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Autore: PrincessintheNorth    11/12/2016    1 recensioni
Sono passati tre anni dalla caduta di Galbatorix.
Murtagh é andato via, a Nord, dove ha messo su famiglia.
Ma una chiamata da Eragon, suo fratello, lo farà tornare indietro ...
"Eragon?" fissai il volto di mio fratello nello specchio incantato. Era contratto dall'ansia e dal dubbio.
"Ciao" mormoro'.
"Che succede?" chiesi insospettito. Sentii Belle piangere, ma ci stava già pensando Katie.
"é ... ti riguarda molto. Molto. Devi tornare immediatamente."
Se vi ho incuriositi, passate a leggere!
Genere: Angst, Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Morzan, Murtagh, Nuovo Personaggio, Selena, Un po' tutti | Coppie: Selena/Morzan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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KATHERINE
 
 
Fin da quando ero piccola, avevo adorato andare sulle navi.
Ogni singolo momento era fantastico, se vissuto su una nave.
A quasi vent’anni, con nausee da gravidanza e una bambina di quattro mesi insonne, mi piaceva un po’ meno.

- Finito? – chiese Kevan, dopo l’ennesima nausea.
Presi il secchio pieno di vomito e lo rovesciai in mare.
- Odio le navi. – sbuffai massaggiandomi la pancia.
Il piccolo rispose con un calcio.
Alla fine i rapporti tra me e Arya si erano tesi al punto che avevamo deciso di stare su due navi diverse, io l’ammiraglia e lei una a caso, non sapevo quale.

- Senti, piu o meno quanto ci metteremo ad arrivare ad Arughia?
- Due mesi. – commentò un marinaio.
Annuii in fretta e mi sedetti su un barile di rum.
Col cavolo che sarei scesa in battaglia al sesto mese.
Il terzo trimestre di una gravidanza era già di per sé una battaglia.
Avrei curato i feriti, ero brava a guarire la gente.  

- Se il tempo è buono. – precisò. – Altrimenti, potrebbero volercene anche quattro.
- Speriamo sia buono, allora.
- Si, Altezza.
- Puoi portarmi uno specchio? – chiesi a Kevan, che inarcò un sopracciglio.
- Vuoi divinarlo? Quello che potresti vedere potrebbe non piacerti, lo sai.
- Dammi uno specchio e basta … per favore. – cercai di essere gentile, anche se é difficile essere gentili con un bambino pazzo che ti prende a calci nelle costole.
Annuì e mi porse uno specchio.
Chiusi gli occhi e mi concentrai su Murtagh.
Gli occhi grigi e brillanti.
I capelli mossi color cioccolato.
Il sorriso, a tratti dolce e a tratti sarcastico.

- Katie?
Dovevo essermela immaginata.
La sua voce chiamarmi.
Ma la sorpresa fu tanto grande da farmi cadere lo specchio dalle mani.
Subito lo raccolsi, e vidi che non mi ero immaginata niente.
Era Murtagh.
Vivo.
E riusciva a vedermi.

- Riesci a …
- Non ci posso credere. – sussurrò, con un sorriso meraviglioso. – Sei davvero tu? Non … non è un sogno o qualcosa di simile?
- No, è … è tutto vero … ma come fai a …
- Non credo ti piacerebbe saperlo. – rise. – Tutto bene?
- Si … tu?
- Ho visto giorni migliori. – commentò storcendo il naso. – Dove sei?
- Dove sei tu! Da quello che vedo, non mi sembrano le stanze di un re. – osservai, anche se vedevo solo un muro nero.
- Cella. – rispose, con un sorriso stranamente sincero.
- Sei in prigione e sorridi?
- Sempre meglio che quella maledizione, piccola. Belle?
- Sta dormendo.
- E il piccolo?
- Psicotico e agitato come sua sorella.
Scoppiò a ridere sommessamente, per non farsi sentire dalle guardie.
- Dei, mi sei mancata. – sospirò.
- Anche tu …
- Dove sei?
Merda.
- Perché? – andai sulla difensiva.
E a quella risposta sospirò, scuotendo la testa.
- Quale parte di “resta a casa con i piccoli” non ti è chiara, amore?
- Sono solo a caccia. Nei boschi dietro casa.
- Non diciamo stronzate. Quello è l’albero maestro di una nave.
- Sono a pesca.
- Katie …
- Che c’è, ti disturba essere salvato da una ragazza?
- Mi disturba il fatto che la suddetta ragazza potrebbe farsi molto male. E non solo lei. – mi ricordò. – Torna a casa. La mia vita non vale la tua o quella dei bambini.
- Ma …
- Katherine. Va a casa. Almeno tu … - vidi le lacrime luccicare nei suoi occhi, e mi ci volle uno sforzo serio per non scoppiare a piangere.
- Murtagh …
- Sapervi al sicuro è l’unica cosa di cui ho bisogno, Katie. – sussurrò. – Ti prego.
- Non ho intenzione di scendere in battaglia, te lo giuro! Praticamente ti sto solo raggiungendo. Saranno gli altri a tirarti fuori di li …
- Si, amore, ma c’è sempre un rischio.
- Non posso starmene a Winter Manor con le mani in mano sapendo che tu …
- Tesoro, io sto bene. – mentì. – Va a casa. Proteggere i piccoli è il compito piu importante al quale tu possa assolvere. Non ti amerò di meno solo perché non hai guidato una spedizione di mille navi o uomini per salvarmi, okay? Torna a casa.Fa la mamma, non la martire. Per favore.
Per un attimo, fui tentata di ascoltarlo.
Poi mi resi conto che non mi sarei mai sentita in pace con me stessa se non lo avessi aiutato: in fin dei conti, io ero andata con lui a Ilirea.
Io l’avevo messo nei casini.

- Smettila. – sospirò.
- Di fare cosa?
- Di darti la colpa per i miei problemi.
- Non mi stavo dando la col …
- E invece si, te lo si legge in faccia.
- Se non fossi venuta con te …
- Non sarebbe cambiato niente. Lei lo sapeva già … merda. – sussurrò, e sul suo viso comparve un’espressione di paura che mi fece gelare il sangue nelle vene. – Amore, devo andare. Torna a casa, okay?
- Murtagh …
- Ti amo, piccola. – sorrise, poi la sua immagine scomparve. 
 
 


- Katherine?
Sentii distrattamente la voce di Arya chiamarmi, ma non la ascoltai.
Da almeno due ore, non riuscivo a muovermi dall’angolo dove mi ero messa, e da due ore non riuscivo a smettere di piangere.

- Eccoti. – sospirò, ma nemmeno la guardai. – Che succede? È il bambino?
Scossi la testa, e con la coda dell’occhio la vidi annuire lentamente, per poi sedersi di fianco a me.
- L’hai divinato, vero?
Feci di si con la testa, cercando di asciugarmi le lacrime, e a quel punto fece una cosa che mai mi sarei aspettata da Lady Ghiaccio.
Mi cinse le spalle con un braccio, invitandomi ad appoggiare la testa alla sua spalla.

- Sono riuscita a parlargli … - confessai.
- E?
- Sta male … lo stanno torturando … quella donna è psicopatica …
- Ti ha detto di andare a Winter Manor, giusto?
Annuii.
- Forse dovresti ascoltarlo.
- No … non ho intenzione di combattere …
- Ma sareste a rischio comunque, tu e i bambini.
- Starò all’accampamento. Curerò malati e feriti, non scenderò in battaglia … ma non andrò a Winter Manor. – decisi.
Sapevo che non era d’accordo, ma sinceramente non m’importava.
Era mio marito.
Era la mia spedizione.
Erano le mie decisioni.

- Ma … con quante navi stiamo andando? – mi venne da chiedere in quel momento. – Ottocentomila elfi …
- Seicentomila sono con tuo padre. Solo centomila sulle navi, gli altri ci seguono a piedi, come cavalleria. – rispose in fretta.
- Bene. Ottimo. 
 
 
 
 
 
MURTAGH
 
 
Passarono un paio d’ore, i soldati si stancarono di torturarmi e potei riposare un po’.
La tecnica del mangiare solo uno dei due pasti che mi propinavano stava funzionando: mangiavo solo la cena, cosi l’effetto delle droghe che mi impedivano di usare la magia svaniva durante la notte, e durante il giorno ero abbastanza forte da evocare su di me un po’ di incantesimi anti dolore e, nei giorni migliori, di divinare Katie e Belle.
Le era perfino spuntato il primo dentino.
Era carinissima.
Dolce e patatosa.

- Colazione. – sbuffò il carceriere, mettendomi nella cella un vassoio con un bicchiere d’acqua e un pezzo di pane.
Qualche ora prima ero riuscito a divinare Katherine in una pozza di un liquido che nemmeno mi ero chiesto cosa fosse o da quanto fosse li, ma ora sarei stato in grado almeno di vederla riflessa nell’acqua.
Chiusi gli occhi, mi concentrai sulla sua immagine (sua e di Belle), e pochi secondi dopo era nel mio bicchiere.
Era praticamente abbracciata ad un secchio, il piccolo doveva darle delle brutte nausee. Con Belle ne aveva avute pochissime …
Tossì e si ripulì il viso, scuotendo leggermente la testa.
Le sue labbra si incurvarono mentre si accarezzava il ventre gonfio.

- Stai stretto, piccolo? Non ti preoccupare … la mamma e il papà ti aspettano, e anche la tua sorellina. Certo che … ahh … - gemette, portandosi una mano allo stomaco. – Sei proprio una peste.
Amore mio.
- Adesso andiamo a prendere il papà, e poi andremo a casa.

Che cosa?!
Ovviamente.
Quando mai quella ragazza ascoltava qualcuno se non sé stessa.
Sospirai, pregando che non succedesse niente di orribile.
Poi misi il cibo in un angolo. L’avrebbe mangiato il topo che viveva in quella cella, che avevo chiamato Topo, tanto per sentirmi un po' meno solo.
Ero pieno di fantasia. 








 
   
 
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