- Non posso credere di essermi proposta di mia spontanea volontà per questa impresa folle. - bofonchiai tra me e me, mentre percorrevo insieme a Michael una serie infinita di gallerie buie e strette che avrebbero dovuto condurci fino al secondo livello. - A volte penso che un paio di sedute da un bravo strizzacervelli non potrebbero farmi che bene… voglio dire, non è del tutto normale questa perenne propensione a cacciarsi nei guai, giusto?
- Mi dispiace di averti coinvolta.
- E’ proprio questo il punto. Tu non mi hai coinvolta, ho fatto tutto da sola. D'altronde sono così pratica ormai nel darmi la zappa sui piedi che riesco persino ad ignorarne il dolore.
Da quando ci eravamo infilati attraverso il passaggio nascosto all’interno della sua cella, il ragazzo si era fatto stranamente silenzioso, tanto che ad un certo punto avevo avuto la sensazione che, oltre ad essere preoccupato per l’imminente evasione, Michael fosse anche un pochino teso.
- Gwen, non è che voglia dubitare delle tue capacità ma… sei sicura di riuscire a scoprire la combinazione giusta? Lo sai che stiamo rischiando grosso, vero?
- Si Michael, lo so! - Ero in piena modalità broncio e stavo irradiando disapprovazione come un isotopo letale. Dovevo calmarmi. - Senza questo codice non potrete evadere e tuo fratello rischierà la vita, ma diamine, tra una settimana dovrei essere fuori da Fox River. Dovrei essere in cella a pianificare il mio futuro e invece sono qui sotto a rischiare la pelle e altri 5 anni di prigione assicurati, perciò si Michael, stiamo tutti rischiando grosso.
- Perché ti sei proposta se non volevi farlo?
- Perché tengo a Lincoln. - “E a te, idiota!”
- Quindi riuscirai a …
- Sta tranquillo, avrai il tuo codice. - lo liquidai secca.
- E come?
- Cercherò di accedere al sistema operativo del server. In questo modo, nel giro di un minuto avrò accesso ai dati memorizzati. Il sistema registra tutti i dati inseriti in ogni singolo computer presente e funzionante all’interno del penitenziario. Con ogni probabilità ci troveremo anche il codice di sicurezza dell’infermeria. - spiegai.
- Fox River è una struttura pubblica statale. Come farai ad accedere al loro server?
- Mi è già capitato di fare cose simili.
Arrivati nelle vicinanze di una scala, il ragazzo mi invitò a salire per prima perché potessimo raggiungere il livello superiore. Se il tatuaggio ci aveva indicato la direzione giusta, in cima alle scale avremmo dovuto percorrere solo un lungo corridoio prima di raggiungere l’entrata per il secondo livello. Da lì, solo altri 50 metri ci avrebbero separati dalla postazione di controllo.
- Siamo arrivati, ecco la porta. - dissi indicando una piccola porta in ferro. - La postazione dovrebbe trovarsi sulla destra, in fondo al corridoio.
Avevo i nervi a fior di pelle e continuavo a guardarmi le spalle per paura che qualcuno potesse scoprirci all’improvviso e dare l’allarme.
Evidentemente il cielo volle assisterci, perché arrivammo alla postazione di controllo proprio mentre le due guardie stavano uscendo e così riuscimmo ad infilarci dentro senza essere visti da nessuno.
- Un gioco da ragazzi, eh? - esclamai sarcastica.
- Non perdiamo tempo. Da questo momento, calcolerò esattamente 8 minuti entro i quali dovrai fare questa portentosa magia e trovare il codice, così ci resteranno due minuti di scarto per tornare al condotto, quindi sbrigati.
- Ma che pretese! - brontolai, sedendomi davanti al computer per cominciare a picchiettare sui tasti in rapida sequenza.
- Gwen, il tempo stringe. A che punto sei?
- Purtroppo il sistema di sicurezza del server è attivo. Mi servirebbe molto più tempo solo per riuscire ad individuare la password e accedervi. - risposi, continuando ad aprire e chiudere finestre interattive sullo schermo che confermavano esattamente ciò che già sapevo: il piano A era fallito.
- Che significa? Puoi trovare il codice? - mi chiese con voce bassa e venata d’ansia.
- Ci sto provando!
- Gwen… mancano 4 minuti!!
- Rilassati, lo so benissimo.
- E allora che cosa fai ancora lì? Dobbiamo andarcene.
- Ma non abbiamo ancora il codice.
- E come pensi di trovarlo se hai appena detto che c’è una password di sicurezza?
- Nel modo più classico che esista a questo mondo: tirando ad indovinare.
- Gwen dobbiamo andare, le guardie saranno qui a momenti.
- Ci sono quasi.
- Così rischiamo di farci scoprire!
- Ecco il codice… finalmente! 280891321
Sorrisi soddisfatta. - Ci puoi scommettere la tua evasione, e adesso andiamocene prima di mandare tutto in fumo.
Ci precipitammo insieme verso l’uscita e prima di mettere un piede fuori in cortile, ci assicurammo che in giro non ci fosse nessuno. Questa volta però non fummo ugualmente fortunati. In fondo al corridoio, Wagram e Jefferson stavano avanzando proprio nella nostra direzione. Non potevamo uscire senza che le due guardie ci vedessero e non c’era posto per nascondersi. Eravamo spacciati.
Tutto il mio sangue freddo andò a farsi benedire alla vista delle due guardie che si avvicinavano inesorabilmente.
- Che facciamo?... Che facciamo? Che facciamo? Che facciamo?!
- Calma. Arrampichiamoci nel condotto di aerazione.
- Cosa?!
Ero sicura di aver visto una scena molto simile in un film, forse Mission Impossibile o roba simile.
Non avrei voluto ripetere quell’esperienza mai più. Non ero in grado di gestire un flusso di adrenalina così forte. Avevo ancora il cuore che mi batteva all’impazzata e le mani tremanti. Se non ci fosse stato Michael a tenere sotto controllo i nervi di entrambi, probabilmente io mi sarei già lasciata sopraffare dal panico e fatta catturare.
- Tutto bene? - mi chiese il ragazzo qualche minuto dopo, ormai al sicuro tra le gallerie nascoste del penitenziario.
- Si… credo. Ci credevo spacciati. Io me la cavo con i codici, con i numeri, ma non sono fatta per le fughe rocambolesche e le situazioni ad alta tensione.
- Per questo ho messo in atto il piano B.
- Tirare ad indovinare? Era questo il tuo piano B?
- Non ho tirato ad indovinare a caso.
- Noo. Sapevo già su quali numeri puntare. Quando il tuo cervello è in grado di memorizzare una quantità illimitata di dati, risolvere questo tipo di problemi è relativamente semplice. Solitamente i codici dei sistemi di sicurezza vengono affidati a coloro che si occupano della supervisione. Prendiamo il codice di sicurezza a protezione dell’infermeria. Si potrebbe pensare che sia il personale medico ad averlo formulato, proprio perché passa gran parte del suo tempo in quella sezione, o che al massimo sia stato deciso dal direttore perché è il capo, invece no. In caso di qualsiasi emergenza, la responsabilità di sbloccare il codice dev’essere di chi supervisiona la sala di controllo ed è per questo motivo che è a loro che viene affidato il compito di scegliere le password.
- Certo, in questo modo se subentrasse un’emergenza le guardie non rischierebbero di dimenticare le password, essendo stati loro ad inventarle.
- Esatto. Il più delle volte chi sceglie una password, digita un nome o dei numeri facili da ricordare per evitare di dimenticarli col tempo.
- Credevo di avertelo già detto, il mio patrigno possiede un’agenzia investigativa. Io e sua figlia ci siamo occupati spesso di fare ricerche per conto suo o per conto degli stessi clienti. E’ stata Meredith ad insegnarmi tutti i trucchi del mestiere e come vedi, a seconda dei casi possono tornare davvero utili.
- D’accordo, fin qui ci sono, ma come hai fatto ad indovinare la password esatta? Voglio dire, un conto è sapere come funziona lo standard di scelta di un codice e come accedere al server di un sistema operativo, un altro è indovinare 9 cifre su miliardi di possibilità in una manciata di minuti.
- No se conosci chi ha inventato la password. - risposi con una scrollata di spalle molto poco modesta. - A dire la verità, temevo che il server potesse essere protetto da una password. Sarebbe stata una fortuna sospetta non trovare alcun impedimento e, se c’è una cosa che ho imparato da quando vi conosco, è che voi vi portate dietro una sfiga della madonna… non ti offendere, ma siete una iettatura colossale! - Non replicò. Evidentemente era d’accordo con me. - Per questo mi sono premunita. Prima del turno di lavoro, ho telefonato alla mia adorabile sorellina e le ho chiesto di raccogliere quante più informazioni possibili su Wagram e Jefferson e di farmele avere prima della fine del turno. Dopodiché mi sono limitata a prendere in rassegna tutte le informazioni che avevo sui due uomini e a tradurli in numeri. Jefferson, per esempio, è il classico boyscout, tutto casa e famiglia. Voleva fare l’avvocato, ma ha dovuto ripiegare come vigilante notturno e poi ha ottenuto il posto di guardia carceraria vincendo un concorso. E’ stato relegato alla postazione di controllo solo perché se la cava coi computer. La sua più grande passione, oltre all’hockey su ghiaccio, è la figlia Renè. E’ stato facile scoprire le prime sei cifre del codice. Jefferson ha utilizzato la data di nascita della figlia: 28-08-91. Le ultime tre cifre invece mi hanno fatto penare. Ero sicura che riguardassero John Wagram, ma non riuscivo ad individuarle. Quell’uomo ha una storia piuttosto contorta. Si è sposato 3 volte, è diventato guardia carceraria dopo essere stato bocciato all’esame per diventare poliziotto, ma aveva una fifa assassina di passare le sue giornate tra i detenuti, così è stato spedito al secondo livello a far compagnia a Jefferson. Il primo divorzio gli è costato un occhio della testa, circa 32.000 $, senza dimenticare i 1000 dollari che Wagram continua a pagare di arretrati alla sua seconda moglie Darla… ed ecco i restanti tre numeri: 321. Povero Wagram, quei soldi devono bruciargli parecchio se ha deciso di comporci un codice di sicurezza.
- Il modo in cui hai recuperato la password è… beh, è… inverosimile. Hai elaborato informazioni su due perfetti sconosciuti e ci hai costruito un codice che, casualmente, si è rivelato quello giusto. E’ incredibile. Che cosa sarebbe successo se al posto della data di nascita della figlia e le cifre delle spese di divorzio, Jefferson e Wagram avessero scelto come codice il loro numero di matricola o il numero civico di residenza?
- Tu sei davvero incredibile… tu sei… così…
- Simile a te? - lo precedetti, prendendolo in contropiede.
- Ovviamente conosci la mia scheda clinica. - constatò alla fine. - Hai raccolto informazioni anche su di me e Lincoln, non è vero?
- Si, l’ho fatto.
- No, a dire il vero non conoscevo i dettagli, ma conoscevo già la vostra storia.
- E perché non me l’hai detto?
- Perché non volevo che pensassi che mi stessi approfittando di voi. Quando sono arrivata a Fox River, l’unica cosa che mi importava era vendicarmi di coloro che mi avevano spedita qui dentro, e siccome sapevo che la vicenda di tuo fratello coinvolgeva da vicino il vicepresidente Reynolds, ho pensato di…
- … diventare amica di Lincoln per ottenere informazioni. - mi precedette lui.
Ormai eravamo giunti in prossimità delle scale che ci avrebbero riportati al primo livello. Stavo cercando disperatamente una buona giustificazione da dargli prima che fosse troppo tardi, ma non mi veniva in mente niente di appropriato. Ok, non era stato un comportamento proprio etico prendere informazioni su di lui e sulla sua famiglia, però alla fine glielo avevo detto, no? E poi ormai che potevo farci? Io ero fatta così ed ero solita fare quel genere di cose.
Per il breve tratto della discesa, né io né Michael aprimmo bocca. Arrivati al primo livello, riprendemmo a camminare l’uno di fianco all’altra.
- E dai, dì qualcosa… - lo esortai, sentendomi profondamente in colpa.
- Cosa vuoi sentirti dire?
- Sono confuso, non arrabbiato. Non capisco perché tu abbia finto con me, credevo avessi imparato a fidarti.
- Infatti mi fido. Credi che metterei a repentaglio la mia libertà se non fosse così? Ho raccolto informazioni su Lincoln prima di entrare a Fox River e quando ho scoperto che anche tu eri stato rinchiuso qui dentro, ho chiesto al mio patrigno di recuperare quante più informazioni possibili anche su di te. Mi dispiace… credo sia colpa dell’abitudine. Quando ho tutte le informazioni in mio possesso, ho il pieno controllo della situazione e riesco a gestire meglio gli imprevisti. Tu dovresti capire meglio di altri. Hai progettato quest’evasione studiando ogni minimo dettaglio, ogni forma, ogni imprevisto… certo, ogni tanto ti perdi in errori dilettanteschi, ma quello che importa è che sei riuscito a progettare tutto questo con le tue sole forze.
- Errori dilettanteschi? - mi chiese confuso, aggrottando la fronte.
- Mi riferisco a Tweener. Come ti è saltato in mente di includerlo nell’evasione?
- E non ti ha insospettito nemmeno un pochino il fatto che Bellick abbia scoperto il buco nella stanzetta delle guardie subito dopo che tu hai deciso di raccontare a Tweener dell’evasione? - Il ragazzo continuò a camminare al mio fianco senza rispondere. - Michael, è chiaro come il sole. E’ stato Tweener a spifferare tutto a Bellick.
- Lo so.
- Certo. So che è stato lui, ma in ogni caso siamo pronti. Se Bellick non avesse scoperto il passaggio forse ce la saremo presa più comoda, ma avevamo comunque intenzione di evadere a breve.
- Non stasera però, e comunque a me non sembra che siate pronti. Tu non hai ancora recuperato la chiave dell’infermeria, Lincoln è sempre in isolamento, sorvegliato 24 ore su 24, e Charles è addirittura ferito. Non dirmi che non te ne sei accorto. Oltre a rischiare la vita, finirà per rallentarvi o peggio, farvi scoprire. E vogliamo parlare di Abruzzi e T-Bag? E’ da quando John è tornato che quei due non fanno altro che puntarsi come animali. Sembra non aspettino altro che il momento giusto per sgozzarsi a vicenda.
- Si comporteranno bene, almeno fino a dopo l’evasione.
Sapevo che ormai fossimo giunti in dirittura d’arrivo e che non si potesse più tornare indietro, ma troppa fiducia nella divina provvidenza li avrebbe fatti ammazzare. Temevo che qualcosa potesse andare storto e che qualcuno si facesse male.
Ormai eravamo quasi arrivati nelle vicinanze dell’ultimo corridoio, quello che ci avrebbe portati fino alla cella 40. Una volta arrivati, io avrei dovuto salutare Michael e dirgli addio. Alle 7 in punto le nostre strade si sarebbero divise per sempre e quel pensiero mi metteva addosso un’infinita tristezza. Ormai avevamo esaurito tutti gli argomenti di cui parlare. Restavano soltanto quelli imbarazzanti e quelli troppo deprimenti. Il silenzio ci accompagnò per secondi che parvero infiniti.
- Hai intenzione di chiedermelo? - mi domandò all’improvviso.
- Che cosa?
- Il motivo per il quale ho baciato Sara. Hai intenzione di chiedermelo o no?
Avrei voluto chiederglielo eccome, ma ammetterlo sarebbe stato troppo imbarazzante.
- Non mi interessa. - mentii. - E comunque la cosa non mi riguarda.
- Hai ragione non ti riguarda, però ieri ci hai visti, dopodiché hai cercato di evitarmi per tutto il giorno.
- No, non è vero. - “Mentire Gwen, mentire fino alla tomba!”
- Sbagliato. Non voglio nessuna spiegazione e tantomeno m’interessa. - Cercai di mantenermi impassibile, ma i miei muscoli stavano già fremendo sotto il suo sguardo penetrante. - Chi baci non è certo un mio problema, è che lì sul momento sono rimasta… spiazzata. Non era mia intenzione evitarti, figuriamoci… perché avrei dovuto?
- No… non ti ho evitato… - continuai imperterrita. - …comunque non volevo evitarti… si beh… e va bene, ti ho evitato di proposito, lo ammetto.
- Incespichi con le parole e a volte ti contraddici quando sei imbarazzata, lo sapevi? - esclamò, rivolgendomi di colpo il sorriso mozzafiato alla Michael Scofield, quello che faceva terra bruciata intorno.
Ok, era ancora attaccata. Ottimo.
- Non avrei dovuto evitarti.
- No, non avresti dovuto perché non ce n’era ragione. Ho baciato Sara per…
- Michael, non mi devi alcuna spiegazione.
- Scusa tanto se ho rovinato l’idillio. - sbuffai piccata.
- No, hai capito male. Avevo già deciso di non prenderle la chiave, quindi volevo raccontarle la verità per convincerla a cedermela di sua spontanea volontà, ma poi sei arrivata tu e dopo che hai richiuso la porta lei è andata via. La mattina dopo Bellick ha scoperto il buco, così per affrettare i tempi ho deciso di chiedere aiuto a Nika.
- Tua moglie?
- Si. Le ho chiesto di incontrare Sara in privato e sottrarle le chiavi dell’infermeria senza destare sospetti. Nika ha fatto quello che le ho chiesto, ma Sara deve avere intuito qualcosa. Forse ha collegato l’improvvisa scomparsa delle chiavi con l’incontro con Nika. Sta di fatto che, dopo quell’episodio, ha chiesto di far cambiare la serratura alla porta dell’infermeria e ha fatto in modo che il codice dell’allarme scattasse ogni qual volta la porta venga chiusa, piuttosto che alla fine del turno serale com’è sempre stato.
- Quindi è colpa tua! - esclamai, bloccandomi di colpo. Finalmente capivo molte cose. - Ecco perché la sicurezza attorno alla stanza dell’infermeria è aumentata così improvvisamente… oddio, mi dispiace… ho completamente frainteso. Io credevo… - Situazione imbarazzante di nuovo in arrivo! - … si beh… questo significa che tra te e Sara non c’è niente, giusto?
Mentre continuava ad osservarmi e sorridere, mi resi conto che dovesse essere piuttosto evidente il sollievo disegnato sulla mia faccia, ma con tutta la buona volontà non avrei saputo come nasconderlo.
- Insomma… adesso come pensi di impadronirti della chiave? - continuai, affrettandomi a cambiare discorso.
- Prima che iniziasse il turno sono tornato da Sara. Le ho raccontato tutto e alla fine le ho detto quel che abbiamo intenzione di fare.
- Non c’è da preoccuparsi…
- Non c’è da preoccuparsi??! - sbottai ad occhi spalancati. - Tu te ne stai qui a passeggiare qui sotto quando in superficie le guardie potrebbero già essersi appostate nella tua cella coi fucili puntati, in attesa di vederci riemergere.
- Non dire sciocchezze, il piano non è ancora diventato di dominio pubblico. - rispose perfettamente rilassato.
- Come fai ad esserne sicuro?
- Perché altrimenti sarebbe già scattato l’allarme e puoi scommettere che ce ne saremmo accorti.
- Quindi… la Tancredi non ha parlato. Secondo te questo cosa può voler dire?
- Non lo so. Forse sta considerando la possibilità di aiutarci. O magari vuole solo farci arrivare all’infermeria così da essere colti sul fatto. Non lo so proprio. - disse, forzandosi di suonare rilassato.
Eravamo ancora fermi, l’uno di fronte all’altra. Attorno a noi, rumori metallici e nuvole di vapore rendevano quel tugurio ancora più raccapricciante e spettrale, ma a dire il vero non mi importava. Ero insieme a Michael, solo questo contava. Avrei tanto desiderato che quella galleria continuasse ancora per chilometri, così da poter passare altro tempo con lui. Avrei voluto a disposizione più tempo per chiedergli cosa ne sarebbe stato di lui e Lincoln una volta fuori da Fox River se l’evasione fosse andata a buon fine.
Maledizione, com’era difficile lasciarlo andare!
Che stupida ero stata a perdere tante ore preziose a causa della storia del bacio. Michael aveva baciato la dottoressa solo per sottrarle la chiave, così aveva detto… chissà se era la verità.
- Senti Michael…
- … dimmi la verità, tu… cioè… tu sei proprio sicuro di non provare niente per la dottoressa Tancredi?
- Non ci posso credere. Ci stai ancora pensando?
- Rispondimi e basta. Guarda che è una domanda seria.
A quelle parole rimasi impietrita, troppo sbalordita per elaborare una frase razionale.
Quindi Michael era innamorato di qualcuna. Di male in peggio. Vederlo nella stanza dell’infermeria con le labbra appiccate a quelle di Sara era stato già di per sé un trauma, ma ovviamente con tutto quello che era successo avevo totalmente scartato la possibilità che ad attenderlo ci fosse una donna. Una donna fuori da Fox River.
Cercai di non suonare delusa e stridula quando gli chiesi: - Il riavvicinamento con tua moglie vi ha fatto rivalutare il vostro rapporto?
- No, non parlavo di Nika. - Mi fissò dritto negli occhi con il suo sguardo spontaneo e tremendamente sincero. - Sul serio Gwyneth, come devo fare a farti capire che tu mi piaci?
- A-ah.
- Io ti piaccio?
Annuì, continuando a fissarmi serio.
Che cosa si aspettava che rispondessi? Che cosa potevo dire? Non poteva essere vero, lui era così tremendamente sexy e intelligente e io… no. Ero banale come poche. Come potevo piacergli?
Il mio cervello era appena sprofondato nel caos.
- Stai parlando sul serio?
- Perché sei così sorpresa? Gwen, mi sono sentito attratto da te dal primo momento che ti ho conosciuta. Mi è bastato guardarti negli occhi pochi istanti per rendermi conto che c’era qualcosa di speciale in te. E’ stato come un colpo di fulmine. Dal giorno in cui ti ho vista seduta su quella panca in cortile ho sentito il bisogno di conoscerti, volevo la tua compagnia. Non ti conoscevo ancora, eppure era come se una forza invisibile mi spingesse verso di te.
- D'altronde ero l’unica donna rinchiusa in un intero penitenziario di uomini.
- Questo non c’entra. Il primo giorno che ti sei seduta a mensa con noi ho provato il desiderio irrazionale di proteggerti. Sapevo che T-Bag ti avrebbe presa di mira come aveva fatto con me, sapevo che gli altri detenuti non ti avrebbero reso la vita facile e non riuscivo proprio ad immaginare come saresti riuscita a fronteggiarli. Però ce l’hai fatta, hai affrontato ogni problema a testa alta, hai sfidato John Abruzzi, hai messo T-Bag al suo posto e sei riuscita a farti rispettare. Non è da tutti quello che hai fatto. Sei una ragazza coraggiosa…
- No, non è vero.
- Si invece. Tu sei speciale e il fatto che non te ne renda conto, mette ancora più in evidenza quanto questo sia vero. Tu credi che la tua unica dote sia la memoria, ma non è vero. Sai affrontare ogni situazione senza darti mai per vinta e cerchi sempre di ottenere ciò che vuoi. - Le sue dita sfiorarono la mia guancia, provocandomi un brivido.- Non ho mai conosciuto una persona come te e non riesco a credere di averla incontrata qui dentro.
- Perché mi stai dicendo queste cose? - dissi in tono estremamente serio, evitando volutamente di guardarlo in faccia. - Perché adesso?
- Perché avevo paura che non sarei più riuscito a dirtelo. - Sembrava davvero deluso.
- E per questo hai aspettato l’ultimo minuto? - lo accusai con le lacrime agli occhi.
- Gwen…
- Tu non puoi dirmi una cosa del genere ad un’ora dalla fuga. Diamine Michael, ma come dovrei reagire secondo te?
- Mi dispiace. - rispose sincero, avvicinandosi per abbracciarmi, mentre ignorava i miei banali tentativi di allontanarlo. - Vorrei che fosse diverso.
Ok, innamorarsi di un detenuto era stato un errore madornale, ma ormai che potevo farci? Non potevo cancellare quello che avevamo condiviso insieme negli ultimi due mesi. Non potevo impedirmi di amarlo e di pensare a lui.
- Odio questa situazione. - frignai, asciugandomi il viso con la manica della felpa.
- Beh, io non la vedo così. - esclamò, spostandomi quel tanto che gli permettesse di guardarmi. - Lo trovo quasi romantico.
- Ci troviamo nei sotterranei di un penitenziario di massima sicurezza nel bel mezzo del nulla. Mi spieghi che ci trovi di romantico?
Il modo in cui pronunciò quelle parole mi lasciò senza fiato. Lentamente, occhi azzurro cielo penetranti in occhi scuri innamorati, Michael strinse il mio viso tra le mani fredde e mi baciò fino a darmi le vertigini. Il cuore prese a battermi così velocemente da rischiare di esplodere. All’improvviso sentii una sensazione di felicità così intensa da riempirmi il petto, la gola, lo stomaco. Non avevo mai provato nulla di simile con nessuno, quell’uomo mi aveva letteralmente rubato il cuore.
Ecco cosa mi era mancato per tutta la vita, ecco perché avevo sofferto tanto, ecco perché avevo avuto la sensazione di vivere come un guscio vuoto. Non avevo ancora conosciuto Michael.
In 24 anni, mai una sola emozione vera aveva davvero toccato il mio cuore. Avevo vissuto come un automa, incapace di prendere parte alla vita. Decidere di lasciare l’Italia era stato come evadere. Ma quel bacio… Dio se ne era valsa la pena! Se tutto quello che avevo fatto, se le decisioni prese avevano in qualche modo contribuito a conoscere quel ragazzo meraviglioso, allora ne era davvero valsa la pena. Michael mi amava, io lo amavo. Per la prima volta sentivo di avere una possibilità, ed era la vita che me la stava offrendo.
- Wow! - esclamai col respiro accelerato, appena ci staccammo l’uno dall’altra. - Devo ricredermi. Mai visto posto più romantico!
- Lo so, devi pensare a Lincoln.
- Se ti avessi conosciuta in un altro momento… in un altro posto… - mi accarezzò i capelli, il viso, mentre prendeva tempo per aggiungere il resto. - …Sai, ho intenzione di dirigermi verso il confine se questa volta riusciremo ad evadere. Porterò mio fratello fuori dagli Stati Uniti, fino a Panama. - Fece nuovamente una pausa. - Una volta che saremmo al sicuro, che ne diresti di… insomma, potresti raggiungerci… e magari restare. Solo se lo vuoi anche tu, è ovvio.
Se la mia razionalità non fosse andata a farsi friggere, avrei considerato più attentamente i rischi che quella scelta, la scelta di amarlo, avrebbero comportato, ma a dire il vero in quel momento l’unica cosa che mi importava davvero era non essere costretta a dirgli addio.
Sorrisi. - Panama, eh? Non ci sono mai stata.
- Neanch’io.
La delusione era scomparsa dal suo viso perfetto e bellissimo, lasciando spazio ad un barlume di speranza.
Sarebbe stato bello continuare a passeggiare mano nella mano e strofinarci alle gallerie di Fox River, ma il tempo correva contro di noi, contro Lincoln. Dovevamo sbrigarci a risalire in superficie perché gli ultimi preparativi per la grande fuga dovevano essere ultimati. Tra poco meno di un’ora, alle 19,00 in punto, nove detenuti avrebbero tentato una rocambolesca evasione che, in caso di riuscita, sarebbe entrata nella storia.
“Bella prova Gwen, innamorarsi dell’uomo che tra poche ore diventerà il più ricercato d’America!”