occhi azzurri della giovane si incatenarono ancora ai suoi nocciola di bambina.

Jane piegò il gomito e strinse la mano in un pugno "Marge perchè papà ha i muscoli ed è forte e io no?" Disse guardando il fine braccino da cui non si alzava niente, come aveva visto fare invece al padre.

La fanciulla dagli occhi azzurri sorrise davanti all'innocenza della bambina, rasserenandosi.

"Eh, Marge?" Continuava a chiedere Jane con un carinissimo broncio sul suo adorabile faccino.

"Perchè sei piccola Jane, quando sarai grande diventerai più forte di papà." Disse carezzandole i morbidi capelli castani.

"E tu allora? Perchè piangevi? Non sei riuscita a diventare più forte di lui?" Margaret sorrise nuovamente, quanto poteva amare quella bambina?

"Più o meno. Ma tu non piangerai, perchè sei forte qui." Mise la mano sul suo petto dove si scontrò con il battito di quel piccolo cuoricino che prometteva già tutto.

"Ora devo andare Jane." E vide la snella figura della sorella allontanarsi.

"No! Marge! Marge! Non mi lasciare da sola! Stai qui con me! Gioca con me! Marge!"

"Signorina Jane! Signorina Jane! Avanti alzatevi!" Marianne, dopo aver aperto le tende per permettere alla luce di filtrare nella stanza, come ogni mattina, continuava a chiamarla e scuoterla come una macchina impazzita e Jane, come ogni mattina, non voleva saperne di alzarsi, ancora intrappolata in un'altra realtà, nel sogno dove incontrava quella figura come ogni notte da ormai sei anni.

Continuava a tenere salda la coperta sulla sua testa, opponendo resistenza alla povera Marianne che, come ogni mattina, sarebbe stata rimproverata dalla signora di casa.

"Avanti signorina, fra quindici minuti esatti avete lezione di letteratura! Immaginatevi se vostra madre viene a sapere della vostra nuova assenza con l' istruttore! Scoppierà un vero e proprio primo conflitto mondiale! E non me ne vogliate, ma mi sento in dovere di salvare l'umanità svegliandovi in tempo, o almeno spero." Jane non potè fare a meno che scoppiare a ridere a tutte quelle sciocchezze sparate a vanvera dalla sua buon vecchia cameriera.

"Devo farvi di questi monologhi tutte le mattine per costringervi ad alzarvi?" Le chiese poco indispettita la camariera. Scosse la testa, che le girava ancora tanto anche a causa di ciò che aveva sognato, e si alzò ritornando seria. Guardò l'orologio a pendolo e, pervinci! Erano già le otto e trenta!

Tra meno di quindici minuti si sarebbe dovuta trovare dall'altra parte della reggia vestita, acconciata e profumata, altrimenti lo sapeva bene, nessuno l'avrebbe salvata dalla furia della madre.
"Dannazione, Marianne! Perché non mi hai chiamato prima?" Si affrettò a infilarsi la lunga gonna, che le arrivava ai piedi e le scarpe di seta.

"Signorina lo sapete che ho fatto di tutto per svegliarvi" disse avvicinandosi alla giovane, con un corsetto rosso abbinato alla lunga gonna.
Jane si spaventò a quella vista, sapeva bene le intenzioni dell'anziana cameriera e si preparò alla quotidiana battaglia mattutina.

"Io quello non lo metto!" Alzò il tono della voce, stringendo i pugni e guardando Marianne con convinzione e cocciutagine, appartenente a pochi.

Se c'era una cosa che odiava dalla più tenera età erano certamente quegli indumenti così stretti che la facevano soffocare: le piaceva essere comoda e già con quelle gonne che non le permettevano di camminare spigliatamente era difficile, figurarsi indossare quell'indumento tanto opprimente , quanto secondo sua madre 'femminile e degno di una signorina per bene'.

Peccato che io non voglia essere una fanciulletta ochetta per bene, di quelle che conoscete e imitate voi, madre.

Si decise a indossarlo, ma solo perché era tardi e non c'era più tempo per discutere con la cameriera.
Imprecò mentalmente quando sentì il corpetto stringerla e far risaltare ancor di più i suoi seni sodi e abbastanza grandi, che molte le invidiavano, ma che lei odiava proprio come quei dannati corsetti.
Perchè non poteva indossare quei comodi e pratici pantaloni maschili?
'Perchè sei una donna, Jane e, con o senza il tuo consenso devi indossare abiti degni della tua portata e della tua sessualità."

Ma quale sessualità, madre? Verrà il giorno in cui non saremo più costrette a coprire le nostre caviglie per paura di passare per sgualdrine.
Maledì di nuovo sua madre mentalmente.
Quanto potere poteva avere quella donna su di lei? Specialmente dopo quell'incidente, la signora di casa Lewis era ossessionata dalla sua educazione, non la lasciava libera un attimo, per paura che la figlia comettesse qualche sciocchezza specialmente in pubblico.

Il nome della sua famiglia era ancora sulla bocca di tutti, nonostante fossero passati già cinque anni dall'accaduto, nei salotti e nei ricevimenti dell'Alta Società c'era sempre qualche pettegola che azzardava sul loro cognome senza pudore nè compassione.

Il signore di casa, sir Charles Arthur Lewis, ovviamente ignorava tutte quelle dicerie transitorie maligne di qualche lingua biforcuta, e voleva che anche la moglie fosse indifferente alle calunnie di quelle bigotte, ma l'intollerante Lydia non ci riusciva affatto, tanto che cercava di rendere perfetta a suo piacimento la secondogenita e si sfogava sulla povera fanciulla ogni qualvolta fosse frivola o scomposta.
Ma la 'povera' Jane non era poi tanto 'povera' dato che faceva dannare la madre e spesso l'aveva secondo la signora ridicolizzata davanti alle signorotte dei circoli.

In sua figlia non sapeva vedere altro che sconfitte.

Perché proprio a lei una figlia tanto intrasigente e ostinata?

La signora Lewis sapeva bene che era nella sua indole essere una ribelle, lo sapeva, ma nella sua mente, troppo dipendente e oppressa dall'epoca, non riusciva a comprenderla e faceva di tutto per soffocarla.
Infondo come poteva? Lei stessa a sua volta era cresciuta rinchiusa in quattro mura, leggendo, studiando, imparando a ballare e a parlare come una gran signora a modo, per diventare alla giovane età di sedici anni moglie e madre.

Lei rivoleva la sua creatura, quella graziosa, innocua e disciplinata creatura che il desino le aveva portato via quel maledetto giorno di sei anni prima quando le vite di tutti e tre erano cambiate.

E Jane, seppur forte, soffriva, stava male, non ce la faceva a veder sua madre in quelle condizioni e si era ripromessa quel giorno maledetto di fare tutto il possibile nel suo limite per non farla addolorare ancora di più a causa sua. Ma sembrava che più ci provasse, più sua madre la odiava.
Odiava.
Sua madre la odiava, non gliel'aveva mai detto, ma da come spesso la guardava, con i suoi occhi scuri pieni di rancore, lo capiva. Perché? Perché non era dolce e carina come Margaret? O più semplicemente perché non era Margaret?

Fatto sta che sua madre le parlava solo per rimproverarla. Non riusciva ancora ad affrontare l'argomento e la giovane non sapeva davvero che fare se non ignorare come tutti in quella casa troppo grande per tre persone, ma troppo piccola per tutto quel dolore.

"Su, avanti, si sbrighi! Spero ce la faccia ad arrivare in tempo." Sorrise a Marianne, l'unica che davvero le dava serenità in quella casa ormai vuota e triste.

Mentre correva verso la biblioteca, pensò agli occhi glaciali della madre, agli sguardi indifferenti che le rivolgeva il padre e, guardando le infinità di margherite, a quelle labbra sottili che aveva sognato un'altra volta, che si piegavano in sorrisi tanto belli quanto falsi e che appartenevano alla persona che l'aveva lasciata in mezzo a quel casino e che portava lo stesso nome di quei magnifici fiori.

Cosa mi volevi dire Marge? Perchè mi hai lasciata sola?

Writer's corner
Questa è la mia prima storia. Ho scelto come ambientazione proprio l'Ottocento prendendo spunto da un film che ho visto, ma soprattutto ispirandomi ad alcuni libri della Austen di cui mi sono innamorata. Comunque questi primi capitoli sono un pò brevi, ma questo per marcare e far conoscere l'ambientazione e la personalità di Jane che già amo. Quando entrerà in scena il protagonista sarranno molto più lunghi. Spero che piaccia perchè ci tengo molto a questa storia.

   
 
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