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Autore: ClaryWonderstruck    25/12/2016    5 recensioni
[ Il cielo sembrava un’estesa massa di luci vorticanti, di scie circolari che si inondavano le une sulle altre in un concatenarsi quasi eterno. Vigilavano sulla cittadina mercantile che dormiva quieta, nel silenzio della notte, accompagnando i loro sogni con il brillare delle stelle che vi si specchiavano ... ]
[ ... Marinette avrebbe potuto osservare quel dipinto per ore, per giorni, rimanendone rapita come la prima volta]
E se i dipinti di Van Gogh non fossero stati l'unica fonte di luce, quella notte ? Si sa, la luna è compagna dei felini che si aggirano in cerca di compagnia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Alya, Gabriel Agreste, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Una notte al museo











Il cielo sembrava un’estesa massa di luci vorticanti, di scie circolari che si inondavano le une sulle altre in un concatenarsi quasi eterno. Vigilavano sulla cittadina mercantile che dormiva quieta, nel silenzio della notte, accompagnando i loro sogni con il brillare delle stelle che vi si specchiavano.

I colori caldi degli astri, circondati da quelle aure magnetiche, venivano mescolati perfettamente con la freddezza del blu sconfinato, ed il nero pece che le ombre gettavano sull’unico cipresso del paese. Era così denso che regalava la vivida impressione d’esser un incendio sul punto di morire.

Quell’infinitezza, la ricchezza dei colori accesi, spenti, opachi e tonali, pareva l’eco di innumerevoli gridi appartenenti a indecifrabili voci distinte.
Ognuna con i propri desideri, con la propria storia. Oltre il fascino della notte, scavando all’interno della scintillante volta celeste, era possibile perdersi totalmente nel mare di sentimenti che vi celava.

Sembrava un mistero cosa Van Gogh volesse trasmettere dipingendo tale meraviglia, eppure riusciva comunque a comunicare diverse note a ciascuno degli spettatori senza ripetersi mai. Pennellate grosse e cariche di emozioni, prive di esitazioni, ma allo stesso tempo fragili come le stelle cadenti: al vertice della propria gloria e contemporaneamente ad un passo dalla collisione.

Marinette avrebbe potuto osservare quel dipinto per ore, per giorni, rimanendone rapita come la prima volta. Le infondeva l’ispirazione giusta per esprimere la sua creatività artistica, così da poter abbozzare schizzi di modelli che aspettavano soltanto di esser scoperti dalla sua mente.
Non avrebbe mai smesso di ringraziare la sua accademia per quella visita in previsione delle vacanze natalizie. Era stato come infilare la testa in un calderone di idee e venirne risucchiata completamente.
Ok, probabilmente la presenza di Adrien aveva inizialmente catturato la sua attenzione, ma una volta entrati nella sala d’esposizione, tutto il mondo era semplicemente svanito alle sue spalle. Esisteva solo la sua arte come unica fonte di vita.

<< Pronto ?! Terra chiama Marinette ! >> mormorò poi Alya, sventolandole una mano sotto il suo naso. Lo stato di trance in cui era entrata iniziava a spaventarla davvero, soprattutto perché era riuscito a rapirla persino dalla contemplazione del ragazzo dietro al quale sbavava da circa un paio d’anni.
Marinette indietreggiò velocemente, scuotendo la testa per lasciare defluire le rumorose idee che rombavano dappertutto. Finì  con abbandonarle completamente, come onde oceaniche fuggono dalla riva quando la marea si fa grossa.

<< Marinette è al momento nel paese di Van Gogh, si prega di lasciare un messaggio dopo il beep >> rispose la giovane in tono scherzoso, osservando attentamente tutti i disegni che la sua mano aveva automaticamente trasposto su carta.
<< Mancano dieci minuti alla chiusura del museo, e tutti gli altri se ne sono già andati da un bel pezzo. Che ne dici di un bel film e qualche schifezza ?? >>
Alya provava a persuaderla con le sue solite tattiche subdole, ma quel giorno Marinette poteva considerarsi tutto fuorché se stessa.
Forse un altro giorno, in un’altra vita, l’avrebbe seguita senza pensarci due volte, come tutti i ragazzi della sua età avrebbero fatto. Ma lei non era normale, nemmeno un po’.

<< Per quanto sia allentante, sta sera passo. Devo completare alcune bozze e non voglio trattenerti oltre con le mie visioni “divine” >>

Alya salutò Marinette sbuffando e borbottando qualche lamento che la supereroina avrebbe colto sicuramente se solo non fosse stata presa dall’immensità della mostra. Il tempo rimanente era veramente poco considerando la quantità di ispirazione che la stava divorando.

Quando la solitudine invase totalmente l’esposizione, oramai abitata dai soli quadri appesi alle pareti bianco latte e la giovane seduta a quattro di bastoni di fronte la “Notte Stellata”, le luci si spensero una ad una secondo un ritmo abbastanza inquietante.
Erano passati soli pochi minuti dalla dipartita di Alya, eppure Marinette sentiva che quel piccolo imprevisto presto o tardi si sarebbe rilevato più grave del previsto.

La fanciulla si guardò attorno interdetta, indecisa se iniziare ad allarmarsi oppure defilarsi senza intervenire troppo. Se solo Tikki le fosse rimasta accanto in quel momento, avrebbe potuto trasformarsi ed investigare l’entità del pericolo, ma quella coccinella furbetta l’aveva bidonata per un bel pisolino sotto le coperte di casa Dupain-Cheng. Mai fare l’errore di riporre la maschera, adesso lo capiva perfettamente.
Sfruttò la luce del telefono per guidarsi tra i corridoi del museo, investendo di tanto in tanto la superficie di alcuni quadri esposti. Abbagliati così intensamente dalla torcia, assumevano tinte grottesche che ricordavano le ambientazioni dei tipici film horror americani. Mancava la colonna sonora da brividi ed un uomo vestito di nero – si disse ingoiando a forza le perplessità riguardo quel silenzio atroce.

La sfortuna volle che proprio in quell’istante partisse sugli schermi della sala la sonata al chiaro di luna di Beethoven, più cupa e tetra di quanto non avesse mai potuto quantificare fisicamente. Marinette alzò gli occhi al cielo maldicendosi per aver scommesso contro il karma. Evidentemente - era giunta alla conclusione - il fato non voleva dargliela vinta senza il suo prezioso Miraculous a darle man forte.

<< Perrr-sa, principessa ? >> echeggiò improvvisamente la parete alle sue spalle, rivelando un paio di occhi vispi e verdi dotati di fessure sottili tipicamente feline. Fu un colpo al cuore.
<< Oh andiamo ! >> brontolò Marinette esausta << Quando dicevo “uomo vestito di nero”, non intendevo con una tutina di lattice aderente !>>
Marinette non poteva vedere chiaramente l’espressione sul volto di Chat Noir, ma sentiva su pelle il fastidio opprimente delle sue solite smorfie incredibilmente irritanti. Incurvava leggermente un lato della bocca, vaneggiando solitamente sulle sue meravigliose ed estremamente divertenti battutine taglienti. L’unica cosa che Marinette avrebbe voluto recidere era, però, la sua lingua affilata.

<< E privarti della mia presenza ? Non sarebbe troppo crudele ? >> replicò Chat sgusciando fuori dal buio pesto che l’aveva avvolto fino a un momento prima. Marinette puntò la torcetta verso il soffitto, così da rendere più o meno visibile l’intero perimetro circostante.
<< Crudele è quello che ti farei se non avessi bisogno del tuo aiuto … >>

Chat avanzò di soppiatto, sfregandosi il mento con un’aria falsamente dubbiosa << Dipende in che circostanze vorresti sfogare la tua crudeltà >> strizzò l’occhio, poi. La fanciulla sentì un leggero rossore pizzicarle le gote per l’imbarazzo.

<< Non lo vuoi sapere, credimi. >> disse duramente, ispezionando ciascun dipinto senza consultarsi prima con Chat, il quale era ancora stordito delle sue parole. Forse il micetto stava lentamente cadendo nella trappola del topo, o meglio, della coccinella.

<< Piuttosto, che ci fai qui Chat ? Non mi sembri il tipo da mostra >>

Per quanto la mancanza di luce rendesse le figure dipinte alquanto spettrali, pareva che nulla di concreto stesse minacciando la loro sicurezza. Anzi, c’era qualcosa di insolitamente attraente nel rimanere confinati tra le mura di un museo oltre l’orario di chiusura. Non che a lei dispiacesse conversare con il suo partner in crime, ovviamente, tuttavia nei panni dell’insicura Marinette trovava la cosa rischiosa. Celargli la sua vera identità sarebbe stato piuttosto complicato considerando la complicità che li aveva legati dopo tutti quegli anni di lotta senza sosta contro il crimine.

<< Au contraire,princess! Sono abbastanza immischiato con l’arte, contrariamente alle tue aspettative, anche se non è questo il motivo che mi ha trascinato veramente qui >>

Marinette s’immaginò Chat Noir intento a disegnare qualcosa con il suo ghigno furbastro, teso ad incorniciargli il volto: l’unico soggetto che avrebbe mai potuto ritrarre ( escluso se stesso ) era la sua amata Lady Bug, magari fiera su un piedistallo accanto al suo partner.

<< Akuma ? >> domandò scacciando quella sciocca fantasia dai suoi pensieri. Chat Noir annuì serio, assumendo una postura retta e scattante << Proteggerti è l’obiettivo principale, ma akuma andrà bene lo stesso.>>

Marinette sgranò gli occhi nell’ascoltare quell’ammissione così spontanea << Proteggermi ? Mi stavi per caso seguendo, kitty cat ? >>

Chat si grattò la nuca, studiando nei minimi dettagli la figura di Marinette, che a braccia conserte aspettava impaziente una risposta. Quell’aria decisa, sicura, sfacciata, le era talmente estranea quando riusciva ad approcciarlo nei panni di Adrien, che quasi sembrava un’altra ragazza. Si comportava senza nascondere un briciolo dei suoi pensieri, dimostrando questa grande naturalezza che solo LadyBug era solita manifestare.

<< Marinette, hai visto o sentito qualcosa di strano aggirandoti per il museo ? >> Chat preferì evitare di spiegare il perché si trovasse proprio nei pressi del museo a quell’ora di notte. Sarebbe stato un mucchio di menzogne ben impilate e decisamente poco plausibili che avrebbero unicamente incrementato dei sospetti nei suoi riguardi.

La fanciulla si ricompose in fretta, sfruttando il tipico acume e piglio che la caratterizzavano una volta indossata la maschera << Le luci. Sfarfallano in modo strano, come se qualcuno le stesse manipolando a proprio piacimento, ma non riesco a capire bene da dove provenga >>.
Chat non aspettò un istante prima di afferrarla per il polso e scarrozzare Marinette lungo tutto il percorso della mostra.
Viaggiavano leggiadri, saltando e quasi fluttuando nell’aria beffandosi della gravità. La giovane conosceva abbastanza bene la sensazione di libertà e vuoto che i loro superpoteri donavano, eppure il fatto stesso di dover dipendere dal suo partner la rese complice in un modo del tutto nuovo e frizzante. Per una buona volta anche Marinette poteva sentirsi utile, con o senza magiche abilità.
Attraversarono metà dell’esposizione in silenzio, cullati solo dall’aria fresca che la velocità trascinava con sé. Quando giunsero finalmente nella sala degli specchi, Marinette poté riprendere fiato e finalmente arrestarsi per pochi istanti. Forse Ladybug avrebbe retto persino una maratona, ma la fragile Marinetta era stata già fin troppo atletica per i suoi normali standard, considerando che Chat Noir l’aveva letteralmente trasportata ignorando i limiti di un essere umano. Si fermò nel bel mezzo della stanza, con le mani premute sul petto, intenta a prendere boccate d’aria mentre Chat perlustrava il territorio vagamente sospetto.

La stanza quadrangolare era l’unica dotata di un grande soffitto in vetrate che filtrava la luce della luna, un flebile bagliore sufficientemente brillante da poter distinguere quantomeno i propri passi. Alle pareti laterali, invece, erano stati fissati immensi specchi dalle sfumature decisamente particolari, che riflettevano i profili di entrambi i giovani creando l’illusione ottica di uno spazio ancora più grande. Le loro figure, catturate dal potere specchiante, parevano fantasmi intrappolati in un’altra dimensione identica alla loro, ma completamente distorta. Era strano vedersi al fianco di Chat senza una tutina a pois ed uno yoyo alla mano: c’era solo la buffa Marinette con le sue ciocche blu elettrico ed un paio di jeans scoloriti.

<< Il pannello di controllo si trovava qui, che strano … >> barbottò Chat sostando di tanto in tanto per ammirare la sua immagine catturata dal riflesso. Ladybug aveva la possibilità di osservarlo durante ogni trasformazione, spoglia della sua sbadataggine e debolezza terrestre,  non rendendosi affatto conto che quel gattaccio potesse apparire così attraente malgrado l’atteggiamento sgradevole. La sua controparte umana, invece, la dolce ed innocente disegnatrice capace di incappare in figuracce barbine, rimase quasi abbagliata da quella sua grande scioltezza. Investito dalla luce della luna sembrava completamente coeso con la sua natura felina.

<< Hanno ristrutturato il posto poco tempo fa, sicuramente l’impianto sarà stato spostato durante i lavori. Dico di tornare da Van Gogh e vedere se la cosa continua >> suggerì Marinette, utilizzando la sua tipica organizzazione da trasformazione. Chat le parve fin troppo estasiato di quel cambiamento repentino. La guardava con quegli occhi verdi, profondi e sinceri, che riservava solo raramente alla sua versione non umana. La fanciulla non poteva permettersi di mostrare quel lato di sé e compromettere l’identità che aveva sempre salvaguardato. << O almeno, non è quello che un supereroe farebbe in questi casi ?

<< Mi sembra un piano peerrr-fetto princess >> rispose facendo le fusa. Marinette alzò gli occhi al cielo esasperata delle sue battute e giochi di parole << Devi sempre fare quella cosa con la coda ? >>

Chat fece una smorfia eloquente, giocando a muovere la coda avanti e indietro sul pavimento in marmo della sala. Si avvicinò lasciando intravedere le punte aguzze dei canini, che fecero capolino sulle sue labbra nel momento stesso in cui sorrise sornione alla sua bella. Chat era incredibilmente affascinante – si ritrovò a pensare Marinette, osservando il chiarore lunare colpirgli il petto, disperdendosi oltre l’incavo del  collo, fin sopra le pupille intensamente dilatate.

<< Non sempre. E’ un riflesso automatico agli stimoli esterni, soprattutto a quelli particolarmente graditi>>

Marinette non si mosse di un centimetro dalla sua posizione, cosciente solo in parte di aver avviato una sorta di blando flirt con la persona che considerava meno indicata di tutte. Non che la disturbasse un pizzico di malizia, considerando che era l’ingrediente principale delle loro solite conversazioni, ma la cosa stava prendendo pieghe inaspettate. Il fatto che Chat le rivolgesse certe attenzioni persino da umana non poteva che incuriosirla, e poi sotto sotto voleva capire fino a che punto sarebbe riuscita a spingersi prima di arrestare la sua corsa verso il nulla. Era sbagliato, lo sapeva, pretendere di poter gestire una cosa più grande di lei, ma non riusciva a togliersi dalla testa l’idea che Chat potesse davvero suscitare in lei emozioni contrastanti.

<< Adesso non mi chiederai mica di farti i grattini, micetto! Abbiamo cose più importanti di cui occuparci >>

Chat Noir rizzò le orecchie, improvvisamente catturato da qualche rumore che Marinette non riuscì a percepire completamente << C’è qualcuno nel museo, sarà meglio sbrigarsi >> annunciò in un sussurro, chiedendole successivamente di seguirlo tra i corridoi del posto senza far uso della luce artificiale. Sarebbe stato più sicuro per entrambi, e poi un vantaggio certo sul probabile nemico akumizzato che si aggirava impunito tra le mura del museo. << Il discorso non è chiuso qui, comunque. La proposta dei grattini mi sembrava piuttosto interessante … >>

Raggiunsero in men che non si dica la zona dedicata al pittore olandese, sta volta illuminata da lampadine d’emergenza che coloravano le pareti di un rosso fosforescente, quasi come pennellate di sangue. I girasoli parevano della natura marcia, appassita, spenta, sotto quei lampi infiammati, mentre i restanti paesaggi di campagna delle vittime di un incendio fatale. A Marinette pianse il cuore quando notò che persino il campo di grano con corvi era stato “violato” da quel vermiglio invadente.

Chat fece per toccarne una, intento a studiare cosa stonasse in quelle opere, ma Marinette gli afferrò il polso in fretta e furia, quasi graffiandosi il palmo della mano contro i suoi artigli felini << Sei pazzo!? Questi capolavori sono inviolabili, rischi di comprometterli per sempre ! >> gridò severamente.
L’ammonimento di Marinette non lo disturbò affatto << Hey, rilassati principessa. Stavo solo controllando le luci alla base del quadro >> disse poi indicando dei piccoli raggi colorati proprio sottostanti al campo di grano con corvi.
La ragazza si grattò la nuca imbarazzata, mollando la presa tenace che aveva mantenuto attorno il polso di Chat. Si fidava di lui, ciecamente ed indiscutibilmente, ma quando si trattava dell’arte perdeva completamente le staffe, anche nei confronti di chi non le aveva mai dato modo di dubitare. Durante l’ispezione, Marinette si rese conto che bazzicare nel cuore della notte in compagnia dell’uomo nero, del gatto color pece, ricordava uno scassinamento a tutti gli effetti. Se solo avesse potuto attingere alla sua fortuna da coccinella, Chat avrebbe affrontato un problema in meno. Diciamo che affrontare un’akuma e contemporaneamente proteggere una “civile” gli doveva pesare gravemente sulla coscienza.

<< Tutto molto, molto bizzarro. Queste luci non sono collegate al sistema principale, né ad alcun tipo di impianto esistente. >> borbottò Chat accucciandosi accanto la cornice che ospitava l’opera. Marinette, altrettanto pensierosa, scivolò sulla parete per ritrovarsi a gambe conserte vicino il gattaccio randagio.

<< Eppure non c’è segno di akuma. Sembra che ci siano solo un mucchio di dipinti ed un allarme inefficiente. Se qualcuno fosse fuggito, sarebbe scattato, giusto ? >>

Chat annuì tamburellando le unghie sul pavimento in legno << Per cui, chiunque sia, girovaga ancora nei paraggi>> . Parlare con Marinette di materie che solitamente competevano a Ladybug rendevano quella ragazza ancora più misteriosa di quanto non lo fosse già davanti ai suoi occhi.                                                                              <<  Ma dove ? Abbiamo a che fare con un maestro della mimetizzazione  >>  esordì la giovane infilando la testa fra le gambe snelle. Sentiva la stoffa dei jeans coprirle completamente il volto, ingabbiandola in un’oscurità perfetta per riflettere attentamente sugli indizi che aveva attorno. Anche senza Tikki l’avrebbe spuntata, e non sarebbe stato per le sue doti magistrali, ma per il suo unico e personale acume.
Chat la richiamò presto all’attenzione, spalancando le palpebre con fare entusiasta << Questo perché non si sta davvero mimetizzando, Marinette ! L’unica via d’uscita del museo è coperta dall’allarme, no ? Perciò il solo modo possibile per nascondersi è sfruttare le milioni porte di accesso esposte all’interno delle mostre… >>

Quando la fanciulla capì dove Chat volesse andare a parare, tutta quella nebbia vorticosa di dubbi si fece chiara improvvisamente nella sua testa: era stato come assemblare frettolosamente tutti i pezzi di un puzzle. << Chat, sei un genio! Un furbo, demenziale, sarcastico micetto >> esclamò tornando alla postura retta. Quella scoperta le aveva conferito la scarica d’adrenalina necessaria a concentrare le sue energie positive. Come team funzionavano in ogni forma – si disse soddisfatta.

<< Posso avere i miei grattini, adesso ? >>

Marinette guardò intensamente il viso del supereroe: al di là del musetto falsamente imbronciato, il volto di Chat era marcato e proporzionato, reso più spigoloso probabilmente dal taglio degli occhi, mentre la mascella moderatamente accentuata faceva risaltare il collo atletico e snello circondato dal solito campanellino vibrante. Avrebbe potuto fare il modello – si disse Marinette voltandosi per l’imbarazzo. Scosse il capo di conseguenza, ignorando completamente tanto le sue fantasie, quanto la presenza del suo gattaccio. Ancora qualche minuto e avrebbe sognato di conoscerne l’identità, se lo sentiva.

<< Andiamo kitty, dobbiamo trovare il “camaleonte” >> . La fanciulla sfruttò il suo occhio attento all’arte per esaminare ciascuna opera della mostra, convinta che l’akuma si fosse infiltrata in una di queste. Purtroppo la blanda luminosità circostante non faceva che sbiadire i contorni delle figure, costringendo Marinette a strizzare le palpebre come una forsennata. Chat, ben abituato all’oscurità, sembrava, al contrario,  coeso con la  mistificazione del buio, perciò gli costò relativamente poco tempo perlustrare circa la metà delle opere d’arte.

La ricerca non stava conducendo a nulla di concreto, difatti più il tempo scorreva dalle loro mani, più il terrore di aver perso le tracce del malcapitato accresceva proporzionalmente. Pareva una caccia al tesoro senza l’informazione base: la forma del premio. Poi, di getto, Marinette scovò all’interno del “campo di grano con corvi” una figura nera, abbozzata al culmine del sentiero che apriva la coltivazione di frumento. Estranea all’opera, salutava allegramente la giovane sventolando una mano con fare intimidatorio.
Chat subentrò di soppiatto, facendo in tempo a spostare Marinette prima che una mano uscente dal dipinto la trascinasse con sé nel quadro. La spinse di forza a terra, provando ad attutire il dolore della caduta con il proprio corpo.

<< Perché l’hai fatto ?! Dovevamo entrare per sconfiggere l’akuma! >> protestò Marinette divincolandosi dalla presa che Chat esercitava sulla sua vita esile. Il gatto nero, allora, la tirò su con eleganza, pulendosi la tuta come se avesse solamente sollevato qualche pacco postale.

<< Noi sconfiggere ? Oh no, non se ne parla. Non ho intenzione di gettarti nel pericolo principessa, potresti uscirne fin troppo graffiata >> spiegò successivamente, distanziando Marinette dalla superficie del dipinto <<  E non sarebbe causato da qualcosa di piacevole >> aggiunse alludendo a qualcosa che la ragazza non volle nemmeno provare ad immaginare.

Marinette dovette tristemente farsi da parte, consapevole che gli ammonimenti di Chat avevano ragione d’esistere. D’altronde, sprovvista del suo alterego, non poteva volontariamente fiondarsi da qualunque parte sperando di cavarsela solo grazie alla sua capacità di fare figuracce. La gracile e dolce Marinette sarebbe stata solo d’intralcio, solo uno strumento efficacie per distrarre il lavoro del suo gattaccio. L’unica perplessità che ancora la spingeva a seguirlo era la possibilità che da solo, senza la sua lady, non avrebbe fatto troppi passi avanti. Sapeva che la collaborazione, nel loro caso, diventava cruciale. 
Forse il suo sguardo colpevole, rivolto verso il basso, mise Chat Noir nella posizione di tranquillizzarla riguardo la missione che di lì a poco avrebbe intrapreso << Non torturarti per me, tornerò sano e salvo! E poi sono sicuro che Lady Bug ci stia raggiungendo proprio in questo momento >>

Marinette si irrigidì di colpo, sempre più ripiegata nei suoi stessi dubbi << Non sono sicura di ciò … >> borbottò tra sé e sé, sperando di convincere Chat a lasciarla venire con lui. Peccato che fosse persino più testardo di lei quando si trattava del coinvolgimento personale di innocenti indifesi.

<< Mi fido ciecamente di lei, non potrebbe essere altrimenti >> ribatté Chat posando entrambi le mani sulle spalle della minuta Marinette. La guardò con serietà e sincera fiducia nei confronti di una persona che non si sarebbe mai presentata. Questa indiscutibile fede nei suoi riguardi fu il colpo di grazia.

<< Promettimi che non entrerai nel quadro Marinette >>

Ma come faceva, Marinette, a rassicurarlo, quando chiaramente sarebbe finita in mezzo al pericolo ? Tornare a casa per recuperare il suo Miraculous significava impiegare più di un’ora di mezzi, tempo sufficiente per l’akumizzato a mettere k.o Chat Noir e rubargli i poteri. Non poteva permettersi di perdere, soprattutto se in ballo c’era la vita di una persona alla quale teneva molto.
Allora la fanciulla fece un sorriso tirato, forzato e decisamente ostentato, simile alla fila di bottoni cuciti sulle bambole di pezza. Provvista di una smorfia così spudoratamente finta, le probabilità che Chat le credesse rasentavano lo zero scarso.

<<  Potresti almeno fingere in modo più convincente ? Mi sentirei meno in colpa di quanto già non lo sia avendoti trascinato in questo pasticcio con me >> ammise il biondo, facendo dei piccoli buffetti sul capo soffice di Marinette, alla quale venne voglia, in tutta risposta, di sprofondare sotto terra come solo i degni struzzi riescono a fare. Peccato che il suo totem fosse una coccinella, e che in quel dannato giorno la fortuna non sembrava proprio appartenerle.

<< Se dovessi trovarti nei guai, per favore, non esitare a chiamarmi. Ti aspetterò qui fuori >> annunciò la fanciulla cercando di sembrare il più convincente possibile. La sua preoccupazione per Chat era vera, quindi non dovette sforzarsi troppo di persuaderlo decentemente. Il super eroe, a quel punto, si sciolse in un tenero e buffo sorriso che Marinette era riuscita a intravedere solo attraverso i fori della sua maschera da coccinella. 

<< Non ce ne sarà bisogno, principessa! Au revoir ! >> gridò poco prima di lasciarsi penetrare completamente dal portale che sormontava la facciata del quadro. I movimenti fluidi di Chat, accompagnati da una buona dose di charm, lo rendevano intrigante quanto un angelo sul punto di cadere in picchiata dal paradiso. Se lo immaginava perfettamente, lì, sul limbo dell’inferno con quello sguardo in cerca di sfida ed un paio di ali piumate, pece, color pozzo profondo. Marinette vide la sua figura nera e splendente scivolare all’interno del dipinto con grazia e dinamicità, mentre nella sua gola si formava un groppo sempre più soffocante  e colpevole. Si sentiva criminale, ricoperta delle sue macchie nere come se fossero state evidente segno di peccato.

“Mi dispiace Chat, ma a te serve Lady Bug e Lady Bug sarà quello che avrai. Più o meno “ pensò Marinette prima di tuffarsi letteralmente dentro il portale. La tela del dipinto aveva la consistenza di una gigantesca gelatina gommosa, capace di strapparla dalla realtà circostante come  corvi affamati arraffano frumento da un campo di grano. Paradossale, assurdo e completamente folle quel destino impazzito.

Così Marinette si gettò nel pericolo senza troppe storie, cosciente della sua sfrontatezza, ma sicura delle sue intenzioni.
La luce della luna risplendeva ancora fioca attraverso le grate della finestra: investiva il materiale, il concreto della mostra, quasi a volerne conferire un soffio vitale. Le opere sembravano animarsi e ribellarsi delle cornici che le tenevano ingabbiate, dell’astratto che le obbligava ad una staticità per lo più snervante.
Van Gogh era così. Un turbine di ombre e luci di estatica bellezza, costellate, però, da un incolmabile senso di angosciante solitudine
  
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