CAPITOLO 37
I giorni che mi separavano dal Natale passarono in fretta.
Roberto aveva scelto di fermarsi ancora un po’, senza alcuna
voglia di tornare in pieno inverno nella sua abitazione in campagna, che
necessitava pure di qualche ristrutturazione a suo dire, e mia madre era sempre
con lui. L’arrivo delle festività era stata una manna per la mia povera mamma,
gran lavoratrice, che aveva bisogno di riposare un po’, e per fortuna il calendario
le offriva qualche giorno davvero libero, finalmente.
I due adulti parevano andare molto d’accordo, sempre di più,
talmente tanto da spingermi a pensare che effettivamente sembravano due
migliori amici, inseparabili com’erano diventati. Gli eventi drammatici
dell’ultimo mese li avevano avvicinati molto, tantissimo.
Nonostante che tra loro esistesse già un dialogo informale, i
due avevano ormai imparato a chiacchierare del più e del meno, cosa che prima
accadeva di rado, parlando solo tramite classiche frasi sempre simili, e la
mamma pareva aver ricominciato a sorridere, dopo qualche giorno buio in cui mi
ero preoccupato seriamente per lei. Ero felice che avesse trovato nel suo quasi
coetaneo Roberto un buon amico, anche perché lui, con le sue parole, sapeva
farla riflettere e sorridere allo stesso tempo. Era una brava persona, e
l’ammiravo molto.
A dirla tutta, quel giorno avevo scelto di prendere l’unico
treno diretto da Melissa a cuor leggero, poiché avevo lasciato il mio genitore
buono e corretto con quell’uomo così cortese e caloroso, e che assieme si
stavano divertendo a preparare un pranzo di Natale, che logicamente sarebbe
stato poi consumato da loro due stessi. Non avevano nessun altro a quel mondo,
e per fortuna stavano bene insieme.
Stefania si era poi traferita da noi, momentaneamente aveva
specificato, ma non ci credevamo poi più di tanto. Tuttavia la ragazza era
sempre rimasta sulle sue, comportandosi correttamente e con grande discretezza,
sempre silenziosa e amabilmente pacata. Avevo avuto modo di conoscerla meglio e
mi stava simpatica, era sempre dolce e sorridente in ogni momento della
giornata, nonostante tutto.
La nostra convivenza era estremamente pacifica, e nessuna
tensione regnava più tra le nostre mura domestiche. Il nemico pareva davvero
sconfitto per sempre su tutti i fronti, e definitivamente allontanato.
Anche se noi quattro eravamo così diversi, non c’era voluto molto
a comprendere che non avremmo mai potuto litigare o discutere per nessun
motivo. Anzi, in quel momento ero leggermente sovrappensiero, poiché pensavo sempre
a Stefania, che in quel santo giorno avrebbe ritentato di mettere in piedi il
rapporto con la sua famiglia e i suoi genitori. Speravo davvero per lei che
tutto potesse andare per il verso giusto, come meritava.
Non era una giovane cattiva, oppure desiderosa di soldi,
potere o vecchi da spennare, ma era soltanto un po’ superficiale e distratta, a
volte, e dall’animo puro ed innocente, a tratti simile al mio per quanto
riguardava l’ingenuità. Mi ero già affezionato a lei e ai suoi sorridenti
silenzi, mai troppo cupi per fortuna, e a quella piccola vita che cresceva ogni
giorno nel suo grembo, mia consanguinea.
Ero quindi riuscito a trovare una parvenza di pace e di
tranquillità, e il mio caro Giacomo era sempre presente, con la sua simpatia,
un po’ come lo era naturalmente anche Jasmine, ma con lei era tutto un altro
discorso, decisamente più profondo.
Quella ragazza stava cominciando a dar sfoggio del suo calore
e della sua bontà, in modo più aperto rispetto all’inizio della nostra
relazione, ed io l’amavo sempre più e tutto andava a gonfie vele tra noi.
Quella stessa sera, tra l’altro, l’avrei rivista, poiché mi
aveva invitato a cena da lei, assieme ai suoi genitori. Era l’ennesima
occasione per conoscere meglio la sua famiglia, un’occasione che non volevo
farmi sfuggire per nessun motivo, ed infatti prevedevo di prendere l’ultimo e
unico treno delle diciotto per tornare a casa, ed essere da lei entro le
diciannove e trenta.
Per quanto riguardava la mia trasferta da Melissa, non ero
turbato per nulla; ero certo che la ragazza non avesse in alcun modo parlato di
me e del mio grado di parentela con i suoi e miei parenti, e che se ne fosse
stata zitta, come promesso. Avrei trascorso un mezzogiorno assieme a loro ed
avrei avuto modo di passare un po’ di tempo in loro compagnia, cosa che non mi
era mai capitata in modo così diretto e coinvolgente, ed avrei potuto farmi una
precisa idea su tutto e su tutti.
Ma sarei sempre stato un semplice amico, un terzo soggetto
che, da fuori delle dinamiche familiari, osservava attentamente ogni cosa ed
ogni comportamento. Non sarei stato nulla di più, e ciò mi dava un senso di
beatitudine e una sensazione di dolore allo stesso tempo.
Avrei tanto voluto avere il coraggio di presentarmi a loro
per quello che ero e per chi realmente ero, ma sapevo che rischiavo di passare
per un pazzo che li aveva seguiti in incognito mentendo anche sulla mia reale
identità, per poi svelarla in un momento in cui il mio ipotetico subdolo piano
avrebbe dovuto cominciare a prendere piede.
Avrei rischiato di passare per approfittatore, o di essere
allontanato, ma di certo sarei stato frainteso, assieme alle mie probabili intenzioni,
che in realtà non c’erano, se non semplicemente avere un contatto con loro,
anche a distanza. Nessuno avrebbe mai creduto nella casualità dell’evento, un
po’ come aveva fatto inizialmente mia madre.
Restavo, ripeto, tuttavia tranquillo, e credevo fermamente
nella mia copertura e sulla buona fede di Melissa, che in fondo era sempre
stata molto corretta con me e nel rispettare le mie volontà.
Quando scesi dal treno, me la ritrovai di fronte tutta
sorridente, e ci scambiammo un abbraccio d’impeto, chiamandoci per la prima
volta cugini.
Non credo che Melissa avesse realmente provato qualcosa per
me. Sono più propenso a credere che essa l’avesse scambiato con quella
primordiale curiosità che pure io avevo provato per lei la prima volta che l’ho
incontrata, pensando ingenuamente che fosse amore.
Ah, la mia cugina appariva davvero ancora molto inesperta, a
riguardo delle vicende amorose, forse ed addirittura molto più di me, che nonostante
tutto ci stavo provando con Jasmine. Lei, invece, non aveva nessuno ed era
single.
Mentre mi stava portando a casa sua, guidando la sua auto, mi
dedicò qualche sporadico sorriso e qualche parola cortese, niente di più
sciolto. Pareva tesa, e questo mi dava nell’occhio e rischiava di strapparmi di
dosso quel velo di tranquillità che avevo scelto d’indossare quella mattina.
Mi voleva bene, ne ero certo, ma pareva non proprio a suo
agio.
‘’Allora, cugino… che mi racconti di bello?’’, mi chiese dopo
un po’, titubante a parole ma un po’ più sicura nella guida.
Scrollai istintivamente le spalle.
‘’Ah, guarda… ne sono successe un bel po’… se vuoi ti
racconto qualcosa’’.
‘’Certo. Manca ancora un po’ prima di giungere a destinazione,
quindi raccontami pure ciò che ti è accaduto. Spero che quel pazzo che ti
tormentava abbia smesso di farlo’’.
Così dicendo, la mia cugina coglieva la palla al balzo per
far parlare me.
Non mi scomposi, né mi mostrai ulteriormente inquieto, tanto
non avevo nulla da nascondere e neppure da temere, almeno speravo in
quest’ultimo caso, e le narrai tutto ciò che ancora non sapeva su di me e sulle
mie recenti esperienze. Aveva avuto modo di conoscerle quasi nella loro
totalità dopo la visita a casa mia, circa due settimane prima, ma le mancavano
da ascoltare solo gli ultimi sviluppi di quelle varie vicende.
A furia di narrare ad altri le mie vicende personali, non mi
sorprende il fatto che tutti i punti più salienti di esse mi siano rimaste
impresse in modo così vivido e reale, quasi tangibile ancora adesso. Insomma, per
tutto il resto del breve viaggio fui io a parlare, e finii proprio quando
Melissa cominciò a percorrere il vialetto che l’avrebbe portata di fronte a
casa sua.
Lei si limitò ad annuire e a sorridermi, come a volermi dare
la prova concreta che mi aveva ascoltato attentamente anche se non aveva mai
fiatato, e cominciò a fare le sue solite piccole manovre per parcheggiare la
macchina sullo spazio coperto da una sorta di porticato, dal nudo suolo
ricoperto da uno spesso strato di bianco ghiaino, il tutto ben dedito ad
ospitare al meglio un buon numero di macchine.
Tra l’altro, mi sorpresi nello scorgere una bella Lamborghini
parcheggiata anch’essa lì, a pochi passi dalla misera macchina di Melissa, e mi
venne da sorridere pensando a quanta fiducia potevano riporre in lei i suoi
genitori, dato che loro viaggiavano solo su auto fantasticamente costose e alla
figlia avevano riservato un’utilitaria qualsiasi, comunissima.
Tuttavia, era vero che per i primi tempi di guida andava benissimo
anche quella, siccome non riuscivo neppure ad immaginare mia cugina alle prese
con un’altra macchina, magari più voluminosa ed accessoriata.
Quando scesi dall’auto, una volta uscito da quel
porticato-tettoia, mi ritrovai immerso nel freddo sole invernale, che era
riuscito misteriosamente a far capolino dal bel mezzo della classica nebbia
padana, padrona indiscussa dell’autunno e dell’inverno della mia zona. Sembrava
che, per quel Santo giorno, il nostro amato astro volesse farci anche lui i
suoi migliori auguri.
Io e Melissa non scambiammo più neppure una parola, da quel
momento in poi. Lei mi sorrideva e m’invitava tacitamente a seguirla, ed io le
andavo dietro a ruota, da bravo ospite, e appena potemmo entrammo in casa,
mentre mi sentivo sempre più a disagio.
Se il grande giardino del villone era totalmente spoglio,
come sempre, e poteva apparire lo stesso che avevo visto durante la mia prima
visita, l’interno della vasta dimora era adibita a festa; ovunque, i festoni
regnavano sovrani, soprattutto lungo le scale, mentre un bell’abete di una
notevole dimensione e ben agghindato pareva voler dare il suo benvenuto ad ogni
ospite in entrata, vista la posizione centrale in cui era stato posizionato.
Il mio cuore cominciò ad accelerare i battiti, ed io per
qualche istante credetti di svenire.
La grande porta d’ingresso si richiuse dietro di me,
lasciandomi avvolto da un potentissimo profumo di cibarie, dalla luminosità
prodotta dalle varie lucine che parevano lampeggiare dappertutto, dai bagliori
festosi prodotti da ogni oggetto agghindante e natalizio e da un piacevole
chiacchiericcio di sottofondo, davvero tranquillo.
Però, nonostante la parvenza calma che regnava ovunque in
quell’ambiente che non avevo mai scorto in quel modo, il mio animo prese a non
darmi tregua, e pure quel barlume di tranquillità che da quella mattina aveva
vissuto dentro di me parve sparire. Scoprii che essa si era quindi rivelata
effimera, e cominciai a sudare freddo.
Ero una persona timidissima, e non sapendo cosa mi avrebbe
aspettato di lì a poco, ero diventato improvvisamente tesissimo e faticavo pure
a deglutire o a respirare normalmente.
Per una frazione di secondo, pensai che forse avrei fatto
meglio se me ne fossi stato a casa, con mia madre e Roberto, invece che recarmi
ad assecondare quella sorta di trasferta.
Tutti i peggiori pensieri cominciarono a frullare
vorticosamente per la mia mente, spaventandomi ad un tratto, e non
permettendomi più di ragionare. Melissa parve non notare nessun cambiamento in
me, ma ero sicuro di aver perso anche l’ultimo barlume di sorriso, assumendo
un’espressione tesa. Lei fu gentile a non farmi notare nulla, ma ero certo di
stare sfoggiando un volto dall’espressione incredibilmente tirata, forse
persino considerabile ridicola, da alcuni. Ma lei, la mia speciale cugina,
forse mi comprendeva davvero fino in fondo.
Passando da fianco al grande alberello di Natale tutto
agghindato, dato che la padrona di casa non mi aveva condotto subito al piano
superiore dell’abitazione come aveva fatto tutte le altre volte precedenti,
notai con stupore un calzino nero e sgualcito che pendeva da un ramo. Per una
frazione di secondo, tutta la mia attenzione fu incentrata su quell’oggetto,
che fortunatamente me la distolse un attimo dai miei intimiditi e timorosi
pensieri.
‘’E’ stata Giorgia… l’ha già messa lì in previsione
dell’Epifania. In attesa della befana, insomma. Sai che le cugine a volte sanno
essere strane, anche senza bisogno d’impegnarsi troppo’’, sogghignò Melissa,
notando l’attimo in cui i miei occhi avevano indugiato su quell’oggetto
logorato e decisamente fuori posto, al momento.
Scossi leggermente la testa, col vago intento di farle
tacitamente intuire che avevo compreso, e mi limitai a continuare a seguirla,
fintanto che, dopo a malapena altri sette o otto passi, ci trovammo
direttamente ad entrare in un bel salone, sempre in stile ottocentesco.
Il fiato mi si mozzò all’improvviso, e dei momenti
immediatamente successivi ho solo un ricordo molto confuso.
Piatti, posate, cibo che veniva servito.
Un discreto rumorio prodotto da parecchie persone che
chiacchieravano animatamente, ma sempre in modo educato e rilassato, ed io
stretto tra Melissa e Francesca, una delle mie cugine più piccole, solo a
tratti interessata a me. Tutti, però, di tanto in tanto mi fissavano.
Il pranzo era cominciato poco dopo al mio arrivo, ritenuto
puntualissimo; nessuno dei presenti, che tra l’altro in un primo momento non
conoscevo, mi aveva posto domande. Si erano limitati a salutarmi cortesemente,
e a lanciarmi qualche profonda ed attenta occhiata.
Al tavolo avevo avuto modo di fare una rapida conoscenza con
i miei zii, che mi erano stati presentati da Melissa; in realtà, li avevo già
visti la prima volta che avevo suonato il pianoforte in quella casa, durante la
mia primissima visita, ma non ero riuscito a studiarmeli per bene. Quella volta
sì, però.
Lo zio Piero, padre di Melissa, era un uomo discretamente
simile a mio padre, più nell’aspetto che nel modo di fare. Appariva infatti
pacato un po’ con tutto, anche se manteneva una parvenza sempre molto formale.
Non doveva essere un pessimo genitore, o un uomo simile al fratello maggiore.
Sua moglie era invece una donnina timidissima, quieta, sempre
silenziosa, di quelle che ti aspetti che siano sempre succubi del marito, ed
invece al contrario di ciò i suoi occhi emanavano lampi di vita e di
resistenza. Non riuscii a capirla fino in fondo durante quel breve contatto,
però mi sembrava addirittura più chiusa dalla figlia, più rassomigliante ai
componenti della famiglia Giacomelli, ma non una donna sempliciotta o succube.
Lo zio Ludovico invece, padre delle altre quattro cugine,
spiccava nella tavolata, sia per via di una capigliatura parecchio scompigliata
e mossa, lasciata leggermente allungare, sia grazie alla sua continua voglia di
far battute sciocche o di sottolineare qualcosa che potesse far ridere i
commensali. A lui non mi ero avvicinato, era troppo sciolto per i miei gusti.
Ebbi quindi modo di comprendere da chi avevano preso le
quattro ragazze, figlie tra l’altro di una donna piuttosto robusta ed anch’essa
dall’aspetto più frivolo della madre di Melissa, quest’ultima decisamente più
composta della cognata.
Ogni tanto, quando il figlio più piccolo alzava un po’ troppo
il gomito, il nonno gli lanciava un’occhiataccia fredda, di quelle in grado di
mettere a tacere chiunque, e allora Ludovico si quietava per un attimo. Ma tra
lui, sua moglie e le sue figlie, pareva che dovessero ribaltare la casa solo
col loro baccano.
Il nonno era seduto a capotavola, e da lì osservava
silenziosamente tutti quanti. Mai lo vidi proferire più di un paio di parole e
per di più sottovoce, ed i suoi occhi si muovevano implacabili su di tutti.
Prima del pasto, aveva effettuato una piccola preghiera di
ringraziamento, e poi aveva preferito restare a guardare e a mangiare a tratti,
senza interagire direttamente quasi con nessuno.
Oltre a me, ai miei zii, a mio nonno e alle mie cugine, si erano
recati a pranzare lì anche qualche amico stretto di famiglia, tutti più che
altro avanti con l’età, e qualche vicino, ma erano stati posizionati tutti
marginalmente, verso il fondo della tavolata. Io, invece, ero a stretto
contatto con quella parentela che sì mi guardava, ma che credevo non sapesse
neppure chi fossi.
Pensavo che tutti avessero frainteso, e poiché Melissa mi
aveva superficialmente presentato come un amico carissimo essi pensassero che
fossi il suo fidanzato o chissà chi altro. Mi sentivo infatti osservato
continuamente, anche se i presenti parevano concentrati sempre su altro.
Non potei non notare chiaramente tutto ciò che accumunava mio
padre a quella gente; lo zio Ludovico appariva a volte un gran cialtrone
ciarlone, così come il mio genitore si faceva lagnone ed insopportabile, lo zio
Piero aveva il suo stesso sguardo austero, così come lo aveva il nonno, le mie
cugine erano una sintesi dei comportamenti dei loro genitori e di quelli
generali dei Giacomelli, e Melissa si assomigliava fisicamente al ramo paterno
della famiglia, ma anche a me, mostrando quel comportamento timidamente
riservato che è stato tipicamente mio.
Io mangiai pochissimo, tenni spesso la testa abbassata sul
mio piatto e partecipai a malapena ad una conversazione con la mia cugina più
grande, tra l’altro non più lunga di tre semplici frasi.
Durante i primi venti minuti del pranzo la mia povera testa
era in tilt, e la mia timidezza mi impediva di sfoggiare qualcosa che non fosse
il mio solito sorrisetto forzato e tirato, ma poi per fortuna riuscii a
rilassarmi un po’ di più e a comportarmi in modo più sciolto e meno
visibilmente impacciato, in mezzo a tutte quelle persone che in fondo erano
puri e meri sconosciuti. Tuttavia, non entrai mai realmente in partita, come
avrebbe potuto sancire un qualsiasi commentatore calcistico.
Almeno, fino ad un certo punto.
Il pranzo parve volersi concludere in fretta, con l’apertura
e la distribuzione di classici dolci natalizi, perlopiù pandori e panettoni, e
mentre gli adulti brindavano e le ragazze si scattavano foto da postare sui
social, io me ne rimasi sempre più in disparte.
Solo a quel punto compresi che, fino a quel momento, io mi
ero sentito stranamente in più, e non riuscivo a capacitarmi del motivo ben
preciso per cui Melissa mi avesse invitato a quel pranzo tanto importante e da
trascorrere in famiglia. Certo, io in fondo ero un loro famigliare, ma mi
sentivo troppo freddamente distante dalla loro dimostrazione di unità e di
gioiosità, oltre che dai loro sfarzi, avendo assunto un paio di cuoche in più
per l’occasione e mostrando anche la bellezza di sei inservienti, sempre pronti
a precipitarsi su chiunque avesse desiderato una seconda porzione di qualcosa e
logicamente soddisfare ogni esigenza a tavola.
Il senso di disagio sorse quindi con nuovo impeto nel finale
del pasto, dove non riuscii più ad ingerire nulla e lasciai che il mio sguardo
girovagasse distrattamente ovunque, senza più badare a nulla. Volevo solo
tornarmene a casa mia, non so il perché.
Però, poi, qualcosa improvvisamente cambiò, e quello statico
equilibrio che fino a quel momento aveva caratterizzato quella mia
partecipazione alla festività s’interruppe. Mia cugina Melissa, infatti, tutt’a
un tratto mi posò una mano sulla spalla, facendomi quasi sobbalzare.
‘’Antonio, potresti venire un attimo con me?’’, mi chiese, ma
sempre in un modo un po’ troppo rigido.
Naturalmente acconsentii a seguirla, e lei si diresse
prontamente fuori dal salone.
‘’Seguimi al piano superiore, per favore’’, tornò a dirmi la
ragazza, mentre mi precedeva e di tanto in tanto si volgeva indietro a
lanciarmi un tremolante sorriso che doveva avere la funzione di rassicurarmi.
Continuavo a notare un certo disagio in lei, ed esso crebbe
leggermente anche dentro di me, non comprendendo perché fossi stato richiamato
fuori e mia cugina mi stesse portando verso il piano superiore, tra l’altro
molto silenzioso.
Dal salone vicino continuava a provenire il soffuso schiamazzo
che fino a pochi istanti prima mi aveva circondato ed oppresso, ogni passo più
lontano da me. Quando cominciammo a percorrere la bella scalinata interna
addobbata, provai nuovamente un po’ d’ansia, non riuscendo proprio a capire il
motivo di quella sequenza di scelte della mia cugina ed amica, ma ormai mi
sentivo come spossato, stanco come se anche le mie emozioni nelle scorse due
ore avessero già dato il meglio di loro, restando presenti ma solo di
sottofondo, senza più forze.
Una vaga inquietudine mi pervase fino al piano superiore, per
poi quasi scomparire non appena Melissa accennò a farmi entrare nella grande
stanza dov’era riposto il pianoforte.
Pensando che volesse farmi suonare di nuovo, mi
tranquillizzai per una frazione di secondo, fintanto che non feci capolino
dentro la camera. E allora sussultai, poiché mi trovai di fronte non solo al
pianoforte che tanto apprezzavo, ma anche a mio nonno, che era seduto di fronte
ad esso. Non mi ero neppure accorto che si fosse eclissato dai festeggiamenti e
dal pranzo dal tanto che era stato taciturno e silenzioso, immerso nella
baldoria, e non seppi cosa pensare in quel delicato momento.
Capii lestamente che sia lui che Melissa dovevano essersi
accordati, per farmi quel genere di sorpresa.
Non sapendo che altro pensare, tentennai un attimo sulla
soglia, mentre la mia cugina si faceva silenziosamente da parte, come se lei
avesse concluso la sua missione, e il vecchio mi rivolgeva un’occhiata pesante
e penetrante.
‘’Vieni avanti, Antonio’’, mi disse l’uomo anziano,
invitandomi ad andare verso di lui.
Mi mossi in sua direzione, senza stare a pensare troppo. Non
riuscivo a comprendere. Poi, mi baluginò per la mente l’idea che la mia
identità fosse stata scoperta.
Il vecchio non attese che io mi avvicinassi troppo a lui;
quando notò che ero alla sua portata, si alzò di colpo con uno scatto
indicibilmente arzillo e posò attentamente una mano sul mio viso.
Istintivamente chiusi le palpebre, chissà perché, ma l’uomo era proprio
interessato ai miei occhi, ed infatti col suo pollice cercò di forzarle, ma
sempre con grande dolcezza e delicatezza.
‘’Fatti vedere, dai. Apri gli occhi’’, mi disse, stranamente
tranquillo e ritraendo la mano. Io riaprii le mie palpebre e lo guardai, mentre
anch’esso fissava me e negli occhi.
Quello sguardo profondo e carico di significato durò qualche
istante lungo una vita. Mi sentivo come se lui stesse frugando dentro di me,
cercando di raggiungere il mio animo.
‘’Ne ho la certezza, hai i suoi stessi occhi. E poi mia
nipote non mente, e neppure tu sei bravo a farlo. Hai lo stesso sguardo limpido
di tua nonna, Antonio. Quella moglie che ho amato con tutto il mio cuore, e che
purtroppo è venuta a mancare da alcuni anni’’.
Stupito, di fronte all’anziano sorridente, cercai di dire
qualcosa, anche se non so bene cosa. Ero molto sorpreso, ed ormai certo che
fosse venuto fuori tutto quanto.
‘’Non inquietarti così. In casa nostra ormai sappiamo tutti
chi sei; altrimenti credi che avresti meritato un posto d’onore a nostro
fianco, in questo bel pranzo? Io, i miei figli, le mie nuore e le mie nipoti
sappiamo tutto, Melissa ce l’ha raccontato’’.
Mi volsi ad incenerire con un rapido sguardo sorpreso la mia
cugina, dato che mi aveva promesso il silenzio assoluto su ciò che le avevo
narrato, e per un attimo mi sentii profondamente tradito e sconfortato.
Melissa non reagì al mio sguardo, tenendo la testa abbassata.
Solo in quel momento comprendevo la sua tensione.
‘’Non c’è bisogno che tu osservi tua cugina in quel modo,
tanto tutto prima o poi sarebbe venuto a galla…’’, tentò di dire il nonno,
severamente, ma la ragazza non seppe più
stare in silenzio.
‘’Antonio, appena tu mi hai fatto quelle rivelazioni, ed io
le ho potute ritenere fondate, non ho saputo stare zitta. Sono andata dal
nonno, solo dal nonno, e gli ho rivelato tutto; poi lui ha scelto di parlarne
alla famiglia riunita.
‘’Ma voglio che tu capisca che se io ho tradito il tuo
desiderio di restare in anonimato, l’ho fatto solo perché ti voglio bene e ti
ritengo un ottimo amico e una brava persona. Tu meriti di far parte della
nostra famiglia, ed io lo voglio con tutto il mio cuore’’, proruppe la ragazza,
interrompendo per la prima volta l’anziano della famiglia, che non se la prese
affatto per quell’intervento brusco. Anzi, mi offrì uno sguardo raddolcito, di
quelli che, su quel viso ormai scolpito dal passare degli anni, potevano
sembrare un arcobaleno dopo un violento temporale estivo.
‘’Mia nipote ha perfettamente ragione. Noi tutti qui siamo
desiderosi di conoscerti, di avere a che fare con te. Mi spiace che durante il
pranzo tu sia rimasto molto isolato, ma purtroppo con quel cialtrone di
Ludovico seduto allo stesso desco a volte resta poco da dire agli altri. Ma noi
tutti siamo fieri di te, ed io più di tutti, poiché conosco ogni cosa sul tuo
conto, siccome Melissa non fa altro che parlare di te’’, tornò a dire il nonno,
sempre con grande dolcezza.
Io chinai lo sguardo, mi sentii spossato, debole, mentre non
sapevo che dire o che fare.
‘’Non so cosa ti hanno raccontato su di noi. Crederai che non
ci sia mai importato nulla di te, ma io ogni sera rivolgevo un pensiero a quel
nipotino, l’unico maschio generato finora dalla mia prole, che non avevo mai
conosciuto.
‘’Abbiamo avuto degli screzi molto gravi con tuo nonno materno,
ed io per primo non ho mai ritenuto opportuno cercare di entrare nella vostra
vita, la tua e quella di tua madre. So che mio figlio maggiore è un essere
disonesto, che ha messo incinta di nuovo un’altra sua studentessa e che poi
l’ha lasciata, e che tutti state soffrendo a causa sua, e anche a causa mia e
nostra.
‘’Ma ora io vorrei farti entrare a pieno titolo in questa
famiglia, e dirti che noi, per te, ci saremo sempre. E per sempre’’.
Alle parole del nonno continuai a tenere lo sguardo
abbassato, non sapendo che dire o che pensare. In me viveva un antico astio che
ardeva come un focolare furioso, ma sopra di esso veniva gettata della sabbia e
dell’acqua, ovvero un nuovo sentimento simile al perdono.
L’anziano e la mia cugina mi stavano parlando apertamente e
correttamente, con sincerità, almeno apparente, e decisi di fidarmi.
‘’Non abbracci il tuo anziano nonno, nipote?’’, disse l’uomo,
con una saggezza infinita mista a commozione, nata durante il mio frastornante
e timido silenzio.
Alzai lo sguardo, e trovandomi di fronte all’anziano con gli
occhi lucidi e con le braccia già semiaperte, mi ci fiondai come un bambino,
seguendo un istinto innato.
Venni a contatto col corpo del vecchio, coi suoi vestiti e
col suo odore di dopobarba, tanto simile a quello di mio padre, e lasciai che
lui mi stringesse forte e calorosamente a sé, cominciando a singhiozzare.
Anch’io ero più che commosso, ma trattenni ogni espressione che avrebbe potuto
lasciarlo trapelare fuori.
Melissa lanciò un gridolino felice, anch’esso commosso e
gioioso, e restammo così per qualche minuto. Poi, il nonno sciolse l’abbraccio,
e ancora con gli occhi lucidi mi afferrò una mano e se la mise sul petto.
‘’Voglio che tu mi giuri una cosa, ovvero che accetterai il
mio sostegno in ogni cosa che sceglierai di fare. Innanzi tutto, se vorrai
continuare a suonare il pianoforte, mia vecchia passione, mi faresti davvero un
regalo se tu accettassi un insegnante privato stipendiato da me, come ti avevo
detto qualche settimana fa.
‘’E’ mio desiderio che tu mi prometta che accetterai ogni mio
aiuto; fai contento un vecchio, per favore. Manca poco alla fine della mia
vita, credi che non lo sappia? Tra qualche giorno, settimana, mese o al massimo
un paio d’anni mi ricongiungerò con mia moglie, morta sei anni fa, e che
anch’essa sarebbe stata felicissima di conoscerti. Lascio al mondo tre figli
totalmente indipendenti e benestanti, con poca testa purtroppo, ma questo non
c’entra, e voglio essere presente nella vita tua, dandoti anche un supporto
economico e contribuendo attivamente a farti diventare ciò che vuoi.
‘’Sono disposto a dare una mano anche a quella giovane che ha
lasciato tuo padre, sola e incinta, da quello che mi ha raccontato mia nipote.
Puoi dirlo anche lei…’’.
‘’Stefania la stiamo già ospitando io e mia madre… è in gravi
difficoltà…’’.
‘’Tu e tua madre siete persone di buon cuore. Vorrei tanto
conoscere meglio anche lei; pensi che me ne darà la possibilità?’’, chiese il
nonno, lentamente.
‘’Non lo so’’, lasciai scivolar fuori dalle mie labbra.
Sapevo ciò che il mio genitore pensava di quelle persone, e un contatto lo
credevo davvero difficile.
‘’Non importa. Io desidero esserci nelle vostre vite, e se
non volete vedere me almeno accettate un mio aiuto economico. Mi sento in colpa
per tutto, per ogni cosa…’’, singhiozzò il vecchio, ed allora capii chiaramente
che era pentito davvero di averci sempre lasciati soli, di averci indirettamente
isolati.
‘’Mi vergogno di mio figlio, di ciò che ti ha fatto passare…
odiava il pianoforte perché era il mio strumento preferito, e per questo ha
tentato di privartene mentre se ne stava a sbafo a casa vostra… fellone!
Bestia! Mi dispiace per tutto, io devo…’’.
‘’Non devi nulla, nonno. Io non voglio nulla da te se non il
tuo affetto e la tua vicinanza. Niente di più’’, gli dissi, semplicemente, ed
allora lui premette ancora più forte la mia mano contro il suo petto. Sentivo
il suo cuore che batteva all’impazzata, e il suo volto ormai arrossato dalla
commozione mi lasciava senza parole.
‘’Promettimi e giurami che lascerai che l’insegnante che ti
sceglierò possa darti una mano al pianoforte. Hai tanto talento, sarebbe un
peccato sciuparlo! Ci tengo, davvero’’.
‘’Lo prometto, nonno’’, cedetti, comunque felice della mia
scelta, anche senza tener conto delle possibili reazioni di mia madre. Ero
certo che lei avrebbe compreso.
Il nonno mi lasciò la mano e tornò a donarmi un rapido
abbraccio, ancora una volta colmo di sentimento.
‘’Sei un ragazzo sensibile, buono e dal cuore d’oro. Non
cambiare mai, mio caro nipotino, mai… non lasciare che la vita t’inaridisca… tu
sei speciale, ricordalo per sempre’’, mi sussurrò all’orecchio, e a quelle
parole il mondo parve perdere di significato, per me. Ero troppo felice, e pure
io mi lasciai andare ad un pianto liberatorio.
Noi tre presenti in quella stanza lasciammo così defluire
ogni nostro sentimento, assieme ed uniti.
Per sempre.
Dopo esserci calmati un po’, rientrammo nel salone assieme
agli altri.
Tutti smisero di parlare e di chiacchierare, non appena mio
nonno troneggiò su tutti, impettito e con un ritrovato sguardo severo,
aspettando il più assoluto silenzio prima di cominciare il suo importante ed
elegante discorso.
‘’Oggi è un giorno speciale e santo, non solo perché è il Natale,
ma anche per il fatto che Nostro Signore e Suo Figlio hanno voluto farmi il più
bel regalo della mia vita, ovvero quello di ritrovare un nipote e di poter
scoprire tutto il buono che c’è in lui, avendo la certezza che è un bravissimo
ragazzo. Che Dio sia lodato, e che Antonio possa per sempre essere trattato da
tutti noi presenti come uno di famiglia, e dai miei figli come se fosse un loro
stesso figlio’’, esordì e concluse l’anziano, tornando a commuoversi di fronte
a tutti ed inaspettatamente.
La commozione quella volta fu generale, ed ebbi modo di
essere baciato ed abbracciato da tutti i componenti della mia famiglia paterna.
Quello fu uno dei momenti più belli della mia giovane vita.
Un momento che mai e poi mai dimenticherò.
E da quegli istanti in poi esistette solo la felicità,
nonostante tutto.
NOTA DELL’AUTORE
Buongiorno a tutti, carissimi lettori!
Questo è stato un capitolo colmo di belle sorprese, in vista
del finale imminente. Spero che vi sia piaciuto!
Il prossimo capitolo che pubblicherò sarà l’ultimo, poi ci
attenderà un epilogo conclusivo.
Grazie per continuare a seguire e a sostenere il racconto, vi
sono davvero grato per tutto.
Grazie di cuore, per tutto, e buona giornata! A lunedì prossimo.