AMARLA E’
Tap. Tap. Tap.
Tap. Tap. Tap.
Tap. Tap.Tap.
Tre paia di passi. Uno leggero. Uno felpato. Uno pesante.
Volgo lo sguardo dietro me. E li vedo.
I miei fantasmi. Ciò che nella mia anima si è insediato e
mai più se ne andrà.
Innanzi a me, mi guardano. Materiali personificazioni di
quel che temo.
Sono tre me stesso. Tre versioni del mio io. Come il Padre,
il Figlio e lo Spirito Santo. Tre persone uguali e distinte. Tre entità che in
me vivono, ma che io non riconosco più.
Il primo.
Il bambino.
Gli occhi sono grandi e spauriti.
Non sa cos’è il mondo.
La casa è il suo mondo.
E questo mondo è una grande prigione.
Con le sue iridi, ancora innocenti, ancora pulite come il
primo giorno di vita, guarda quell’universo di fuori delle sbarre.
Gli pare immenso, sconfinato. Ma non potrà mai esplorarlo.
Mai gli sarà permesso di odorare il profumo dell’erba appena tagliata, di
bronzare la sua pelle coi teneri raggi di un sole benevole. No, non gli è
permesso dalla terza entità che cela dentro sé. E da quella algida genitrice,
che dietro un ambiguo sorriso materno nasconde un puro terrore.
E lui guarda l’universo di fuori.
Guarda, fissa, scruta. Nient’altro può fare.
Con i suoi grandi occhi di bambino aspetta, aspetta,
aspetta.
Chi aspetti, piccolo ?
E’ una domanda che suona naturale porgli.
Ma a lui non risulterà così.
Perché lui ti risponderà che non aspetta nessuno.
Bugia. Ma non sa neppure cosa sia, una menzogna. Lo fa
inconsciamente.
Mente innocentemente perché sa che non potrà mai avere
contatti con le persone.
Li vuole, certamente, ma non li può avere. La terza entità
glielo impedisce.
Vuoi giocare con me, piccolino ?
Non posso, la mamma non vuole …
Prende un ramo nelle sue piccole mani candide, disegna
sulla sabbia, tenendo lo sguardo basso, i bei capelli lucidi e morbidi che gli
coprono lo sguardo.
Cos’è, piccolino ?
Una cosa che non posso avere …
I grandi occhi diventano umidi.
Il lungo bastoncino cade e lui corre via.
Allungo il collo, fisso il disegno sulla sabbia.
Una bambina dai capelli lunghi e i fiocchi sul capo mi
sorride dolcemente.
Il secondo.
Il ragazzino.
Una manciata d’anni vissuti. Tutti passati ad odiare il
mondo.
Ha abbandonato il bimbo dai grandi occhi : egli continua a
vivere nella gabbia. Ma lui no, il ragazzino no.
Non è che un moccioso, ma ha il cuore pesante di chi ha
vissuto mille e mille anni.
E’ arrabbiato col mondo ; ogni fibra del suo essere sembra
gridare quest’odio.
I suoi occhi non sono più grandi : sono stretti, allungati.
Se li guardi dall’esterno, sono cattivi.
Ma solo dall’esterno.
Vai all’interno del ragazzino e capirai che quel nero nel
suo sguardo è solo il risultato di tanta sofferenza e solitudine.
Non è ipocrisia, non è un vano tentativo d’instillare
pietà. Non ha pietà per nessuno, tanto meno per sé stesso … come potrebbe
volere una cosa del genere ?
No, no, no.
Perché odi il mondo, ragazzino ?
Perché lui odia me.
Tutte le parole maligne che in mezzo ai denti gli hanno
sputato addosso gli si sono attaccate al cuore. Esso le ha assorbite,
assimilate a sé. Ora, esso è nero, marcio, lordo. Non riesce a prendere in sé
altro che odio. E l’odio, in superficie, si trasforma in rabbia distruttiva,
amara e dura. Senza vie d’uscita, senza niente per poter rimediare. Anche se,
forse, qualcosa per guarirlo c’è … ma è una medicina ch’è posta troppo in alto,
costa troppo caro.
Costerebbe troppo dolore.
E lui non ne vuole più sapere di piangere.
Perché il mondo ti odia, ragazzino ?
Perché sono …
Un nodo alla gola gl’impedisce di parlare. I suoi rabbiosi
occhi sono fissi sulla terza entità.
Si fa scuro in volto e corre via. La terza creatura mi
fissa con rabbia.
Il terzo.
Il mostro.
Condivide gli stessi occhi del ragazzino.
Iridi furiose mi guardano.
Ma non v’è solo pazzia.
Vi è come … una richiesta. Una sola parola.
Aiuto.
Solo di fuori è un mostro.
Ma dentro, dentro …
Nessuno cerca mai di capire cosa si cela sotto la fiera,
vero ?
Sotto la bestia non c’è nulla. Ella è vuota, senz’anima.
No, no, no.
C’è odio misto a dolore.
Rabbia mista ad un’amarissima richiesta d’amore.
Ma nessuno s’avvicina alla bestia.
Se lo si guarda, negli occhi non si dipinge altro che
disgusto per le sue vesti.
Ed è solo quello a ferirlo.
Cosa vuoi, mostro ?
Niente, niente … sparisci, lasciami solo !!
Masochista ? Forse …
No, no, no.
Non si vuole far male da solo.
Vuol solo evitare di farne agli altri.
Perché crede che al solo toccarlo si contamini chiunque
abbia intorno.
Perché vuoi rimanere solo ?
Perché sono un mostro !!
Con questa convinzione è stato allevato.
E se n’è convinto.
Chi lo dice che sei un mostro ?
Tutti, tutti … !!
Ma tu … tu, lo pensi ?
Io … io … io …
Non mi risponde.
I suoi occhi si voltano in direzione di una figura. La
fissa qualche attimo, e fugge.
Volgo lo sguardo verso di lei. Una dolce ragazza mi sorride
radiosa.
Il quarto.
Io.
Il risultato di queste tre entità. Tutte abbandonate lungo
la strada.
Non sono più il bambino che attende d’uscire, poiché vivo
fuori.
Non sono più il ragazzino arrabbiato col mondo intero,
perché ho trovato qualcuno che ha placato la mia ira.
Non sono più il mostro che vuole rimanere per sempre da
solo isolato da tutto, perché ho trovato qualcuno che mi ha convinto che dentro
sono uno splendido uomo.
Ma dei miei tre io ho ancora qualcosa.
La perenne ricerca di qualcosa. Che si è poi trasformata
nella ricerca di qualcuno.
Ma … forse … l’ ho trovata. La mia medicina è innanzi a me.
Dorme, il bellissimo fiore.
La guardo da lontano, allo stipite della porta.
Dio, quanto la amo.
Nessuno può capire quanto.
E’ un sentimento incalcolabile e sconfinato … nessuno sa
quanto ha fatto per me.
Sono morto e rinato grazie a lei.
E’ rimasta sempre accanto a me.
Ha preso tra le braccia il mio animo ferito, l’ ha ninnato
sino a curarlo da tutto.
Ha tenuto la mia mano durante il cammino, anche mentre
stavo per cadere definitivamente in un nero burrone.
Ma quanto soffro per questo sentimento …
Dio, ho mentito a me stesso. Non ho abbandonato nulla lungo
la strada. Tutt’e tre vivono in me, tormentandomi.
Io lo so quanto non dovrei amarla, quanto le dovrei stare
lontano …
Soffro.
Soffro immensamente perché gioisco troppo.
Ma non posso farci nulla.
Mio piccolo, dolcissimo fiore, dormi, fatti cullare da
Morfeo, rimani sorda al mio amore. Rimani pura.
Amarti è sofferenza, è dolore, è lacrime.
Ma queste sono le prime lacrime che sono contento di versare.
8 aprile 2005