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Autore: Antys    16/12/2016    5 recensioni
Nel liceo di Beacon Hills si era sviluppata una strana mania, una tradizione, da diversi anni e quasi ogni studente tra quelle mura vi partecipava.
Tutto ruotava intorno agli anelli che si indossavano quotidianamente e, a seconda della loro collocazione, esprimevano un significato da trasmettere ai presenti ed era una continua caccia: tutti controllavano chi stava indossando quale anello su quale dito.
Ma l’ambizione consisteva nel riuscire a scambiarsi due anelli gemelli che comunicavano il significato di coppia e che autenticasse quel loro modo di essere.
Anche Stiles possedeva un anello, un anello che casualmente aveva il significato di single, ma che non era in alcuna maniera collegata a quella sciocca tradizione che non apprezzava. Quello che non sapeva, era che qualcun altro all’interno di quel liceo portava il suo stesso identico anello, nello stesso medesimo dito ed era la persona che meno si sarebbe mai aspettato.
[…]
«È come se non fosse il mio» strascicò il castano con voce profonda e rivelatrice, incredibilmente tradita. Quell’anello era troppo perfetto.
Scott si girò verso di lui dubbioso e la campanella che annunciava la fine di quell’ora riecheggiò in tutto l’edificio. «Forse l’hai scambiato».
Scambiato? Scambiato con chi?
Genere: Generale, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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10° Capitolo

 

«Sei un nato lupo?» chiese il figlio dello sceriffo la seconda notte di luna piena.

Derek l’aveva raggiunto il giorno successivo al primo plenilunio senza nemmeno farselo ripetere, senza aspettare una mezza parola da Stiles e subito dopo cena, quando figlio e sceriffo ebbero finito e rimesso tutto a posto, dividendosi nelle attività che solitamente svolgevano a tarda sera, con il sedicenne già avvolto nel suo pigiama e concentrato a scrivere l’ultima osservazione sul libro di chimica, insieme a foglietti svolazzanti con esercizi più o meno svolti ‒ quella era la materia che più gli andava di traverso e soltanto se costretto si applicava seriamente; aveva comunque il secondo miglior voto del suo corso, ovviamente dopo Lydia Martin.

«Sì» rispose il licantropo privo di ulteriori indugi, già psicologicamente pronto a vedersi protagonista delle numerose domande dell’umano.

Stiles si voltò un po’ di più dal lato di Derek, sbucando dalla punta del cuscino per avere una visione più libera, senza stoffa che potesse dimezzargli la visuale. Era estasiato ed euforico e benché l’avesse intuito, era comunque strabiliante averne una conferma ed avere un vero licantropo di sangue puro accanto a lui; nessun morso e nessun graffio, ma solo generazioni e generazioni di autentici licantropi. «Sono tutti lupi mannari nella tua famiglia?».

«Solo dalla parte di mia madre» rivelò il diciottenne, che automaticamente implicava i figli a carico, lui, Laura e Cora. «Malia è un coyote mannaro».

Stiles balzò sul letto, sgranando i grandi occhi ambrati ed alzando la testa per vederlo meglio, mostrando la sua completa incredulità. «Davvero? Un vero coyote mannaro?».

Derek lo guardò di traverso, investito da tutte le emozioni eccitate e di sgomento che si scatenarono dentro l’umano e quasi voleva rimetterlo sull’attenti, ma era una battaglia persa a priori con lui. «Sai anche di loro?».

«Un po’» dichiarò il figlio dello sceriffo, tamburellando con le dita sulle coperte e risistemandole dopo aver scomposto tutto il letto. «Le dinamiche sono più o meno simili alle vostre».

«Sì, stessa luna, stessi occhi, stessa capacità di guarigione ed assorbimento del dolore; stesso valore del branco» elencò Derek con voce lontana, come se non lo riguardasse e semplicemente si limitasse a dargli le dovute conferme. «Ma lei può trasformarsi in un coyote completo».

Stiles stava per rimbalzare nuovamente sul materasso, facendo cadere tutte le coperte dal letto e scoprendo entrambi, ma Derek non avrebbe apprezzato e gli avrebbe assestato un’occhiata assassina che era meglio evitare quando nel cielo vi era ancora una luna piena al 99%. Ma cavolo, un vero coyote mannaro, nemmeno nei suoi sogni più proibiti si immaginava una cosa simile. «Mi piacerebbe vederla».

Derek rimase immobile dal suo lato e Stiles si sentì improvvisamente richiamare, con la sensazione che avesse detto qualcosa di sbagliato; che si fosse esaltato troppo per una versione che Derek non poteva o non era ancora riuscito ad ottenere. «Scusa, so che non mi è permesso vederla» d'altronde non faceva parte del branco, probabilmente nessuno sapeva che lui era a conoscenza del loro mondo e nel caso l’avessero scoperto, Derek sarebbe stato nei guai? La prima regola del mondo del sovrannaturale era di non svelare mai la sua esistenza agli umani, doveva rimanere nascosta e protetta.

«Non esistono regole scritte, Stiles» affermò il mutaforma, ruotando di alcuni gradi verso la sua figura, incontrando i suoi occhi bassi mortificati. «Nessuno ti verrà a cercare per farti tacere e non mi aspetto che nascondi i tuoi desideri; è un mondo che ti affascina molto e la tua natura curiosa ed assetata di conoscenza freme per poter apprendere ancora di più, sempre di più; non c’è alcun motivo per cui debba frenarti» continuò con tranquillità, perforandogli il timpano ad ogni parola e mettendo ancora una volta in rilievo quanto sapesse di lui, di chi era, di come agiva, di cosa gli piacesse e come vi si relazionasse. «Ma per lei è complicato; non sa relazionarsi al di fuori del branco e non ha mai incontrato qualcuno di esterno, umano, che sapesse di noi; non so come reagirebbe».

Non sapeva molto di Malia Hale, anzi, non sapeva proprio nulla; la vedeva sempre in compagnia di Cora, sua cugina e unica compagna con cui si intratteneva, al di fuori di quel duo, raggiungeva soltanto Derek, insieme ad Erica, Boyd ed Isaac; per il resto delle attività la si doveva trascinare e doveva sempre esserci uno di loro cinque per rasserenarla; le bastava semplicemente vederli, sapere che erano lì, non doveva essere per forza attaccata a loro, l’importante era che rimanessero nel suo campo visivo o di percezione. Ma Malia non era sempre appartenuta al nucleo Hale, quella era l’unica cosa di cui era a conoscenza.

«L’argento non ha alcun effetto su di te» disse invece, dirottando la conversazione e lasciandosi quella precedente dietro le spalle; evidentemente era un discorso che doveva essere affrontato con le pinze e probabilmente non era corretto che se ne occupasse proprio Derek. «Altrimenti non potresti tenere l’anello e se è uguale al mio, è composto da argento e oro rosso».

«L’anello è identico al tuo» disse con voce profonda e peculiare ed era la semplice conferma che no, l’argento non aveva alcun effetto su di lui.

«Quindi niente proiettili d’argento» rifletté il figlio dello sceriffo tra sé e sé, cancellando una voce dalla sua lista astratta ed una delle idee con cui era cresciuto che si svelava errata.

«Volevi spararmi?» domandò Derek con un sopracciglio inarcato di perplessità, dedicandogli un’occhiata oblunga.

«No» negò il giocatore di lacrosse, dimenando le mani per sottolineare il concetto. «Voglio solo capire cosa c’è di vero nelle informazioni che ho appreso e cosa c’è di sbagliato».

Derek si limitò a guardarlo per attimi di troppo, come se lo stesse studiando e cercasse di capire se le sue parole fossero vere, sincere, anche se era propriamente quello che si aspettava da lui; si limitò semplicemente ad annuire ed a lasciargli carta bianca.

«Lo strozzalupo può ucciderti?» chiese allora, stimolato a continuare con le sue domande.

«Sì» confermò il lupo mannaro, imperturbabile ed indifferente a tale proprietà.

«Soltanto il morso o il graffio di un’Alpha può trasformare?» domandò con più moderazione, anche se era già entrato in possesso di quella nozione nel momento in cui Derek gli aveva raccontato di Paige.

«Sì» confermò ancora il licantropo, rispondendogli pazientemente, anche se aveva già fornito quella risposta.

Stiles quella sera, con lo sceriffo già a letto e loro due avvolti nelle coperte, incuranti del resto, si perse nella continua formulazione di domande, a cui Derek non si sottrasse, rispondendo ad ognuna e colmando le sue lacune. Chiese del sorbo, delle sue proprietà e del potere che aveva di fermare le creature sovrannaturali, chiese se potesse trasformarsi in lupo mannaro al di fuori della luna piena, della capacità di guarigione e dell’assorbimento del dolore altrui, se i colori degli occhi che potevano assumere fossero soltanto i tre di cui avevano parlato, cosa sentisse quando il plenilunio si avvicinava e quali forme poteva prendere un’àncora. Chiese tanto e molto, completamente a ruota libera e Derek non sbuffò mai o trattenne le risposte, gli dava semplicemente ciò che voleva.

«A quale conclusione sei arrivato?» domandò allora il diciottenne, quando Stiles cadde in un silenzio ristagnante in cui stava riflettendo sulle risposte che aveva avuto e le stava inglobando in se stesso, riflettendo su di esse e vedendole da una nuova prospettiva.

«Che la maggior parte dei miei libri dice fandonie» rivelò l’umano con risentimento, profondamente tradito da quei volumi così cari a lui e raccoglitori di frottole; non glielo avrebbe mai perdonato.

Derek ridacchiò leggero al broncio provato e risentito di Stiles, così rancoroso verso gli oggetti inanimati con cui era cresciuto ed a cui aveva creduto, che l’avevano formato e portato a quel mondo fantastico e al di fuori della natura classica. «Non ne sono così stupito» affermò per niente colpito, conscio di quanto fosse impossibile che il reale vivere della sua gente fosse messo su carta. «Ma hai un buon libro guida».

Stiles lo guardò di riflesso e subito dopo spostò gli occhi sul libro vecchio e malridotto, quello che Derek aveva adocchiato il giorno prima e di cui l’umano aveva cantato le lodi.

Durante quel periodo di continue domande ed altrettante risposte, avevano sfogliato il libro insieme, soffermandosi sulle immagini datate e dipinte ad olio, così incredibilmente realistiche da sembrare vere; tutto ciò che vi era riportato era corretto e Derek ne era rimasto straordinariamente colpito, benché tendesse a non darlo a vedere, ma se il lupo era capace di smascherarlo e mettere a nudo le sue bugie, Stiles era capace di leggere benissimo le sue espressioni facciali, anche quelle che mutavano in modo quasi invisibile e gli sorrideva contro da volpe sapiente e vittoriosa, perché Derek non era l’unico a saper interpretare l’altro. «Il primo amore non si scorda mai» enfatizzò con fare birichino, distendendo le labbra in un sorriso a trentadue denti e sfiorando una pagina in una carezza affettuosa, proprio la pagina dove affiorava il disegno del lupo nero dagli occhi blu metallici.

Derek gli sbuffò quasi addosso, questa volta sì, del tutto rassegnato al suo modo di fare.

Ma era evidente che il momento delle chiacchiere e del confronto stava volgendo al termine e Stiles chiuse il tomo in un tonfo sordo, stringendolo a sé e portandoselo al petto, affondando il viso sul cuscino, mentre Derek tirava verso l’alto le coperte, sistemandole al meglio e provvedendo a rimboccarli il più possibile ‒ poco importava se il lato di Stiles fosse quello che riceveva maggiori cure.

Il figlio dello sceriffo sbadigliò a bocca aperta, chiaro segno di quanto la sonnolenza stesse avendo la meglio su di lui, e si impedì di coprirlo, lasciando che la mano destra si legasse, come da prassi, a quella del mannaro, permettendo ai due anelli gemelli di incontrarsi, mentre l’altra rimaneva avvolta al volume schiacciato contro il suo corpo. «Derek» chiamò a mezza voce, facendo morire un nuovo sbadiglio contro il guanciale.

«Mh» mormorò il licantropo in assenso, pronto a seguirlo a ruota nel mondo di Morfeo.

Stiles scivolò un po’ sul suo cuscino, avvicinandosi alla trama formata dalle loro dita incrociate e avvolgendole con il respiro bollente. «Puoi amare come un lupo?».

La presa di Derek si allentò ed un brivido non identificabile attraversò il medio, circondando tutto l’anello; se non fosse stato per la fermezza data dalle falangi di Stiles, l’intreccio si sarebbe sciolto. «Cosa intendi dire?».

Stiles si morse immediatamente le labbra, rendendosi improvvisamente conto di cosa avesse lasciato trapelare, a cosa avesse dato voce sotto forma di domanda, il tormento che a volte non gli dava tregua, insieme ad un’altra che teneva segretamente nascosta nell’oscurità della mente. «Lascia perdere, è una sciocchezza».

Si stava tirando indietro, era lampante ed intuitivo e Derek poteva captarlo bene. «Stiles» chiamò con voce modellata, scivolando sul cuscino come aveva fatto prima l’altro e prendendogli il viso con la mano libera, alzandolo verso di lui per richiamare la sua attenzione ed impedirgli di fuggire. «Lo sai che posso sentire il battito accelerato del tuo cuore? Quando rallenta, tentenna e si velocizza tutto insieme; quando menti o dici la verità, quando sei preoccupato o sicuro di te» proferì in una domanda a metà retorica, osservando le sue grandi iridi ambrate allargarsi maggiormente e inoltrandosi nella ricerca di capire dove volesse andare a parare. «Posso sentire l’odore delle tue emozioni, la costante contraddizione che ti assale, l’ansia perpetua che impregna i tuoi vestiti e che trasuda anche in questo momento; posso sentire la tua agitazione e tutto quello che ti affligge anche a chilometri di distanza» Stiles espirò quasi a corto di energie su di lui e quell’indomabile istinto di ritrarsi e fuggire via si stava manifestando in tutta la sua pienezza. «Non puoi

nascondermi niente».

Il figlio dello sceriffo lo fissò per un momento, assorbendo tutte le sue parole e dovette prendere un lungo respiro, uno che gli riempisse completamente i polmoni e che calmasse la battaglia interiore che si stava svolgendo all’interno del suo organismo, abbassando gli occhi sull’unica fuga che gli era concessa, il massimo che gli era consentito per ritornare padrone di se stesso. «Ho fatto un pessimo affare» disse con uno sbuffo mal controllato, con una nota speziata di divertimento precario, inclinando la fronte verso di lui, mentre Derek permetteva che vi si abbandonasse, lasciandole incontrare e toccare.

La mano del diciottenne si fece più morbida nella curva della sua guancia, e, continuando a rimanere aderente alla sua pelle nivea, la portò tra i suoi capelli castani e lisci, vincitori della battaglia contro il gel che utilizzava e che si disputava ogni giorno, immergendo le dita completamente, tanto da vederle inglobate in quella matassa indomabile. «Sì, l’hai fatto».

Stiles curvò le labbra in un sorriso di apprezzamento e concorde con lui e Derek poteva quasi sentirlo sulla propria pelle per quanto fossero vicini in quel momento. «I lupi scelgono un compagno tra tanti, uno soltanto e sarà quello per tutta la vita; non vedranno mai qualcun altro» argomentò il sedicenne quando ritrovò il coraggio, materializzando un’altra delle sue conoscenze sulla natura di quei canidi specifici. «Un solo compagno che ameranno per sempre».

«Sì» confermò il mutaforma, senza girarci intorno ed accarezzandogli con movimenti accurati la cute, un massaggio leggero attraverso i capelli. «Nessuno è più fedele di un lupo».

Stiles rialzò lo sguardo, percorrendo quell’ascesa a contatto con la fronte di Derek e guardandolo dritto nelle gemme di giada. «Puoi amare come un lupo?».

«Non siamo lupi fino a questo punto, Stiles» dichiarò il capitano della squadra di basket, specificando per bene la differenza che c’era tra loro e la natura dei licantropi; una differenza fondamentale.

«Non era questa la domanda, Der» intercettò il figlio dello sceriffo, richiamandolo per riportarlo nella via indicata e non verso un cambiamento di rotta.

Derek rimase in silenzio per diversi attimi e perfino il suo respiro era inudibile, l’unica cosa che accertava che fosse ancora lì, era la stretta quasi nulla delle loro mani destre e quella sinistra che rimaneva ramificata tra i capelli castani del minore, la fronte che combaciava ancora con la sua e gli occhi seri che lo ricambiavano. «Non darti queste pene» disse soltanto il mannaro, univoco e glaciale, mentre i suoi arti scappavano dall’umano, sciogliendo le prese.

«Derek» chiamò con voce spezzata nel momento in cui avvertì la divisione e corse per muoversi a fermarlo e ripristinare il loro contatto, il legame che li teneva uniti, quello di cui avevano un disperato bisogno. «Lo faresti? Ameresti la tua persona speciale come un lupo?».

Derek non rispose, lo guardò e basta e quel tipo di sguardo, quello in cui era tutto impenetrabile e non vi era alcuna via d’accesso, conteneva talmente tante risposte che probabilmente non avrebbe mai condiviso con lui; mille discorsi e spiegazioni, centinaia e centinaia di segreti che teneva per sé e che non avrebbe mai esternato. Se esisteva una risposta a quella domanda, una di quelle che lo angustiava di più, Derek non gliel’avrebbe rivelata. Forse mai, forse soltanto per quella sera. Forse Derek non gli avrebbe mai detto la verità; qualunque essa fosse. Chiunque ne facesse parte.

Ma era chiara una cosa, per quella notte la conversazione era finita, volta al suo termine e nulla sarebbe valso a riprenderla, ad insistere. Non ne sarebbe uscito nulla di buono e Derek comunicava con lui più di quanto facesse con chiunque altro.

Okay, Stiles si sistemò con fare definitivo sul suo prezioso cuscino, accarezzando con il pollice la copertina del libro che teneva stretto ancora a sé e schiacciando con la mano destra il guanciale, proprio il lato che si affacciava davanti agli occhi di Derek.

Gli diede la buonanotte con un ultimo sguardo carico di significato ed un respiro profondo, pronto per cadere tra le braccia di Morfeo, com’era prima che la sonnolenza venisse messa in secondo piano.

Derek ricambiò nel suo silenzio perpetuo e per quella notte le loro dita non tornarono ad intrecciarsi.

 

Stiles era convinto che Derek non sarebbe tornato la notte successiva, che l’ultima luna piena di quel mese l’avrebbero passata separati, lontani l’uno dall’altro e, a buon intendere, non gliene avrebbe fatto alcuna colpa se avesse agito in quel modo, soprattutto e ben calcolando, quanto si fosse intromesso nella sua sfera privata, portandolo ad ammettere più di quanto gli fosse congeniale.

Derek aveva dei limiti, limiti che nessuno avrebbe dovuto mai superare, confini che non potevano essere sorpassati, dei blocchi enormi e dal peso eccessivo che non potevano essere scavalcati o spostati; semplicemente nessuno aveva accesso a chi fosse veramente, ai pensieri che gli vorticavano nella testa e ai problemi che li accompagnavano, alle sue opinioni ed idee; all’occasione di poter instaurare un dialogo con lui. Derek non permetteva nulla di tutto quello, ad eccezione del suo branco che riusciva comunque a capirlo con un increspamento delle sopracciglia e dall’odore che rilasciava; magari riuscivano perfino a trascinarlo in qualche discussione, ma loro erano speciali ed appartenevano ad un mondo a se stante.

Stiles si era arbitrariamente inserito nella lista dei tipi che non avrebbero mai fatto parte della vita di Derek Hale, sia fisica che mentale, figurarsi la sola idea di potersi intrattenere in una qualsiasi conversazione con lui o porgergli una domanda. Lo sconvolgimento e l’arbitrariamente stava proprio nel fatto che il lupo gli avesse permesso molto altro e gli avrebbe concesso altro ancora.

Stiles apparteneva ad una lista diversa da tutti gli altri, separata dai tipi qualsiasi ed opposta a quella del branco; Stiles apparteneva ad una lista in cui figurava il suo solo nome, ma non aveva ancora accesso al suo titolo, alla sua definizione. Stiles era semplicemente Stiles per Derek ed aveva paura di aver osato troppo e di aver perso quel privilegio.

Con arrovellanti pensieri inutili ed uno scontento mal calcolato, rimanendo sulle spine tutto il giorno, Derek si presentò quella sera come se nulla fosse, coricandosi al suo fianco sotto gli occhi vigili e sbigottiti del padrone di casa, che lo seguì a ruota.

Derek non si limitò a quella singola sera, al contrario le sue visite si fecero più costanti e l’una di seguito all’altra, senza alcuna spiegazione che potesse giustificarle; Stiles le accettò di buon grado e si rincuorò ad ogni nuova notte.

«Sei qui anche oggi?» domandò la voce disinteressata del licantropo che proveniva stranamente da vicino a lui, cosa che perplesse non poco il giocatore di lacrosse.

Stiles alzò gli occhi dal libro di letteratura che stava evidenziando con un azzurro acceso, inglobando tutte quelle parole e frasi che servivano al suo apprendimento, e trovandosi davanti la figura del capitano della squadra di basket, situato sulla gradinata poco più bassa alla sua. «È ancora il mio posto preferito» proferì con un sorriso pieno sulle labbra carnose, sottolineando, stavolta, con l’evidenziatore verde un nuovo periodo.

Non c’era nessuno oltre loro due nell’ala dedicata al basket, il campo era vuoto come lo spogliatoio e non vi era neppure Erica ad osservarli giocare, mentre Stiles si intratteneva con il suo studio, accompagnato dal brusio del gioco e dal palleggiare del pallone.

Era l’ultima settimana prima delle vacanze natalizie, prima dell’avvento della grande vigilia e dello spacchettamento compulsivo dei pacchi regalo; le attività venivano annullate e rimandate alla metà della terza settimana di gennaio, poco dopo il rientro a scuola; quindi non vi era nessun laboratorio pomeridiano o allenamento di qualche tipo, niente nuoto, lacrosse o basket, tutti i campi erano del tutto sprovvisti dei loro giocatori e le aule si svuotavano in fretta, senza che quasi nessuno rimanesse all’interno dell’istituto scolastico.

Era tutto una desolazione, un po’ deprimente in effetti, ma sia Stiles che Derek continuavano a rispettare le loro abitudini, come l’anno o gli anni precedenti, rimanendo gli unici abitanti sul campo da gioco; uno persistendo nell’allenamento e l’altro immerso nei suoi libri.

«Funziona comunque?» chiese il diciottenne con scetticismo, riferendosi agli strani bisogni che Stiles manifestava, rintanandosi come se nulla fosse cambiato nel luogo dove si rifugiava durante tutto l’arco scolastico.

Il figlio dello sceriffo tracciò una freccia con la matita che collegava una frase finale ad un concetto già superato ed evidenziato di arancione, appuntando un numero minimo di due parole che legasse il tutto, ed alzò i suoi occhi ambrati per posarli in quelli boscosi, per poi spostarli sul campo da basket vuoto e sprovvisto di tutti quei suoni che solitamente l’accompagnavano, senza alcuna palla che venisse lanciata da una parte all’altra ed il canestro che rimaneva immacolato. Il suo sguardo tornò in quello di Derek. «Mi stai chiedendo se mi basti?» di lì a poco l’unico suono che avrebbe impregnato l’aria sarebbe stato il gioco solitario del lupo mannaro, l’unico che l’avrebbe accompagnato in quell’ultima settimana prima delle vacanze natalizie e al rientro, esattamente com’era avvenuto un anno prima.

L’espressione immutabile del mutaforma vacillò per un momento fulmineo e Stiles si rese conto delle possibili implicazioni che potessero essere contenute in quella domanda che gli era uscita di getto. «Sappiamo entrambi di quanto rumore ti circondi».

La matita di Stiles picchiettò sulla pagina su cui stava studiando un attimo prima e le sopracciglia si inarcarono di riflesso. «Proprio per questo dovresti sapere quanto tempo io abbia passato da solo con te, con il tuo gioco; proprio qui, seduto in questo posto tre volte a settimana, ben oltre l’orario concordato per gli allenamenti. Soltanto tu ed io» non era mai andato via prima. Gli allenamenti terminavano e la squadra si ritirava negli spogliatoi, sotto abbondanti getti d’acqua e vestiti puliti; perfino Erica levava le tende dopo un po’ ed in palestra rimanevano solo lui e Derek Hale.

La prima volta si era svuotata in fretta, in campo non era rimasto più nessuno e la lupa si era volatilizzata, il silenzio era calato come un fantasma ed era stato fastidioso e lacerante; tornare a casa sarebbe stata la mossa più saggia per lui e la sua psiche, ma era così vicino a finire di studiare l’ultima materia che si sarebbe ritrovato il giorno dopo, che rimase comunque, il tempo sufficiente che gli sarebbe servito per terminare. Ma un pallone palleggiò nel silenzio perpetuo, rompendolo e districandolo, echeggiando in tutta l’aria circostante e Stiles alzò immediatamente gli occhi colpito e frastornato, incredibilmente curioso di capire cosa fosse successo e chi avesse prodotto quel suono che stava cominciando ad imparare.

Per la prima volta incontrò gli occhi verdi di Derek Hale rivolti verso di lui, consapevoli della sua presenza e carichi di quella scintilla lupesca che riconobbe all’istante e che gli attribuì da lì in poi, benché fosse un immaginario già radicato in lui.

L’attimo dopo la palla riecheggiò nuovamente ed il diciasettenne gli diede le spalle, ignorandolo ed estraniandolo dalla sua bolla privata.

Stiles rimase in quell’eccezione che classificò come tale, ma che si ripeté nell’allenamento successivo ed in quello dopo ancora, fino a ricoprire un anno intero e perdurare in quello che gli susseguì e che stavano ancora vivendo. «Sei molto più di abbastanza, Der».

Derek lo guardò fisso, irremovibile e statuario com’era sempre stato, da cui era difficile riuscire a scorgere qualcosa, i veri pensieri e gli stati d’animo in cui si trovava; sarebbe rimasto sempre un enigma finché non avesse svelato tutti i suoi segreti. «E come farai, una volta a casa?».

Stiles fu incredibilmente colpito da quella domanda, dal modo sinceramente interessato e da quell’alone sbiadito che mostrava, ancora una volta, quante cose conoscesse di lui, il silenzio minaccioso della casa che l’avrebbe accolto. «So cavarmela» quasi tutta la sua vita era incastonata tra quelle mura; la scuola, gli allenamenti di lacrosse, i lunghi pomeriggi con Scott e quelli riservati alla squadra di basket erano soltanto la via per fuggire un po’, il caos di cui aveva bisogno per sentirsi parte del mondo.

Il mutaforma non apparve entusiasta di quella risposta e probabilmente non si aspettava nemmeno qualcosa di diverso, ma nella sua posa austera e controllata, poteva vedere riflessa la sua immagine sconsolata e solitaria che veniva avvolta dal silenzio, la percezione che Derek aveva di lui.

«Tu, invece, potrai rilassarti un po’ lontano dalle tue ragazze» scacciò immediatamente quella diapositiva di se stesso, sperando di cancellarla anche nel diciottenne, rifilandogli una curva saputa sulle labbra carnose.

«Non credo proprio» rettificò il lupo mannaro, accigliandosi vistosamente, per nulla soddisfatto dal siparietto che gli attraversò la mente. «La mia famiglia è piuttosto rumorosa e le mie sorelle fanno concorrenza a qualsiasi esercito di ragazze; vincendo, tra l’altro».

Stiles ridacchiò deliziato ed immediatamente si immaginò un Derek corrucciato e per nulla ben disposto alla confusione che si creava in casa, all’invadenza della famiglia e alle molteplici domande con cui l’assalivano, mentre le voci acute del popolo femminile lo sovrastavano.

Si chiese che ruolo avesse Malia in tutto quello, se si estraniasse, rimanendo in un angolo o se partecipasse attivamente; doveva essere divertente mettere in imbarazzo quel lupone acido e sempre sulle sue. «Dev’essere bello avere una famiglia numerosa. Niente segreti e spazi privati, l’impossibilità di nascondere le bugie e i rapporti personali costretti, urla in tutta la casa e porte che sbattono con furia per l’ennesimo, inutile e piccolo litigio» anche se probabilmente, con la forza sovrumana che si ritrovavano, era meglio evitare di sbattere le porte.

«Desideri una famiglia numerosa?» domandò il licantropo con incrinatura sospesa, quasi trattenuta, come se gli facesse male conoscere il responso di quel desiderio e gli fosse costato tutto l’autocontrollo di cui disponeva per chiederlo.

«Sì. No. Forse» il figlio dello sceriffo fu riportato immediatamente con i piedi per terra, strappato al vortice fantasioso in cui era caduto.

Sospirò, lievemente confuso, non conoscendo perfettamente il responso di quell’ipotetica possibilità. Non se l’era mai domandato, aveva sempre preferito passarci sopra. «Probabilmente non saprei gestirla, non saprei starle dietro. I componenti della mia famiglia non si contano neppure in tutte le dita di una sola mano e alcuni dei suoi membri sono stati acquisiti senza alcun legame di sangue, conosco solo questo. Ma immagino che, sì, mi piacerebbe averla».

«Bambini che scorrazzano sull’erba rigogliosa, con la pelle pallida ed i capelli rossi?» ipotizzò Derek per lui, con le labbra tirate che mantenevano la sua corazzata di disinteresse, imperturbabile a quella vignetta pittoresca.

«Sono prevedibile, eh» Stiles abbozzò un sorriso sbarazzino, quasi timido ed un po’ imbarazzato ‒ imbarazzato perché Derek Hale sembrava conoscere il suo amore non tanto segreto per Lydia Martin? ‒, ma nella semplice leggerezza con cui il diciottenne aveva dato voce a quella fotografia così surreale e sempre più prossima dall’essere abolita, non poté non notare la scintilla quasi piegata che macchiò quelle iridi boscose, quelle che ad ogni nuovo passo gli erano dedite. «Ma potrei benissimo accontentarmi di soli occhi verdi».

Com’era già successo, il fiato di Derek scomparve, intrappolato dentro di lui o era così leggero che non gli era data la possibilità di sentirlo, di percepirlo; se fosse stata una pallida illusione creata dal suo cervello, non avrebbe potuto saperlo. «Niente di pretenzioso, quindi».

No, niente di pretenzioso, gli occhi verdi di Lydia sarebbero bastati, sarebbero stati un buon risultato, la prova che ci fosse riuscito e cosa c’era di più bello di quelle gemme brillanti?

Forse soltanto gli smeraldi incastonati sul viso di Derek, quelle iridi magnetiche che nascondevano così tante sfumature da confonderlo, quelle da cui poteva ancora estrarre il vecchio bagliore ambrato dei suoi occhi di Beta, quelli che non avrebbe mai conosciuto, e da cui poteva scorgere, quando erano incredibilmente vicini e sembravano attivarsi davanti quella barriera che spariva, le pagliuzze blu elettrico che splendevano nefaste, senza che si rendesse conto di quanto sfuggissero al suo controllo.

Gli occhi di Derek erano superiori a qualsiasi altro. «In realtà andrebbe bene qualsiasi cosa» esordì il sedicenne, accogliendo tutto quello che potesse capitargli, il tipo di vita che avrebbe affrontato e le sorprese che aveva in serbo per lui.

Una volta aveva dei progetti, dettagliati e scritti su carta; li aveva stilati in una notte dei suoi otto anni e mezzo, quando non riusciva a togliersi dalla testa quella bellissima bambina dai capelli biondo fragola e le iridi di giada pura; era la persona più stupefacente e meritevole di attenzione che avesse mai visto ed il suo amore fanciullesco non faceva che crescere e l’unica cosa a cui riusciva a pensare, era condividere la propria vita per sempre con lei; tutta una vita.

Erano iniziati i piani di conquista, quelli che servivano semplicemente per rivolgerle il primo saluto, la prima parola e che lei ignorava stabilmente, sorda e cieca alla sua presenza ed insieme a tutto quello c’erano i progetti della loro vita insieme, che avrebbe portato a compimento quando l’avrebbe finalmente conquistata. Ma mentre gli anni passavano e lui cresceva ed in contemporanea i piani di vita si allungavano e diventavano sempre più fantasiosi e strampalati, quel loro avvicinarsi non era mai avvenuto e quando le cose erano cambiate, non vi era alcuna possibilità di apparire agli occhi della ragazza diverso dall’essere un solo amico.

Anche l’ultimo progetto era andato in malora e la sua sfiducia era scesa così in basso, che semplicemente aveva cominciato a farsene una ragione, ma ancora non era pronto ad abbandonare il suo antico primo amore e tentare di guardarsi intorno. Dubitava fortemente che qualcuno l’avrebbe aspettato, che qualcuno lo stesse già aspettando; finché… «Qualsiasi tipo di famiglia è perfetta» finché due paia d’occhi verdi non si erano sovrapposti a quelli di Lydia Martin.

L’aria ricadde spaventosamente pesante intorno a loro, con le iridi di Derek che lo scrutavano con delle sfumature ed un’intensità che non aveva mai incontrato prima e Stiles non poteva credere di aver dato vita proprio a quell’insieme di parole, a quella frase che conteneva troppi significati impliciti, alle miriadi di implicazioni che vi erano contenute e alla buonissima possibilità che sarebbe stato disposto a creare una famiglia con lui, una famiglia con Derek Hale, che l’avrebbe accolta e che sarebbe stata perfetta.

Una famiglia perfetta con Derek Hale. Una famiglia perfetta con una volpe malandrina ed un lupo scorbutico.

Non poteva davvero credere di aver commesso un passo falso come quello.

Le dita della mano destra di Derek solleticarono l’aria, un gesto incredibilmente simile a quello che compiva lui quand’era sovrappensiero o semplicemente quando gli era impossibile rimanere fermo ‒ quasi sempre, quindi ‒, e si tesero verso di lui, insieme a tutto il braccio, come se volesse toccarlo, sfiorarlo e scostagli le ciocche ribelli con cui costantemente si intratteneva; dalle sue iridi di smeraldo si vedeva quanto si stesse trattenendo dal proferire qualcosa, qualsiasi cosa e Stiles ne fu distrutto, perché aveva appena perso ciò che aveva guadagnato. «Passa delle buone vacanze, Stiles» disse soltanto, con la voce quasi atona e buia, riportando la mano esattamente dov’era e mantenendola immobile.

Con il respiro incastrato dentro la trachea, l’umano lo vide allontanarsi, dirigendosi verso gli spogliatoi e sparendo al loro interno, uscendo poco dopo con indosso la divisa della squadra ed un singolo pallone da basket che l’avrebbe accompagnato finché non si sarebbe sentito soddisfatto del proprio gioco, coincidendo sempre con il tonfo sordo dei libri di Stiles che si chiudevano per annunciare la conclusione di quella sessione di studio.

Quella era la routine che avevano instaurato un anno prima e con tacito accordo, senza mai rivolgersi la parola e che pensava sarebbe rimasta finché Derek Hale non si sarebbe diplomato proprio quell’anno; ma in quel momento si chiese se per quel giorno le cose sarebbero cambiante, se ad un certo punto uno dei due si sarebbe tirato indietro, battendo in ritirata e rendendo vano il primo contatto che avevano creato, la prima abitudine che li aveva resi consapevoli l’uno dell’altro, persistendo nell’ignorarsi al di fuori di quella bolla eccezionale nata dal nulla.

Il pallone riecheggiò nella palestra, scontrandosi sul parquet e ridondando di nuovi palleggi, per poi essere lanciato ed uscire vincitore da un canestro perfetto e di cui solo lui era stato il testimone.

La palla balzò ancora, in un ritmo perfetto e fin troppo conosciuto, e gli occhi di Derek furono di nuovo nei suoi, con l’illusione che non si fossero mai separati ed il cuore riconobbe il tocco gemello di quel battito, così in simbiosi da non poter essere un errore, un mero scherzo creato dalla propria mente.

All’ennesimo palleggio, quando ne fu certo e non ci fu alcun margine di equivoco, Stiles ritornò padrone del suo respiro, ispirando nuovo ossigeno.

Derek tornò a rivolgergli le spalle e Stiles riprese confidenza con i suoi libri.

 

Era il ventiquattro dicembre, la vigilia di Natale, e Stiles era chiuso da solo tra le mura domestiche, completamente nella sua solitudine con niente e nessuno che gli facesse compagnia.

Lo sceriffo aveva il turno di notte ed a Stiles toccava passare l’ennesima vigilia da solo – non era propriamente esatto, ma le cose erano cambiate dall’ultimo Natale e lui non aveva ancora trovato un sostituto, un rimpiazzo, qualcosa o qualcuno con cui intrattenersi in quelle specifiche giornate.

Aveva fatto di tutto per tenersi impegnato quel giorno, si era perfino portato avanti con i compiti lasciati per le vacanze ‒ cosa inaudita ‒ ed aveva trafficato per casa comportandosi come una perfetta casalinga ‒ poco lusinghiero ‒ ed aveva risistemato la libreria in ordine di argomento, perché a volte si annoiava davvero e si stufava in fretta delle cose che lo circondavano, ma continuava a non trovare il suo prezioso libro antico e mal conservato sulla licantropia ed era convintissimo di averlo sempre lasciato sopra il comodino, soprattutto considerando che da quando Derek Hale versione lupo era entrato nella sua vita tendeva a ripassare un po’ tutto quello che aveva sempre saputo sulla tematica ed a ampliare e ad immergersi in nuove ricerche, rileggendo i libri che conosceva a menadito ed a passare delle ore davvero considerevoli davanti al computer.

A volte chiedeva semplicemente a Derek, perché poteva fare tutte le ricerche che voleva e trovare un intero universo contenuto in un altro, ma non aveva alcuna prova che attestasse che tutto quello fosse vero, che corrispondesse alla realtà, e il suo licantropo personale poteva fornirgli tutte le risposte che desiderava e colmare le sue lacune, anche se Stiles non amava per niente essere impreparato e proprio per quella ragione si affaticava nelle sue ricerche e quindi era tutto un enorme circolo vizioso di cui Derek rideva, meschinamente.

Morale della favola? Il libro non c’era e se per un momento era andato in panico ‒ cosa che gli riusciva particolarmente bene ‒, successivamente l’aveva classificato come la sbadataggine del suo disordine e chissà dove l’avesse lasciato; prima o poi sarebbe saltato fuori.

C’era, però, qualcosa che non si aspettava saltasse fuori.

«Derek?» chiamò in una domanda intontita e dubbiosa, con in mano l’ultimo libro che doveva riporre e che era stato accatastato insieme agli altri sulla scrivania ‒ erbe e rimedi, con un notevole elenco delle facoltà dello strozzalupo ‒, mentre il cui citato l’osservava dalla finestra, seduto comodamente sul davanzale.

«Pulizie di primavera?» chiese il lupo mannaro con nessuna sfumatura particolare, guardandolo senza battere ciglio dalla sua postazione.

Stiles ci impiegò diverso tempo per afferrare quella domanda e dargli un senso; per un momento era apparso completamente smarrito e proprio non capiva a cosa l’altro si riferisse, poi era subentrato quel brivido che scaturiva quando Derek faceva una battuta, anche se non era mai quello lo scopo e non era mai intenzionale, ma era il suo solito modo di beffeggiarsi con stile di lui. «Uhm, immagino di sì, anche se non so se sono in anticipo o spaventosamente in ritardo» rispose con una leggera nota di ironia, fissando il volume che ancora teneva tra le dita e passandosi la mano libera tra i capelli in un gesto distratto.

«La seconda» dichiarò certo il mutaforma senza scomporsi e privo di titubanza.

Anche quelle risposte erano tipiche di Derek, così da lui e conformi alla personalità che vedeva nel sedicenne. Il colpo di scena? Stiles corrispondeva perfettamente alla visione che Derek Hale aveva di lui. «Che ci fai qui, Der?».

Il capitano della squadra di basket fece spallucce, del tutto disinteressato a quella forma di interessamento ed interrogatorio. «Non avevo molto da fare».

Le pupille nere di Stiles si dilatarono completamente per l’incredulità, accompagnata dalla perplessità di trovarlo lì senza una vera ragione valida. «Tu, la notte della vigilia di Natale che trascorri con la tua numerosa famiglia, nonché branco, rumorosa ed invasiva, probabilmente anche festaiola, con tanto di super cenone e carne al sangue, che si concluderà con lo scartare dei regali allo scoccare della mezzanotte, non avevi molto da fare?».

«Non scartiamo i regali allo scattare della mezzanotte» lo corresse il lupo mannaro, persistendo nel suo comportamento statuario.

L’umano lo guardò quasi con la bocca aperta e dovette aspettare prima di rendersi conto che null’altro sarebbe stato aggiunto. «È tutto quello che hai da dire?».

«Sì» confermò il mutaforma con semplicità e fermezza.

Stiles sospirò esasperato, inserendo il libro, che ancora si poneva tra loro, nell’apposita sezione, la sua nuova casa che non sarebbe stata nemmeno l’ultima, prima di girarsi completamente verso di lui e prestargli la sua totale attenzione. «Non c’è la luna piena nel cielo, non sei fuori di te e spero vivamente non ci sia un’emergenza. Non è un giorno qualsiasi in cui puoi e vuoi infilarti nella mia camera perché preferisci un ambiente diverso da casa tua o qualsiasi altra ragione di cui al momento sono sprovvisto e non voglio insistere sul perché non dovresti essere qui durante la vigilia di Natale, ma…» sospirò ancora, prendendo un lungo respiro prima di mettere tutto sul fuoco. «Tra meno di un’ora scoccherà la mezzanotte e sarà il tuo compleanno; che cosa ci fai qui, Derek?».

Derek trasalì vistosamente e le gemme di smeraldo si posarono fisse su di lui, improvvisamente non certo di chi avesse dinnanzi. «Hai letto il mio fascicolo?».

Il rubandolo era sottointeso, chiaro e nitido, e non era per nulla lusinghiera l’allusione di volpe ladra che gli stava affibbiando. Anche se spesso si intratteneva nella conoscenza di fascicoli scolastici o cartelle private dei casi del padre, irrisolti o meno, lui prendeva semplicemente in prestito e poi restituiva. Se poi nessuno era a conoscenza di quel prestito, era un altro discorso. «Sì. Cioè no. Cioè sì; voglio dire-» si incartò com’era tipico di lui, soprattutto quando veniva smascherato, ma solitamente riusciva a cavarsela molto meglio di così, specialmente quand’era lontano da Derek; quelle battaglie perse in partenza erano un duro colpo per la sua abilità di salvarsi dai guai. «Le tue ragazze parlano molto e sono sempre lì a lamentarsi sull’impossibilità di non poterti dare il loro regalo di compleanno, perché cade proprio il giorno di Natale e… sono cose che, se continuamente ripetute, apprendi senza volerlo» in realtà Derek Hale era ancora un diciassettenne, sempre più vicino ad entrare nel suo diciottesimo anno che gli veniva impropriamente affibbiato. Quell’errore banale veniva creato non perché non si conoscesse la sua effettiva data di nascita, ma perché si aveva quella convinzione che il capitano della squadra di basket fosse tra i membri più grandi del suo corso di studi – dimenticando invece che era tra i più piccoli –, accompagnata dal suo fisico statuario e ben piazzato che traeva in inganno. Ad ogni nuovo anno scolastico, benché il suo compleanno fosse lontano, entrava automaticamente a coincidere con l’età che doveva ancora raggiungere e si portava quell’appropriazione non voluta fino al nuovo rientro scolastico.

Il mannaro era scivolato dal davanzale della finestra durante il monologo del padrone di casa e si era portato davanti a lui che teneva la testa china, postura incondizionata che chiedeva tacitamente delle scuse, e non si trattenne dall’immergere le dita della mano destra nella chioma folta e sbarazzina del suo interlocutore. «Sei il male minore».

Il capo di Stiles scattò verso l’alto e si scontrò con le sue iridi boscose, serie ed imperscrutabili, completamente concentrate su di lui; riuscivano a stordirlo come niente. «Cosa? Che intendi dire?».

«La confusione, il rumore, gli schiamazzi ed i festeggiamenti; tu sei il male minore» proferì Derek in un elenco dettagliato, conoscitore di tutto quello a cui aveva dato voce.

Stiles indugiò un momento, guardandolo in tralice e riconoscendo un enorme difetto in quelle parole, in quel concetto che voleva soltanto Derek lontano dalla ribalta e da ciò che ne conseguiva. «Sono piuttosto certo di essere molto rumoroso».

Derek si avvicinò di un nuovo passo e le dita si immersero ancora di più, con il palmo aperto che si poggiava sul viso, proprio all’altezza dello zigomo. «È quello intorno a te ad essere privo di suono».

Stiles trasalì vistosamente, tremando tutto da capo a piedi, e fu completamente tramortito dalle moltitudini di parole che Derek non gli stava comunicando, dalle motivazioni che teneva per sé, da quel pizzico fastidioso e malvagio che premeva nella sua mente e che puntava a mostrare la sua vita com’era, scialba e vuota; era così che Derek la vedeva? «Derek» era tutto quello che riusciva a dire, tutto quello che riusciva a formulare, le domande che erano tutte racchiuse in quell’unico nome che prendeva una connotazione enorme e che lo schiacciava. Aveva sempre più bisogno di risposte.

«È per questo che non vuoi mai tornare a casa, soprattutto quando non sei costretto» gli allenamenti di lacrosse, l’intrufolarsi nella palestra di basket ed assistere ad un gioco che nemmeno conosceva, ma di cui aveva appreso tutti gli orari e gli schemi, una palestra in cui tornava quando non c’era nessuno e l’unico altro abitante, che arrivava dopo di lui, non era nient’altri che Derek Hale, a fargli compagnia, ad alleviare il vuoto. «Non vuoi tornare in una casa dove ti accoglierebbe il silenzio; un silenzio che non riesci a riempire per quanto ti sforzi a farlo. Ad aspettare qualcuno che tornerà tardi o il mattino dopo, ma da cui corri quando sai di trovarlo già qui».

Stiles era disorientato, completamente succube e privo di vocaboli, talmente compresso da quella nuova rivelazione che Derek gli aveva fatto, che gli era nuovamente scappata come tutte le altre; l’ennesima testimonianza di quante cose sapesse di lui, di quanto riuscisse a leggergli dentro e di quanto l’avesse osservato. No, l’aveva osservato? Quando? Come? Dov’era lui? «Sei qui per me» proferì spiazzato ed illuminato, la voce ovattata e piena di incredulità; lo guardò come se l’avesse incontrato per la prima volta. «È per questo che continui a tornare? Perché non vuoi lasciarmi da solo?» nella sua immensa solitudine solitaria, con fin troppa assenza di rumori e presenze e da quel poco che aveva, ne prendeva tutto il necessario, facendo scorta per i tempi morti, ma non bastava mai. Non bastavano mai.

«Lo faccio perché mi va» specificò il mannaro, scacciando le azioni buone e altruiste che Stiles gli stava attribuendo.

Le labbra dell’umano si curvarono verso l’alto e quello era così da Derek che non avrebbe dovuto sorprendersi, che non c’era niente di nuovo nell’abitudine che aveva di nascondere chi era davvero, quali fossero le sue intenzioni e la predisposizione a preoccuparsi per gli altri. Cora, Malia, il branco e la famiglia, Derek era molto di più dell’apparente corazza inviolabile che si portava addosso, quella che tagliava fuori chiunque non gli importasse e benché la scala fosse molto ristretta ed i muri molto alti, Stiles non sapeva ancora come avesse fatto ad entrare nel mondo selezionato e ritagliato di Derek Hale, ma aveva tutta l’intenzione di non uscirne mai più. «Manterrò il tuo segreto, Sourwolf» disse con una nota allietata e la piccola piega divertita che macchiava un angolo della bocca, e, approfittando del divario che si azzerava sempre di più, scivolò verso di lui, incastrando la testa sotto l’incavo del suo collo e vi trovò il grande calore che l’accoglieva sempre, l’odore della sua pelle che inspirò a pieni polmoni, accompagnato dalla mano del lupo che spostò sopra il capo, permettendo a quell’incontro di avvenire e di non avere alcun ostacolo che rendesse fastidiosa quell’azione. Era la cosa che più si avvicinava ad un abbraccio ed era così stupefacente ed inaspettato; la facilità con cui riuscivano ad unirsi, il bisogno che avevano di cercarsi e toccarsi e non c’era niente che potesse torturarlo e tormentarlo perché si era arreso così facilmente a lui.

Poteva farlo, poteva lasciarsi viziare un po’ da quel lupo brontolone che lo metteva su un piedistallo senza proferire mezza parola, senza mai farglielo sembrare strano o fuori luogo. Era un bene averlo nella sua vita, era un bene che gli occupasse le giornate ed era tonificante averlo lì, perché probabilmente avrebbe trascorso la sua serata a pulire la grondaia, per quanto fosse disperato. «È un buon regalo di Natale» per la grondaia un po’ meno.

Derek accompagnò quell’incontro, quella piccola oasi pacifica, con una presa più morbida tra i capelli, solleticandogli la cute con i polpastrelli che la sfioravano appena; era un vizio che probabilmente non si sarebbe più tolto. «In realtà, ho qualcosa per te».

La voce di Derek gli attraversò immediatamente il nervo acustico e gli occhi si spalancarono, era quasi sicuro di essersi perso qualche pezzo per strada, di aver saltato parte delle loro conversazioni, di aver fatto un balzo per arrivare in un punto di cui non conosceva nulla. «Hai qualcosa per me?» ripeté in una domanda arrancata, con la gola quasi strozzata per quel dolore latitante che non riusciva nemmeno a capire da dove provenisse.

Si scostò da lui, uscendo da quell’antro protettivo, costringendo l’altro ad abbandonare la presa tra i suoi capelli, che un attimo prima l’aveva avvolto e che stranamente combaciava con le sue esigenze, come tutto il resto, e le gemme di ambra pura corsero immediatamente in quelle di giada.

Il mannaro non si mosse, nemmeno un singolo movimento del capo per rispondere tacitamente a quella domanda ridondante che conteneva già il responso; l’unico gesto che si permise di fare, fu mettere in mostra il braccio sinistro che per tutto il tempo era rimasto dietro la schiena o parzialmente nascosto, dettaglio che era sfuggito del tutto ad uno Stiles concentrato solo sulla presenza fisica e materialista di Derek, del significato che l’aveva portato fin lì.

Nella mano era trattenuto un parallelepipedo rettangolare che a quegli occhi mielati appariva del tutto sconosciuto, benché le dimensioni gli erano spaventosamente familiari ed al suo interno vi era contenuto un ulteriore parallelepipedo rettangolare bianco; dalla base fuoriusciva la parte finale di un laccetto largo un paio di centimetri e dallo spessore sottile. «Mi hai preso un libro?» non era una vera domanda, era così confuso e costernato che non riusciva a capire cosa avrebbe dovuto dire, con quale intonazione si sarebbe dovuto esprimere. Era completamente in alto mare e sentiva di stare per annaspare.

«Guarda meglio» disse il licantropo, allungando il braccio e portandolo proprio sotto gli occhi del sedicenne.

Stiles lo guardò dapprima completamente smarrito e quando l’oggetto inquisito gli si avvicinò, le pupille non riuscirono a restare ferme e caddero su di esso, per poi saettare ancora una volta verso le iridi boscose senza sapere esattamente cosa fare.

Avvicinò le mani di poco, tremanti e titubanti, sospese in aria e vicine a quel regalo del tutto inaspettato e il cui significato era sconosciuto.

Quando riuscì a prenderlo tra le proprie dita, permettendo a Derek di lasciarlo, l’incertezza di aprirlo ed esaminarlo era ancora troppo grande. Al centro della copertina verde scuro, di pura pelle, vi era incisa un’unica lineare ed essenziale parola che aveva letto per anni e che da qualche tempo era entrata completamente nel suo ordinario giornaliero: licantropia.

Era il titolo più semplice e banale che potesse esistere, talmente superficiale che era estremamente facile passare avanti e dedicarsi ad altro; non aveva nulla di speciale rispetto a tutti gli altri che avevano trattato tale argomento. Per Stiles non era mai stato così.

Poggiò i polpastrelli sulla pelle scura, sentendo sotto di essi il rilievo del titolo, era come se apprendesse soltanto in quel momento l’esistenza di quella specifica parola ed era quasi tentato di non andare oltre, che quell’unica cosa gli sarebbe bastata. Ma le dita avevano vita propria ed il suo corpo spasimava, la sua mente era divisa in due come il suo cuore; la differenza era che la curiosità ed il bisogno di sapere erano tutto ciò che dominava in lui e che lo portavano ad essere quello che era, quindi fu inevitabile aprire il volume appena ricevuto e trovarvi dentro tutto quello che i suoi occhi avevano incontrato per anni, bevendone ed ingurgitandone avidamente, tentando di imprimersi ogni singola lettera e concetto, perdendosi nella contemplazione di quelle illustrazioni dipinte con colori ad olio che erano incastonate nella retina. Era tutto quello che aveva conosciuto ed amato. «È il mio libro» no, come poteva esserlo? Il suo libro era un ammasso di pagine che manteneva la rilegatura con chissà quale miracolo, i fogli erano completamente gialli e macchiati, i colori erano vicini a spegnersi e la copertina era quasi distrutta. Quello non assomigliava per niente al suo libro.

Sembrava appena uscito dalla stampa, l’odore era incantevole, le pagine erano più bianche che gialle ed erano pulite, i colori erano così vivi che non poteva distogliere lo sguardo nemmeno volendo; ed aveva una copertina in pelle. Vera pelle, verde come le foglie degli alberi, delle foreste, l’ambiente naturale dei lupi, il colore più adatto che potesse esistere ed era del tutto intatto.

Era maestoso ed era bellissimo e probabilmente sarebbe stato quello l’aspetto del suo prezioso libro nei suoi giorni di gloria.

«Ho pensato che non sarebbe sopravvissuto ancora a lungo» dichiarò il lupo mannaro, rispondendo ad una domanda che Stiles non aveva nemmeno elaborato perché nella sua mente non aveva ancora preso una forma; forse non l’avrebbe presa mai perché gli appariva troppo lontano da loro. «L’ho portato da un rilegatore».

Un tuffo al cuore pervase senza alcun avviso il figlio dello sceriffo e fu inevitabile che gli occhi saettassero in quelli di Derek con lo sgomento e la confusione che, invece di scemare, si dilatava, aumentando il suo smarrimento. «Un rilegatore?» era qualcosa di più grande, di più immenso, di talmente importante e pieno di significato che se non avesse avuto i piedi ben piantati a terra, sarebbe caduto in un imbarazzante tonfo, sotto gli occhi scrutatori del suo lupo.

Dovette guardarlo meglio quel libro, accertarsi di non star volando troppo con la fantasia e di non star prendendo una batosta.

Conosceva così bene quelle pagine, quelle parole, quelle che l’avevano accompagnato per una buona fetta della sua vita, il momento in cui il sovrannaturale era diventato il migliore dei suoi amanti; nulla sarebbe mai stato messo a paragone, nessuno avrebbe retto. «È davvero il mio libro».

Soltanto in quel momento Derek sembrò rendersi conto da quale animo fosse stato investito il corpo dell’umano, di quali incertezze e dubbi l’avessero accerchiato; forse, nella parte più nascosta e buia, si era sentito tradito. «Sostituirlo non era considerabile».

Stiles dovette sedersi sul letto, posizionandosi proprio sul bordo e permettendo alle gambe di toccare il pavimento per continuare a prendere coscienza di quello che lo circondava. «Hai fatto rilegare il mio libro» proferì con la voce più modulata e ragionevole che riuscisse a possedere in quel momento, continuando a sfogliare il volume ed a sentire la consistenza della carta rinata, il suo spessore e la pesantezza, il nuovo odore che lo rivestiva completamente. «È pulito, le immagini sono come nuove e ha una copertina di pelle» non aveva mai avuto un libro rivestito di vera pelle, pelle animale, quella estremamente costosa e che lo accostava a quei libri incredibilmente antichi e preziosi.

Lui l’aveva cercato per più di una settimana, senza sapere più dove guardare e setacciando ogni angolo della casa, e mentre lui era immerso in quella ricerca, Derek l’aveva preso con sé da chissà quanto tempo, senza che lui se ne accorgesse minimamente, ed intenzionato semplicemente a restituirglielo una volta che il lavoro sarebbe stato portato a termine, nel modo più appropriato. «Io non ho niente per te» disse con mortificazione, abbattuto ed affranto, rigirandosi il libro tra le mani e chiudendolo con un colpo sordo, mentre la testa si chinava per la seconda volta in quella serata ad indice di scuse.

Derek si avvicinò di qualche passo, portandosi esattamente davanti alle sue gambe, ma rispettando il suo spazio personale. «Sai benissimo che non mi occorre niente».

«Sì, lo so, ma…» sospirò abbattuto, quasi con il senso di colpa che cresceva inevitabile, adocchiando la sveglia che sferzava sul comodino, l’orologio digitale che si avvicinava sempre di più e pericolosamente alla mezzanotte. «Ancora pochi minuti è sarà Natale e, come se non bastasse, anche il tuo compleanno ed io non ho niente per te, mentre tu avrai speso una fortuna per rimettere in sesto un mio libro» perché non se lo poteva permettere ed era qualcosa che aleggiava tra di loro, ma a cui nessuno avrebbe dato voce.

Derek si inginocchiò davanti a lui, prendendogli il mento tra l’indice ed il pollice, alzandogli il viso per poterlo guardare dritto negli occhi e distruggere quel muro che inconsciamente stava creando per poterli separare. «Non l’ho fatto perché volessi qualcosa in cambio da te, ma perché è qualcosa a cui tieni e che ami. Avresti preferito vederlo distruggersi completamente davanti ai tuoi occhi?».

«No. Forse. Non lo so» l’umano sospirò completamente affondato, colpito in pieno petto e conscio che quell’eventualità era più vicina di quanto avesse mai immaginato; non avrebbe potuto fare nulla per salvarlo, per quanta cura ci mettesse nel tentare di stabilizzare la sua condizione e per quanto cercasse di conservarlo nel modo più appropriato, le cose non sarebbero migliorate e sarebbero solo peggiorate. Prima o poi non avrebbe più potuto sfogliare quelle pagine di cui amava tanto deliziarsi. «È la prima vigilia che passo completamente da solo» disse invece, cambiando completamente rotta ed entrando in un territorio che non avevano ancora esplorato. «Papà tenta sempre di prendersi questo turno, così possiamo passare il Natale indisturbati ed a volte lo chiamano, altre no; cerco sempre di stare al mio posto e di lasciarlo libero di svolgere il suo lavoro e rispondere alle sue responsabilità. Proprio per questo passo sempre la Vigilia con Scott ed il giorno di Natale raggiungiamo lui e sua madre dopo pranzo. Ma le cose sono cambiate nell’ultimo anno ed adesso c’è Allison e io l’adoro, davvero, ma non mi piace fare il terzo incomodo, soprattutto quando è così evidente, quindi ho preferito rimanere a casa mia, da solo».

«Ma domani starete tutti insieme» affermò il diciottenne, ricordandogli quel passaggio che era stato saltato, ma che rimaneva presente.

«Sì» confermò il padrone di casa, accarezzando il bordo di quel libro appena ricevuto. «Una strana famiglia allargata» papà, Melissa, Scott ed Allison. «È molto bello così, proprio per questo avevo accettato l’idea di starmene un po’ da solo; l’indomani avrei fatto indigestione di gente e compagnia» le iridi d’ambrosia si alzarono verso quelle di smeraldo ed improvvisamente le mani erano più nervose del solito e doveva trattenersi dal pasticciare con quel volume che Derek si era premurato di rimettere a nuovo. «Ma adesso tu sei qui e non c’è prova più concreta che attesti quanto io abbia sbagliato» dovette prendere un profondo respiro, svuotare e riempire i polmoni, liberare quella trachea che graffiava e che lo torturava lentamente. «Tu metti in discussione tutta la mia vita» qualunque parte della sua vita. Sperava soltanto di essersi spiegato bene, di non aver detto parole contrastanti, concetti che in realtà volevano dire l’esatto opposto, ma era così stanco e stremato e Derek gli aveva fatto un regalo ‒ benché il lupo non l’avrebbe mai chiamato in quel modo ‒ così enorme e gigantesco, e forse era più di uno, ma il mannaro lo scombussolava così tanto e gli faceva abbassare tutte le difese senza che se ne rendesse minimamente conto ed era sfiancante e liberatorio e non avrebbe mai barattato il modo, i modi, in cui Derek lo faceva sentire con niente al mondo.

La fronte del lupo si congiunse alla sua, spostando la mano sulla sua guancia, e quella era la vetta massima che poteva raggiungere in quel momento, la congiunzione finale che li caratterizzava tanto e li lasciava completamente in balia di se stessi. «Va tutto bene, Stiles».

Stiles espirò sollevato, annuendo contro di lui e curvando appena le labbra in una piega allietata. «Resti a dormire qui stanotte?».

«Sì» rispose con fermezza il mutaforma, senza tergiversare o prendere tempo; riflettere sulla proposta era stato scartato a priori. Probabilmente perché l’intenzione era quella fin dal primo momento.

Il silenzio cadde per qualche secondo, interrotto solo dai loro respiri regolari che si mescolavano incessantemente, rimanendo in quella posizione scomoda che sorvolavano entrambi, senza avere alcuna intenzione di spezzarla e dividersi.

All’improvviso i numeri sull’orologio digitale cambiarono completamente e la sveglia suonò in un unico segnale acustico, echeggiando per tutta la stanza ed annunciando lo scoccare della mezzanotte piena e il subentrare del giorno di Natale. «Buon compleanno, Derek».

Derek gli rispose con un mormorio secco e Stiles gli sorrise di conseguenza, accontentandosi di quella minima reazione.

Forse il suo regalo per Derek consisteva proprio in quello e forse il suo lupo scorbutico preferito non desiderava nient’altro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ahi, Stiles, hai questo brutto vizio di cominciare bene e poi giungere ad argomenti spinosi e scomodi che potrebbero rivelare un po’ troppo e che lasciano Derek nudo. Il tema dell’amare come un lupo è pesante.

E non potendoci dimenticare che parliamo di Stiles e si faccia abbastanza problemi sulle cose, soprattutto quando sbaglia e pensa di aver perso Derek, ricalca la dose ed esce altro. Come se già non fosse sufficiente quello che accade intorno a loro e all’intimità che stanno raggiungendo. La famiglia è un altro argomento delicato.

E poi, nemmeno a farlo di proposito, arriva il Natale – un Natale scritto a Pasqua, ma chi fa caso a queste cose – ed è, tra l’altro, anche il compleanno del nostro lupone preferito e questo giustamente Stiles lo sa, perché quando mai il caro figlio dello sceriffo non sa le cose? E sì, Derek quelle prime ore le passa con Stiles. Sceglie di trascorrerle con Stiles. E non contento, gli fa perfino un regalo. Uno di quelli enormi, costosi e preventivati e davvero mia cara volpe, come fai ancora a non crollare?

Ma forse dovremmo chiederlo anche a quell’altro, che si limita a dormigli a fianco.

A venerdì,

Antys

 

   
 
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