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Autore: Vago    02/12/2016    2 recensioni
Libro Secondo.
Dall'ultimo capitolo:
"È passato qualche anno, e, di nuovo, non so come cominciare se non come un “Che schifo”.
Questa volta non mi sono divertito, per niente. Non mi sono seduto ad ammirare guerre tra draghi e demoni, incantesimi complessi e meraviglie di un mondo nuovo.
No…
Ho visto la morte, la sconfitta, sono stato sconfitto e privato di una parte di me. Ancora, l’unico modo che ho per descrivere questo viaggio è con le parole “Che schifo”.
Te lo avevo detto, l’ultima volta. La magia non sarebbe rimasta per aspettarti e manca poco alla sua completa sparizione.
Gli dei minori hanno finalmente smesso di giocare a fare gli irresponsabili, o forse sono stati costretti. Anche loro si sono scelti dei templi, o meglio, degli araldi, come li chiamano loro.
[...]
L’ultima volta che arrivai qui davanti a raccontarti le mie avventure, mi ricordai solo dopo di essere in forma di fumo e quindi non visibile, beh, per un po’ non avremo questo problema.
[...]
Sai, nostro padre non ci sa fare per niente.
Non ci guarda per degli anni, [...] poi decide che gli servi ancora, quindi ti salva, ma solo per metterti in situazioni peggiori."
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Leggende del Fato'
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 Jasno guardò verso il terreno, dove tra i campi riuscì a riconoscere la strada che aveva percorso anni prima per raggiungere la propria prova.
Diede una leggera gomitata a Mea, facendola ritornare in sé.
- Tieniti. – disse solamente l’elfo albino, guardando un’altra volta verso il terreno, poi si lasciò cadere oltre l’ala bronzea dell’aquila verso il lontano suolo.
Il vento gli fischiava tutto attorno, inghiottendo ogni altro suono. Le piume del suo abito sbattevano le une contro le altre, mentre la caduta lo portava sempre più vicino ai campi e alle colline coltivate.
L’assassino allargò braccia e gambe, frenando appena la caduta vertiginosa, cercando di godersi appieno quegli ultimi istanti di volo.
Un artiglio saldo gli cinse la vita, interrompendo quella caduta.

Arrivarono alle porte di Zadrow poco dopo, con il caldo sole pomeridiano che ancora scaldava i muri delle case.
La cittadina pareva non essere cambiata quasi per nulla nei due anni che erano passati da quando Mea ci aveva messo piede la prima volta. Alcuni umani camminavano per le vie laterali, tra le case, intenti nei più disparati compiti, mentre sporadiche famigliole occupavano la piazza principale, accompagnate dal suono di un violino che poco lontano donava al vento le sue note.
L’aria era serena, così fuori luogo secondo la mezzelfa, la cui mente continuava a volare in direzione del demone, cercando di ipotizzare in che modo potessero fermare un essere così potente, se mai l’urna degli eroi avesse fallito.
I due assassini percorsero a memoria la via che li avrebbe condotti alla casa di Niena, evitando scrupolosamente le bancarelle che costellavano entrambi i lati della strada.
In cielo, intanto, i due imponenti volatili controllavano la situazione.
L’insegna dai colori accesi che indicava la casa dove nacque Trado passò sopra di loro, intenti ad evitare la folla che lì si accalcava.
Mea svoltò sicura, imboccando una stradina secondaria che l’avrebbe portata al cortile interno su cui si affacciava l’ingresso della casa della figlia di Ardof e Frida.
Un gruppo particolarmente rumoroso si fermò per qualche secondo sulla strada, per poi riprendere a camminare.
La mezzelfa si diresse verso la porta che le si parava davanti. Le assi di legno seccate dal sole apparivano ricoperte di sottili schegge appena rialzate dalla superficie.
La maga bussò tre volte, rimanendo poi immobile davanti a quell’ingresso.
Dall’interno dell’abitazione si levarono alcuni rumori. Qualcosa di pesante cadde a terra, producendo un tonfo sordo quando impattò sul pavimento, seguì poi il tintinnio di vetro contro vetro. Infine, la serratura della porta scattò.
Il volto di una donna comparve nel piccolo spiraglio che si aprì. Gli occhi viola scrutavano l’esterno, mentre una cortina di capelli blu e bianchi ricadeva su quella fronte che cominciava ad incresparsi di rughe.
- Niena? – chiese insicura Mea, cercando di riconoscere nei lineamenti della proprietaria di quella casa quelli della figlia di due degli eroi.
- Voi… voi siete quei ragazzi che hanno incontrato i miei genitori, vero? – la voce che proveniva da dietro le assi era stanca.
- Si. Siamo noi. Siamo tornati qui perché avremmo bisogno di un favore. – le rispose la mezzelfa, sforzandosi di sorridere in maniera rincuorante.
La porta si richiuse, mentre lo stridore di qualcosa di metallico avvertì i due assassini che il catenaccio che ancora teneva chiusa la porta stava per essere tolto.
Ci fu un attimo di silenzio seguito dal cigolio dei cardini che di nuovo ruotavano su se stessi.
Dalla casa uscì la donna, l’abito sgualcito che indossava si intonava perfettamente al caos che regnava alle sue spalle.
- Entrate, ora. – disse gelida.
La porta si richiuse velocemente, seguita dal catenaccio che tornava nella sua sede e dalle mandate di chiave.
- Perché tutta questa sicurezza? – chiese Mea buttando un occhio in direzione delle finestre coperte da assi di legno inchiodate alla cornice.
- Sedetevi, per favore. – le rispose Niena cadendo pesantemente su una sedia vicina. – Dovete sapere che circa sette mesi fa Mero è stato ucciso. Ci tenevamo in contatto e, nelle sue ultime lettere, mi diceva spesso che delle figure scure lo seguivano, finché… finché non trovarono il suo cadavere ai piedi degli alberi che sorreggono Gerala, con tutte le ossa rotte e i polsi e le caviglie legate. –
Mea trattenne a stento un imprecazione. Senza Mero non potevano entrare in possesso di tutto il sangue di cui avevano bisogno. Si morse il palato, avrebbe trovato una soluzione più tardi.
- Quindi, credi che ora verranno a cercare te? – Le chiese Jasno, sporgendosi dalla sedia.
- No, lo stanno già facendo. Stanno seguendo lo stesso andamento che hanno tenuto con Mero, è da un mese abbondante che continuo a vedere delle figure scure negli angoli delle strade o sui tetti. –
- Sai dirmi quante sono? Sei mai riuscita a vederle distintamente? – chiese Mea, con un bruciante bisogno di conoscenza che le rodeva lo stomaco.
- No, non sono mai riuscita a vederli, però… -
La frase di Niena non raggiunse mai nella sua completezza le orecchie della maga. Una mano poderosa pareva averle stretto la nuca, trascinandola a sé attraverso le pareti e i corpi delle persone vociferanti che infestavano come scarafaggi la piazza del paese.
Il vento cominciò a fischiare tutto attorno, mentre il sole fu, per un momento, coperto da un’immensa macchia scura.
L’ala sinistra si abbassò appena rispetto all’asse del corpo, accompagnando i movimenti della coda per dirigere quel corpo lontano dalla corrente che aveva incontrato.
“Cosa hai fatto?” chiese la mezzelfa cercando di abituarsi velocemente a quell’improvviso cambio di corpo. Fino ad allora non le era mai capitato di entrare nel suo corvo senza un comune accordo.
La coscienza del suo compagno era agitata. Sotto di loro scorrevano veloci le strade di Zadrow, mentre in cielo, tra le nubi, un’aquila volteggiava.
Il corvo prese quota, mentre il suo sguardo andava ad individuare, una dopo l’altra strane figure che si muovevano tra i tetti delle abitazioni.
Tre forme era a due abitazioni dalla casa di Niena, le altre due erano decisamente più lontane, quasi al limite meridionale della cittadina.
“Chi sono?” continuò Mea cercando di mettere a fuoco la scena, provando a calcolare i minuti che li separavano dai due gruppi. In tutta risposta un’ondata di angoscia e irrequietezza si riverso su di lei.
Non era un buon segno.
“ Ascolta, io avverto gli altri. Tu rimani a controllarli, se succede qualcosa di nuovo… fai quello che ha appena fatto.”
La maga si alzò da terra di scatto, respirando a grandi boccata l’aria stantia della casa.
Aveva la testa in fiamme, mentre un sordo dolore proveniva dalla spalla destra.
Si guardò intorno. Jasno e Niena la guardavano preoccupati. Di fronte si presentavano il tavolo colmo dei più disparati oggetti e una sedia rovesciata, accanto alla quale riposavano i cocci di quella che fu una tazza, immersi nel tè che fino a poco prima stava sorseggiando.
- Stai bene? – chiese la donna non appena Mea fece per alzarsi.
- Sei in pericolo. – fu la risposta secca della mezzelfa, che si mise in piedi con non poca fatica.
Un rivolo umido le arrivò a bagnare la punta delle dita. Sangue vermiglio le stava colando da un piccolo taglio sulla spalla destra lungo tutto il braccio.
- Un pezzo della tua tazza ti si è conficcato quando sei caduta. – fu la risposta di Jasno al suo sguardo interrogativo.
Con uno sbuffo di stizza la maga tornò a parlare. – Sono cinque. Tre più vicini e due decisamente più lontani. I primi saranno qui a momenti. –
Un rumore sordo sui coppi del tetto mise tutti in allerta.
- Niena, nasconditi. Li terremo occupati noi. – disse Jasno, aprendo e chiudendo più volte la mano per prepararsi a quello che sarebbe potuto essere uno scontro pericoloso.
Ci furono due colpi sulla porta, seguiti da un silenzio tombale.
I secondi passavano lentamente, accompagnati dal regolare battito del cuore degli assassini e dal colare del sangue di mezzelfo.
Un colpo decisamente più forte fece cedere le assi di legno dell’ingresso, permettendo alla luce del sole pomeridiano di farsi strada verso l’interno dell’abitazione.
Entrarono tre figure ricoperte da una folta pelliccia nera. Potevano, a prima vista, apparire come dei semplici Demo, seppur più proporzionati e di dimensioni più contenute.
Le creature fecero qualche passo in avanti, fiutando l’aria come segugi e ignorando completamente i due assassini.
Il primo dei tre, il più vicino, balzò in avanti, utilizzando il tavolino come trampolino per lanciarsi in direzione del nascondiglio dove Niena, immobile, rimaneva rintanata.
Jasno si mosse rapido, afferrando con la presa salda la caviglia della creatura e sbattendola violentemente contro il pavimento con l’articolazione ormai inservibile.
Mea prese sicura uno dei fogli che teneva pronti in caso di emergenza, appoggiandolo sul petto dell’essere e tenendolo premuto con tutta la forza che riusciva a convogliare nel braccio ferito.
Il torace della vittima parve espandersi per un attimo fino al suo limite, per poi tornare alle consone dimensioni.
Dalla testa riversa della creatura, rivoli di sangue scuro cominciarono a uscire da ogni orifizio che riuscivano a trovare.
Le due creature rimaste parvero interdette da quella reazione, poi, decise le loro priorità, si voltarono verso la porta in cerca di salvezza, inseguite da quelli che sarebbero dovuti essere i loro obbiettivi.
Il primo si riuscì ad arrampicare fino a un tetto, per poi continuare la sua corsa indisturbato tra i comignoli, mentre il secondo preferì procedere in mezzo alla folla che si accalcava.
- Resta con Niena, nel caso arrivassero gli altri due. A loro ci penso io. – disse l’Aquila, sollevando un braccio verso il cielo. L’imponente pennuto di color bronzo lo raccolse con gli artigli poderosi, sollevandolo da terra.
L’aquila procedeva spedita, volando a pochi metri dalle sommità delle abitazioni. Quando fu sufficientemente vicina Jasno lasciò la presa, lasciandosi cadere.
Per quei pochi secondi di volo, l’assassino riuscì nuovamente a sentire la musica che risiede nel caos.
Il vento gli fischiava attorno, accompagnato da decine di voci e dai coppi spostati dalle zampe artigliate sotto di lui.
Il suo corpo parve volersi piegare a una danza su quel tempo, roteando apparentemente senza controllo.
Le dita si serrarono su un collo. Sfruttando la mezza capriola che stava per concludersi, Jasno riuscì a portare a terra l’aggressore in fuga, colpendolo prima con palmo sul viso, per poi finirlo sotto il peso delle sue suole.
L’assassino non si fermò. Voltatosi, riprese a correre verso il sopravvissuto..
I suoi occhi lo percepivano distintamente, come una nota stonata nella banda che sotto di lui si agitava.
Nonostante, però, lo fosse riuscito ad individuare, i loro passi erano troppo diversi per poterlo raggiungere.
Sollevò il braccio destro, mentre, di fronte a lui, solo tre passi lo dividevano dalla fine del tetto.
Piede destro.
Piede sinistro.
Destro sulla grondaia storta per darsi lo slancio e poi solo l’aria tra lui e il terreno.
La folla era rimasta alle sue spalle, mentre l’essere correva rapido verso sud, dove, tra le colline, sorgeva la casa di Ardof del Fuoco.
Gli artigli del suo compagno si presentarono immancabili ad agguantarlo.
Qualcosa scintillò, volando parallelo al suolo, per poi conficcarsi nel ginocchio della creatura.
Jasno le fu addosso in un attimo, senza darle la possibilità di riprendere il vantaggio perso, prendendo saldamente la testa pelosa tra le mani e rompendo le vertebre cervicali con un rapido gesto.
- Hile? – chiese l’Aquila prendendo in mano il coltello sporco di sangue che era caduto a terra.
Due figure arrivarono di corsa dalla strada, mentre un corvo si posò su uno steccato vicino, piegando la testa di lato nell’osservare la scena.
- Chi sei? – chiese uno dei due. Indosso portava l’abito da cerimonia dei Lupi, inconfondibile, mentre alle sue spalle l’altro poteva essere un Serpente, vista la dimensione della borsa che stringeva a sé.
- Dovrei essere io a chiedervelo, visto che siete stati voi ad intromettervi nell’inseguimento. –
Il corvo gracchiò, infastidito.
- Comunque, il mio nome è Jasno. – riprese l’elfo albino, sistemandosi il largo cappello che portava sul capo. – Sono un Aquila della setta dei Sei. –
- Non mi risulta che le Aquile seguano un addestramento che comprende l’uso di animali. – ribatté il Lupo, forse intimorito dall’enorme volatile che si stava posando al suolo in quel momento.
Jasno arrotolò la manica quel tanto che bastava per mostrare il suo tatuaggio. – Diciamo che io sono un caso particolare. Piuttosto, voi chi siete? E cosa ci fate qui? –
- Siamo in missione per conto della divisione meridionale della Setta. Il nostro incarico era quello di eliminare i tre sicari che hanno provocato la morte di un uomo a Gerala. -
- Divisione meridionale? – Jasno non riuscì a capire a cosa si riferisse l’assassino di fronte a lui.
- Da quanto sei in missione? Sei mesi? Come puoi non sapere dello sposamento della sede? –
Il Serpente, che fino ad allora si era tenuto in disparte, proruppe in una fragorosa risata, mentre si avvicinava all’Aquila, come per studiarlo.
- No. Sono quasi tre anni che porto avanti la mia missione e, l’ultima volta che ho visto il direttore, nessuno si è degnato di avvertirmi. Posso sapere di cosa state parlando? –
- Tre anni? Com’è possibile che una missione duri così a lungo? .
- Questo non è un problema tuo. Ora… -
Il discorso di Jasno fu interrotto dal gracchiare insistente del corvo che, lasciata la staccionata, lo raggiunse saltellando.
- Anzi, venite con me. Potremo parlare in un altro luogo, tanto il vostro compito, qui, è finito. –
L’assassino riprese la strada per il centro di Zadrow, puntando verso la casa dove aveva lasciato Mea e Niena.
Alle sue spalle, i due compagni ripresero il volo. 

 

Angolo dell'autore (in ritardo):

Informazione di servizio, la prossima settimana il capitolo uscirà con un giorno (ora più, ora meno) di ritardo. Lo staff (io) si scusa per il disagio.

Buona lettura a tutti.

Vago

   
 
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