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Autore: Stella Dark Star    30/11/2016    1 recensioni
Delfina, figlia del banchiere Andrea de' Pazzi, ha solo quindici anni e nessuna vita sociale quando viene incaricata dal padre di entrare nelle grazie di Rinaldo degli Albizzi per scoprire ogni suo segreto e sapere in anticipo ogni mossa che farà in campo politico. Lei accetta con riluttanza la missione, ma ancora non sa che il destino ha in serbo per lei molto di più. Quella che doveva essere una semplice e innocente conoscenza, diventa ben presto un'appassionata storia d'amore in cui non mancano gelosie, sofferenze e punizioni. Nonostante possa contare sull'aiuto della madre Caterina (donna dal doppio volto) e della fedele serva Isabella (innamorata senza speranze di Ormanno), Delfina si ritroverà lei stessa vittima dell'inganno architettato da suo padre e vedrà i propri sogni frantumarsi uno dopo l'altro.
PS: se volete un lieto fine per i protagonisti, non dimenticate di leggere il Finale Alternativo che ho aggiunto!
Consiglio dell'autrice: leggete anche "Andrea&Lucrezia - Folle amore (da Pazzi, proprio!)" per vivere assieme ai protagonisti un amore impossibile.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo undici
Dove lavare i panni sporchi
 
Alla fine Rinaldo ottenne la sua vendetta, anche se solo in parte. Cosimo de' Medici fu sì condannato alla pena di morte, ma poi la sua sentenza venne cambiata in esilio, grazie all’intervento teatrale di sua moglie Contessina e ad una minaccia da parte di Sforza e Lorenzo de' Medici di mettere a ferro e fuoco la città. Seppur insoddisfatto, Rinaldo si convinse che la sua buona stella avesse fatto il possibile per lui. O più precisamente fui io a convincerlo di questo per distogliere la sua attenzione da quell’uomo che lo ossessionava. Dal quel giorno, gli Albizzi divennero la famiglia più potente di Firenze, senza contare che l’alleanza con mio padre, e quindi con la famiglia Pazzi, si rafforzò ulteriormente. In un certo senso, il fatto di aver tolto di mezzo i Medici, rese così felice mio padre che mi parve divenire più paziente riguardo il mio atteggiamento nei confronti di Rinaldo. Pur non sapendo fino a che punto ci fossimo spinti nell’intimità, aveva inconsapevolmente permesso che io e lui ci frequentassimo più assiduamente.  Dire che fu inconsapevole è d’obbligo, dato che io e Rinaldo avevamo architettato un modo per trascorrere le notti assieme, ovvero, quando mi faceva visita s’intratteneva fino a quando mio padre non andava a coricarsi e poi trascorreva la notte con me senza che lui lo sapesse. Lo stesso valeva per me, se ero io ad andare al suo palazzo, mia madre e Isabella coprivano la mia assenza e io tornavo tranquillamente il giorno dopo. Inoltre notai che mio padre divenne meno severo con me e mi permise addirittura di partecipare ad alcuni dopocena nel nostro palazzo per far sì che io mettessi in pratica quella tanto chiacchierata ‘arte della conversazione’ di cui tutti erano convinti che Rinaldo mi stesse davvero istruendo. In questo clima favorevole trascorsero tre mesi di gioia e di serenità, per quanto mi riguardava. E poi finalmente venne il grande giorno. Per presentarmi ufficialmente in società, mio padre diede uno sfarzoso ricevimento in mio onore, il quale si svolse la sera del mio sedicesimo compleanno.
Per fortuna, quanto purtroppo, in quell’occasione vennero invitati tutti i membri della Signoria e rispettive famiglie, il che significava che al seguito di Rinaldo si presentarono anche la moglie Alessandra ed il figlio Ormanno. Riguardo lui, tutto ciò che posso dire è che in quei mesi aveva evitato me più di quanto avesse evitato la peste a suo tempo. Sua madre invece mi preoccupava alquanto, infatti fino a quel momento ero sempre riuscita ad evitare d’incontrarla per timore che il mio viso rivelasse i miei sentimenti dopo che ero diventata di fatto l’amante di suo marito. Invece mi sorprese rivolgendosi a me in modo cordiale e con un sorriso sincero sulle labbra, chiedendomi se suo marito fosse un bravo insegnante. Quando io risposi onestamente che non avrei potuto averne uno migliore, Ormanno fece un verso sprezzante che attirò l’attenzione di tutta la cerchia e che mi fece tremare le gambe sotto l’abito di velluto verde prato che mio padre aveva fatto cucire dai migliori sarti della città apposta per quella serata. Tralasciando quel piccolo incidente, la serata fu meravigliosa, le attenzioni di tutti i presenti furono esclusivamente per me, per la mia grazia, per la mia bellezza, e non mancarono numerosi tentativi di corteggiamento che io disillusi subito.
Era ormai passata la mezzanotte quando all’improvviso venni colta da un malessere che mi prese alla bocca dello stomaco e mi fece tremare le mani. Dovetti stringere il calice per non dare a vedere il tremolio e poi accennare un sorriso agli ospiti con cui mi stavo intrattenendo: “Vogliate scusarmi.”
Fortunatamente nessuno mi fermò o mi rivolse domande, così io potei sgattaiolare via in fretta, mantenendo comunque un sorriso di circostanza da rivolgere a chi incontravo. Anche se non mi voltai indietro nemmeno una volta, riuscii a sentire lo sguardo felino di Rinaldo seguirmi come un cacciatore con la preda.
Andai dritta verso la doppia porta che dava sull’esterno e l’aprii spingendola con entrambe le mani, quindi mi precipitai fuori e mi sporsi dal parapetto, che dava sul cortile interno, appena in tempo per rigettare quella colata violacea che aveva deciso di litigare col mio stomaco. Stavo giusto riprendendo fiato quando udii dei passi alle mie spalle.
“Dannazione. Non berrò mai più vino in vita mia.” Dissi amaramente e con voce spezzata dallo sforzo. Accettai il fazzoletto che mi venne offerto e lo premetti sulle labbra nella speranza che mi aiutasse a placare la nausea. Accanto a me, con il calice in una mano e un gomito poggiato sul parapetto, Rinaldo si sporse a sua volta per dare una sbirciata dabbasso.
“Hai mancato di poco la carrozza di Bernardo Guadagni.” Schioccò la lingua con disapprovazione: “Peccato.”
Mi voltai di scatto per fulminarlo con lo sguardo, ma subito me ne pentii perché il movimento repentino mi provocò un leggero capogiro. Non essendosene accorto, Rinaldo si fece serio e mi illustrò il suo piano: “A breve gli ospiti cominceranno ad andarsene. Io manderò a casa Alessandra e Ormanno col pretesto di fermarmi per una questione importante da discutere con tuo padre, invece a lui dirò che voglio intrattenermi ancora un po’ con te e, una volta andato, ci chiudiamo nella tua stanza. Suppongo che domani potrò restare di più vista l’ora che si è fat…” S’interruppe perché io fui assalita dalla nausea ancora una volta e fui costretta a sporgermi dal parapetto. Solo quando mi risollevai aggiunse un: “O forse no.”
Scossi il capo e mi arrischiai a parlare: “Resta, ti prego. Non voglio stare sola dopo una serata così splendida. E non voglio stare senza di te.”
Lui sollevò un sopracciglio: “Non mi sembra che tu ti senta molto bene.”
“E’ colpa del vino. Non è niente…” Per avvalorare la mia teoria, mi tamponai per bene le labbra col fazzoletto e presi un bel respiro per riprendermi. Un’idea venne in mio soccorso, distogliendo la mia attenzione dallo stomaco sfarfallante.
“Devo ancora rimproverarti per il dono che mi hai fatto.”
Lo sguardo di Rinaldo si fece allarmante: “Gli orecchini di ametista? Non li hai graditi? Li ho scelti perché la tonalità del viola mi ricorda quella dei tuoi occhi. Ma se non li vuoi…”
“No no no! Non parlavo di quelli! Sono bellissimi, li adoro con tutta me stessa. Sei stato così romantico a donarmeli. Io intendevo…il dono che mi hai fatto recapitare questa mattina.”
Vidi i tratti del suo viso rilassarsi dopo quella delucidazione.
“Ah quello. Ho pensato che ti appartenesse di diritto.”
Scossi il capo con aria divertita: “Il lenzuolo con la macchia di sangue della mia verginità perduta? Non immaginavo nemmeno che lo avessi conservato!”
Spostò lo sguardo altrove e rispose cercando di usare un tono vago: “Credevo che per te fosse importante.”
Feci un passo verso di lui e sollevai la mano per posarla sul suo petto, creando così il contatto.
“Lo è. Solo non pensavo che lo fosse anche per te.” Stavo per sollevare il viso con l’intenzione di dargli un bacio, ma mi bloccai subito ricordando quel che era appena successo.  Adocchiai il suo calice e glielo strappai dalle dita senza troppi complimenti. Mi premurai di sciacquare bene la bocca e infine sputai il tutto dal parapetto, facendo attenzione a non colpire la carrozza di nessuno. Gli rimisi il calice vuoto in mano e gli lanciai un’occhiata provocante: “Così dopo potrai baciarmi.”
Sotto il suo sguardo allibito, rientrai facendo ondeggiare le natiche spudoratamente.
*
Il mattino seguente mi svegliai in seguito ad un rumore strano. Ancora stordita dal ricevimento, dal vino e dalla notte d’amore, faticai a riaprire gli occhi alla luce del giorno. Sotto la mia guancia il calore del petto di Rinaldo, sotto le mie dita la morbida peluria. Per diletto, ne presi in ciuffo e iniziai ad arricciarlo, mentre nella mente cercavo le parole per convincermi a superare la pigrizia. Percependo il movimento della mia mano, Rinaldo si destò ed emise un gemito di sonnolenza, il suo braccio che già mi avvolgeva le spalle mi strinse più forte.
“Cosa c’è? Sei già sveglia.” Disse con voce roca, gli occhi ancora chiusi.
Lasciai un sospiro che andò a muovere leggermente la peluria del suo petto: “Non lo so. Qualcosa mi ha svegliata. Un rumore dalla stanza di Isabella, credo.”
Ridacchiò: “Si starà vendicando per stanotte! Tra me e te non so chi sia a gridare più forte per il piacere.” Dove trovasse la voglia di scherzare dopo appena qualche ora di sonno, non avrei saputo dirlo.
La cortina alle mie spalle, che era rimasta aperta durante la notte per permettere al calore del fuoco di raggiungerci, ora che questo era ovviamente spento non portò altro che uno spiffero di aria fredda che mi fece rabbrividire, ma subito Rinaldo si premurò di coprirmi col lenzuolo e di stringermi più forte a sé per scaldarmi. Normalmente ne sarei stata felice, avrei goduto di quella piccola gentilezza e mi sarei soffermata a pensare al fatto che col tempo le sue manifestazioni d’affetto e cura nei miei confronti erano aumentate. Ma quella mattina la nausea pensò bene di rovinare tutto. Cercai di liberarmi dal suo abbraccio, ma lui mi trattenne.
“Rinaldo, ti prego…” Mi portai una mano alla bocca e allora lui capì. Mi lasciò andare affinché io potessi sporgermi dal materasso e afferrare il vaso da notte che fortunatamente tenevo sempre appena sotto il bordo del letto.
“Non stai bene. Devi farti vedere da un dottore.” Anche se il tono era severo, le sue parole erano di preoccupazione.
Mi accorsi che mi stava tenendo i capelli affinché non finissero dentro il vaso. Passato il peggio mi risollevai e rimasi in attesa per timore che il mio stomaco mi facesse altri scherzi.
Rinaldo lasciò i miei capelli e mi poggiò una mano sulla spalla per farmi capire che potevo contare su di lui. Lo sapevo che mi amava e che avrebbe fatto qualunque cosa per me, ma in quel momento nella mia testa si stavano accavallando troppi pensieri. Rividi il lenzuolo con la macchia di sangue, una parte del mio cervello cercò di fare un calcolo approssimativo di tutte le volte in cui mi ero concessa a Rinaldo, mentre un’altra andava in cerca dell’ultima volta in cui avevo avuto le mie regole. Stavo giusto per arrivare alla conclusione che qualcosa non quadrava quando un rumore entrò nella mia testa con violenza. La porta che divideva la mia camera da letto da quella di Isabella era spalancata e lei era in ginocchio accanto al mio letto, il viso sconvolto e rigato di lacrime.
“Isabella, mio Dio, cosa succede?” Le chiesi allarmata.
Tra i singhiozzi riuscì a dire: “Tra poco non potrò più nasconderlo! La servitù ha già cominciato a parlare e quando vostro padre lo scoprirà mi getterà per la strada.”
“Di cosa stai parlando? Che cosa hai fatto?”
“Aiutatemi, Damigella, vi prego!” Una crisi di pianto le spezzò le parole in gola. Vedendola così, mi affrettai ad avvolgermi con il lenzuolo e a far uscire le gambe dal letto in modo da potermi chinare su di lei. Le posai una mano sul capo, gentilmente: “Isabella, non aver paura. Dimmi cos’è successo e io ti aiuterò a risolvere ogni cosa.”
Lei deglutì e risollevò il viso per guardarmi: “Io…io aspetto un figlio. Vostro padre mi farà cacciare e io morirò di fame e di freddo in mezzo alla strada.”
Ovviamente sapevo che Isabella non aveva innamorati o amanti, perciò la notizia fu abbastanza sconvolgente, ma non avrei mai permesso che venisse allontanata da me. Era mia amica.
“Va bene, ho capito. Troveremo una soluzione insieme. Ti prego solo di dirmi chi è il padre e se ne è al corrente.”
Isabella smise di piangere all’improvviso e mosse lo sguardo su Rinaldo, come spaventata. Mi sentii raggelare. Mi voltai di scatto verso di lui. Rinaldo, che era rimasto in silenzio e in disparte per tutto il tempo, guardò me e poi Isabella un paio di volte, per poi esplodere in un: “Non penserai che sia io, vero? Non l’ho mai sfiorata! Non la trovo nemmeno così bella, se devo essere sincero!”
Stavo per gridargli qualcosa di molto sgradevole, ma Isabella mi interruppe: “Non è lui, Damigella.”
Un sospiro di sollievo fu d’obbligo, come anche poi tuonare sconvolta: “Allora perché accidenti lo stavi guardando? Mi hai quasi fatto morire, sciocca.”
Isabella scoppiò di nuovo  a piangere: “Non posso dirlo di fronte a lui. Non fatemi parlare.”
“Ora sono io a voler sapere cosa diamine sta accadendo, ragazza.” Disse Rinaldo con tono fermo. Vedendo che lei si ostinava a non rispondere, disse severo: “Parla o ti tiro il collo.”
Allungai una mano su di lui per farlo calmare, in ogni caso la minaccia aveva avuto l’effetto sperato perché Isabella inghiottì le lacrime e prese respiro per poter parlare.
“E’ accaduto tre mesi fa, la notte in cui mi avevate fatta chiamare a Palazzo Albizzi. Ricordate?”
Io feci un cenno col capo, Rinaldo invece disse spazientito: “Continua.”
“Avrei dovuto respingerlo, lo so, ma era così attraente che non ho saputo dire di no. Sono stata una stupida a credere che fosse interessato a me dopo il modo in cui mi aveva trattata.”
“Il nome!” Tuonò Rinaldo, avendo esaurito la pazienza.
Isabella lo guardò con gli occhi pieni di lacrime: “Vi giuro che non chiederò mai nulla e che non infangherò il suo nome. Non potrei mai fare qualcosa per nuocere la reputazione di Messer Ormanno.”
“Ormanno?” Gridammo all’unisono io e Rinaldo. Di tutti i nomi che avrei potuto sentire, quello era l’ultimo al mondo a cui avrei attribuito l’avventura di una notte con la mia dama. E dallo sguardo perplesso di Rinaldo, anche lui doveva pensare lo stesso.
  
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