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Autore: sabdoesntcare    14/12/2016    0 recensioni
raccolta di one-shot Johniarty, con accenni alla Sheriarty o alla Johnlock.
Genere: Angst, Dark, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim Moriarty, John Watson, Sherlock Holmes
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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I’ve lost control and I don’t want it back
I’m going numb, I’ve been hijacked

It’s a fucking drag
I taste you on my lips and I can't get rid of you
So I say damn your kiss and the awful things you do
You're worse than nicotine

 
 
 
Jim si aggiustò i capelli con minuziosa cura, nonostante lo specchio di fronte a lui mostrasse il suo volto stanco e gli occhi arrossati, ancora gonfi per il pianto di quella notte.
“Tu cosa ne pensi, Sebastian?”
“Penso che se si vuole qualcosa, c’è solo da agire.”

Moran non lo vedeva mai così e di certo non aveva piacere a farlo. Non sapeva nemmeno lui se trovava ripugnante vedere un uomo come Jim piangere o semplicemente fosse affetto, quello umano, quello che provano tutti. Del resto erano anni che lavorava per lui giorno e notte, vivevano persino insieme e sarebbe stato strano infischiarsene del tutto.
“Non posso di certo rapirlo. John… non è insignificante come tutti gli altri.”
“Ma puoi invitarlo a cena.”

Jim spalancò gli occhi e aggrottò le sopracciglia.
“Hai ascoltato una sola parola del mio racconto? Mi conosce come l’unico consulente criminale sulla Terra.”
“Ma tu nell’invito scrivi che sei un ammiratore, un’ammiratrice, quello che cavolo ti pare. Tanto è vero.”

James gli lanciò un’occhiataccia. Non aveva detto nulla di sbagliato, ma non sopportava quell’aria di sufficienza con cui gli parlava. Era il suo capo, anche col cuore a pezzi.
Non sapeva se un invito a cena avrebbe potuto risolvere qualcosa ma non aveva la forza per ragionarci: tutto ciò che voleva era vederlo, sentiva di impazzire e per questo accettò.
Fece un lungo sospiro e aggiunse freddamente:
“Allora pensaci tu. Scrivi un biglietto d’invito con il luogo in cui andrai a prenderlo in macchina e l’orario, mantienimi informato.”


John era ancora addormentato quando sentì il telefono vibrare.
“Sherlock se sei tu giuro che ti ammazzo.”
“Ho chiesto il tuo numero ad un amico. Sono una tua ammiratrice. Potrei avere il piacere di cenare con te stasera? Se la risposta è sì, aspettami sotto casa tua stasera alle undici, faremo la strada insieme.”

Un’ammiratrice? Tutto questo era assurdo.
Tralasciando l’aria poco attendibile dell’invito, non aveva voglia di vedere oggettivamente nessuno.
Da quando aveva rotto con Jim si era promesso di non avere più relazioni con uomini e il provarci costantemente con le ragazze sembrava distrarlo, tuttavia da quando l’aveva rivisto nulla gli dava gioia.
Non riusciva a pensare a nessun altro, a sognare nessun altro.
Non sentiva di odiarlo ma di essere sinceramente preoccupato per lui.
Come era finito in quel modo?
Eppure c’era poco da fare.
Jim non l’aveva cercato dopo quell’incontro e aveva continuato la sua lurida vita da criminale. Non gli importava se John aveva buttato la sua intera giovinezza a soffrire per lui, non gli importava che John lo amasse ancora, non gli importava un bel nulla o l’avrebbe già cercato. Sicuramente era così.
Il petto di John si mosse, colmo di dolore per quei pensieri.

“Va bene, a stasera” scrisse svogliatamente, premendo il tasto di invio come se potesse convincerlo che nulla nella sua vita era cambiato.
Ricacciò infine il viso tra i cuscini, pregando di non sognare più quei due occhi scuri che lo tormentavano.


Il suono del campanello lo avvertì che erano scoccate le undici e Sherlock si stava già fiondando a vedere chi fosse.
“Stai qui. So per certo che è per me” disse John bloccandolo con un braccio e avviandosi verso le scale.
“Devi vederti con un uomo?” chiese Sherlock, guardandolo con aria interrogativa.
“Ti ho già detto che è un appuntamento. Con una ragazza, che diavolo vai a pensare.”
“Il dito di una donna non suonerebbe con tanta energia un campanello. Tu non hai l’orecchio fino, io sì.”

John lo guardò male, contando con impazienza quanti passi lo separavano dall’uscire sbattendo la porta.
Che diavolo vuole saperne lui? Magari è un tipo energico, magari ha le mani naturalmente forti.
E anche se fosse stato un uomo, non gli importava nulla.
Si era negato al genere maschile perché una parte di lui si era rifiutata di sostituire James in tutti quegli anni, ma stavolta era chiaro che non si sarebbero riconciliati.
Tutto per dimenticarlo, tutto e a qualsiasi costo.
Aprì la porta, e tutto ciò che vide fu una macchina con i vetri oscurati.
Ebbe appena il tempo di sussurrare tra sé “Mycroft?” che qualcuno lo afferrò dalle spalle, ficcandogli una siringa nel collo. Sentì la porta richiudersi lentamente dietro di lui mentre aveva ancora la testa costretta verso l’alto, gli occhi non riuscivano a vedere altro che i balconi del vicinato ed il cielo.
Molto velocemente le stelle di Londra cominciarono a sfumare, e John cadde in un sonno profondo.

“Quindi John è lì con te adesso?”
“Sì, è con me.”
“Cosa ti sei inventato per convincerlo?”
“L’ho drogato.”

Jim si morse le labbra, cercando di non avere una crisi di rabbia proprio prima di averlo a casa.
“Ti avevo detto che potevi mentire, ma che non dovevi toccarlo.”
Forse il solo fatto che l’avesse sussurrato invece di urlare faceva presagire la tempesta più di ogni altra cosa.

Moran era già stanco di quella situazione. Era l’unico dei collaboratori di Moriarty che veniva trattato come un pari e non uno schiavetto da umiliare, eppure adesso non faceva altro che comportarsi da isterico anche con lui.
“Volevi John Watson vivo e te lo sto portando.”
“Ma non cosciente. Io lo volevo cosciente Sebastian, te l’ho detto. Prova a non stare al tuo posto solo un’altra volta e ti farò piangere come una bambina, giuro su Dio.”

Il suo cecchino sorrideva sarcasticamente.
“Come te stanotte? Non l’hai incluso nella tua storiella d’amore, eppure ti ho sentito. Tutta la dannata notte, per non parlare dell’aspetto orribile che avevi stamattina” avrebbe voluto urlare, ma viste come si erano messe le cose, era meglio tacere se si teneva alla propria pelle.
“Scusa James. Non si ripeterà più”
“Lo spero per te”


Non vedeva l’ora che quella sceneggiata finisse. Ebbe quasi voglia di sparare a John nel sonno, pur di eliminare la parte sentimentale di Jim dalla faccia della Terra. Era insopportabile.
Passarono una ventina di minuti, quando ad un certo punto sentii il corpo sul sedile posteriore muoversi.
“M-Mycroft… sei il nuovo autista di Mycroft?”
“Sì”
“Perché mi hai drogato? Te l’ha detto lui, è impazzito?”
“Non dovevi vedere che strada abbiamo fatto e invece di bendarti e imbavagliarti per tutto il viaggio ti abbiamo drogato, per farti provare meno paura.”
“Brillante, davvero.”
Disse Watson sarcastico.
Sebastian era davvero al limite. Aveva appena finito con una primadonna e cominciava con un’altra?
Faceva il cecchino, non il babysitter.


“Ora devi stare zitto. Siamo quasi arrivati.”
“Muto come un pesce.” Continuò John, roteando gli occhi. Non aveva nemmeno diritto a parlare dopo tutto ciò?
Per fortuna erano arrivati alla villa, e la voglia di Moran di caricare la mitraglietta si era quasi del tutto placata nello scendere dalla macchina.
Decise di accompagnare John nella sala principale, dove tutto era già apparecchiato per due.
“Ora siediti e stai qui. Mycroft arriverà a momenti.”

Nessuno lì era un viso conosciuto. Sapeva che Mycroft aveva diverse abitazioni, ma questa non gli ricordava assolutamente nulla. Neanche guardando fuori riusciva ad avere idea di dove diavolo fosse e la cosa cominciava a metterlo pesantemente a disagio.
“Sicuramente mi offrirà dei soldi per fare cose che non trovo etiche, io rifiuterò e mi rispedirà a casa con quel simpaticone di un autista. Mi rifiuto di essere drogato di nuovo.”

James era nella propria camera da ore per prepararsi, e finalmente era tutto pronto.
Si abbottonò la giacca con le mani tremanti e si avviò verso la sala.
Non aveva mai provato un panico così forte e la testa gli girava. Improvvisamente tutte le sue paure stavano venendo a galla: forse John non si ricordava minimamente di lui e aveva amato altri, cancellandolo completamente dalla sua vita. Forse invece si ricordava ma aveva il terrore di lui dopo averlo visto alla piscina, forse non ricordava e lo vedeva solo come un mostro.
“L’hai già fatto sedere?”
“Sì. Ti sta aspettando.”


Cercò di fingere una calma impassibile colorata solo da un lieve sorriso e si incamminò verso il tavolo.
Doveva comportarsi in modo naturale, era l’unico modo per rendere quest’assurdo incontro vivibile.
John lo vide avvicinarsi, ed essendosi aspettato il più grande degli Holmes rimase pietrificato, bloccato a metà tra orrore e gioia. Avrebbe voluto prenderlo a schiaffi, sbatterlo al muro chiedendogli perché diamine ha fatto quello che ha fatto, chiedergli piangendo di abbracciarlo e dirgli che non si sarebbero più separati.
Eppure non fece niente, oltre a fissarlo. A malapena sentiva il proprio cuore battere e le parole che Jim gli stava rivolgendo sembravano solo un miscuglio di suoni ovattati e incomprensibili, sentiva di non riuscire ad emettere parola.

“Ti ricordi di me?” nessuna risposta.
“John… James Moriarty, ti ricordi? Abbiamo frequentato lo stesso liceo.” Silenzio.
Jim lo prese come un rifiuto, la dimostrazione che aveva troppa paura di parlare e che non aveva nessuna memoria di lui da ragazzo. Come immaginava, per lui era solo il mostro di cui gli parlava Sherlock. Strinse i pugni e fece per girare i tacchi.
Più ci provava più il vuoto che John aveva lasciato non voleva chiudersi e anzi, dopo quella scena si era ingrandito immensamente fino a provocargli una forte nausea. Sentiva il bisogno di far male a qualcuno il prima possibile.
Nell’allontanarsi dal tavolo si sentì tirare la giacca e si girò. John lo stava trattenendo, con ancora quell’espressione vuota in viso.
“James. Ti stavo aspettando…da anni.” Così dicendo si ritrasse e cominciò a piangere leggermente, guardando altrove.
Jim si risedette al tavolo, euforico.
“John, davvero mi aspettavi? Non ti sei dimenticato di me allora…” d’istinto gli afferrò la mano, facendolo trasalire.
“Infatti…per favore, dimmi cosa ti è successo.”

James cominciò a raccontare con estrema delicatezza ogni avvenimento, anche quelli più forti, senza incolpare John o sé stesso. Nulla sembrava scalfirlo ora che era di nuovo con lui.
Infine chiese a John come fosse andata la sua di vita, rendendosi conto che entrambi avevano seguito la propria indole cercando in ogni modo di colmare l’assenza dell’altro: in poche parole, non c’era stato un momento in cui avessero smesso di amarsi.
“James, devi giurarmi di smettere. Non puoi vivere così, non sopporto di vederti vivere così.”
Jim rimase interdetto, eppure infondo se lo aspettava.
Cosa fare adesso? Abbandonare quanto si è costruito per il proprio amore ritrovato?
Sapeva di non poterlo fare. Era tutto ciò che gli era rimasto dopo John: il proprio intelletto e la propria necessità di potere. In un certo senso aveva finito per amar l’essere Jim Moriarty quanto amava John.
“Ovviamente, ma non parliamo di questo stasera.”

Era un bugiardo patologico. Lo era diventato grazie alla persona che aveva di fronte, del resto.
James si era ripromesso di non forzare Watson a fare nulla e per questo si era tormentato l’intera notte, eppure ora che risentiva il calore delle sue mani non riusciva a pensare ad altro che a tenerlo con sé, con qualsiasi mezzo.
Il soldato d’altra parte era anche lui troppo assuefatto dall’idea di aver ritrovato il suo amore per vedere attraverso le bugie. O meglio, sapeva benissimo che mentiva ma gli andava bene così, perché aveva bisogno di lui. Voleva ripetersi che sarebbe cambiato presto e per amor suo, anche se probabilmente quel giorno non sarebbe mai arrivato.
Finirono per non cenare e James lo portò in camera propria, non riuscivano più a raccontarsi e ragionare, tutto ciò che percepivano era la mancanza del corpo dell’altro.

La notte si ridusse ad un groviglio di mani che si accarezzavano, petti che sospiravano e baci e promesse di amore eterno stavolta vissuto giorno per giorno, minuto per minuto, insieme.
Anche se James l’aveva portato a letto con una bugia, le cose che gli aveva sussurrato da quel momento fino all’alba venivano dalla parte più pura di lui: quella sincera e debole ma appassionata, quella che solo John a questo mondo aveva il diritto di vedere.
Si addormentarono stremati al sorgere del sole, chiusi in un abbraccio l’uno accanto all’altro. John fu tuttavia l’ultimo ad assopirsi, la bruciante lussuria di quella notte e le farfalle nello stomaco avevano lasciato spazio ad un senso di colpa inquietante e irrisolvibile: nel donarsi a quell’uomo sentiva quasi di averne condiviso le nefandezze commesse durante la sua assenza, quel rapporto gli era sembrato col senno di poi un bagno di sangue in cui si erano lasciati andare senza rimorsi, nudi e perversi.

“Forse io non sono così diverso” pensò subito dopo.
“Non erano forse innocenti i soldati a cui ho dovuto sparare in guerra? Eppure mi sono arruolato per sfogare la mia ira, il mio dolore infinito nell’averlo perso. Abbiamo spezzato delle vite perché ci eravamo rovinati la nostra con le stesse mani: lui è solo stato più onesto, rifiutando di uccidere per la patria o qualche altro falso ideale. Per gli altri io sono l’eroe e lui l’assassino, eppure non mi sento meno assassino di lui.”

Pur di assolvere Jim nel tribunale della sua coscienza, si era abbassato a definirsi carnefice tanto quanto l’amante. Il John giudice sentenziava dal suo trono immaginario la loro colpevolezza e quanto fosse necessario, per il bene dell’umanità intera, che rimanessero insieme e frenassero la sete di sangue l’uno dell’altro.
L’aula era stata sgomberata ed il caso chiuso: strinse più forte a sé il corpo latteo di James e finalmente si addormentò.
   
 
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