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Autore: shinepaw    18/12/2016    1 recensioni
Bella ha sedici anni, un pastore australiano che risponde al nome di Yuuhi come migliore amica e Brooklyn, il suo fratellino di tre anni, di cui occuparsi. Per lei non esiste null'altro, nessun altro, a parte la scuola. Con l'amore ha chiuso. Ma, come si suol dire, mai dire mai.
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Sequel di Counting Stars.
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Keeping Love Again'
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Leya's point of view

Entro in casa e mio fratello viene ad abbracciarmi. Non devo avere un'espressione molto felice. Ricambio l'abbraccio, poggiandogli il mento sulla spalla.

- Bentornata, Leya - dice, stringendomi forte. La felpa che indossa è molto morbida, piacevole al tatto. - Stai bene?

- Sto bene - rispondo, inspirando il suo profumo dolciastro. Mi mancherà.

'- Ti mancherò?

- E-eh?

- Cosa sono io per te?

- N-non lo so, perché?'

Abbozzo un sorriso, allontanandomi.

Non lo so.

- Hai lasciato un foglio sul tavolo, ieri - m'informa in seguito, mentre bevo un po' d'acqua in cucina. So a cosa si sta riferendo. - Vuoi che lo butti?

Ora ce l'ha tra le mani, è compilato. I suoi occhioni di liquirizia m'implorano di dargli una risposta negativa, speranzosi come quelli di un cane che attende un biscotto.

- Buttalo - mormoro, distogliendo lo sguardo per non vedere il dispiacere nelle sue iridi scure.

Mi dispiace, fratellone, mi dispiace tanto!

- Peccato - commenta a voce bassa, chinando il capo. E lo appallottola, gettandolo nel cestino della carta.

- Già - concordo in un bisbiglio impercettibile. Mikhail si sistema accanto a me.

- Leya. Posso farti una domanda?

- Certo.

- Come hai conosciuto... mio padre?

Arriccio il naso.

- È una lunga storia, sediamoci.

'Il giardino incolto del vicino mi lancia un richiamo irresistibile, così selvaggio, ricco di mistero. La mamma mi ha sempre detto di girare alla larga dall'uomo che abita nella casa di fronte a noi e di non giocare nel suo prato, ma a me non piace ascoltarla.

Perciò vado a cercare di catturare qualche insetto, infilandomi nelle sue piante e riempiendomi di terra, foglie e graffi. Alla fine riesco solo a staccare - per sbaglio! - la coda ad una lucertola. Noto che la porta sul retro è socchiusa e mi ci intrufolo.

Per un attimo resto sorpresa, perché nella casa non filtra neanche un raggio di luce.

- C'è qualcuno? - chiedo, ingenua come solo una bambina di quattro anni può essere. Nessuna risposta.

Decido di esplorare un po' questo luogo affascinante, rischiando fin troppo spesso d'inciampare in qualche montagna di libri, sparsi ovunque. Sembra una 'casa dell'orrore' di cui parlano i bambini più grandi quando giochiamo nel bosco. Però io non ho paura, io non mi faccio spaventare da ragni grossi come gatti, dai fantasmi o dagli spiriti, io vorrei farci amicizia...

- C'è qualcuno? - ripeto, prima di riconoscere chiaramente una figura umana stesa fra i romanzi, sulla faccia un volume.

E se fosse un cadavere, come quelli nei racconti della televisione?, mi chiedo. So che, se una persona è definita cadavere, è perché è morta.

- Signore?

Mi abbasso. Dicono che i morti siano freddi. Gli tocco una mano. Parrebbe di temperatura normale.

- Signoreee?

Faccio per togliere il libro dal suo volto, ma lui grugnisce e lo butta di lato, spalancando gli occhi. Che sia uno zombie, una di quelle strane creature che popolano i racconti dei bambini più grandi e mangiano i cervelli della gente?

Lo guardo incuriosita.

- Tu... cosa ci fai qui? Non è un posto per bambini - dice, fissandomi dritta negli occhi. Non saprei dire di che colore siano, è buio, ma devono essere scuri.

- La porta era aperta - rispondo, innocente. Stringe le labbra e contrae la mascella.

- I tuoi genitori non ti hanno detto che non si entra nelle case altrui?

- La porta era aperta - ripeto, strappandogli un sospiro. Si tira a sedere. Un raggio di luce proveniente da chissà dove lo colpisce e io noto che ha i capelli piuttosto lunghi e arruffati e un po' di barba.

- Torna a casa, bambina.

- Mi chiamo Leya - lo correggo. Non mi piace essere una 'bambina'. I bambini non possono fare troppe cose.

Sussulta.

- E io sono Dragan, e ora torna a casa, bambina.

- Non voglio.

- Perché?

Perché la mamma non sarà contenta, dovrei dirgli, invece...

- Perché mi piace qui.

- I tuoi genitori ti staranno cercando.

- Voglio stare qui - insisto, sedendomi in uno spazio sgombro di romanzi.

- E va bene, fa' quel che ti pare - desiste, grattandosi il capo. - Io non mi assumo nessuna responsabilità.'

- E andavo a giocare nel suo giardino e m'intrufolavo in casa sua ogni giorno, e lui mi diceva di andarmene, ma non mi cacciava mai - concludo, concedendomi un sorriso colmo di nostalgia.

- Sei una ragazza tosta, sorellina - commenta con orgoglio Mikhail. Gli accarezzo una mano.

- Siamo una famiglia forte - affermo, guardandolo intensamente. Avvampa lievemente, segno che ho fatto centro.

- Avevi già qualche sospetto? Di me, intendo - domanda, per cavarsi dall'imbarazzo.

- Be'...

'- Dragan? Perché sei sempre triste?

So che non risponde mai, ma glielo chiedo comunque. Mi lancia un'occhiata diversa dal solito, sospirando sconfitto.

- Non ho più nulla per cui essere felice.

Lo guardo con perplessità. Non sono certa di renderlo contento con la mia presenza, eppure mi sento un po' ferita.

- Proprio niente niente?

- Non ho più il mio lavoro. Non so se sarò mai in grado di ricominciare e se ne avrò l'opportunità. Colei che amavo mi ha lasciato. Ho un figlio che non ho mai conosciuto, mai visto.

- Mi dispiace - sussurro, perché è quello che dicono gli adulti quando non sanno davvero come consolare qualcuno. Dragan sorride, ma non è mai un sorriso vero. È un sorriso triste. - Perché non trovi qualcos'altro che ti renda felice?

- Perché va bene così, Leya. Sono troppo stanco per essere felice.

Stanco? Perché?, m'interrogo, però taccio. Chissà chi è suo figlio, com'è fatto. Forse sarebbe felice se lo trovassi, penso, e ad immaginare Dragan felice, realmente felice, mi prometto che glielo farò conoscere, così potrò vederlo sorridere con gioia.'

- E anni dopo ho scoperto che eri mio fratello... e sono andata dal mio più fidato confidente e lui... lo sapeva già.

'- Lo so.

- Cos-... tu lo sai?

- Sì. Perché... non è solo tuo fratello.

- E cosa, allora? Un alieno? Un OGM? - sbotto, furiosa. - Adesso basta con i segreti! Sono stufa che mi si tenga tutto nascosto! Ho diciotto anni, non quattro!

- Calmati, Leya - dice pacatamente. Lo fulmino con lo sguardo.

- No, io non mi calmo! Ho appena scoperto di avere un fratello in Australia e tu... tu... lo sapevi e non me l'hai detto!

- Non è solo tuo fratello - ripete. Si passa una mano sul volto, serrando le palpebre come se avesse un'emicrania allucinante. - È mio figlio.

- No - dico, irrigidendomi.

- Sì.

- No. Tu... no. Non anche tu. Non è vero.

- Sì, è vero. Si chiama Mikhail. Ha due anni più di te.

- Non è vero! - grido, sentendo qualcosa incrinarsi dentro di me. Me l'ha tenuto nascosto. Me l'hanno tenuto nascosto. E fa così male, perché io mi fidavo di Dragan. - Traditore!

- Leya...

Singhiozzo, mentre le lacrime mi rigano copiose il viso.

- Adesso... ha tutto perfettamente senso... il divieto di avvicinarmi a te... tu e mia madre... tuo figlio... mio fratello... mio fratello...

Mi poggia le mani sulle spalle, ma mi divincolo.

- Non mi toccare!

Mi abbraccia e io mi aggrappo al suo petto, affondandovi il volto e piangendo rumorosamente. Mi tiene stretta a sé finché non mi calmo un po'.

- Perché non me l'hai detto? - chiedo, tirando su col naso. Mi accarezza i capelli, spostando i libri per sedersi vicino a me.

- Mi è stato espressamente proibito. Tuo fratello non doveva esistere. Se avessi infranto il patto, non avrei più potuto vederti. Non avrei mai dovuto conoscerti, per tua madre, ma son felice che invece sia accaduto.

- Ho bisogno del tuo aiuto, Dragan - dico, a seguito di una lunga pausa di silenzio. Annuisce. - Voglio conoscerlo. Di persona.

- Oh no.

- Non devi venire con me. Ho diciotto anni, me la caverò. Non è quello che voglio domandarti. Ho solo...

- Ho capito - borbotta, scurendosi in volto. - Ti aiuterò. Ma non voglio saperne niente.

- Niente - ripeto, sorridendo. I suoi occhi scuri incrociano i miei. Sa che non mi può mentire.

- Assolutamente niente - mette in chiaro. Non è mai stato bravo a dir bugie quanto crede.'

- Sono felice che tu mi abbia trovato - asserisce mio fratello, alzandosi, baciandomi una tempia e lavando il bicchiere che ho usato. - Grazie, Leya.

- E di cosa? - mormoro, sentendomi pizzicare gli occhi da lacrime di non so bene quale emozione. Ripone il bicchiere al proprio posto e mi asciuga delicatamente gli occhi con i pollici, abbozzando un sorriso.

- Cпасибо* - bisbiglia, abbracciandomi. Poi torna a ciò che stava facendo prima che arrivassi e io piango, perché non ho fatto questo lungo viaggio per perderlo e perdere Bella.

Mi alzo e recupero il foglio, spiegandolo e lisciandolo. È ancora leggibile e ho solo un giorno per consegnarlo. Mi asciugo un'ultima lacrima.

Spero di star facendo la scelta giusta.

-

Note dell'autrice:
e questo era il penultimo capitolo! Avrete l'epilogo tra una settimana, eheheh. Mi precipito a scrivere l'OS. Baci!

*Grazie in russo
   
 
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