Immaginate di provare queste tre sensazioni contemporaneamente e avrete un’idea di come mi sentii io nel momento in cui aprii quella porta e vidi l’uomo di cui ero innamorata, baciare un’altra donna.
Dopo aver colto in flagrante il detenuto e la dottoressa in un incontro ravvicinato del terzo tipo, tornai nella mia cella e ci rimasi fino al mattino seguente, ma il pensiero di quei due non mi abbandonò neanche un attimo. Era stata una scoperta totalmente inaspettata e terribilmente amara che mi aveva spiazzata. Forse la soluzione più sensata sarebbe stata chiedere spiegazioni a Michael, ma mentre riflettevo su quella possibilità mi resi conto che non potevo affrontarlo, non ne avevo il coraggio. Avrei continuato a chiedermi all’infinito che cosa significasse quel bacio o che importanza avesse per Michael, perché io non potevo guardarlo negli occhi e chiedergli di darmi una spiegazione. Che diritto avevo di farlo? Solo perché condividevamo lo stesso segreto e c’eravamo scambiati stupide confidenze, qualcuno per caso mi dava il diritto di interferire nella sua vita privata o peggio, vantare dei diritti su di lui? No, assolutamente!
Michael Scofield era un detenuto con una vita complicata e una famiglia incasinata e io avevo fatto lo stupido sbaglio di innamorarmi di lui.
Ero così arrabbiata… così delusa… così… Maledizione a me e al mio pessimo tempismo!
Perché avevo scelto proprio quel momento? Avrei di gran lunga preferito non vedere. Perché proprio Michael? Fra tutti i detenuti con cui quell’ipocrita di una dottoressa avrebbe potuto trasgredire il regolamento, perché aveva dovuto scegliere proprio lui? E Michael, come aveva potuto baciare Sara? Gli piaceva forse? Era attratto dalle bionde? Da chi dei due era partito quel bacio?
Le domande continuavano ad accumularsi nel mio cervello e io non avevo la più pallida idea di come sgombrarlo da tutti quei dubbi e da quell’immagine abominevole.
Il mattino seguente, prima che scattasse l’ora di pranzo, decisi di prendere il coraggio a due mani, uscire dalla mia cella e recarmi alla cella 40 per parlare faccia a faccia con Michael. Lui sapeva che io sapevo, mi aveva vista quando avevo aperto la porta dell’infermeria, così come mi aveva vista quell’antipatica di una dottoressa, quindi probabilmente chiarire l’accaduto avrebbe fatto contenti entrambi. Lui avrebbe avuto modo di spiegare il suo comportamento inappropriato e io avrei scoperto esattamente a che gioco stesse giocando il galeotto.
Raggiunto il primo piano e la cella 40, entrai sicura e pronta a sfoderare il mio sguardo da “sputa subito il rospo”, ma dentro non trovai altri che Sucre. Il ragazzo era solo, seduto sulla branda in basso, la branda di Michael. Non aveva il solito aspetto rilassato, si massaggiava la testa rasata con entrambe le mani e sembrava che avesse appena ricevuto una pessima notizia.
- Sucre… va tutto bene?
- Si… no… non lo so…
- Ehi, così mi spaventi amico. Che succede?
- Evadiamo stanotte.
- Bellick ha scoperto il buco nella stanzetta delle guardie.
- Per fortuna in quel momento è arrivato Charles ed è riuscito a sistemarlo prima che desse l’allarme, - continuò - ma ora che Bellick è fuori gioco dobbiamo sbrigarci a tagliare la corda prima che le altre guardie si accorgano della sua assenza.
- Quando dici che Charles è riuscito a sistemare Bellick, intendi… - Avevo quasi paura a chiederglielo.
- No, non l’ha ucciso. Quando è venuto a raccontarci dell’inconveniente, insieme al gruppo abbiamo deciso di evadere stanotte. Partiremo da qui alle 7.
- Dalla vostra cella? Perché non usate il passaggio della stanza delle guardie come avevate programmato fin dall’inizio?
- Perché non c’è più tempo e perché dobbiamo limitare i sospetti al minimo. Se non ci riusciamo questa volta non avremmo più a disposizione altri tentativi.
- A me sembra una follia. Alle 8 c’è la conta, lo avete per caso dimenticato? Se partirete alle 7, avrete a disposizione solo un’ora e vi giocherete il vantaggio tempo che avevamo calcolato se foste partiti alle 9 dalla stanzetta delle guardie.
- Grazie tante, Gwen! - sbottò il ragazzo. - Prima ero agitato solo al pensiero di essere preso e di dover scontare altri 10 anni qui dentro, invece adesso avrò l’angoscia anche mentre cercherò di evadere. Grazie, grazie davvero!
- Scusami Fernando, è che non ero preparata… scusa. Avete già l’occorrente che vi serve?
- Se ne sta occupando Michael.
“Michael ci sta pensando eccome. Scommetto che ieri, mentre baciava la bella dottoressa, pensava proprio a questo!”
Sucre mi fissò con espressione interrogativa. - Scusa?
- Niente, frase infelice, non farci caso. - risposi, scuotendo la testa. Non avevo voglia di spiegargli ciò che avevo visto. - Perciò… alle 7, eh? Quindi questa è l’ultima volta che ci vediamo.
- Beh lo spero, se sai che intendo.
A mensa io e Sucre ci avviammo insieme al solito tavolo dove trovammo tutto il gruppo impegnato nei soliti discorsi, ma di Michael nessuna traccia. Mi informarono che Pope aveva finalmente concesso al ragazzo di trascorrere un’ora insieme al fratello, il che era una buona notizia per Michael e certamente per Lincoln, ma non altrettanto per me. Rischiavo di non riuscire neanche a salutarlo. A peggiorare il tutto, dopo pranzo dovetti tornare ad occuparmi del compito ingrato affidatomi da Bellick.
Arrivata nello spogliatoio per prendere grembiule e guanti, prima di recarmi al secondo livello e continuare da dove avevo lasciato, vidi Charles intento a recuperare dal suo armadietto la tuta blu da lavoro. L’atteggiamento del vecchio mi convinse ad avvicinarmi. Non lo avevo mai visto così pallido e accasciato. Anche a mensa, durante il pranzo, avevo notato che qualcosa non andasse come al solito, ma avevo dato per scontato che come Sucre, anche il vecchio fosse in pensiero per l’imminente evasione. Adesso però non ne ero più tanto convinta.
- Non dirmi che anche tu sei agitato per l’appuntamento di questa sera. - esordii, muovendomi alle sue spalle. - Ciao Charles. Sembri stanco.
- Ma no, solo qualche dolore all’anca. Tu invece?
- Hai parlato con Michael? Con il turno di lavoro in mezzo, ti resta davvero poco tempo da trascorrere insieme a lui.
- Che cosa ti fa credere che voglia passare del tempo con lui?
Abbassai gli occhi a disagio. - Ti assicuro che non c’è niente di cui parlare.
Avrei voluto spiegargli il perché di quel tono mesto e avvilito, avrei voluto confidarmi con lui come con un padre e raccontargli di aver sorpreso Michael baciare un’altra donna. Avrei soprattutto voluto confidargli la delusione che avevo provato in quel momento e che ancora provavo ogni volta che ripensavo a quei due insieme. A dire il vero lo avrei fatto se all’improvviso i miei occhi non si fossero posati casualmente su una macchia rosso scuro sulla camicia dell’uomo, all’altezza del fianco.
- Ma cosa… ?
- Charles, ma tu sei ferito…
- Non è niente.
- Oh mio Dio, Charles devi andare subito in infermeria.
- Non dirlo neanche per scherzo. - sibilò, zittendomi con un’occhiataccia. - Se andassi in infermeria, scatterebbe subito un’indagine interna e io potrei dire addio alla mia fuga. Non c’è da preoccuparsi, è solo un taglio.
- Fammici dare un’occhiata. - provai, andandogli incontro. L’uomo mi allontanò con il braccio.
- Ti prego, non rendermi le cose più complicate.
- E’ davvero così importante per te quest’evasione? - gli chiesi, intuendo che fosse tutto là il fulcro della sua ostinazione.
Non riuscivo proprio a capire. Quando inizialmente Michael gli aveva proposto di evadere, non ne aveva neanche voluto sentir parlare, poi all’improvviso, per motivi sconosciuti che aveva deciso di tenere per sé, l’uomo si era convinto a voler lasciare Fox River una volta per tutte e adesso metteva addirittura a repentaglio la vita pur di evadere.
- D’accordo… però sta attento. Non so quanto sia profonda quella ferita, so solo che se qualcun altro si accorge che sei messo così male rischi di perdere il treno per il mondo esterno, quindi farai meglio a coprirla bene.
Quando mi voltai, lo vidi. Michael. Stava entrando proprio in quel momento, preceduto da Sucre e Abruzzi, e dato che lo spogliatoio si era quasi completamente svuotato, non aveva fatto alcuna fatica a notare me e Charles accanto agli armadietti.
Da vera stupida, appena lo riconobbi, arrossii di vergogna con un solo pensiero in testa: darmela a gambe.
Nell’istante in cui i suoi occhi si posarono su di me, distolsi lo sguardo alla velocità della luce e mi voltai nuovamente verso il mio armadietto, fingendo di cercare qualcosa all’interno per non dare a vedere il mio imbarazzo.
Che vergogna! Mancava così poco all’evasione e io mi nascondevo come una codarda. Avrei dovuto parlargli come mi aveva consigliato Charles, chiarire le cose e non comportarmi come la solita ragazzina. Una voce mi diceva di andare da lui e far finta che non fosse successo niente, ma l’altra gridava di dimenticarmi di Michael Scofield e fingere di non averlo mai conosciuto.
Le due voci contrastanti nella mia testa si davano battaglia per arrivare ad una soluzione. Volevo dirgli addio, dirgli che ero stracotta di lui e poi lasciarlo andare, ma d’altro canto quello che avevo visto in infermeria…
All’improvviso la soluzione arrivò da sé.
- Gwen, dobbiamo parlare. Puoi fermarti un attimo?
Mi voltai a disagio. - Ah… ehm… devo raggiungere il secondo livello… non so se…
Si fece serio. - Devo dirti una cosa. Evaderemo oggi.
- Lo so. Sucre me l’ha detto.
- Mettetevi le divise da lavoro sotto i vestiti. Vi serviranno. - esordì Michael, dopo essersi assicurato che nella stanza non ci fossero più orecchie indiscrete.
- E perché, di grazia? - chiese stranito Abruzzi.
- Perché dopo non avremmo tempo per recuperare…
- Non era questo che intendevo. Non ti sei accorto che c’è qualcuno di troppo in ascolto? - continuò il mafioso accennando a Tweener, in piedi accanto a Michael.
- Lui viene con noi. - chiarì Michael, lasciando tutti di stucco.
- Ehi ragazzo, non ti sembra che questo piano stia diventando un po’ troppo affollato?
- Quando il percorso è cambiato, è cambiato anche il piano. Usciremo tutti e David verrà con noi.
Era alquanto strano che il ragazzo avesse improvvisamente deciso di includere un nuovo elemento nel suo piano iniziale, e senza farne parola con me, oltretutto. Dovevo essermi persa un passaggio fondamentale, o forse ero stata troppo presa dai miei crucci amorosi per accorgermi dei cambiamenti. Eppure la comparsa in scena di Tweener mi puzzava.
- Non preoccupatevi, questa volta ce la faremo. Andrà bene. - asserì sicuro Michael.
- Come? - s’intromise Fernando, sbuffando. - Lincoln è ancora in isolamento e noi non abbiamo ancora né la chiave dell’infermeria, né tantomeno il codice.
- Quale codice? - chiesi confusa.
- Credevo che il codice di sicurezza scattasse prima del turno notturno, alle 9. Perché questo cambiamento?
- Perché siamo davvero sfortunati, ecco perché! - sbottò T-Bag, sbattendo un’anta d’armadietto rimasta aperta.
- Hai già un piano per impossessarti del codice? - chiesi al ragazzo, sicura che avesse già un piano per rimediare a quell’ultimo intoppo.
- Veramente no. Forse se avessi avuto più tempo… Sta per cominciare il turno di lavoro e fino alle 5 saremmo costantemente sorvegliati. Ho solo due ore per organizzare tutto e nel frattempo mio fratello è ancora in isolamento, non ho idea di come impadronirmi della chiave dell’infermeria e le guardie hanno già iniziato a chiedersi dov’è finito Bellick.
- Insomma non siete affatto pronti. - In tutta risposta, Michael sollevò un sopracciglio in segno di muto assenso. - Ok sentite, penserò io a recuperare il codice. Pensi di poterti occupare di tutto il resto nel tempo che rimane?
- Ci posso provare, ma tu cos’hai intenzione di fare?
- Aiutarvi, e spero vivamente che questa sia l’ultima volta perché sono veramente stanca di voi. Faremo così: dopo il turno di lavoro, io e te Michael, ci intrufoleremo attraverso il passaggio che c’è nella tua cella e raggiungeremo la postazione di controllo al secondo livello. Una volta arrivati lì, troveremo la combinazione giusta, però avrò bisogno del tuo aiuto. Purtroppo mi sa che dovremmo saltare la cena.
- Spiacente di rovinare la tua brillante trovata dolcezza, ti ricordo che la postazione di controllo è costantemente sorvegliata da due guardie che non abbandonano mai il posto neanche per andare al cesso. - s’intromise T-Bag.
- E invece ti sbagli. La postazione rimane vuota ogni tre ore per il cambio dei turni. Lo so perché mi è stato affidato un nuovo lavoro al secondo livello. Di norma le due sentinelle lasciano la postazione alle 17,30 e vengono sostituiti da Wagram e Jefferson fino alle 20,30. Ieri ho notato che i due uomini hanno perso una manciata di minuti alla macchinetta del caffè che c’è in fondo al corridoio, e data la risaputa dipendenza di Jefferson per la caffeina, credo che quella sia ormai un’ordinaria abitudine per la nostra guardia. Questo significa che la postazione resterà scoperta per circa 8-10 minuti, durante i quali noi potremmo agire indisturbati.
- E tu pensi che sia possibile provare una serie di combinazioni e individuare quella giusta in dieci minuti? - sospirò scoraggiato Abruzzi, facendo ricadere le braccia lungo i fianchi. - Stiamo parlando di un codice che avrà… quante cifre?...
- Nove. - rispose pronto Michael.
- Nove cifre. - ripeté l’uomo scuotendo il capo. - Le probabilità che tu riesca ad indovinare quel codice sono praticamente nulle, anche se avessi a disposizione una giornata intera.
- Non ci sarà bisogno di indovinarlo e dieci minuti saranno più che sufficienti. - replicai, sicura di me. - Voi preoccupatevi di prepararvi per bene. Per quanto mi riguarda, farò il possibile perché il mio amico Lincoln esca da qui stasera stessa. Non illudetevi che mi importi qualcosa di nessuno di voi. Recupererò quel codice solo ed esclusivamente per aiutare Lincoln!
Il bacio tra Michael e Sara continuava a bruciarmi e come se non bastasse, stavo nuovamente rischiando la mia libertà per quel gruppetto di delinquenti. Ero proprio un’irresponsabile. Mancava solo una settimana alla mia scarcerazione. Avrei dovuto andare a preparare i bagagli e non mettermi a giocare alle evasioni.