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Autore: Enigmista12    11/12/2016    0 recensioni
Jim e Harvey investigano sulla scomparsa di Oswald; finchè il fantasma di quest'ultimo non si presenta a Gordon, dando inizio a un avvincente giallo. Deliberatamente tradotto dall'opera "Watch my soul fade away" di thekeyholder. Con lieve presenze di Gobblepot.
Genere: Avventura, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Harvey Bullock, Jim Gordon, Oswald Cobblepot
Note: OOC, Otherverse, Traduzione | Avvertimenti: Spoiler!
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Capitolo 2: Follia

Mentre Jim viaggiava tra il traffico dell’ora di punta di Gotham, ammise a se stesso che forse bere due tazze di caffè era stata una pessima idea. Non solo bruciavano la lingua, ma poteva sentire il polso battergli all’impazzata, pulsando dolorosamente. Le sue braccia erano coperte di pelle d’oca, e Jim guardò nello specchietto retrovisore. Nel vedere i tristi occhi verdi di Oswald gli venne un colpo che gli fece premere l’acceleratore, facendolo quasi scontrare con l’auto di fronte a lui. La gente imprecava e suonava il clacson, mentre Jim si mise una mano sul cuore. Era troppo vecchio per queste stronzate.
Guardò nuovamente lo specchietto retrovisore, ma, naturalmente, nessuno era seduto sul sedile posteriore. Si voltò per assicurarsene, ma non c’era davvero nessuno. Jim era certo di stare impazzendo e respirò a pieni polmoni, stringendo il volante più del necessario. Guidò al GCPD senza altri incidenti, ma non poté trattenersi dal controllarsi dietro la schiena di tanto in tanto. Harvey era già al lavoro, leggendo alcuni documenti.
“Wow, partner, sembra che abbia visto un fantasma!”
“Cosa?” Jim guardò stupidamente Harvey. “Scusa, ho avuto una schifezza di mattinata”.
“Posso dirlo anch’io. Ho parlato con Gilzean dieci minuti fa, ed era sorpreso che la signora Kapelput se ne sia andata. E’ certo che Oswald l’ha mandata via con Gabe per tenerla al sicuro”.
“Grande. Quindi, nessun altro passo avanti?”
“Tranne che questa montagna di documenti dal club? No, non proprio. Perciò preparati, dovremo leggerli tutti”.
Alcune ore più tardi, Harvey e Jim non avevano ancora trovato indizi. La maggior parte dei giornali era noiosa roba di contabilità, senza dubbio ritoccati qua e là per farli sembrare legali. Harvey propose una pausa pranzo, e Jim lo seguì volentieri per allontanarsi dalla stanza soffocante. La sua testa stava per esplodere. Proprio mentre stavano per tornare alla sede, si avvicinarono due dei loro colleghi, Alvarez e Long. Harvey iniziò a parlare con loro, ma Jim era troppo stanco per socializzare.
“Indaghiamo su una persona scomparsa; una neurologa che lavora presso il General Hospital. Svanita senza lasciare traccia. Semplicemente ieri non è andata al lavoro. Nessuno sa niente.”
Harvey augurò loro buona fortuna, e Jim si appoggiò alla scrivania, scrutando le carte con disgusto. Non era il tipo da sottrarsi ai suoi compiti, ma non sarebbe riuscito a passare il pomeriggio. Sarebbe soffocato.
“Torniamo al club”
“C’è ancora molto lavoro da fare con i documenti. Ma sai una cosa? Vedo che sei fritto, quindi io rimango qui e tu vai pure a fare il tuo lavoro” propose generosamente Harvey.
“Forse troverò qualcosa che ci è sfuggito. Butch ha trovato le chiavi della stanza di Pinguino, di sopra?”
“No. Non saprei, Jim, quel ragazzo ha più segreti di quanto è umanamente possibile. E’ come se fosse fatto di segreti e bugie”.
“Sì. Immagino che non funzioni altrimenti per aspiranti mafiosi.”
Jim tornò al club facendo attenzione, guardando di tanto in tanto lo specchietto retrovisore. Naturalmente non vide gli occhi di Oswald che lo scrutavano. Jim incolpò il caffè troppo forte e la stanchezza per l’incidente del mattino, e si promise di andare a letto presto quella sera. Proprio come il giorno prima, quando entrò nel club di Oswald, Jim ebbe una strana sensazione. Almeno il posto sembrava migliore, ora: la maggior parte del caos era stato ripulito o spazzato via, e l’arredamento sistemato contro il muro. Con passo sicuro, Jim si diresse verso l’ufficio – era piuttosto certo che Oswald tenesse le chiavi di scorta del suo appartamento lì. La polizia aveva cercato di introdursi, ma era impossibile; la porta era di metallo molto spesso e, secondo Nygma, ci si poteva entrare solo con la chiave e una sorta di codice. Probabilmente sarebbe stato più facile entrare alla Banca di Gotham che nelle stanze private di Oswald. L’ufficio sembrava quasi normale – non c’erano frammenti di vetro sparpagliati come nel club, ma il pavimento non era cosparso di giornali come il giorno prima. Quelli erano ormai sulla scrivania sua e di Harvey. Gli schemi di colori erano molto simili a quelli del club – nero, viola e bordeaux, tutto lussuoso e sciccoso. Jim era certo che Oswald affrontava lì i suoi partner in affari, e quindi quello spazio doveva essere impressionante, anche intimidatorio. Gordon fece un giro, cercando di notare qualcosa che potesse essere un indizio. Controllò ogni cassetto, ma tutto quello che trovò fu il senso di colpa per stare frugando tra le cose di Oswald. Sorrise tra se’ e se’ immaginandosi la sua faccia nel vedere qualcuno guardare la sua roba. Dovette ricordare a se stesso che questo era il suo lavoro . Stava cercando indizi su dove si trovasse Oswald, non giocherellando in giro. Niente, però, catturò i suoi occhi. Frustato, Jim si sedette sulla sedia di Oswald. Le sue dita sfiorarono la scrivania di legno, mentre faceva vagare lo sguardo nell’ufficio. Jim provò ogni trucco che gli veniva in mente per aprire un qualche nascondiglio segreto nella massiccia scrivania, ma era come se Oswald avesse predetto che qualcuno avrebbe frugato tra le sue cose. Jim si appoggiò alla poltrona di pelle e si lasciò sfuggire un sospiro. Non era mai stato bravo con il metodo ‘entra nella mente di qualcuno’.
“Dai, Oswald, dove hai nascosto quelle maledette chiavi?”
Inaspettatamente, alla sinistra di Jim, ne uscì un suono. Alzò gli occhi bruscamente, giusto per vedere le varie statue di porcellana kitisch, che prima aveva ignorato, traballare sul ripiano superiore di un mobile. I suoi occhi si spalancarono, e la mano gli scivolò automaticamente sulla pistola. Nessuno stava scuotendo l’armadio, però; solo gli oggetti su quella particolare mensola si erano mossi rumorosamente, come bambini che saltavano d’impazienza, pronti per il loro turno di tuffarsi in piscina. Jim non vide la prima statuetta volare nella sua direzione, ma, per fortuna, gli mancò la testa e si frantumò sul muro dietro di lui. Si buttò, inorridito, sotto la scrivania, mentre le altre volavano via dalla piattaforma, anche se nessuna con la forza della prima. L’ufficio divenne silenzioso, e Jim uscì dal suo nascondiglio, quasi facendosi il segno della croce e imprecando furiosamente. Un secondo più tardi, un’altra statua – di una vecchia, paffuta donna con un cappello rosa e un ombrello blu – si mosse nuovamente, cadendo semplicemente dalla piattaforma, come se qualcuno l’avesse spinta. Il suo atterraggio non produsse, però, il tipico suono di porcellana frantumata. C’era qualcosa di metallico, e quando Jim si avvicinò cautamente, vide una chiave tra i cocci colorati. Il cuore gli batteva all’impazzata mentre si chinava per raccoglierla.
“Che cazzo...” sussurrò, guardandosi freneticamente attorno. Sapeva che tutto questo era veramente accaduto solo per i frammenti di porcellana a terra, prova che non aveva sognato. In meno di un secondo, Jim uscì dall’edificio. Si appoggiò a un muro strofinandosi nervosamente la faccia. Che diavolo sta succedendo? Sto impazzendo? Era il suo unico pensiero. Il telefono cominciò a squillare, e Jim rispose solo perché vide che era Harvey.
“Trovato qualcosa di utile, partner?”
“A dire il vero, sì. Ho le chiavi. Vuoi che ti aspetti, così guardiamo la stanza di Oswald insieme?”
“Ah, quindi adesso è Oswald” sbuffò Harvey. “No, grazie. Guarda nella roba del mostriciattolo da solo e trova qualcos’altro di utile. Oh, e prendimi qualche burritos sulla via del ritorno, eh?”
Dannazione. Com’era imbarazzante. Jim non aveva alcuna voglia di tornare nel club da solo. Non aveva altra scelta, però.
“Grazie, Harv. Molto gentile da parte tua.”
“Quando posso, partner. A dopo.”
Con un sospiro e ripetendosi mentalmente ‘Io non ho paura, c’è una spiegazione perfettamente logica per le cose raccapriccianti che mi accadono intorno – ah-ah, sì, sto impazzendo’ , Jim tornò al club, senza neanche guardare l’ufficio, ma andando dritto verso le scale che portavano all’appartamento privato di Oswald. Come aveva detto Ed, c’era una pesante porta, dotata di una serratura tradizionale e una a tastiera, quest’ultima richiedeva un codice che Jim non aveva. Usò per prima la chiave, e sospirò di sollievo quando sentì il clic. Sperando di essere fortunato, Gordon provò ad aprire la porta, ma, naturalmente, era ancora chiusa. E se avesse cercato di indovinare il codice? Era un detective, avrebbe potuto farcela! Qual era la data di nascita di Oswald? Il 5 novembre? Provò 1105. Niente. Forse 0511. Ancora no. Certo, avrebbe potuto essere il compleanno di sua madre, ma Jim non lo sapeva...ispezionò i pulsanti, e notò che il 2, 5, 6 e 9 sembravano meno lucidi rispetto agli altri, quindi dovevano essere parte del codice. Jim digitò i numeri in modo casuale, ma non funzionò. Finì per dare un pugno al muro, imprecando di buona misura. Era così arrabbiato che non si accorse del calo improvviso della temperatura. Cominciò anche a tirare calci alla porta e pareti.
“Buon Dio, James, non essere un tale barbaro! Cosa diavolo ti ha fatto quella povera porta?!”
Jim si voltò di scatto, spalancando gli occhi quando vide Oswald in piedi a pochi passi da lui. Illeso. Non volle pensare al peso che gli si era appena tolto dal petto. Ma come mai non lo aveva sentito salire le scale?! Passarono pochi istanti di silenzio prima che Jim aprisse la bocca.
“Oswald? Dove sei stato?! Ti stanno cercando tutti”.
“Ah...è un po’ complicato. Andiamo dentro e ti spiego tutto.”
Jim respirò di sollievo, ma, subito dopo, Oswald sparì nel nulla, lasciandolo sbigottito. Riapparve pochi secondi più tardi, nello stesso, punto, ma non c’era alcuna spiegazione logica per questo fenomeno, a meno che Jim non avesse le allucinazioni.
“Cobblepot? Che cazzo?! Cosa sta succedendo?!”
Oswald gli si avvicinò, e Jim poté vedere che sembrava surreale, un po’ incandescente e, in qualche modo, trasparente, come se fosse fatto di luce. Ignorò la sua domanda, e andò alla tastiera della porta. Ma, quando provò a digitare il codice, le sue dita attraversarono il materiale. Jim lo guardò con occhi sbarrati, il suo cervello che cercava di elaborare le strambe immagini.
“Un piccolo aiuto, detective?” sbuffò Oswald. “Temo di non riuscire a farcela.”
Jim scosse la testa incredulo. “Scusa. Qual è il codice?” “26659.” La porta si aprì con uno scatto, e Jim estrasse la pistola, nel caso qualcuno si nascondesse all’interno. Tuttavia l’appartamento era buio e vuoto. Quando accese la luce, però, Oswald divenne appena visibile. Si guardava attorno come se fosse la prima volta che vedeva il suo appartamento. Jim stava ancora cercando di capire quello che era appena successo. Era riuscito a entrare grazie a un Oswald spettrale che gli aveva detto il codice della porta. Questo non era vero. Questo non poteva essere vero.
“Va bene, Cobblepot, basta giocare. Che succede?”
“Se solo sapessi, Jim. La spiegazione migliore è che sono diventato una sorta di spettro.”
“Vuoi dire un fantasma?” chiese bruscamente Jim, e alzò gli occhi quando Oswald si strinse nelle spalle. “Sto avendo veramente questa conversazione, o è solo nella mia testa?”
“Ti assicuro, è molto reale. Sono altrettanto confuso”.
“Cosa ti è successo? Abbiamo trovato un sacco di sangue nel passaggio segreto.”
“Non riesco a ricordare nulla”.
“Chi avrebbe potuto e voluto farti del male? Falcone? Maroni? Fish? O hai fatto incazzare qualcun altro, nel frattempo?” Jim, pensandoci, fece un passo, avvicinandosi a Oswald, come se potesse avere migliori possibilità di tirargli fuori una risposta.
“Non lo so, detective, e non apprezzo il tuo tono” rispose Oswald freddamente, senza indietreggiare. “Supponevo tu potessi aiutarmi, ma, come ho visto, finora è stato il contrario”.
Si fissarono l’un l’altro, e Jim trovò lo sguardo fantasma di Oswald altrettanto intenso e travolgente della sua controparte umana. Sarebbero rimasti in tale posizione per lungo tempo, nessuno dei due con l’intenzione di cedere per primo, se non fosse stato per un forte rumore proveniente dal piano di sotto.
“Sei di sopra, partner?” risuonò la voce di Harvey.
“Sì”. Oswald guardò a sinistra, visibilmente scosso.
“Mi dispiace, Jim” riuscì a sussurrare prima di svanire nel nulla. Jim rimase nella stanza, fissando il posto dove Oswald era sparito, quando Harvey entrò.
“Sono impressionato” ammise Bullock, togliendosi il cappello. “Nemmeno Nygma avrebbe potuto indovinare il codice. Chiamerò il team per venire a raccogliere le prove”.
Jim riusciva a malapena a staccare lo sguardo da dove aveva visto Oswald per l’ultima volta.
“Sì, fallo. Forse troveranno nuovi indizi”. Sorpassò Harvey e uscì dal club, respirando l’aria fredda di Gotham. Se Harvey non fosse entrato...forse avrebbe potuto scoprire di più. Si chiese se Oswald sarebbe tornato, o se si era trattato di uno di quei curiosi casi in cui l’anima era venuta a dire addio, prima di passare dall’altra parte. Qualcosa dentro il suo petto si strinse più dolorosamente di quanto pensasse fosse fisicamente possibile. Spinse la sensazione da parte, e rientrò per aiutare Harvey.
   
 
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