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Autore: Lost In Donbass    20/12/2016    5 recensioni
Tom non ne vuole sapere di studiare, vuole vivere la vita sulla pelle, vuole suonare agli angoli delle strade, vuole rivoluzionare qualcosa che è solo nella sua testa. Ma forse è ancora troppo giovane.
Bill è semplicemente un genio, si sente un dio, vuole che lo osannino, passa tutto il suo tempo a studiare cose che non gli interessano per sentirsi uguale agli altri. Ma nasconde qualcosa di troppo doloroso per poter essere tenuto nascosto troppo a lungo.
Ed entrambi sono troppo e sono troppo poco, sono padroni e schiavi di loro stessi, e soprattutto sono nemici giurati da anni. E se quest'anno qualcosa cambiasse? In un saliscendi di amore, odio, passione, lacrime, incomprensioni, e segreti inconfessabili, riusciranno i due ragazzi a trovare l'accordo di pace tra loro stessi?
Genere: Angst, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bill Kaulitz, Tom Kaulitz, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate
Capitoli:
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EPILOGO: SACRED
To me you’ll be forever sacred
I’m dying but I know
Our love will live
Your hand above
Like a dove over me
And one day the sea will guide you
Back to me, remember
To me you’ll we be forever sacred …
 
 
Tre anni dopo, Isola del Corvo, arcipelago delle Azzorre.
 
-Bill, sei stanco? Preferisci andare a casa?
Tom e Bill erano seduti al Portinho, l’unica spiaggia dell’isola, accoccolati uno accanto all’altro sulla sabbia dorata per i raggi del sole d’occidente che tramontava all’orizzonte, tingendo di un caldo oro e di uno splendente rosso le scogliere a picco sull’Atlantico, abbracciati, gli sguardi persi verso l’ovest e verso l’oceano sconfinato inondato dall’oro del tramonto.
-No, Tom, grazie. Possiamo stare ancora un pochino.
Tom si girò, guardando il viso di Bill, così bello eppure così distrutto. Certo, a vederlo nessuno avrebbe potuto sapere che dietro quella meraviglia e dietro a quella maschera di trucco pesante si nascondeva una faccia completamente divorata e scavata dalla malattia, viso che solamente Tom aveva diritto di vedere prima che tornassero i fard e gli ombretti a nascondere l’orrore. Gli strinse dolcemente le spalle, accarezzandogli i lunghi capelli corvini sempre sparati dappertutto. Bill guardava il tramonto con un sorriso malinconico dipinto sulle belle labbra piene, i grandi occhioni truccati oramai spenti che fissavano l’infinito.
-Amore, mi descrivi il tramonto?- sussurrò il moro, la voce melodiosa che per il rasta sarebbe sempre stata la migliore delle melodie.
-Ehm … è bello.- iniziò Tom, grattandosi una guancia. Da quando Bill aveva praticamente perso la vista da entrambi gli occhi, per lui era diventata una vera impresa dovergli descrivere qualunque cosa, cercare quelle parole poetiche che non aveva mai dovuto usare per tutta la sua giovane vita, mettere un po’ da parte il linguaggio da strada e trovare qualcosa di più elevato. – C’è il sole che sta scomparendo dietro l’orizzonte, e l’oceano da blu è diventato quasi verde, mentre le scogliere sono rosse e la spiaggia è dorata e i tuoi capelli sono diventati rosa.
Bill ridacchiò, prendendogli la mano tra la propria, accarezzando con le lunghe unghie smaltate gli anelli gemelli che avevano agli anulari, le loro fedi nuziali che brillavano alla potente luce del tramonto infuocato delle Azzorre. Si erano sposati, alla fine. A ventun’anni, con la madre di Tom che continuava a sgridare suo figlio dicendogli che avrebbe dovuto aiutare Bill, che non poteva lasciarlo a fare la donna di casa, e Tom che era sempre vestito da skater, anche se aveva provato a dirgli che poteva procuragli un frac, ma alla fine si era semplicemente presentato con il solito abbigliamento da strada e il berretto di traverso, mentre lui, lui si era ritrovato inguaiato in un immenso vestito bianco, quello che aveva sempre sognato da bambino, con uno strascico sconfinato e un mazzo di grossi crisantemi bianchi. Certo, forse avrebbe dovuto avere un bouquet nuziale un po’ più consono al lieto evento, ma Bill sapeva che non avrebbe mai potuto fare a meno della Morte, che lo aveva silenziosamente accompagnato anche all’altare. C’era nato affianco, non poteva farci niente, era parte di lui come lo era Tom, ci aveva condiviso ogni singolo attimo della sua esistenza, non si sarebbe mai scollato da lei, l’Oscura Signora che lo seguiva da vicino, che ora, nel loro splendido viaggio di nozze, li seguiva, tenendolo per mano, lui, schiacciato tra Tom e la Morte, perennemente in bilico tra il mondo e l’acheronte, come camminasse su un filo. Un bellissimo equilibrista cieco.
Era felice di aver potuto sposare Tom, si sentiva così completo ora che ogni volta che si toccava l’anulare sentiva l’anellino con il brillante, che sentiva il braccio di Tom attorno alle sue spalle, la sua voce pacata che gli diceva cosa succedeva. Era un regalo, in fondo Bill lo sapeva, di essere riuscito a vedere giusto il giorno del loro matrimonio, per poi lasciare che l’altro occhio si spegnesse pian piano, come una stella che collassa su se stessa. “Le mie bellissime nebulose”, diceva Tom quando gli baciava le palpebre, “La mia bellissima moglie”, sussurrava, baciandogli le labbra prima di dormire. E Bill sorrideva, stanco, sempre più stanco ogni giorno che passava, come se ogni minuto per lui fossero giorni, accoccolandosi contro il petto del suo rasta, toccandogli il viso, il profilo del naso, le guance, i dread, il mento, il collo, sfiorandogli le labbra con le dita, a ricordare nella sua testa l’uomo che amava e che una volta aveva potuto vedere.
-Pasticcino alla vaniglia, andiamo?- sussurrò, lasciandosi sollevare a peso morto da Tom, barcollando sui tacchi altissimi che si ostinava ad indossare, appendendosi al braccio che gli venne porto. Immaginò Tom sorridere, anche se non sapeva se fosse sempre quel sorriso battagliero e strafottente che aveva prima o se si era tramutato in qualcosa di più triste, di malinconico, come la sua voce. C’erano momenti, in cui Bill poteva percepire come la voce del rasta calasse drasticamente, assumendo una connotazione inquieta e sconsolata di cui forse nemmeno si rendeva conto. Era sempre più certo che per Tom lui costituisse una sorta di dolce tortura e non poteva non soffrirne. Cominciarono a camminare, i tacchi che affondavano nella morbida sabbia portoghese, la dolce brezza marina a scompigliargli i capelli corvini.
-Torniamo a casa, adesso. È tardi, ormai.- commentò Tom, stringendo meglio il braccio di Bill, stampandogli un bacio sulla tempia. Certo, gliel’avevano detto tutti i suoi amici. È malato, è cieco. Sta per morire, è una creatura persa. Ti stai sacrificando i tuoi vent’anni per lui. Ma Tom se ne fregava, perché quando aveva deciso di innamorarsi di Bill aveva già compreso tutto quello che comportava. Aveva compreso la disperazione, la depressione di quando se ne sarebbe andato, l’orrore e la tortura di vederlo morire ogni giorno di più, di sentirlo consumarsi sotto le sue dita e le sue labbra, di sopportare pazientemente le sue lacrime, di essere sempre lì a tenerlo in piedi in ogni senso. La sua decisione aveva compreso tutto quello, ma sapeva che non se ne sarebbe mai pentito, perché Bill in fondo era un angelo, l’angelo caduto più bello di tutto l’universo, la sua forza, la sua energia, la sua bellezza non erano pari a nulla. Potevano dirgli quello che volevano, ma Tom poteva sempre rispondere che per avere il paradiso e l’inferno insieme, concentrati in un unico angelo con le ali da demone, era disposto anche a consumare la sua giovinezza, pur di conquistare l’amore e la dedizione assoluta dei Cieli. L’aveva sposato e fatto girare nel suo immenso abito bianco, trascinandolo in skateboard per mezza Magdeburgo, aveva indossato quell’anello consapevole che sarebbe rimasto vedovo prematuramente, ma non gli importava nemmeno quello. Bill voleva sposarlo, ad ogni costo, allora lui aveva obbedito e gli aveva messo quell’anellino d’oro con inciso il suo nome. Non se ne erano andati, da Magdeburgo, alla fine. Erano rimasti lì, lui a fare il meccanico, perché proprio da scuola ci era uscito per grazia divina (o per intercessione di Bill. Che era più o meno la stessa cosa) e il moro a scrivere i suoi libri, facendoglieli leggere e correggere, per poi pubblicarli, per un pubblico che finalmente capiva le sue doti, la sua magia, la sua arte incomparabile. Erano loro due, nell’appartamento di periferia, con lo skate fuori dalla porta, perché Tom aveva deciso che potevano pure avere i soldi, senza dubbio, ma nessuno gli avrebbe tolto la sua periferia lercia e assassina. E Bill aveva docilmente chinato il capo, abituandosi alla casetta a schiera e alle vicine impiccione, al fumo delle fabbriche fuori dalla finestra e alla piccola tv che non andava se c’era un temporale e la lavatrice era in funzione.
Camminarono lentamente lungo la spiaggia, a braccetto, perché non si sarebbero mai tenuti per mano, il sole che tramontava lentamente dietro l’oceano, lanciando qualche bagliore infuocato sull’isola del Corvo. La loro casetta era laggiù, nell’insenatura della baia, piccola e schiacciata, con quella vetrata meravigliosa dove Bill si sedeva a scrivere il suo terzo romanzo, e dove Tom gli faceva scherzi di ogni genere, beccandosi qualche schiaffo, qualche strillo, e qualche caramella gommosa lanciata con stizza, insieme alle solite urla “Adesso divorzio, Tom!” per poi accoccolarglisi ai piedi e fare le fusa finché Bill non cedeva di nuovo e gli accarezzava il viso sospirando teatralmente “Sei come un bambino”. Tom, in fondo, era sempre lo stesso, eroico, scanzonato, bambino che aveva deciso che avrebbe salvato Bill da se stesso. E forse ce l’aveva anche fatta.
-Domani andiamo al mare, ok?- Tom si era seduto sul letto, basso e candido, spogliandosi e rimanendo in boxer, osservando con una punta di nostalgia il sole che tramontava. – E non voglio sentire scuse!
-Ma tesoro, no! Non so nuotare.- sbuffò Bill in risposta, acciambellandoglisi accanto e lasciando le sue mani grandi e callose aiutarlo a togliersi i vestiti sudati.
-Lo so che non sai nuotare, ma cosa c’entra? Ti tieni alle mie spalle, come l’altra volta.- Tom alzò le spalle ridendo, stampandogli un bacio sul collo.
-C’erano tutti i bambini che ci guardavano, Tom! Non voglio fare l’ennesima figuraccia.- Bill arrossì, appoggiandosi al petto del rasta e lasciandosi circondare dalle sue braccia calde e forti.
-Ma fregatene! Ti tengo io, nuoti con me, e quando sei stanco ti porto a riva.- Tom gli accarezzò i capelli, sfiorandogli le cosce pallide e sode.
-Sembro una papera.- mugolò Bill, girandosi e posando un bacio sulle labbra di quello che, faceva così strano dirlo, era suo marito.
-Sei il mio piccolo paperotto bellissimo.- il rasta rise, rovesciandolo sul letto e cominciando a solleticargli la pancia piatta e bianca. – Lo sei?
-No! Tom, dai, no! Non sono una … smettila!- Bill si contorse per il soletico, ridendo impunemente e scalciando a vuoto. – Non sono un papera!
-Sì che lo sei; ti ho detto che sei il mio piccolo paperotto bellissimo. E non mi farai cambiare idea così facilmente!
Rotolarono un po’ sul letto, uno dibattendosi ridendo isterico e l’altro sghignazzando impunemente, solleticando il corpo dell’altro dappertutto, finché Bill non riuscì, dimenandosi e strillando, a mettersi a cavalcioni di Tom, afferrandogli le mani e tenendole tra le proprie.
-Ora … ora basta, ok?- ansimò, sistemandosi meglio sul suo bacino.
Tom ridacchiò, tenendogli le mani, guardando quel viso così drammaticamente bello e quegli occhi così splendidi morti e persi in un infinito impossibile da raggiungere. Non brillavano più, oramai. Erano spenti come le luci di una centrale elettrica andata al macero tanti anni prima. Erano la sua periferia.
-Sei bellissimo, lo sai?
-Anche tu. So che lo sei, lo sento. Lo ricordo.
Bill gli accarezzò dolcemente il viso, le unghie lunghe che percorsero il profilo della guancia, del naso, del mento e delle labbra.
-Sono tanto stanco, amore.- gli ricadde al fianco, stringendoglisi contro, accoccolandosi come un gattino nell’incavo delle sue braccia.
-Lo so, piccolo mio. Ma ci sono io a tenerti in piedi, a farti da ecstasy, da metedrina, da novocaina, da tutto. Te lo ricordi, vero?
Tom lo abbracciò, baciandogli piano le belle labbra appena dischiuse.
-Sei la mia droga, quindi.- mugolò Bill, ricambiando lentamente, troppo lentamente, il bacio.
-Sono anche uno schifoso skater bruciato dal suo orgoglio rocker e dalla morale punk, ti ricordo.- il rasta sorrise sulle labbra del moro, accarezzandogli la schiena, le cosce, il fondoschiena, il corpo da modella che giaceva tra le sue braccia, bello come la Morte ma splendente come la Vita.
-Sei il mio punk che ha trovato la sua Londra da bruciare, il mio rocker che ha scalato la scala per il paradiso e il mio eroe che mi ha salvato …
Bill gli accarezzò i dread, avvolgendogli piano le gambe alla vita, sentendo Tom sempre più vicino a sé, alla sua defunta e decadente bellezza.
-E tu sei il mio piccolo paperotto bellissimo che ha permesso al punk di bruciare Londra, al rocker di trovare la strada e l’eroe a fare il suo dovere.
Tom se lo fece rotolare di nuovo sopra, approfondendo delicatamente il bacio, mai stufo e mai sazio delle labbra della sua bellissima moglie.
-Non sono un paperotto, ti ho detto.- mugolò la suddetta, strusciando i loro bacini e accarezzandogli il viso.
-E io non sono uno stradannato pasticcino alla vaniglia!- sbottò Tom, ridendo quando Bill fece una buffa smorfia e cominciò a baciargli piano il collo. Era tanto che Bill aveva perso la passione tigresca di prima, ed era tanto che facevano l’amore così, piano, dolcemente, tra baci e carezze. Non lo voleva ammettere, Bill, ma Tom lo sapeva che quello era solo uno dei segnali che la Fine era più vicina di quando entrambi potessero sperare.
-Oh sì che lo sei!.- miagolò Bill in risposta, cominciando a togliere i rispettivi boxer con una calma asfissiante, strusciandosi dolcemente contro Tom e strappandogli un gemito quando gli morse delicatamente il collo, sentendo il suo respiro bollente tra i capelli  - Io sono il tuo papero, e tu sei il mio … uhm- mugolò piano, a sentire le mani di Tom infilarglisi in mezzo alle gambe snelle – Sei il mio adorato, tanto amato, pasticcino alla vaniglia …

***
Ed eccoci qui. Non ci posso credere, la storia è finita. AAAAAAAH, ragazze vi giuro che mi mancherà un casino scrivere di sti due deficienti e di tutti i loro problemi, sono stati davvero loro a riempire tutta la mia estate, le mie ore di matematica, di ginnastica, di fisica ... e ora, eccoli qui, sposati e arrivederci e grazie! Mi mancherete cretinetti :D Intanto, voleva ringraziare tantissimo tutte quelle splendide ragazze che mi hanno lasciato così tante recensioni, quelle che hanno messo nelle cartelle e quelle che hanno solo letto, grazie davvero! Spero sinceramente che la storia vi abbia appassionato come ha appassionato me scriverla, che la fine non sia stata troppo strappalacrime e che il tutto vi abbia lasciato qualcosa. Fatemi sapere cosa ne avete pensato, e grazie ancora a tutte <3<3 Presto (credo) tornerò con un'altra ff twinchest 100%, visto che non posso staccarmi dai gemelli, sono la mia droga, la mia fissa, quindi aspettatevi un'altra storia!
Un bacione fortissimo a tutte :****
Charlie xx
  
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