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Autore: Alina Alboran    24/12/2016    3 recensioni
Dicembre è in corso, Natale è in arrivo e troppe difficoltà si presentano tutte assieme.
Stiles - padre single di due bambini - riscopre la magia del Natale, complici un medaglione prezioso e un uomo imprevisto.
[Sterek] [AU film The Christmas Secret]
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Quando Derek si svegliò Peter era già sceso al piano di sotto, controllando alcune fatture e preparandosi ad aprire il negozio.                     
«Come mai già in piedi?». Derek si stiracchiò e prese posto sullo sgabello dietro al bancone.
«Sono Newyorkese, noi ci svegliamo all’alba». Peter alzò gli occhi al cielo e gli diede un leggero pugno sul braccio.           
«Vedo che hai fatto i muscoli, nipote». Derek non rispose ma annuì, poi appoggiò la testa sulle braccia incrociate sul ripiano davanti a sé.  
«Invece che stare qui a poltrire vai a prendermi delle ciambelle da Betty». Alzò la testa e lo guardò con un sopracciglio inarcato. 
«Ma non avevi promesso a Malia che avresti smesso?». Peter gli riservò la peggior occhiata del suo repertorio, posò il plico di fogli che aveva tra le mani su uno sgabello, e si protese verso Derek prendendolo per il colletto della camicia.           
«Non dire mai più una simile eresia». Il nipote scoppiò a ridere per lo sguardo serio dello zio e si sistemò la camicia leggermente sgualcita.           
«Tu sei pazzo». Il suo telefono cominciò a squillare e Peter non poté ribattere.     
«Vado fuori a rispondere». Indicò il cellulare e si diresse verso la porta di vetro decorata con neve finta, palline di Natale, luci e tanti altri addobbi. Sicuramente era opera di Malia: Peter non aveva tanto buon gusto.     
«Ricordati le ciambelle. E chiedi a Danny, lui saprà cosa darti!». Scosse la testa esasperato ma annuì.   
Natale era sempre più imminente e il freddo mattutino colpì anche Derek che, mentre cercava di prestare attenzione al suo interlocutore, tremava e cercava di ripararsi con la misera giacca del completo.      
Stava parlando con suo padre che gli dava alcune direttive sul colloquio che aveva rimandato ma che si sarebbe comunque svolto entro il venticinque dicembre.      
I suoi occhi si posarono su una figura tutta incappucciata – con una sciarpa intorno al collo e i guanti alle mani che cercava di scaldare soffiandoci sopra – e improvvisamente suo padre era passato in secondo piano. Quando lo aveva raggiunto i loro occhi si erano incrociati e Derek aveva osato sorridergli, alzando una mano in segno di saluto. E di certo non si aspettava che questi lo fulminasse, accelerando il passo per poterlo superare più velocemente.        
«Sì, scusa. Controllo e poi ti faccio sapere».            

Stiles amava il suo nuovo impiego. Certo, non erano passati che due giorni però  
si sentiva rinato e non intrappolato in un lavoro che non gli dava alcuna soddisfazione. Non che da Betty i suoi incarichi fossero poi tanto diversi ma amava fare i dolci, e soprattutto si sentiva finalmente apprezzato e forse anche amato. Non aveva avuto una vita facile, crescere tra una casa famiglia e l’altra non era stato facile e non aveva mai capito che cosa fosse l’amore prima di incontrare Lydia. Anche se, con il senno di poi, Stiles non è più tanto sicuro che fosse vero amore. Sì, aveva avuto le farfalle nello stomaco e il suo cuore batteva più forte quando lei era nei paraggi. E sì, avevano fatto due bambini che amava con tutto se stesso e per i quali avrebbe dato la sua vita. Ma oltre questo nulla di più.    
Venne distolto dai suoi pensieri dalla voce di un uomo che, in piedi davanti ad un negozio chiuso, stava parlando al telefono con qualcuno. Inizialmente non lo aveva riconosciuto, ma quando si era avvicinato di più aveva visto di chi si trattasse. Era la stessa persona che aveva più volte incrociato i giorni scorsi e che – lo sapeva – era sicuramente qualcuno pagato da Lydia per controllarlo.  
Aveva persino avuto il coraggio di salutarlo.           
“Sciacallo!”, pensò Stiles dopo averlo superato.      

«Eccomi», disse entrando. Si tolse il giubbotto e la sciarpa mentre con lo sguardo cercava di individuare Betty.           
«Sono in cucina». Sentì poi urlare la donna.            
«Tesoro, ti spiace indossare anche oggi il grembiule di Danny? Quello per te arriverà dopo Natale».
«Ma certo». Indossò il grembiule dall’appendiabiti e girò il cartello da “Chiuso” ad “Aperto” prima di raggiungere la donna in cucina e cominciare e mettere in esposizione i vari vassoi di ciambelle, biscotti e altri dolciumi.          
Aveva appena finito di servire una giovane ragazza incinta che, entusiasta dei vari dolci, se ne era comprata uno per ogni tipo. Betty era in cucina perché doveva assolutamente finire di preparare una torta di compleanno, Danny – l’altro commesso – quel giorno non era potuto venire, e lui si destreggiava tra i vari clienti. Distratto dal cellulare e dalla mezza litigata con Lydia tramite messaggi, non si era accorto né della porta che si era aperta né del cliente che era entrato.     
Solo il colpo di tosse dell’altra persona gli fece abbandonare con un sospiro rassegnato il telefono, che girò con lo schermo verso il basso per non venire distratto dalle numerose notifiche di WhatsApp.   
«Buongiorno». Il sorriso si interruppe a metà quando vide chi gli stava di fronte.            
«Buongiorno… Danny». L’uomo lesse il nome ricamato sul grembiule.    
«Lo sai cosa voglio». Quel Danny gli interessava e aveva provato ad essere spiritoso per cercare di rimediare all’occhiataccia ricevuta quella mattina, ma la sua battuta sembrava averlo infastidito ancora di più.      
«Sì che lo so e non succederà mai, sono stato chiaro?». Spalancò gli occhi e fece qualche passo indietro. «Puoi dire a quella stronza che ti ha mandato che io non cederò mai. Mai». Fece il giro e gli si avvicinò putandogli l’indice contro il volto stupito dell’altro.      
«È inutile che fai quella faccia. Se ti abbassi a questo sei anche peggio di chi ti ha mandato. E ora vattene. Ora!». Si ritrovò ad urlare in mezzo al negozio, attirando l’attenzione di Betty che lo raggiunse immediatamente ma non abbastanza in fretta per vedere l’uomo contro cui Stiles stava urlando.     
«Tesoro, ma cosa sta succedendo?». Con le mani Stiles si asciugò gli occhi leggermente lucidi. Lydia poteva anche avergli messo uno scagnozzo alle calcagna, ma non sarebbe bastato per affidarle i bambini. Ashley e Jace erano suoi e di nessun altro.          
«Ma niente… La mia ex sta cercando di ottenere l’affidamento dei bambini e mi sta facendo seguire». Il tono rassegnato intenerì la donna che, impacciata a causa della differenza d’altezza, abbracciò Stiles.
«Vedrai che andrà tutto bene». Il ragazzo annuì anche se cominciava a temere che Lydia avrebbe usato qualche mezzo losco per togliergli i bambini. Perché sì, era di questo che si trattava. Lei non voleva passare più tempo con i figli e tantomeno voleva fare loro da madre. La sua intenzione era solo quella di far soffrire lui.
«E chi è? Lo conosci?». Scosse la testa.       
«No, però l’ho visto spesso. Uno come lui non si dimentica facilmente». Betty piegò la testa di lato, incuriosita dalla direzione che stava prendendo il discorso. Accorgendosi di ciò Stiles lo descrisse brevemente.
«Alto. Moro. Occhi verdi e un sedere che parla». Alla sua ultima affermazione la donna scoppiò a ridere.        
«Mi sembra di sentir parlare Danny». Appoggiò la mano sulla spalla di Stiles stringendo leggermente.  
«Dagli il mio indirizzo a uno così, magari decide di seguire me».              

Per non tornare al negozio da suo zio a mani vuote, Derek decise di prendere un taxi e andare all’ospedale da Malia per dirle che purtroppo non era ancora riuscito a trovare questo fatidico Stiles.
Bussò alla porta con timore, perché aveva sentito già mentre saliva le scale la voce di Malia che inveiva contro le infermiere per il cibo pessimo che servivano in quel posto. 
«Avanti!». Diede un calcetto alla porta per farla aprire e, senza entrare, annunciò la sua presenza.
«Spero per te che mi porti buone notizie». Dire che era nervosa era un eufemismo. Derek e Malia non avevano mai avuto modo di interagire per più di qualche ora una volta ogni qualche mese, e nonostante Derek fosse a conoscenza del suo comportamento un po’ peperino non si aspettava fosse… così!     
«Ascoltami bene, Derek». Lo aveva tirato per una manica per farlo avvicinare, incastrandolo in un gioco di sguardi. «L’unica cosa che voglio per Natale è riuscire ad essere faccia a faccia con Stiles e ringraziarlo per avermi salvato la vita. Sono stata chiara?». Tremò a quelle parole che gli ricordavano tanto le stesse che Danny gli aveva urlato contro non più di mezz’ora prima.   
Deglutì a vuoto prima di annuire e dileguarsi velocemente dalle grinfie della ragazza.
«Se non lavora più da Patterson lavorerà da qualche altra parte».              
«Sì… giusto!».          
Quando fu lasciata nuovamente sola Malia si lasciò dolcemente ricadere sul materasso, portandosi il bracciò non ingessato a coprirsi gli occhi.            
«Ma perché agli uomini bisogna sempre spiegare tutto?».

 

Erano passate ore e Derek aveva girato metà dei negozi di Beacon Hills senza trovare da nessuna parte Stiles. Stava uscendo da un salone di parrucchieri quando, senza volerlo, andò a sbattere contro qualcuno.    
«Scusi».
«Ancora tu?». Davanti a lui, con il giubbotto aperto e la sciarpa appesa malamente intorno al collo, vi era Danny.           
«Sì, io». Non sapeva perché o che cosa, ma c’era qualcosa in quel ragazzo che attirava particolarmente la sua attenzione. Era rimasto incantato dai suoi occhi castani e dai nei che gli costellavano il volto. A Derek i nei non piacevano, li considerava come imperfezioni della pelle, ma quelli di Danny erano perfetti. Sì, semplicemente perfetti.          
«Che, vuoi farti la tinta?». Lo prese in giro dopo aver dato un’occhiata all’insegna del negozio. «Hai ragione, ora che guardo meglio intravedo qualche capello bianco». Derek si portò la mano a coprire il punto che l’altro stava fissando, scompigliando le ciocche per cercare di nascondere eventuali imperfezioni.         
«Non proprio… Sto cercando qualcuno». Stiles infilò le mani in tasca.     
«Non ne dubito». Derek aggrottò le sopracciglia.   
«Lo sai che non so assolutamente cosa ti passa per la testa e perché sei così scorbutico nei miei confronti, vero?». Per tutto il tempo Stiles gli aveva fissato le labbra, desiderando di baciarle e mordicchiarle per ore. 
«Danny?». Derek gli passò una mano davanti agli occhi leggermente infastidito. Era la prima volta che una persona lo degnava di così poca attenzione, soprattutto una persona che gli piaceva e su cui voleva fare colpo.  
«Non sono chi pensi che io sia. E anzi, rimarresti scioccato se conoscessi il vero Danny». Derek sorrise a quella provocazione.
«Vivo a New York e niente mi sorprende più. Perché non ci provi tu?». Abbassò la testa imbarazzato per quella rima involontaria e ridicola.                      
«Vedremo…».          
«Che ne dici se intanto evitassimo di scontrarci per sbaglio?».       
«Vedremo…». Stiles ripeté la risposta precedente e superò Derek che era rimasto a fissargli la schiena e qualcosa un po’ più giù.

 

Quando Derek rientrò nel negozio Peter lo stava aspettando con le braccia incrociate al petto, un cappello natalizio in testa e un broncio che faceva divertire Derek.         
«È mezzogiorno, nipote! Mezzogiorno! E mi hai promesso le ciambelle questa mattina». Derek si portò una mano dietro e si grattò la nuca imbarazzato.          
«Beh… non è di certo colpa mia. Ho incontrato quel Danny. Devo dire che è un tizio davvero interessante e misterioso». Peter inarcò un sopracciglio scettico.   
«Danny misterioso? Ma stiamo parlando della stessa persona?». Il sorriso ebete su volto di Derek lo fece desistere dal chiedere altro, lo conosceva abbastanza bene da sapere che in momenti come quelli non gli prestava la minima attenzione.     
«E Stiles?». Quel nome e il ricordo di Malia infuriata bastarono per fargli riprendere la concentrazione su Peter e su ciò che lo circondava.
«Non ho trovato niente di niente». Si appoggiò con la schiena contro una colonna del negozio. «Inizio a sospettare che nemmeno esiste. Che poi… che nome è Stiles?». Peter alzò le spalle. Aveva chiesto a tutti i clienti che entravano nel negozio se conoscessero un certo Stiles, ma nessuno gli aveva dato una risposta positiva. Sembrava che quel ragazzo fosse stato inghiottito da un buco nero o – come diceva Derek – non fosse mai esistito. Ma sapeva quanto fosse importante per Malia incontrarlo e per amore di sua figlia avrebbe smosso mari e monti pur di ritrovarlo. 
La porta del negozio si aprì e sia Peter che Derek vennero catturati dai due nuovi clienti: un bambino e una bambina che si guardavano meravigliati intorno.        
«Ehi! Posso aiutarvi?». Derek abbandonò la sua posizione e si avvicinò ai due, abbassandosi per essere alla loro altezza.           
«Questo negozio è bellissimo!». Con un movimento alquanto goffo la bambina aveva disteso le braccia verso l’alto per sottolineare quanto le piacesse il negozio.          
«Davvero, e hai trovato qualcosa che ti piace?». Annuì velocemente con un sorriso largo sul volto che mostrava due dentini caduti.           
«Quella bambola in vetrina. È così bella». I suoi occhi luccicavano di felicità e il cuore di Derek cominciò a sciogliersi.      
«Lui è tuo fratello?», chiese riferendosi al bambino più grande che l’aveva accompagnata e il cui sguardo era fisso su un guantone da baseball.       
«Sì. Lui è Jace mentre io sono Ashley. Tu chi sei?». Derek rise di fronte all’audacia della piccola e allungò la mano per farsela stringere.  
«Io sono Derek. Piacere di conoscervi». Ma la bambina aveva guardato scettica la mano e si era sporta in avanti, baciando la guancia ruvida di Derek. L’uomo sentì immediatamente tutto il sangue affluirgli al volto, e ringraziò la sua buona sorte per la barba che nascondeva il rossore.      
«Perché non vai con mio zio a guardarti in giro?  Io credo di dover parlare con Jace da uomo a uomo». Sentendosi tirato in causa il bambino si irrigidì, guardando l’uomo con sospetto.        
«Ti piace il baseball?». Jace annuì.   
«E ci hai mai giocato?». Questa volta negò.
«No, papà è una schiappa». La risata del piccolo coinvolse anche Derek che, preso dall’entusiasmo del momento, prese un guantone e una palla da uno scaffale.        
«Secondo me sei un ricevitore». Lanciò il guantone a Jace che lo indossò immediatamente.       
«Mettiti accovacciato nell’angolo là in fondo e quando ti lancio la palla cerca di prenderla, ok?». Il ragazzo fece come gli era stato detto e, non appena si rese conto di ciò che Derek voleva fare il suo cuore cominciò a galoppare furioso nel petto.       
Il lancio di Derek non fu molto forte o complicato, Jace lo sapeva, ma l’emozione che aveva provato quando si era trovato la palla tra le mani era bastata per fargli capire che era quello che avrebbe voluto fare d’ora in poi.        
«Wow, è stato fantastico! Grazie, Derek!». Con una piccola corsetta si lanciò tra le braccia di Derek.
«Alla tua età facevo parte della squadra di baseball della città. Ti piacerebbe giocarci?».
«Da morire».  
«Ritorna qualche volta così facciamo due tiri, che ne dici? E magari ti trovo anche una squadra». Derek non si era mai sentito così felice in vita sua come in quel momento. Vedere che con talmente poco era riuscito a rendere felice quel bambino aveva smosso qualcosa dentro di lui. 
Stava ancora sorridendo da solo quando Peter gli si era avvicinato da dietro, urlandogli nell’orecchio e facendogli fare un salto di un metro alla sua destra per lo spavento.    
«Ma sei scemo?».      
«Su che non ti ho fatto niente». Peter aveva preso a tirargli le orecchie non dando altra scelta a Derek che adattarsi alle sue pazzie. Sbuffò e si tolse le mani dell’uomo dalla faccia.                
«Alleni ancora la squadra di baseball?». La domanda non prese Peter di sorpresa. L’uomo aveva infatti origliato l’intera conversazione tra Derek e Jace.       
«No, ho smesso quando è arrivata Malia. Ho troppe cose di cui occuparmi ora come ora. Però se tu volessi farlo… potrei sponsorizzarla». Derek sospirò. Aveva letto sotto le righe e capito che cosa Peter gli volesse chiedere.    
«Ho il colloquio il ventitré o il ventiquattro, Peter. Rimarrò a Beacon Hills e ti aiuterò con il negozio solo fino a che non dimetteranno Malia dall’ospedale».                  
«Ho capito…». A Derek dispiaceva vedere le spalle basse e gli occhi tristi dello zio, però aveva un’opportunità lavorativa unica e non poteva rinunciarci per tornare in una cittadina che non gli dava alcuno sbocco professionale.            

La giornata lavorativa di Stiles stava volgendo al termine perciò, dal momento che ormai non sarebbero più arrivati altri clienti, lui e Betty si erano messi a parlare del più e del meno per provare a conoscersi meglio.        
«Come mai tutte queste magliette e cappellini di baseball?». La domanda gli girava in testa già da diverso tempo ma non aveva mai trovato il coraggio o l’occasione giusta per chiedere. Un’intera parete del negozio era infatti dedicata a interi articoli sportivi dedicati al baseball, mentre due mensole erano ripiene di trofei e medaglie. Una simile decorazione era abbastanza insolita per un negozio di dolci, e Stiles era fin troppo curioso per non chiedere. Betty rispose con un mezzo sorriso che fece pensare Stiles che sarebbe stato meglio se avesse tenuto la bocca chiusa.            
«Erano di mio figlio. Amava il baseball ed era un giocatore eccezionale». Si asciugò una lacrima solitaria che le era sfuggita.         
«E ora non gioca più?».        
«Tesoro, il mio bambino non c’è più. È morto da più di vent’anni». Il ragazzo si morse la lingua come punizione per essere stato tanto indiscreto. Certo, non si aspettava una simile risposta, ma sospettava che ci fosse una storia nascosta dietro a tutti quegli articoli.
Vedendo il suo muso lungo Betty gli aveva alzato il mento con due dita, sorridendogli piena di vita e allegria.
«Non rattristarti, piuttosto dimmi cosa ha portato te a Beacon Hills. Non è proprio una meta turistica». Rise la donna mentre, per dare a Stiles la giusta intimità per rispondere alla domanda potenzialmente scomoda, afferrò un panno e cominciò a lavare la vetrina adesso priva di dolci.   
«Volevo essere più vicino a mio padre». Betty alzò la testa e lo guardò.   
«Vive qui? Come si chiama?». Il ragazzo scosse la testa.    
«È nato qui però prima che io nascessi se ne è andato per cercare fortuna. Ha incontrato mia madre, si sono innamorati e lei è rimasta incinta di me. Sperava che potessero essere felici ma è morto in servizio prima che io nascessi». La donna aveva interrotto la sua attività e adesso stava cercando un modo per consolare quel ragazzo che in pochi giorni le era diventato tanto caro. Lo conosceva davvero poco però c’era una scintilla in lui che faceva sì che tutti gli si affezionassero.      
«E non sai il suo nome? Magari riesco a metterti in contatto la sua famiglia. Ho sempre vissuto a Beacon Hills e conosco tutti». Stiles scosse la testa desolato.         
«Purtroppo non lo so. Mia madre è morta quando io ero piccolo e non mi ha mai detto molto di lui, e se l’ha fatto io ero troppo piccolo per ricordare. L’unica cosa che so e che ricordo con chiarezza – riesco quasi a sentire la sua voce riecheggiarmi nelle orecchie – era che lui era l’amore della sua vita».        
Stiles interruppe il discorso a metà perché venne investito da due piccoli uragani che avevano appena oltrepassato la porta d’ingresso, travolgendolo in un abbraccio soffocante.           
«Papà! Papà!». I bambini gli saltellavano intorno facendo girare la testa alla povera Betty che non aveva più l’età per riuscire a stare dietro a bambini tanto energici.        
«Che c’è?». Aveva salutato entrambi con un bacio sulla fronte e adesso aspettava divertito che almeno uno dei due gli spiegasse cosa stesse succedendo. Quel giorno la babysitter non era andata a prenderli a scuola e i bambini erano ritornati da soli. Non era la prima volta che succedeva e sapeva che Jace fosse un bambino molto responsabile, però non poteva non essere in ansia. Il loro buonumore aveva tuttavia cancellato non solo l’ansia ma anche la malinconia e la tristezza che lo avevano pervaso mentre parlava con la donna.   
«Ho visto la bambola più bella del mondo, papà. Voglio quella per Natale». L’aveva attirata a sé con un braccio, godendosi l’abbraccio della figlia.    
«E dove?».    
«Nel negozio davanti, mi sembra si chiami “Hale’s”». Betty annuì.           
«Sì, è il negozio di Peter. È un uomo molto gentile anche se mangia davvero troppe ciambelle e per questo litiga sempre con la figlia», spiegò la donna.         
«E tu hai visto qualcosa che ti piace?», chiese questa a Jace che stava ammirando i trofei ordinatamente riposti sulle mensole.         
«Sì! Un guantone da baseball».        
«Oh? Ti piace?».       
«Sì! E credo di voler essere un ricevitore».  
Betty si tolse il capellino che indossava e lo diede a Jace che, con le mani tremanti, aveva girato la testa verso il padre chiedendogli il permesso di accettare il regalo.        
«Era di mio figlio».   
«Grazie». Si girò il cappello tra le mani a lungo, quasi incredulo di poterlo indossare. E, se apparteneva alla persona che aveva vinto tutti quei premi, Jace sperava che gli portasse fortuna.     
«Papà, guarda! C’è anche una “J” ricamata. È perfetta per me».    
I bambini andarono nel retro a giocare mentre Stiles e Betty continuarono a sistemare il locale per l’apertura del giorno successivo.     
«È chiuso», urlò Betty ad una cliente che stava battendo contro il vetro.  
«Aprì, vecchia scopa!». Stiles si coprì la bocca con le mani per trattenere la risata.           
La cliente entrò e Betty finse di guardarla malamente.       
«Stiles, questa è Jessica. Purtroppo io la sopporto da anni e anni, e dovrai imparare a farlo pure tu».
«Piacere di conoscerla, signora».      
«Il piacere di incontrare uno zuccherino come te è tutto mio!».     
«Jessica ha un centro in cui si occupa dei bambini del dopo scuola, tu ne hai bisogno?». 
«Io? Sì, sarebbe fantastico!».
«Mi dispiace, zuccherino, ma non ho posto ora come ora».
«Ah… Non si preoccupi, continuerò a cercare».     
Betty aveva mandato via Stiles e i bambini dicendogli che ci avrebbe pensato lei a finire di sistemare. L’uomo accettò di buongrado la sua proposta, dal momento che era davvero stanco per essersi svegliato all’alba per preparare i panini che Ashley doveva portare a scuola e di cui gli aveva parlato solo prima di andare a dormire.    
Rimasta sola con la donna, Betty mise le mani chiuse a pugno sui fianchi e guardò seriamente l’altra donna.    
«Ascoltami bene, Jessica. Tu troverai un posto per quei due angeli e non chiederai nemmeno un centesimo a Stiles».           
«Betty…».
«No! Non voglio sentire scuse. Quel ragazzo ne ha passate davvero troppe e merita di trovare un po’ di tranquillità».

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Note:  Innanzitutto grazie a tutte le persone che hanno letto la storia oppure l’hanno recensita o messa tra le preferite/seguite/ ricordate.    
In secondo luogo scusate per la brevità del capitolo però oggi mi sono tagliata ad un dito e faccio veramente fatica a scrivere, perciò ho preferito fare questo capitolo più corto e l’altro sarà un po’ più lungo. 

La storia entra sempre un po’ più nel vivo e finalmente Stiles e Derek cominciano a interagire, e pian piano verranno svelati anche gli altri equivoci e “misteri” presenti.   
Spero davvero che la storia vi stia piacendo perché a me, a dire il vero, non convince più di tanto. Forse perché è una AU ispirata ad un film o forse perché lo stile mi sembra troppo semplice e banale… Non so…
Mancano ancora un po’ di capitoli (almeno altri quattro-cinque) perciò non credo di riuscire a finire di pubblicare entro la fine di dicembre essendo già il 24 dicembre. Però tranquilli, aggiornerò comunque con frequenza – almeno due volte a settimana – quindi non dovrei andare oltre la prima metà di Gennaio.

Alina_95

 

BUON NATALE!!

   
 
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