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Autore: Vago    23/12/2016    2 recensioni
Libro Secondo.
Dall'ultimo capitolo:
"È passato qualche anno, e, di nuovo, non so come cominciare se non come un “Che schifo”.
Questa volta non mi sono divertito, per niente. Non mi sono seduto ad ammirare guerre tra draghi e demoni, incantesimi complessi e meraviglie di un mondo nuovo.
No…
Ho visto la morte, la sconfitta, sono stato sconfitto e privato di una parte di me. Ancora, l’unico modo che ho per descrivere questo viaggio è con le parole “Che schifo”.
Te lo avevo detto, l’ultima volta. La magia non sarebbe rimasta per aspettarti e manca poco alla sua completa sparizione.
Gli dei minori hanno finalmente smesso di giocare a fare gli irresponsabili, o forse sono stati costretti. Anche loro si sono scelti dei templi, o meglio, degli araldi, come li chiamano loro.
[...]
L’ultima volta che arrivai qui davanti a raccontarti le mie avventure, mi ricordai solo dopo di essere in forma di fumo e quindi non visibile, beh, per un po’ non avremo questo problema.
[...]
Sai, nostro padre non ci sa fare per niente.
Non ci guarda per degli anni, [...] poi decide che gli servi ancora, quindi ti salva, ma solo per metterti in situazioni peggiori."
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Leggende del Fato'
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 Keria arrivò nuovamente al termine del pianoro spoglio. Il suo sguardo si posò sul paesaggio che centinaia di metri sotto i suoi piedi si stendeva a vista d’occhio.
Tra le verdi vallate intervallate dai picchi brulli serpeggiava il sentiero che li aveva accompagnati lontano dalla setta. Più avanti, in parte nascoste dai bassi monti ai piedi dell’imponente vetta mozzata del Flentu Gar, si alzavano le ultime colline. Continuando ad avanzare fin dove lo sguardo poteva arrivare, il panorama era, a Sud, pieno della piatta distesa della Piana Umana, mentre a Nord il paesaggio si scuriva, tingendosi del colore delle chiome dell’immensa foresta.
La loro missione stava prendendo una piega orribile.
L’arciere, dopo un ultimo sguardo al sentiero sottostante, si voltò tornando in direzione della casa che era stata scelta per essere il loro riparo.
Erano riusciti a portare in superficie la giara e lo stiletto che gli avrebbero permesso di sigillare per sempre il demone, ma erano ancora ben lontani dall’averlo già trafitto con quella lama sottile.
La mano sinistra dell’arciere si appoggiò sullo scuro muro di cinta che le impediva la vista sull’alto Palazzo della Mezzanotte. Il guanto strisciava contro le pietre consumate di quella struttura.
L’arrivo di Mea non aveva portato altro che notizie peggiori.
Innanzi tutto la morte di Mero, il cui sangue era l’unica sostanza che gli avrebbe permesso di accedere al potere dell’oggetto che avevano recuperato. Non restava che sperare che la visione di Seila avesse ragione.
A questa notizia orribile si era aggiunto poi il fatto che la setta se ne era andata dalla Terra degli Eroi. Il direttore nemmeno si era scomodato di informarli di tale decisione, sicuramente non si aspettava che, una volta terminata la loro missione sarebbero tornati da lui.
La ragazza dagli occhi verdi raggiunse il drago di cristallo, che riposava accucciato ai piedi dell’imponente statua bianca che campeggiava al centro della piazza principale di quella Terra.
Il ventre della creatura cristallina era innaturalmente freddo, così diverso da quello dei draghi che li avevano portati più volte sul loro dorso. Forse, si disse Keria, era per quello che il suo compagno non aveva ancora sputato fuoco.
L’arciere gli si sedette su una zampa, appoggiando la schiena contro il possente polpaccio. Sopra i capelli castani della ragazza, il cielo cominciò a tingersi del rosso della sera, mentre una timida luna cominciava a mostrarsi per contendersi la volta celeste con le stelle e le grosse nuvole arancioni che viaggiavano placide, sospinte da una brezza lieve.

Mea ripose lo stiletto all’interno del vaso che teneva tra le gambe. Non riusciva a credere che il successo della loro missione fosse interamente riposto in all’interno di quell’oggetto di terracotta, così fragile che sarebbe bastato un nonnulla per mandarlo in frantumi.
Le dita esili della mezzelfa percorsero la bocca della giara per tutto il suo perimetro, studiando ogni singola, piccola imperfezioni che incontravano.
L’incantesimo che le era stato imposto era perfetto in ogni sua sfaccettatura, chiaro e conciso nel più minuto particolare.
Qualunque essere fosse stato pugnalato da quello stiletto sarebbe stato risucchiato immediatamente all’interno di uno spazio creato appositamente dentro al vaso, per questo non c’era nemmeno bisogno di un coperchio, così facilmente apribile, per sigillare il demone. Se solo fossero riusciti a trapassare il suo corpo, nulla avrebbe potuto liberare ancora quell’essere, nemmeno la rottura fisica della sua prigione.
Vago, però era stato previdente. Aveva creato al contempo una scappatoia, mai uno dei nuovi prescelti fosse stato imprigionato all’interno di quella trappola. Bagnando nuovamente la prigione con il sangue che ne fungeva anche da chiave, la giara avrebbe espulso qualsiasi cosa al suo interno, per questo motivo, in un foglietto conservato accanto allo stiletto lucente, l’eroe dal drago nero consigliava di spaccare il vaso non appena il demone fosse al suo interno e spargerne i cocci, in modo che fosse impossibile per chiunque riunirli tutti e bagnarli con quel sangue.
Mea rabbrividì al pensiero di quanto la magia potesse essere potente.
Teneva tra le gambe una delle armi più pericolose mai create, così, come se nulla fosse.
La maga si alzò scossa, riponendo delicatamente la giara a terra, per poi riavvolgerla nella coperta strappata che l’aveva seguita da quel giorno in cui l’avevano iniziata a quella missione.
Si diresse quindi verso l’esterno, cercando di fare meno rumore possibile per non svegliare Seila, che dormiva placidamente per terra mentre il serpente ocra vegliava su di lei con i suoi piccoli occhi scuri.
Jasno sarebbe dovuto tornare a momenti.
Da quando, quattro giorni prima, erano arrivati nella Terra degli Eroi, l’Aquila era partita in perlustrazione ogni pomeriggio, in cerca dei due compagni che ancora non li avevano raggiunti, volteggiando sulle colline e sulle alte chiome al di là dei monti.
La mezzelfa passò accanto all’imponente drago di cristallo, ammirando ancora una volta quell’imponente corpo traslucido. Dietro di lui, l’alta statua dei sei con i rispettivi draghi troneggiava sulla piana desolata, assediata da chiazze di muschio e sporadici nidi abbandonati dagli uccellini nati mesi prima.
Lontano, contro il cielo terso, una figura scura si stava avvicinando, come sospinta dai raggi del sole alle sue spalle.
Una manciata di minuti dopo, il maestoso rapace dalle piume bronzee appoggiò le zampe sul terreno, chiudendo le ali contro il corpo per permettere al suo compagno di scendere agevolmente.
Un’ombra scura si lanciò dal dorso dell’animale, atterrando silenziosa sul pietrisco e correndo in direzione delle case diroccate.
- Li hai trovati? – chiese Mea, correndo incontro all’aquila.
- Si. Hile ha detto che ci raggiungerà presto. Ora abbiamo però un problema più serio. –
Jasno scese con un balzo dal dorso del suo compagno, tornando poi a voltarsi verso la massa scura che occupava quello spazio assieme a lui.
Keria, intanto, si era alzata dal suo giaciglio, raggiungendo gli assassini che parevano confabulare animatamente.
- Cosa succede? – riprese Mea con un tono decisamente più preoccupato, mentre la mano destra correva a spostare il ciuffo di capelli blu che le era caduto davanti agli occhi.
- Hile e Nirghe sono stati attaccati, circa una settimana fa. Hile se l’è cavata senza problemi, Nirghe no. Un medico gli ha prestato le sue cure, ma durante la loro corsa le sue ferite si sono riaperte. Il lupo di Hile lo ha trasportato per tutto ieri, per fortuna io li ho trovati in tempo. –
Mea non fece domande, guardando preoccupata Jasno calare il corpo avvolto nella coperta che aveva trasportato fin lì.
Keria li raggiunse di corsa, aveva fiutato che qualcosa non andava.
La maga aprì delicatamente i lembi della coperta sporca.
Al suo interno, tremante e madido di sudore, c’era il Gatto. Due gigli di sangue si erano andati a disegnare sulla spalla e sulla gamba sinistre, impregnando la fasciatura, gli abiti e la lana soprastante.
- Keria, vai a svegliare Seila. Ho bisogno anche di lei. – disse la mezzelfa voltandosi verso l’arciere, che era arrivata al suo fianco – Jasno, mi aiuti a portarlo al coperto? Avremo bisogno anche di un fuoco. –
Il respiro dell’elfo era rotto da rantoli affaticati. Le palpebre non si sforzavano nemmeno per cercare di schiudersi, permettendo così alla luce di raggiungere le iridi scure.
Jasno, con la massima delicatezza possibile, sollevò quel corpo ferito, trasportandolo attentamente verso la porta aperta, mentre il gattone nero alle sue spalle lo seguiva mesto.
Mea li precedeva, diretta alla catasta di rami secchi che avevano raccolto nei giorni precedenti per far fronte alle notti che, man mano che le settimane passavano, si facevano sempre più fredde, a quell’altitudine.

La fiamma illuminava tremolante le pareti di pietra.
Uno spiffero gelido nasceva dalle crepe della porta marcescente per correre fino alla finestra, sulla quale una coperta era stata sistemata in modo da sopperire alla mancanza di quel vetro che decenni prima era andato distrutto per colpa delle intemperie.
Mea si voltò in direzione dell’Aquila, che stava nutrendo quel fuoco scoppiettante con i rami secchi appartenuti ai pini che costellavano i fianchi di quei monti, prima sporadici, poi sempre più comuni man mano che si scendeva di quota.
L’odore di aghi bruciati invase per un attimo l’ambiente, per poi sparire, portato via da quelle correnti fredde che tagliavano la stanza.
La maga tornò a guardare il Gatto, sdraiato accanto a lei.
Rune, disegnate con inchiostro nero come la notte,  comparivano sopra le bende fresche che coprivano le ferite. Sotto la stoffa umida, riposavano impiastri di erbe macinate e resina, accuratamente spalmati sui resti di una cucitura medica di buona realizzazione.
Il sangue aveva smesso di sgorgare, ma la febbre, nonostante le cure della maga e dell’erborista non si erano interrotte per tutta la notte e la mattinata, non accennava ancora a scendere.
Seila, sdraiata contro la parete lì vicina, riposava dopo la notte passata al capezzale di Nirghe, mentre il suo compagno osservava il ferito curioso, strisciandogli intorno, come attratto dall’odore delle piante medicinali che gli erano state spalmate addosso.
La porta si aprì velocemente, per poi richiudersi in meno di un secondo.
In piedi, sull’uscio, Keria guardava i suoi compagni di viaggio.
- Qualcosa si sta avvicinando. – disse semplicemente.
Mea si alzò, con uno scatto, allargando il braccio per richiamare il suo compagno dalla pietra sporgente che aveva decretato sarebbe stata il suo trespolo.
Appena fuori dall’ingresso, la maga sussultò, trovandosi di fronte l’imponente muso cristallino del drago dell’arciere, che fissava la porta con gli immensi occhi glaciali.
Drago e Corvo raggiunsero di corsa il bordo estremo di quella terra abbandonata.
Il sole aveva raggiunto e superato il suo culmine, illuminando e facendo scintillare le fronde che componevano la volta della Grande Vivente, ancora al massimo del suo rigoglioso splendore.
Sul fianco del Flentu Gar, due figure scure risalivano veloci tra le rocce il crinale, saltando di masso in masso con la stessa grazia delle fiere che sui monti marchiavano il loro territorio.
La mezzelfa tentò di aguzzare la vista in direzione delle creature, ma il riverbero dei raggi del sole sulle pietre le impediva di mettere a fuoco le loro figure.
Guardò il corvo sul suo avambraccio, che silenzioso e intelligente osservava le vallata che si aprivano sotto di lui.
Con un leggero movimento della spalla, la maga fece decollare il suo compagno, fondendo immediatamente la propria coscienza con la sua.
Il mondo assunse nuove tonalità.
Il vento prese a cantare, fischiando attraverso le piume delle ali e della coda, mentre il sole pareva attenebrarsi, rendendo più chiaro ciò che succedeva nel mondo.
Il volatile scuro virò leggermente a sinistra, sorvolando le rocce inospitali e i sentieri appena riconoscibili.
Le figure si fecero sempre più vicine. Il loro pellame parve schiarirsi, diventando nero che pareva essere sempre più chiaro, fino a raggiungere una tonalità che si sarebbe potuta descrivere come bianco sporco, attraverso gli occhi di quel volatile.
Dal becco del corvo proruppe un gracchio acuto, che parve spandersi in ogni direzione, là, in quel cielo che sembrava non porre limiti al suo percorso.
La creatura più alta si fermò nella sua risalita, sollevando il capo dal terreno e drizzando la schiena per portarsi in una posizione eretta. La pelle chiara del volto comparve da sotto la pelliccia che lo proteggeva dai venti gelidi che a momenti spazzavano le rocce, mentre un braccio si levò in aria.
Un altro gracchio fu la risposta del corvo, che continuò ad avvicinarsi alle due creature. Queste, senza attendere oltre, ripresero la loro risalita, saltando di masso in masso per raggiungere la vetta mozza.

Gli occhi della mezzelfa tornarono del consueto colore viola, voltandosi verso l’arciere che le stava accanto con lo sguardo preoccupato che saltava tra la valle e la maga.
- È Hile che sta arrivando. – fu la risposta di Mea allo sguardo interrogativo che le venne indirizzato.
- Hile? Come può essere lui? Hai visto cosa sta facendo? –
- Gli chiederemo come fa non appena sarà arrivato. Tanto, se continua di questo passo, non dovrebbe impiegare più di due ore a raggiungerci. Piuttosto, torniamo da Nirghe, è lui che adesso ha bisogno della nostra attenzione. –
La maga si voltò in direzione del rifugio, seguita dall’ombra del suo corvo che le volteggiava pochi metri sopra la testa.

Hile saltò sulla roccia di fronte a sé.
Sempre meno metri lo separavano dalla Terra degli Eroi.
Si voltò un’ultima volta nella direzione dalla quale era arrivato.
Dietro al folto pelo grigio di Buio si apriva la valle che avevano appena superato e, ancora oltre, alle spalle delle vette più o meno alte che avevano scollinato, il sole continuava a calare inesorabile verso il mare che scintillava in lontananza.
Quella, probabilmente, sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe potuto guardare il lato occidentale delle terre, per lo meno con quegli occhi.
Tornò a posare il suo sguardo verso l’alto, dove il suo cammino lo avrebbe portato.
Sapeva che là, all’ombra del palazzo della setta, i suoi compagni di viaggio lo aspettavano. Non aveva dubbi che Mea e Seila erano in grado di guarire Nirghe, nel periodo di tempo che lui aveva impiegato per valicare quei monti.
Sapeva che le condizioni del Gatto non gli avrebbero permesso di raggiungere con le sue sole forze, ma lui aveva rifiutato di farsi portare in groppa al grosso Athur, finendo così con il far riaprire le ferite suturate poche giorni prima e ricadendo nella febbre che lo aveva già colto quasi una settimana prima.
L’arrivo di Jasno il giorno successivo al completo collasso dello spadaccino fu una manna dal cielo per il Lupo.
Hile appoggiò nuovamente le mani guantate sulla superficie ruvida del masso su cui era arrivato. Assaporò per un attimo l’umidità della roccia attraverso i polpastrelli nudi, lasciandosi inebriare dall’odore montano di pino e aria frizzante che permeava l’ambiente.
Riprese poi a risalire, balzo dopo balzo, falcata dopo falcata, verso la vetta, con i salti attutiti di Buio alle spalle.

Non sono per niente sicuro di quello che sto andando a fare.
Continuo a credere che non sono fatto per la battaglia.
Detesto il sangue, gli sbudellamenti, le urla e quel caos di corpi e acciaio che si intrecciano, o meglio, sono uno spettacolo meraviglioso, ma solo se lo osservi sospeso a un centinaio di metri dal suolo in una forma che non può essere perforata, tagliata, bruciata, pestata o colpita per sbaglio da un nano lanciato in aria e fidatevi, quest’ultima non  una bella sensazione.
Non posso far altro che guardare questo ragazzo, cosa lo spinge ad andare avanti. Non c’è ancora nessuna guerra in atto, il demone è poco più di uno spauracchio per questi esseri dalle brevi vite, eppure si stanno per gettare nella bocca del nemico.
Il mondo sta diventando più pazzo di me, evidentemente. 



Angolo dell'Autore (immaginatemi con un cappello natalizio in testa):

Questo è un capitolo particolare, dopo secoli che non lo facevo ho ripreso a guardare i dettagli. Questa volta, ho preferito (come molto caldamente consigliato da Oldkey, a cui devo buona parte delle recensioni che ho accumulato fin ora) rallentare la narrazione, non è successo nulla, in fondo, concentrandomi sui dettagli. Credo che i combattimenti continuerò  a descriverli con frasi brevi e concise, mi danno l'idea di descrivere meglio le azioni concitate che si susseguono tra un fendente di spada e un lancio di coltello, ma altresì credo che sui capitoli di viaggio me la debba prender più comoda, godendomi il panorama.
Fatemi sapere cosa ne pensate di questo esperimento.
Ma passiamo alle cose serie!
Buon Natale a tutti!
Anche sotto le feste non penso smetterò di lavorare, quindi rimanete sintonizzati, perchè non penso prenderò pause e, mai ci fossero intoppi o cambiamenti, ve lo farò sapere.
Ancora Buon Natale, quindi. Ci vediamo la settimana prossima!
Vago 

   
 
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