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Autore: Dexys    26/12/2016    0 recensioni
Cosa sono i Mastri? Non lo sapete? Anche Dex non lo sapeva, anzi, non credeva neanche alla magia, però, come vuole ogni buon fantasy, essa esiste. Sotto diverse forme, certo, però esiste. Cosa succederebbe se Dex venisse catapultata in una realtà nascosta, a cui appartiene ma che non conosce. Una realtà meravigliosa ma che nasconde un'oscura verità. Un essere assai malvagio sta invadendo i due mondi, magico e non. Riuscirà Dex a fermarlo?
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Aspettavo mia madre che cercava le chiavi dell'auto, ormai non sapevamo più che fine avessero fatto. Ogni volta che dovevo uscire era sempre la stessa storia, mi ricordo quando il primo giorno di scuola avevo intenzione di andarci in anticipo. Fin qui niente di strano, avevo un sacco di tempo per prepararmi e tutto, mia madre si svegliò un po' più tardi di me , nonostante tutto riuscì ad essere pronta in tempo. C'era solo un problema: dove erano finite le chiavi? Ed ora mi ritrovavo nello stesso guaio, se non avessi trovato le chiavi dell'auto sarei rimasta a piedi, non che fosse un problema, ma mia madre era un po' restia a farmi andare da sola in giro.

Mi sedetti davanti alla finestra della sala, la neve scendeva ormai. Quello era uno dei pochi anni in cui nevicava a Milano. Ero abituata a vederla sempre gremita di gente che correva, chi per andare a lavoro, chi per altro. Invece no, con la neve tutto si fermava. Le auto, le persone, il tempo, tutto. Potevamo solo alzare la testa e guardare con il naso rivolto al cielo quei piccoli batuffoli gelati scendere lentamente verso il basso, senza fermarsi mai. Immaginarci una gara tra i fiocchi di neve e vedere chi arrivava prima a terra, o chi sopravviveva nella propria mano prima di sciogliersi. Feci per toccare il vetro con fare triste, quando una mano mi toccò.

«Ho trovato le chiavi! Forza andiamo che è tardi» disse sistemandosi la giacca e impugnando la chiave giusta per l'auto. Notai che indossava una giacca abbastanza elegante, forse troppo per una che doveva solo accompagnare la figlia dagli amici. Alzai un sopracciglio interrogativa, ma lei non capì e dovetti lasciar perdere. Nel contempo mi alzai dalla sedia e diedi un ultimo sguardo fuori. Aveva smesso di nevicare.

 

In macchina era calato il silenzio, o quasi. L'unico rumore che si sentiva era quello della radio che emetteva un suono stridulo, dovuto all'età dell'auto. Mia madre guardava la strada davanti a sé, concentrata per far in modo di non andare fuori strada a causa della neve che sommergeva il percorso. Le sue dita erano aggrappate saldamente al volante, l'anulare privo di fede nuziale, cosa che per me fu quasi naturale notare, ormai non la portava da tempo. Però c'era sempre il segno evidente di essa. Passai il mio sguardo dalle mani alle spalle, sempre tese e immobili, proprio come il giorno in cui era morto papà. Quella volta non pianse, rimase immobile e composta, senza spiccare parola. Una cosa che mia madre mi aveva insegnato era quello di non piangere, i bambini piangono. Sospirai quando girai la testa e diedi un'occhiata alla strada di fianco a me che scorreva veloce, con quella velocità saremmo potuti arrivare in tempo e in quel modo non avremmo fatto tardi. Guardai l'orologio al polso che aveva mamma.

«Secondo te ricomincerà a nevicare?» chiesi a bassa voce continuando a guardare il finestrino con lo sguardo vuoto. Portai una mano sul mio riflesso.

«Non credo, anzi, ho paura che presto la neve si scioglierà» rispose mia madre sorridendo tristemente e accarezzandomi la mano mentre cambiava marcia. Intanto notai che eravamo arrivati e che Michael e Sofia mi aspettavano proprio davanti al bar in cui eravamo soliti andare a prendere una cioccolata calda per rilassarci. 

Mia madre mise il freno a mano e spense la macchina, io nel mentre aprii la portiera e mi diressi verso di loro che mi salutarono felici di vedermi. Mi accordai con mia madre in modo che potesse venirmi a prendere dopo aver finito di fare il mio "giretto". Lei subito dopo se ne andò e mise in moto la macchina, salutandomi. Notai con tristezza che avevo visto giusto, la fede non era sul suo dito.

 

«Allooooors, ora ci beviamo un bel tè o quello che vuoi, e dopo andiamo alla bottega, ci stai?»  disse battendo le mani, intanto Michael sospirava divertito, poverino. Sorrisi e non feci in tempo a rispondere che venni trascinata all'interno del bar, fui invasa da un profumo di brioche appena sformate e un odore di arance fresche. Ci sedemmo come al solito vicino alla finestra, con Sofia di fianco a me e Michael davanti. Ordinai un latte caldo con una brioche alla marmellata di arance, mentre gli altri semplicemente della cioccolata calda con panna montata.

«Dimmi, dove si trova questa famosa  bottega? Come mai non l'ho mai sentita nominare?» chiesi a Michael aggiungendo dello zucchero al latte. Lui bevve un sorso di cioccolata calda, forse troppo calda poiché smise subito ed emise un esclamazione di dolore.

«Famosa non direi, credo di essere forse l'unico a conoscerla, non c'è mai nessuno lì. E comunque te l'ho detto prima, è nuova, ha aperto adesso, perciò non la conosci» disse bevendo un sorso d'acqua per rinfrescarsi la lingua. Però era strano, di solito venivo a sapere in fretta dell'apertura di un nuovo negozio, poiché avendo molti amici negozianti della zona ero molto informata al riguardo. Ad ogni modo cercai di non farci caso, l'importante era che presto l'avrei vista e avrei potuto ammirarla dal vivo. Sofia ovviamente non ci ascoltava, tanto era concentrata nel bere e gustare la MIA brioche con il MIO latte.

«Ehm, Sofia? Il mio cibo è buono allora?» risi e le scompigliai capelli. Risi più forte quando riemerse dall'enorme tazza di latte con due baffetti bianchi sopra la bocca. Michael quasi si strozzava con la cioccolata e Sofia stava per fulminarci sul posto. Decisi di andare a pagare il tutto prima che la situazione degenerasse.

Uscimmo dal bar con le pance piene e i visi ancora sporchi di cibo, Sofi in particolare. Decidemmo di prendere la via più corta che Michael conosceva per arrivare alla bottega, anche se ero un po' preoccupata all'idea. Fuori era buio, mia madre sicuramente era in pensiero già per il fatto che fossi "sola". Però non avevo scelta, ormai avevamo imboccato il sentiero e d eravamo a metà strada. La via in cui camminavamo era buia, la poca luce che c'era rendeva il paesaggio più pauroso di quanto lo fosse, le ombre proiettate sui muri facevano lanciare degli urletti a tutti, spesso inciampavamo in qualche oggetto strano come appendiabiti o boccette di profumo. Insomma, forse era meglio prendere la strada più lunga.

Arrivammo in fondo alla via, davanti a noi si ergeva una palazzo antico, forse dell'ottocento. Guardai Michael e Sofia e loro mi incoraggiarono a bussare. Così feci. Bastarono solo due tocchi e la porta si aprì, magicamente, da sola. Non c'era nessuno che l'aveva aperta, come era possibile?! Feci lentamente un passo avanti e sussurrai un "C'è nessuno?" poco convinto, a quanto pare non c'era davvero nessuno. Il silenzio aleggiava nell'aria, per un solo istante pensai che Michael si fosse sbagliato, ma subito un rumore mi fece cambiare idea. Era un suono dolce e delicato, familiare. Sembrava una dolce melodia, ma non riuscivo a capirne molto poiché non era molto vicina. Incuriosita seguii il suono e sperai con tutto il cuore di non essermelo immaginata. I miei amici mi vennero dietro sorpresi.

«Vedo che abbiamo ospiti, eh Jack!» esclamò una voce. Spaventata mi guardai attorno ma l'unico essere vivente presente nella stanza oltre a me era un gatto color sabbia acciambellato sullo sgabello di un pianoforte. Sicuramente non era stato lui a parlare, ma allora chi?

Indietreggiai un poco e nel mentre colpii un vaso di ceramica che andò in frantumi. Il gatto si svegliò e lentamente si stiracchiò tornando poi a dormire, come se non fosse successo niente.

«Oh tranquilla! Quel vaso era vecchio e non lo voleva nessuno. Che cosa posso fare per voi miei piccoli amici?» disse un "vecchietto" sopra le scale vestito elegantemente. Aveva un paio di baffi bianchi e dei vecchi occhiali rotondi sul naso. Portava in mano un orologio da taschino dall'aria antica.

Lentamente (o velocemente, non saprei, quel momento sembrava eterno) le scale fino ad arrivare di fronte a me. Non mi ero accorta che nel contempo il gatto ci aveva raggiunto e ora guardava il signore con un espressione...infastidita?

Feci mente locale e mi ritrovai il senso della parola, intanto i miei amici si erano avvicinati incuriositi e stavano dietro di me. Mi feci coraggio e finalmente parlai.

«Ehm, mi scusi per questo danno...non avevo proprio intenzione di, ehm, combinare guai, ecco, io...»    balbettai torturandomi le mani e guardandomi i piedi. Il gatto miagolò divertito, ci scommetto i miei libri.

«Hey hey hey, calmina eh! Non è successo null-»

«Invece ho combinato un guaio! Devo rimediare!»

«Ma non serve...» 

 «Guardi, ora metto subito tutto a posto, devo solo trovare della col-» 

BOOM

Venni interrotta dal rumore dei tasti di pianoforte premuti violentemente. Indovinate chi era la causa?

Il gatto ovviamente.

Scese dal piano altezzosamente e si diresse verso un'altra stanza. Lo seguii con lo sguardo fino a quando non lo persi di vista. Decisi allora di seguirlo, anche senza il permesso dell'uomo che stranamente mi guardava sorridendo. Arrivai in questa "stanza" se così possiamo chiamarla, anche se il termine giusto era qualcos'altro. Con le pareti dipinte di azzurro chiaro, la camera era piena di giocattoli e di sculture di legno. Ero meravigliata.

«Benvenuta nel Paese dei Balocchi, spero tu sia la prescelta che cercavamo»

 

   
 
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