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Autore: alessandroago_94    05/12/2016    10 recensioni
Antonio Giacomelli è un ragazzo molto timido e introverso, a cui piace trascorrere i pomeriggi suonando il pianoforte. Vive una vita assolutamente normale fintanto che viene a contatto con una famiglia, la famiglia Arriga. E da quel fatidico momento, da quando ha modo di incontrarsi per la prima volta e di scontrarsi con uno dei suoi tre componenti, la sua vita cambierà per sempre, poiché sarà proprio quella stessa famiglia Arriga, assieme ai pesanti segreti che porta con sé, a sconvolgere e a cambiare la sua esistenza, tra immensi drammi e gioie inaspettate.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 37

CAPITOLO 37

 

 

 

 

 

 

I giorni che mi separavano dal Natale passarono in fretta.

Roberto aveva scelto di fermarsi ancora un po’, senza alcuna voglia di tornare in pieno inverno nella sua abitazione in campagna, che necessitava pure di qualche ristrutturazione a suo dire, e mia madre era sempre con lui. L’arrivo delle festività era stata una manna per la mia povera mamma, gran lavoratrice, che aveva bisogno di riposare un po’, e per fortuna il calendario le offriva qualche giorno davvero libero, finalmente.

I due adulti parevano andare molto d’accordo, sempre di più, talmente tanto da spingermi a pensare che effettivamente sembravano due migliori amici, inseparabili com’erano diventati. Gli eventi drammatici dell’ultimo mese li avevano avvicinati molto, tantissimo.

Nonostante che tra loro esistesse già un dialogo informale, i due avevano ormai imparato a chiacchierare del più e del meno, cosa che prima accadeva di rado, parlando solo tramite classiche frasi sempre simili, e la mamma pareva aver ricominciato a sorridere, dopo qualche giorno buio in cui mi ero preoccupato seriamente per lei. Ero felice che avesse trovato nel suo quasi coetaneo Roberto un buon amico, anche perché lui, con le sue parole, sapeva farla riflettere e sorridere allo stesso tempo. Era una brava persona, e l’ammiravo molto.

A dirla tutta, quel giorno avevo scelto di prendere l’unico treno diretto da Melissa a cuor leggero, poiché avevo lasciato il mio genitore buono e corretto con quell’uomo così cortese e caloroso, e che assieme si stavano divertendo a preparare un pranzo di Natale, che logicamente sarebbe stato poi consumato da loro due stessi. Non avevano nessun altro a quel mondo, e per fortuna stavano bene insieme.

Stefania si era poi traferita da noi, momentaneamente aveva specificato, ma non ci credevamo poi più di tanto. Tuttavia la ragazza era sempre rimasta sulle sue, comportandosi correttamente e con grande discretezza, sempre silenziosa e amabilmente pacata. Avevo avuto modo di conoscerla meglio e mi stava simpatica, era sempre dolce e sorridente in ogni momento della giornata, nonostante tutto.

La nostra convivenza era estremamente pacifica, e nessuna tensione regnava più tra le nostre mura domestiche. Il nemico pareva davvero sconfitto per sempre su tutti i fronti, e definitivamente allontanato.

Anche se noi quattro eravamo così diversi, non c’era voluto molto a comprendere che non avremmo mai potuto litigare o discutere per nessun motivo. Anzi, in quel momento ero leggermente sovrappensiero, poiché pensavo sempre a Stefania, che in quel santo giorno avrebbe ritentato di mettere in piedi il rapporto con la sua famiglia e i suoi genitori. Speravo davvero per lei che tutto potesse andare per il verso giusto, come meritava.

Non era una giovane cattiva, oppure desiderosa di soldi, potere o vecchi da spennare, ma era soltanto un po’ superficiale e distratta, a volte, e dall’animo puro ed innocente, a tratti simile al mio per quanto riguardava l’ingenuità. Mi ero già affezionato a lei e ai suoi sorridenti silenzi, mai troppo cupi per fortuna, e a quella piccola vita che cresceva ogni giorno nel suo grembo, mia consanguinea.

Ero quindi riuscito a trovare una parvenza di pace e di tranquillità, e il mio caro Giacomo era sempre presente, con la sua simpatia, un po’ come lo era naturalmente anche Jasmine, ma con lei era tutto un altro discorso, decisamente più profondo.

Quella ragazza stava cominciando a dar sfoggio del suo calore e della sua bontà, in modo più aperto rispetto all’inizio della nostra relazione, ed io l’amavo sempre più e tutto andava a gonfie vele tra noi.

Quella stessa sera, tra l’altro, l’avrei rivista, poiché mi aveva invitato a cena da lei, assieme ai suoi genitori. Era l’ennesima occasione per conoscere meglio la sua famiglia, un’occasione che non volevo farmi sfuggire per nessun motivo, ed infatti prevedevo di prendere l’ultimo e unico treno delle diciotto per tornare a casa, ed essere da lei entro le diciannove e trenta.

Per quanto riguardava la mia trasferta da Melissa, non ero turbato per nulla; ero certo che la ragazza non avesse in alcun modo parlato di me e del mio grado di parentela con i suoi e miei parenti, e che se ne fosse stata zitta, come promesso. Avrei trascorso un mezzogiorno assieme a loro ed avrei avuto modo di passare un po’ di tempo in loro compagnia, cosa che non mi era mai capitata in modo così diretto e coinvolgente, ed avrei potuto farmi una precisa idea su tutto e su tutti.

Ma sarei sempre stato un semplice amico, un terzo soggetto che, da fuori delle dinamiche familiari, osservava attentamente ogni cosa ed ogni comportamento. Non sarei stato nulla di più, e ciò mi dava un senso di beatitudine e una sensazione di dolore allo stesso tempo.

Avrei tanto voluto avere il coraggio di presentarmi a loro per quello che ero e per chi realmente ero, ma sapevo che rischiavo di passare per un pazzo che li aveva seguiti in incognito mentendo anche sulla mia reale identità, per poi svelarla in un momento in cui il mio ipotetico subdolo piano avrebbe dovuto cominciare a prendere piede.

Avrei rischiato di passare per approfittatore, o di essere allontanato, ma di certo sarei stato frainteso, assieme alle mie probabili intenzioni, che in realtà non c’erano, se non semplicemente avere un contatto con loro, anche a distanza. Nessuno avrebbe mai creduto nella casualità dell’evento, un po’ come aveva fatto inizialmente mia madre.

Restavo, ripeto, tuttavia tranquillo, e credevo fermamente nella mia copertura e sulla buona fede di Melissa, che in fondo era sempre stata molto corretta con me e nel rispettare le mie volontà.

Quando scesi dal treno, me la ritrovai di fronte tutta sorridente, e ci scambiammo un abbraccio d’impeto, chiamandoci per la prima volta cugini.

 

Non credo che Melissa avesse realmente provato qualcosa per me. Sono più propenso a credere che essa l’avesse scambiato con quella primordiale curiosità che pure io avevo provato per lei la prima volta che l’ho incontrata, pensando ingenuamente che fosse amore.

Ah, la mia cugina appariva davvero ancora molto inesperta, a riguardo delle vicende amorose, forse ed addirittura molto più di me, che nonostante tutto ci stavo provando con Jasmine. Lei, invece, non aveva nessuno ed era single.

Mentre mi stava portando a casa sua, guidando la sua auto, mi dedicò qualche sporadico sorriso e qualche parola cortese, niente di più sciolto. Pareva tesa, e questo mi dava nell’occhio e rischiava di strapparmi di dosso quel velo di tranquillità che avevo scelto d’indossare quella mattina.

Mi voleva bene, ne ero certo, ma pareva non proprio a suo agio.

‘’Allora, cugino… che mi racconti di bello?’’, mi chiese dopo un po’, titubante a parole ma un po’ più sicura nella guida.

Scrollai istintivamente le spalle.

‘’Ah, guarda… ne sono successe un bel po’… se vuoi ti racconto qualcosa’’.

‘’Certo. Manca ancora un po’ prima di giungere a destinazione, quindi raccontami pure ciò che ti è accaduto. Spero che quel pazzo che ti tormentava abbia smesso di farlo’’.

Così dicendo, la mia cugina coglieva la palla al balzo per far parlare me.

Non mi scomposi, né mi mostrai ulteriormente inquieto, tanto non avevo nulla da nascondere e neppure da temere, almeno speravo in quest’ultimo caso, e le narrai tutto ciò che ancora non sapeva su di me e sulle mie recenti esperienze. Aveva avuto modo di conoscerle quasi nella loro totalità dopo la visita a casa mia, circa due settimane prima, ma le mancavano da ascoltare solo gli ultimi sviluppi di quelle varie vicende.

A furia di narrare ad altri le mie vicende personali, non mi sorprende il fatto che tutti i punti più salienti di esse mi siano rimaste impresse in modo così vivido e reale, quasi tangibile ancora adesso. Insomma, per tutto il resto del breve viaggio fui io a parlare, e finii proprio quando Melissa cominciò a percorrere il vialetto che l’avrebbe portata di fronte a casa sua.

Lei si limitò ad annuire e a sorridermi, come a volermi dare la prova concreta che mi aveva ascoltato attentamente anche se non aveva mai fiatato, e cominciò a fare le sue solite piccole manovre per parcheggiare la macchina sullo spazio coperto da una sorta di porticato, dal nudo suolo ricoperto da uno spesso strato di bianco ghiaino, il tutto ben dedito ad ospitare al meglio un buon numero di macchine.

Tra l’altro, mi sorpresi nello scorgere una bella Lamborghini parcheggiata anch’essa lì, a pochi passi dalla misera macchina di Melissa, e mi venne da sorridere pensando a quanta fiducia potevano riporre in lei i suoi genitori, dato che loro viaggiavano solo su auto fantasticamente costose e alla figlia avevano riservato un’utilitaria qualsiasi, comunissima.

Tuttavia, era vero che per i primi tempi di guida andava benissimo anche quella, siccome non riuscivo neppure ad immaginare mia cugina alle prese con un’altra macchina, magari più voluminosa ed accessoriata.

Quando scesi dall’auto, una volta uscito da quel porticato-tettoia, mi ritrovai immerso nel freddo sole invernale, che era riuscito misteriosamente a far capolino dal bel mezzo della classica nebbia padana, padrona indiscussa dell’autunno e dell’inverno della mia zona. Sembrava che, per quel Santo giorno, il nostro amato astro volesse farci anche lui i suoi migliori auguri.

Io e Melissa non scambiammo più neppure una parola, da quel momento in poi. Lei mi sorrideva e m’invitava tacitamente a seguirla, ed io le andavo dietro a ruota, da bravo ospite, e appena potemmo entrammo in casa, mentre mi sentivo sempre più a disagio.

Se il grande giardino del villone era totalmente spoglio, come sempre, e poteva apparire lo stesso che avevo visto durante la mia prima visita, l’interno della vasta dimora era adibita a festa; ovunque, i festoni regnavano sovrani, soprattutto lungo le scale, mentre un bell’abete di una notevole dimensione e ben agghindato pareva voler dare il suo benvenuto ad ogni ospite in entrata, vista la posizione centrale in cui era stato posizionato.

Il mio cuore cominciò ad accelerare i battiti, ed io per qualche istante credetti di svenire.

La grande porta d’ingresso si richiuse dietro di me, lasciandomi avvolto da un potentissimo profumo di cibarie, dalla luminosità prodotta dalle varie lucine che parevano lampeggiare dappertutto, dai bagliori festosi prodotti da ogni oggetto agghindante e natalizio e da un piacevole chiacchiericcio di sottofondo, davvero tranquillo.

Però, nonostante la parvenza calma che regnava ovunque in quell’ambiente che non avevo mai scorto in quel modo, il mio animo prese a non darmi tregua, e pure quel barlume di tranquillità che da quella mattina aveva vissuto dentro di me parve sparire. Scoprii che essa si era quindi rivelata effimera, e cominciai a sudare freddo.

Ero una persona timidissima, e non sapendo cosa mi avrebbe aspettato di lì a poco, ero diventato improvvisamente tesissimo e faticavo pure a deglutire o a respirare normalmente.

Per una frazione di secondo, pensai che forse avrei fatto meglio se me ne fossi stato a casa, con mia madre e Roberto, invece che recarmi ad assecondare quella sorta di trasferta.

Tutti i peggiori pensieri cominciarono a frullare vorticosamente per la mia mente, spaventandomi ad un tratto, e non permettendomi più di ragionare. Melissa parve non notare nessun cambiamento in me, ma ero sicuro di aver perso anche l’ultimo barlume di sorriso, assumendo un’espressione tesa. Lei fu gentile a non farmi notare nulla, ma ero certo di stare sfoggiando un volto dall’espressione incredibilmente tirata, forse persino considerabile ridicola, da alcuni. Ma lei, la mia speciale cugina, forse mi comprendeva davvero fino in fondo.

Passando da fianco al grande alberello di Natale tutto agghindato, dato che la padrona di casa non mi aveva condotto subito al piano superiore dell’abitazione come aveva fatto tutte le altre volte precedenti, notai con stupore un calzino nero e sgualcito che pendeva da un ramo. Per una frazione di secondo, tutta la mia attenzione fu incentrata su quell’oggetto, che fortunatamente me la distolse un attimo dai miei intimiditi e timorosi pensieri.

‘’E’ stata Giorgia… l’ha già messa lì in previsione dell’Epifania. In attesa della befana, insomma. Sai che le cugine a volte sanno essere strane, anche senza bisogno d’impegnarsi troppo’’, sogghignò Melissa, notando l’attimo in cui i miei occhi avevano indugiato su quell’oggetto logorato e decisamente fuori posto, al momento.

Scossi leggermente la testa, col vago intento di farle tacitamente intuire che avevo compreso, e mi limitai a continuare a seguirla, fintanto che, dopo a malapena altri sette o otto passi, ci trovammo direttamente ad entrare in un bel salone, sempre in stile ottocentesco.

Il fiato mi si mozzò all’improvviso, e dei momenti immediatamente successivi ho solo un ricordo molto confuso.

 

Piatti, posate, cibo che veniva servito.

Un discreto rumorio prodotto da parecchie persone che chiacchieravano animatamente, ma sempre in modo educato e rilassato, ed io stretto tra Melissa e Francesca, una delle mie cugine più piccole, solo a tratti interessata a me. Tutti, però, di tanto in tanto mi fissavano.

Il pranzo era cominciato poco dopo al mio arrivo, ritenuto puntualissimo; nessuno dei presenti, che tra l’altro in un primo momento non conoscevo, mi aveva posto domande. Si erano limitati a salutarmi cortesemente, e a lanciarmi qualche profonda ed attenta occhiata.

Al tavolo avevo avuto modo di fare una rapida conoscenza con i miei zii, che mi erano stati presentati da Melissa; in realtà, li avevo già visti la prima volta che avevo suonato il pianoforte in quella casa, durante la mia primissima visita, ma non ero riuscito a studiarmeli per bene. Quella volta sì, però.

Lo zio Piero, padre di Melissa, era un uomo discretamente simile a mio padre, più nell’aspetto che nel modo di fare. Appariva infatti pacato un po’ con tutto, anche se manteneva una parvenza sempre molto formale. Non doveva essere un pessimo genitore, o un uomo simile al fratello maggiore.

Sua moglie era invece una donnina timidissima, quieta, sempre silenziosa, di quelle che ti aspetti che siano sempre succubi del marito, ed invece al contrario di ciò i suoi occhi emanavano lampi di vita e di resistenza. Non riuscii a capirla fino in fondo durante quel breve contatto, però mi sembrava addirittura più chiusa dalla figlia, più rassomigliante ai componenti della famiglia Giacomelli, ma non una donna sempliciotta o succube.

Lo zio Ludovico invece, padre delle altre quattro cugine, spiccava nella tavolata, sia per via di una capigliatura parecchio scompigliata e mossa, lasciata leggermente allungare, sia grazie alla sua continua voglia di far battute sciocche o di sottolineare qualcosa che potesse far ridere i commensali. A lui non mi ero avvicinato, era troppo sciolto per i miei gusti.

Ebbi quindi modo di comprendere da chi avevano preso le quattro ragazze, figlie tra l’altro di una donna piuttosto robusta ed anch’essa dall’aspetto più frivolo della madre di Melissa, quest’ultima decisamente più composta della cognata.

Ogni tanto, quando il figlio più piccolo alzava un po’ troppo il gomito, il nonno gli lanciava un’occhiataccia fredda, di quelle in grado di mettere a tacere chiunque, e allora Ludovico si quietava per un attimo. Ma tra lui, sua moglie e le sue figlie, pareva che dovessero ribaltare la casa solo col loro baccano.

Il nonno era seduto a capotavola, e da lì osservava silenziosamente tutti quanti. Mai lo vidi proferire più di un paio di parole e per di più sottovoce, ed i suoi occhi si muovevano implacabili su di tutti.

Prima del pasto, aveva effettuato una piccola preghiera di ringraziamento, e poi aveva preferito restare a guardare e a mangiare a tratti, senza interagire direttamente quasi con nessuno.

Oltre a me, ai miei zii, a mio nonno e alle mie cugine, si erano recati a pranzare lì anche qualche amico stretto di famiglia, tutti più che altro avanti con l’età, e qualche vicino, ma erano stati posizionati tutti marginalmente, verso il fondo della tavolata. Io, invece, ero a stretto contatto con quella parentela che sì mi guardava, ma che credevo non sapesse neppure chi fossi.

Pensavo che tutti avessero frainteso, e poiché Melissa mi aveva superficialmente presentato come un amico carissimo essi pensassero che fossi il suo fidanzato o chissà chi altro. Mi sentivo infatti osservato continuamente, anche se i presenti parevano concentrati sempre su altro.

Non potei non notare chiaramente tutto ciò che accumunava mio padre a quella gente; lo zio Ludovico appariva a volte un gran cialtrone ciarlone, così come il mio genitore si faceva lagnone ed insopportabile, lo zio Piero aveva il suo stesso sguardo austero, così come lo aveva il nonno, le mie cugine erano una sintesi dei comportamenti dei loro genitori e di quelli generali dei Giacomelli, e Melissa si assomigliava fisicamente al ramo paterno della famiglia, ma anche a me, mostrando quel comportamento timidamente riservato che è stato tipicamente mio.

Io mangiai pochissimo, tenni spesso la testa abbassata sul mio piatto e partecipai a malapena ad una conversazione con la mia cugina più grande, tra l’altro non più lunga di tre semplici frasi.

Durante i primi venti minuti del pranzo la mia povera testa era in tilt, e la mia timidezza mi impediva di sfoggiare qualcosa che non fosse il mio solito sorrisetto forzato e tirato, ma poi per fortuna riuscii a rilassarmi un po’ di più e a comportarmi in modo più sciolto e meno visibilmente impacciato, in mezzo a tutte quelle persone che in fondo erano puri e meri sconosciuti. Tuttavia, non entrai mai realmente in partita, come avrebbe potuto sancire un qualsiasi commentatore calcistico.

Almeno, fino ad un certo punto.

Il pranzo parve volersi concludere in fretta, con l’apertura e la distribuzione di classici dolci natalizi, perlopiù pandori e panettoni, e mentre gli adulti brindavano e le ragazze si scattavano foto da postare sui social, io me ne rimasi sempre più in disparte.

Solo a quel punto compresi che, fino a quel momento, io mi ero sentito stranamente in più, e non riuscivo a capacitarmi del motivo ben preciso per cui Melissa mi avesse invitato a quel pranzo tanto importante e da trascorrere in famiglia. Certo, io in fondo ero un loro famigliare, ma mi sentivo troppo freddamente distante dalla loro dimostrazione di unità e di gioiosità, oltre che dai loro sfarzi, avendo assunto un paio di cuoche in più per l’occasione e mostrando anche la bellezza di sei inservienti, sempre pronti a precipitarsi su chiunque avesse desiderato una seconda porzione di qualcosa e logicamente soddisfare ogni esigenza a tavola.

Il senso di disagio sorse quindi con nuovo impeto nel finale del pasto, dove non riuscii più ad ingerire nulla e lasciai che il mio sguardo girovagasse distrattamente ovunque, senza più badare a nulla. Volevo solo tornarmene a casa mia, non so il perché.

Però, poi, qualcosa improvvisamente cambiò, e quello statico equilibrio che fino a quel momento aveva caratterizzato quella mia partecipazione alla festività s’interruppe. Mia cugina Melissa, infatti, tutt’a un tratto mi posò una mano sulla spalla, facendomi quasi sobbalzare.

‘’Antonio, potresti venire un attimo con me?’’, mi chiese, ma sempre in un modo un po’ troppo rigido.

Naturalmente acconsentii a seguirla, e lei si diresse prontamente fuori dal salone.

‘’Seguimi al piano superiore, per favore’’, tornò a dirmi la ragazza, mentre mi precedeva e di tanto in tanto si volgeva indietro a lanciarmi un tremolante sorriso che doveva avere la funzione di rassicurarmi.

Continuavo a notare un certo disagio in lei, ed esso crebbe leggermente anche dentro di me, non comprendendo perché fossi stato richiamato fuori e mia cugina mi stesse portando verso il piano superiore, tra l’altro molto silenzioso.

Dal salone vicino continuava a provenire il soffuso schiamazzo che fino a pochi istanti prima mi aveva circondato ed oppresso, ogni passo più lontano da me. Quando cominciammo a percorrere la bella scalinata interna addobbata, provai nuovamente un po’ d’ansia, non riuscendo proprio a capire il motivo di quella sequenza di scelte della mia cugina ed amica, ma ormai mi sentivo come spossato, stanco come se anche le mie emozioni nelle scorse due ore avessero già dato il meglio di loro, restando presenti ma solo di sottofondo, senza più forze.

Una vaga inquietudine mi pervase fino al piano superiore, per poi quasi scomparire non appena Melissa accennò a farmi entrare nella grande stanza dov’era riposto il pianoforte.

Pensando che volesse farmi suonare di nuovo, mi tranquillizzai per una frazione di secondo, fintanto che non feci capolino dentro la camera. E allora sussultai, poiché mi trovai di fronte non solo al pianoforte che tanto apprezzavo, ma anche a mio nonno, che era seduto di fronte ad esso. Non mi ero neppure accorto che si fosse eclissato dai festeggiamenti e dal pranzo dal tanto che era stato taciturno e silenzioso, immerso nella baldoria, e non seppi cosa pensare in quel delicato momento.

Capii lestamente che sia lui che Melissa dovevano essersi accordati, per farmi quel genere di sorpresa.

Non sapendo che altro pensare, tentennai un attimo sulla soglia, mentre la mia cugina si faceva silenziosamente da parte, come se lei avesse concluso la sua missione, e il vecchio mi rivolgeva un’occhiata pesante e penetrante.

‘’Vieni avanti, Antonio’’, mi disse l’uomo anziano, invitandomi ad andare verso di lui.

Mi mossi in sua direzione, senza stare a pensare troppo. Non riuscivo a comprendere. Poi, mi baluginò per la mente l’idea che la mia identità fosse stata scoperta.

Il vecchio non attese che io mi avvicinassi troppo a lui; quando notò che ero alla sua portata, si alzò di colpo con uno scatto indicibilmente arzillo e posò attentamente una mano sul mio viso. Istintivamente chiusi le palpebre, chissà perché, ma l’uomo era proprio interessato ai miei occhi, ed infatti col suo pollice cercò di forzarle, ma sempre con grande dolcezza e delicatezza.

‘’Fatti vedere, dai. Apri gli occhi’’, mi disse, stranamente tranquillo e ritraendo la mano. Io riaprii le mie palpebre e lo guardai, mentre anch’esso fissava me e negli occhi.

Quello sguardo profondo e carico di significato durò qualche istante lungo una vita. Mi sentivo come se lui stesse frugando dentro di me, cercando di raggiungere il mio animo.

‘’Ne ho la certezza, hai i suoi stessi occhi. E poi mia nipote non mente, e neppure tu sei bravo a farlo. Hai lo stesso sguardo limpido di tua nonna, Antonio. Quella moglie che ho amato con tutto il mio cuore, e che purtroppo è venuta a mancare da alcuni anni’’.

Stupito, di fronte all’anziano sorridente, cercai di dire qualcosa, anche se non so bene cosa. Ero molto sorpreso, ed ormai certo che fosse venuto fuori tutto quanto.

‘’Non inquietarti così. In casa nostra ormai sappiamo tutti chi sei; altrimenti credi che avresti meritato un posto d’onore a nostro fianco, in questo bel pranzo? Io, i miei figli, le mie nuore e le mie nipoti sappiamo tutto, Melissa ce l’ha raccontato’’.

Mi volsi ad incenerire con un rapido sguardo sorpreso la mia cugina, dato che mi aveva promesso il silenzio assoluto su ciò che le avevo narrato, e per un attimo mi sentii profondamente tradito e sconfortato.

Melissa non reagì al mio sguardo, tenendo la testa abbassata. Solo in quel momento comprendevo la sua tensione.

‘’Non c’è bisogno che tu osservi tua cugina in quel modo, tanto tutto prima o poi sarebbe venuto a galla…’’, tentò di dire il nonno, severamente, ma la ragazza non seppe  più stare in silenzio.

‘’Antonio, appena tu mi hai fatto quelle rivelazioni, ed io le ho potute ritenere fondate, non ho saputo stare zitta. Sono andata dal nonno, solo dal nonno, e gli ho rivelato tutto; poi lui ha scelto di parlarne alla famiglia riunita.

‘’Ma voglio che tu capisca che se io ho tradito il tuo desiderio di restare in anonimato, l’ho fatto solo perché ti voglio bene e ti ritengo un ottimo amico e una brava persona. Tu meriti di far parte della nostra famiglia, ed io lo voglio con tutto il mio cuore’’, proruppe la ragazza, interrompendo per la prima volta l’anziano della famiglia, che non se la prese affatto per quell’intervento brusco. Anzi, mi offrì uno sguardo raddolcito, di quelli che, su quel viso ormai scolpito dal passare degli anni, potevano sembrare un arcobaleno dopo un violento temporale estivo.

‘’Mia nipote ha perfettamente ragione. Noi tutti qui siamo desiderosi di conoscerti, di avere a che fare con te. Mi spiace che durante il pranzo tu sia rimasto molto isolato, ma purtroppo con quel cialtrone di Ludovico seduto allo stesso desco a volte resta poco da dire agli altri. Ma noi tutti siamo fieri di te, ed io più di tutti, poiché conosco ogni cosa sul tuo conto, siccome Melissa non fa altro che parlare di te’’, tornò a dire il nonno, sempre con grande dolcezza.

Io chinai lo sguardo, mi sentii spossato, debole, mentre non sapevo che dire o che fare.

‘’Non so cosa ti hanno raccontato su di noi. Crederai che non ci sia mai importato nulla di te, ma io ogni sera rivolgevo un pensiero a quel nipotino, l’unico maschio generato finora dalla mia prole, che non avevo mai conosciuto.

‘’Abbiamo avuto degli screzi molto gravi con tuo nonno materno, ed io per primo non ho mai ritenuto opportuno cercare di entrare nella vostra vita, la tua e quella di tua madre. So che mio figlio maggiore è un essere disonesto, che ha messo incinta di nuovo un’altra sua studentessa e che poi l’ha lasciata, e che tutti state soffrendo a causa sua, e anche a causa mia e nostra.

‘’Ma ora io vorrei farti entrare a pieno titolo in questa famiglia, e dirti che noi, per te, ci saremo sempre. E per sempre’’.

Alle parole del nonno continuai a tenere lo sguardo abbassato, non sapendo che dire o che pensare. In me viveva un antico astio che ardeva come un focolare furioso, ma sopra di esso veniva gettata della sabbia e dell’acqua, ovvero un nuovo sentimento simile al perdono.

L’anziano e la mia cugina mi stavano parlando apertamente e correttamente, con sincerità, almeno apparente, e decisi di fidarmi.

‘’Non abbracci il tuo anziano nonno, nipote?’’, disse l’uomo, con una saggezza infinita mista a commozione, nata durante il mio frastornante e timido silenzio.

Alzai lo sguardo, e trovandomi di fronte all’anziano con gli occhi lucidi e con le braccia già semiaperte, mi ci fiondai come un bambino, seguendo un istinto innato.

Venni a contatto col corpo del vecchio, coi suoi vestiti e col suo odore di dopobarba, tanto simile a quello di mio padre, e lasciai che lui mi stringesse forte e calorosamente a sé, cominciando a singhiozzare. Anch’io ero più che commosso, ma trattenni ogni espressione che avrebbe potuto lasciarlo trapelare fuori.

Melissa lanciò un gridolino felice, anch’esso commosso e gioioso, e restammo così per qualche minuto. Poi, il nonno sciolse l’abbraccio, e ancora con gli occhi lucidi mi afferrò una mano e se la mise sul petto.

‘’Voglio che tu mi giuri una cosa, ovvero che accetterai il mio sostegno in ogni cosa che sceglierai di fare. Innanzi tutto, se vorrai continuare a suonare il pianoforte, mia vecchia passione, mi faresti davvero un regalo se tu accettassi un insegnante privato stipendiato da me, come ti avevo detto qualche settimana fa.

‘’E’ mio desiderio che tu mi prometta che accetterai ogni mio aiuto; fai contento un vecchio, per favore. Manca poco alla fine della mia vita, credi che non lo sappia? Tra qualche giorno, settimana, mese o al massimo un paio d’anni mi ricongiungerò con mia moglie, morta sei anni fa, e che anch’essa sarebbe stata felicissima di conoscerti. Lascio al mondo tre figli totalmente indipendenti e benestanti, con poca testa purtroppo, ma questo non c’entra, e voglio essere presente nella vita tua, dandoti anche un supporto economico e contribuendo attivamente a farti diventare ciò che vuoi.

‘’Sono disposto a dare una mano anche a quella giovane che ha lasciato tuo padre, sola e incinta, da quello che mi ha raccontato mia nipote. Puoi dirlo anche lei…’’.

‘’Stefania la stiamo già ospitando io e mia madre… è in gravi difficoltà…’’.

‘’Tu e tua madre siete persone di buon cuore. Vorrei tanto conoscere meglio anche lei; pensi che me ne darà la possibilità?’’, chiese il nonno, lentamente.

‘’Non lo so’’, lasciai scivolar fuori dalle mie labbra. Sapevo ciò che il mio genitore pensava di quelle persone, e un contatto lo credevo davvero difficile.

‘’Non importa. Io desidero esserci nelle vostre vite, e se non volete vedere me almeno accettate un mio aiuto economico. Mi sento in colpa per tutto, per ogni cosa…’’, singhiozzò il vecchio, ed allora capii chiaramente che era pentito davvero di averci sempre lasciati soli, di averci indirettamente isolati.

‘’Mi vergogno di mio figlio, di ciò che ti ha fatto passare… odiava il pianoforte perché era il mio strumento preferito, e per questo ha tentato di privartene mentre se ne stava a sbafo a casa vostra… fellone! Bestia! Mi dispiace per tutto, io devo…’’.

‘’Non devi nulla, nonno. Io non voglio nulla da te se non il tuo affetto e la tua vicinanza. Niente di più’’, gli dissi, semplicemente, ed allora lui premette ancora più forte la mia mano contro il suo petto. Sentivo il suo cuore che batteva all’impazzata, e il suo volto ormai arrossato dalla commozione mi lasciava senza parole.

‘’Promettimi e giurami che lascerai che l’insegnante che ti sceglierò possa darti una mano al pianoforte. Hai tanto talento, sarebbe un peccato sciuparlo! Ci tengo, davvero’’.

‘’Lo prometto, nonno’’, cedetti, comunque felice della mia scelta, anche senza tener conto delle possibili reazioni di mia madre. Ero certo che lei avrebbe compreso.

Il nonno mi lasciò la mano e tornò a donarmi un rapido abbraccio, ancora una volta colmo di sentimento.

‘’Sei un ragazzo sensibile, buono e dal cuore d’oro. Non cambiare mai, mio caro nipotino, mai… non lasciare che la vita t’inaridisca… tu sei speciale, ricordalo per sempre’’, mi sussurrò all’orecchio, e a quelle parole il mondo parve perdere di significato, per me. Ero troppo felice, e pure io mi lasciai andare ad un pianto liberatorio.

Noi tre presenti in quella stanza lasciammo così defluire ogni nostro sentimento, assieme ed uniti.

Per sempre.

 

Dopo esserci calmati un po’, rientrammo nel salone assieme agli altri.

Tutti smisero di parlare e di chiacchierare, non appena mio nonno troneggiò su tutti, impettito e con un ritrovato sguardo severo, aspettando il più assoluto silenzio prima di cominciare il suo importante ed elegante discorso.

‘’Oggi è un giorno speciale e santo, non solo perché è il Natale, ma anche per il fatto che Nostro Signore e Suo Figlio hanno voluto farmi il più bel regalo della mia vita, ovvero quello di ritrovare un nipote e di poter scoprire tutto il buono che c’è in lui, avendo la certezza che è un bravissimo ragazzo. Che Dio sia lodato, e che Antonio possa per sempre essere trattato da tutti noi presenti come uno di famiglia, e dai miei figli come se fosse un loro stesso figlio’’, esordì e concluse l’anziano, tornando a commuoversi di fronte a tutti ed inaspettatamente.

La commozione quella volta fu generale, ed ebbi modo di essere baciato ed abbracciato da tutti i componenti della mia famiglia paterna.

Quello fu uno dei momenti più belli della mia giovane vita. Un momento che mai e poi mai dimenticherò.

E da quegli istanti in poi esistette solo la felicità, nonostante tutto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Buongiorno a tutti, carissimi lettori!

Questo è stato un capitolo colmo di belle sorprese, in vista del finale imminente. Spero che vi sia piaciuto!

Il prossimo capitolo che pubblicherò sarà l’ultimo, poi ci attenderà un epilogo conclusivo.

Grazie per continuare a seguire e a sostenere il racconto, vi sono davvero grato per tutto.

Grazie di cuore, per tutto, e buona giornata! A lunedì prossimo.

   
 
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