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Autore: DonnaBart    27/12/2016    0 recensioni
A Jouette, cittadina alsaziana situata nell'estremo nord della Francia, le temperature sembrano essersi fermate a quelle del Natale.
Lainey vi giunge in vacanza proprio in quel periodo, e due anni dopo non è riuscita ad abbandonarla: adesso co-gestisce il Miracle d'Hiver, un modesto bistrot, con il bizzarro proprietario.
Lainey ha ventitré anni, la tendenza al pragmatismo, e nessun amore in vista.
Almeno, fino a che Gaige Cosgrove, un inglese dall'aspetto solido e seducente, giunge in città per risollevare le sorti dell'unica biblioteca di Jouette...
La loro conoscenza sfocia in amicizia, c'è solo un problema: i sentimenti che Lainey si scopre nutrire per lui sono tutt'altro che amichevoli.
Ce ne sono due, di problemi: Gaige è parecchio fuori dalla sua portata, visto che è decisamente fidanzato.
Tra fraintendimenti, lotterie natalizie che mettono in palio appuntamenti, scomode gelosie e terzi incomodi, Lainey cercherà di conquistare il suo lieto fine, e ci proverà proprio nella notte più attesa dell'anno: la vigilia di Natale.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Come una scia luccicante, le note di Mariah Carey sfumarono nel Miracle d'Hiver snodandosi fra le sue sedie, aleggiando sui tavoli ornati dalle stampe natalizie, costeggiando il bancone del bistrot in cui Lainey Colder, dall'alto di una scala, contemplava lo sfolgorio delle abitazioni oltre le vetrate spolverate da puntini ghiacciati.

Erano due anni che viveva a Jouette - paesino dell'Alsazia collocato talmente a nord della Francia da possedere, in inverno, tutte le caratteristiche della patria di Babbo Natale - eppure si lasciava incantare dal loro bagliore come fosse la prima volta. La struttura di quelle case era a graticcio, tipica dei paesi nord europei, e lungo le pareti esterne color champagne, strisce color cioccolato cadevano parallele e perpendicolari, fasciandole come un pacco regalo. Era il Natale, però, a impreziosirle come diamanti, ornando il loro perimetro esterno da file di lucine dorate, rosse o argentate.

Quelle case erano davvero singolari.

Le ante delle loro finestre erano in legno laccato, alcune possedevano intagli centrali a forma di cuore, tutte accomunate dai tetti spioventi che ospitavano una fitta coltre di neve; Lainey avrebbe giurato fossero uscite da un racconto dei Fratelli Grimm, ma doveva ammettere che era stato in parte il loro fascino fuori dall'ordinario, a farle decidere di restare a Jouette, un angolo di mondo in cui il termometro sapeva inverosimilmente toccare gradi artici.

In ogni caso, la vista suggestiva di quelle luci - le stesse con cui quel tardo pomeriggio stava addobbando il suo locale -, la avvolgeva in una coperta di lana contro cui nemmeno i gelidi tocchi di neve di cui la cittadina era ammantata avrebbero potuto niente.

Anche perché aveva regolato il sistema di riscaldamento a trenta gradi.

Suo padre riteneva che le luci bianche - richiamando il luccichio etereo del ghiaccio, erano perfette per conferire un'atmosfera elegante, per questo aveva sempre optato per le tonalità ambrate di quelle gialle, forse meno raffinée ma più calorose, che ora pendevano dal soffitto del Miracle d'Hiver come stelle cadenti.

Si era sbattuta per ore, quindi per diritto avrebbero dato quella parvenza comunque e nonostante tutto.

Disceso l'ultimo asse della scala, Lainey scostò una ciocca dalla fronte col dorso della mano, per evitare di rendere la sua capigliatura un caleidoscopio natalizio, posò le mani sui fianchi ed esaminò la sala in un'unica panoramica. Fu fiera di poter librare un sospiro: oltre ad averle rassodato il didietro meglio della GAG e al di là di ogni spettanza, il suo operato poteva definirsi soddisfacente.

Ghirlande di diverse dimensioni e graziose decorazioni dorate rendevano accoglienti vetrate e porte del locale, e candele rosse se ne stavano al centro di ogni tavolo, abbracciate da rametti sottili di abete e vaniglia, diffondendo un tepore che solo al Miracle era possibile trovare.
C'era poco da fare; quel bistrot e il paesino dalle pretese fiabesche erano in qualche modo riusciti a fare breccia nella sua scorza pragmatica, convincendola a stanziarvisi per un periodo che non aveva ancora esaurito il suo tempo.

Jouette attirava ogni anno gruppi di turisti con i suoi mercatini natalizi, così due anni prima aveva attirato lei e la sua famiglia, che dopo le feste aveva dovuto rassegnarsi all'idea di fare di ritorno in patria, l'Inghilterra, con un componente in meno: Lainey aveva casualmente trovato lavoro come bar lady e dimostrato alcuna intenzione di schiodare.
Non che il suo paese non offrisse simili possibilità, né che avesse urgente bisogno di tenersi quello; inizialmente si era trattato solo di dare sfogo al bisogno di visitare posti nuovi en solo, ma quando il signor Mulain - proprietario del bistrot, aveva notato la sua rapidità nel servire, l'affabilità che l'aveva legata in pochi mesi ai clienti abituali, e l'abilità di far resuscitare quel locale - divenuto ormai un punto d'incontro e riferimento per merito delle sue premure - aveva deciso di condividere la gestione con lei. E, da allora, non aveva più lasciato Jouette, se non per fugaci periodi, effimeri giorni di ferie che utilizzava per fare sbrigative visita a genitori e amiche.

Aveva accettato subitaneamente, con l'entusiasmo di chi, adoperandosi con impegno, raggiunge un traguardo senza attenderlo. Solo non aveva calcolato che i turni non le avrebbero reso facile il ritorno a casa per le feste natalizie...

Fortuna voleva che Mulain, uomo la cui canizie precoce designava a poco credibile copia di Babbo Natale, non si era del tutto sbagliato quando, la prima volta che si era fermata al bistrot per un drink con i suoi - le aveva sbandierato che il Miracle d'Hiver era magico.

"Questo locale offre calore e bevande a chiunque scelga di intrufolarvisi!" Li aveva accolti.
"Ma solo a coloro che ci metteranno cuore e gentilezza nel prendersene cura, verrà reso presto o tardi l'amore che gli è stato riservato!" Poi, puntandoli guardingo, si era avvicinato e ripiego verso il loro tavolino, e con fare cospiratorio aveva ingiunto: "Bien sûr, l'olio di gomito è sottinteso nella magia..."

Lainey aveva assentito seria e interessata, per poi scoppiare in risate quando l'uomo si era allontanato. E, incredibile ma vero, i clienti presenti gli avevano persino dato manforte.
Se l'aspetto era strano, ciò che aveva detto non lasciava dubbi: doveva essere uno svitato. Dovevano esserlo un po' tutti in quel locale, clienti compresi.

A due anni distanza da quel giorno, riconobbe fra sé e sé di essersi sbagliata a giudicarlo in quel modo: il suo bistrot magari non era magico, ma colmava sapientemente il desiderio di trascorrerlo con la sua famiglia, riempendosi di amici, caciara, calore e regali.
E, da un anno a quella parte, anche di un attraente uomo che sedeva negli angoli soffusi e meno fragorosi del locale, in compagnia di una tazza di caffè e del suo fedelissimo pc.

Lo stesso che, proprio ora, stava facendo il suo ingresso nel locale, annunciato dallo scampanellio della porta d'ingresso...

Un brivido la rimestò tutta, il suo tocco finale si espresse in strati su strati di pelle d'oca. Ragionando da ingenua, avrebbe giustificato la reazione accusando il freddo, permeato dalla porta principale appena spalancata.
Ne faceva, eccome!
Ma... troppo avveduta per farlo: quello, era stato un brivido di eccitazione. Di più. Una tempesta di eccitazione.
E portava un solo nome.

Lo aveva notato sin dalla notte del precedente Natale, che il nuovo arrivato - Gaige Cosgrove - aveva il temperamento del tipico business man inglese, l'aspetto solido nel giaccone nero e l'espressione concentrata, sempre a battere qualche tasto del suo pc.

Quando il periodo festivo dell'anno precedente fu concluso, Jouette svuotò le strade di turisti, riempendole dei consueti abitanti. A Lainey aveva fatto piacere sapere di un volto nuovo fra quelli dei concittadini di sempre, anche se Gaige nei suoi primi mesi a Jouette non era stato una presenza usuale nel suo bistrot; un anno da trascorrere in una città talmente piccola era troppo lungo per fossilizzarsi sugli stessi posti, così optava per fare tappa in ognuno dei Caffè presenti in zona.

Ad ogni modo, quando quel sistema a rotazione lo portava al Miracle d'Hiver, lo faceva sempre dopo le sette di sera e, da brava padrona di casa, Lainey si preoccupava di intavolare una conversazione, accompagnandola ad una buona tazza di caffè, affinché lui si sentisse accolto come lei due anni prima.

Contrariamente agli abitanti cicaloni, l'uomo non dava l'aria di essere un ciarlone con gli sconosciuti, ma questo non voleva dire che Lainey non fosse riuscita a scambiarci qualche chiacchiera, o che, qualche tempo dopo il suo arrivo, non si fosse lasciata intrigare dai suoi occhi grandi e celesti, che risaltavano come due specchi d'acqua cristallina sul volto dalla mascella quadrata come le sue impeccabili parvenze.

Lainey aveva ventitré anni, un bagaglio affatto carico di esperienze, brevi relazioni alle spalle che avevano scalfito l'ingenuità adolescenziale e mitigato l'istintività con un'intelligente dose di accortezza, ma non era preparata all'attrazione che avrebbe provato per Gaige Cosgrove; aveva fatto presto a scoprire che lui aveva trentadue anni, una modella inglese per fidanzata, e che il suo aspetto controllato emanava un'energia tale da far girare la testa a ragazze come lei.

Non era un dettaglio preciso né qualcosa di spiegabile, come l'aspetto inamidato che prorompeva dal giaccone in panno nero di cui stava aprendo i bottoni, dal quale trapelavano i lembi della camicia scostati pericolosamente nei pressi del collo e chiusi sui rilievi del suo corpo atletico; non si trattava nemmeno delle movenze eleganti e dirompenti, che la richiamavano qualsiasi cosa stesse facendo ogni volta che lui si inoltrava nel suo locale; piuttosto era il modo in cui stava accarezzando il suo nome, un semplice, comune saluto che lo vedeva sostare sulla 'L' per più di quanto avrebbe dovuto essere legale, scivolando come miele fuso lungo la 'y'. Quasi un anno che lo conosceva, e poteva dirlo gentile, mai maleducato, diabolicamente riservato: Gaige era temprato nel modo più affascinante che Lainey avesse potuto sopportare negli ultimi mesi a quella parte.

"Ehi, straniero."
Lo accolse, pentendosi del tono sottile e trepidante con cui si era sentita parlare.
"...Ehi, straniero!"
Rilanciò, vestendo la sua voce del suono genuinamente scherzoso rivolto ai suoi clienti. Prettamente amichevole. Il che equivaleva a ciò che erano diventati loro due in quell'anno: amici.

Se solo Lainey non avesse smesso di guardarlo come l'amico che le era diventato...

Una casuale banalità.

Era così che Lainey etichettava l'occasione in cui aveva capito di essersi infatuata di Gaige Cosgrove: era accaduto otto mesi prima, mentre Lainey chiacchierava al telefono con un papà dispiaciuto di trascorrere il secondo Natale lontano dalla figlia.

"Non dico che dell'esperienza non si rivelerà utile, per te, nel mondo del lavoro... ma dovresti concederti nuove possibilità, prima di decidere se è la gestione del Caffè la tua strada."

Nel frattempo il nuovo abitante - che da quattro mesi era giunto a Jouette per risollevare le sorti della più grande nonché unica libreria della zona, che versava in finanze ormai troppo fragili - si stava addentrando nel bistrot, chiudendo la bufera di neve che imperviava quella sera alle sue spalle.

"Lo sai, che non amo precludermi qualcosa che non abbia almeno provato a sperimentare. È scontato che lo farò."

Dall'altro capo del telefono, un padre masticò una risposta somigliante ad un borbottio.
"Per caso, vale lo stesso per i sentimenti?"

Da canto suo, Lainey arrossì.
Suo padre, apprensivo e un tantino severo, tendeva ad accennare quelli che ogni altro genitore avrebbe bollato come discorsi tabù con la propria figlia, seppur lo facesse con un riserbo che trascendeva i dettagli.

"Non chiedere ciò che non vorresti sapere." Punzecchiò per tutta risposta. "Papà, senti, adesso avrei un po' da fare."
Era indaffarata per davvero.
Col telefono fra spalla e orecchio, stava approntando una tazza per Gaige, che aveva tutta l'aria di essere un superstite dell'era glaciale. Non che intendesse evitare di parlare della sua vita privata, solo non aveva consolidato una di cui parlare, ed era sicura che i suoi flirt non fossero materia di cui il padre voleva ascoltare...

"Lainey, immischiarmi non è da me. Ma..."

"Lo so, che non lo fai, motivo per cui so che non lo farai. Non è vero, papà?"

Come preventivato, la replica diede vita ad una schermaglia telefonica che divertì Lainey e adirò il padre, conclusa con beneplacito di entrambi; mascherati dall'atteggiamento, la mancanza della sua famiglia, della sua vita inglese e delle sue amiche, erano una certezza di cui erano perfettamente consapevoli.

"Vorrei tu non dimenticassi che la persona giusta, sarà quella che, pur dovendo affrontare il gelo, si priverà della sua sciarpa e ti proteggerà col suo berretto, affinché tu non debba mai sentire freddo."

L'adagio irlandese che il padre le ripeteva di tanto in tanto, nella speranza che avesse una vita serena, circondata esclusivamente dalle persone giuste, circa cinque o sei ore prima aveva anticipato la chiusura della chiamata.

Lainey era intenta a predisporre il bistrot per la chiusura, e malgrado i movimenti che solitamente le scaldavano i muscoli, si sentiva terribilmente intirizzita. Il meteo locale non aveva esagerato: una bufera di neve fuori stagione avrebbe tormentato la zona per un po' di giorni; Jouette era una cittadina che viveva di equilibri gioiosi e paciosi che la tenevano ben lontana dalla realtà, per questo bastava un soffio di vento per allarmare i suoi abitanti, ragion per cui Lainey aveva chiaramente fatto un errore di valutazione, pentendosi di aver preso il notiziario locale con leggerezza.

"Ehi, Lainey. Niente male, il pancake. Ci vediamo."

Gaige, che quella sera di attardato al suo Caffè per lavorare al computer, si congedò con un lieve sogghigno, scorrendole accanto nella sala ormai vuota, consapevole di aver compiuto un vero e proprio reato per Lainey Colder: spacciare la sua speciale mug cake - ricetta segreta con cui almeno una volta a settimana attirava nel suo locale i più golosi cittadini - per comune pancake.
Spesso e volentieri, quella canzonatura si era trasformata in battibecchi che non prevedevano per Gaige alcun saluto, salvo fosse tutto dimenticato non appena si ripresentava al locale, il giorno dopo.

Quella sera, però, nessuna zuffa: Lainey ricambiò il saluto distrattamente, riflettendo sul fatto che ormai non c'era più nessuno nel suo Caffè, e che chiaramente stava temporeggiando, mentre osservava con qualche riserva la tempesta oltre le vetrate offuscate di bufera del suo bistrot. La sua casa non distava di molto, giusto quel tanto che le avrebbe fatto beccare un malanno e, giacché non avrebbe potuto rinunciare ai turni, già s'immaginava dar vita a un'epidemia che avrebbe contagiato i suoi clienti prima e tutta la cittadina dopo.

Avrebbe portato il suo nome, quel malanno.

L'affare non le sembrò poi tanto vantaggioso.

"Ah, Lainey."
La voce di Gaige le si posò leggera come un petalo sulle sue spalle.
"Mh?"
Capovolta l'ultima sedia sul tavolino, voltandosi, Lainey lasciò avvolgere il suo campo visivo da un fruscio di morbida, soffice lana; un po' troppo scuro il colore, per i suoi gusti, ma pur sempre calda e rassicurante in una serata come quella: Gaige le stava porgendo il suo giaccone e la sua sciarpa.

E Lainey faticò a mettere insieme i puntini.

Quando vi riuscì, faticò a deglutire. Persino risalire la sua intonsa camicia blu scuro, perfettamente stirata sul corpo forte e slanciato, parzialmente celata da un golf grigio dal sottotono celeste, si rivelò arduo come non lo era mai stato prima di quella volta.

"Ho pensato che potessero servirti."
Ancora, le vibrazioni della sua voce le sfiorarono la pelle in una carezza vellutata, per niente imbarazzata del gesto apprensivo rispetto al tenore superficiale della loro conoscenza. Dal momento che Lainey se ne stava ferma come un masso di ghiaccio, Gaige indicò oltre le sue spalle.
"Direi che stasera c'è fresco."

Ed era probabile che lui stesse farcendo la battuta con l'accenno di un sorriso, ma Lainey non se la sentiva di appurarlo, né di spostare l'attenzione dalla robusta mano che le stava tendendo ciò che lo avrebbe privato dei suoi indumenti, affinché lei... non sentisse freddo.

Le bianche sfumature della tormenta facevano da sfondo al buio del locale, e nel sottofondo basso e soffiato del suo lamento, Lainey si sentì... strana.
Come se avesse appena trovato il senso di qualcosa che aveva sempre cercato, senza che lo sapesse. Tuttavia riuscì a frusciare insù lo sguardo, e quando incontrò gli occhi di Gaige si sentì invadere da una sensazione che le agitò le gambe alla velocità della neve nel vento: avrebbe definito acceso, il modo in cui si sentiva osservata, ma doveva essere il contrasto dell'ambiente scuro contro le lastre lucide ghiacciate delle sue iridi, a potenziare le sensazioni. Sensazioni di cui Gaige non aveva la minima idea, perché dopo averle circondato i polsi per abbandonare la stoffa nelle sue mani, si era già avviato all'uscita.

"Per l'ennesima volta, è mug cake. La mia specialissima mug cake, Gaige Cosgrove!"
Gli rimandò, al posto di un più ovvio e gentile: "Grazie, ma no, grazie. Il tuo giaccone, oltre al mio, mi terrebbero bene al caldo, tu moriresti assiderato."

Gaige si fermò, mostrandole solo il tratteggio del suo profilo su cui si stagliavano gli abbagli opachi della tempesta.

"Non c'è di che, Lainey."
Aveva tuonato prima di scomparire nella tormenta, con intonazione vagamente ironica, vagamente sferzante, che la riportò al presente.

A Gaige, che dall'altra parte del bancone aveva assorbito il tono febbrile con cui l'aveva accolto, per il quale sembrava cercare silenziose spiegazioni nel mogano dei suoi occhi, nelle quali danzava il riflesso delle luci natalizie con era addobbato il Caffè.

Temette quello sguardo, sentì che le stava scavando a fondo, epidermide, derma, strato dopo strato, decifrando quanto aveva cercato di segregare da quella bufera in poi, ma poi Gaige stirò la mimica in un'espressione del tutto inconsapevole dei segreti che la stavano attanagliando, accennò al soffitto, e la tensione di Lainey svanì come un fiocco di neve tra le dita.

"Ti ha dato una mano Mulain?" Inquisì, curioso di sapere a chi appartenesse il merito di quell'atmosfera sfavillante, che solo un esperto di interior designing avrebbe saputo creare.

"Dopo le lotte per l'emancipazione? Questa sì, che potrei prenderla come un'offesa."

Gaige scosse la testa con una smorfia sorniona, e prese posto su uno degli sgabelli adiacenti bancone.
"Faresti male. Non lo era."
Chiarì in timbro conciso e impetuoso, reprimendo il principio di un sorriso che avrebbe potuto sciogliere tutta la neve di Jouette.

E, il fatto era, non solo la neve...

Lainey corse ai ripari, focalizzandosi sul suo lavoro, sulla tazza che gli stava mettendo sotto il naso, nella quale versò il suo caffè preferito: lungo, macchiato da schiuma di latte, talvolta con crema, altre con un velo obbligatorio di cacao. Sì, magari preferito non era il termine più consono, considerato che Gaige era un amante di caffè puro, rigorosamente forte, imprescindibilmente amaro.
Era stata Lainey a convertirlo; deliberatamente, non gliel'aveva mai servito come desiderato, e lui non ne aveva mai fatto questione di stato, giusto un cenno in una sera di sei mesi addietro...

...Quella sera, Gaige fece tappa routinaria al Miracle, senza il suo routinario computer.

E, se si fosse trattato di un'altra persona, Lainey non l'avrebbe reputato un evento eccezionale, ma  si trattava di Gaige Cosgrove, e quando sedeva in un bar, il pc era sempre lì, a celargli il volto.

"Devi proprio avere un buon motivo per vegetare in un bar!" Il pennino del tablet gli era stato puntato contro prima di consentirgli risposta. "E non dirmi che ti si è rotto il pc: non ci crederei."

La sentenza ironica venne dichiarata solo quando la folla della serata si fu dissipata. Poi una tazza di caffè, non propriamente amaro né altamente velenoso come lui aveva sempre chiesto e mai ottenuto, gli venne servita.

"E perché?"

Lainey emise un suono gutturale, di stampo prettamente irridente.
"Perché sono sicura che ne avresti un altro!"

No.
Gaige non rise della battutina.
Per niente.
Al contrario, puntualizzò.
"Perché dovrei avere un valido motivo per raggiungere un bar e gustarmi un drink?"

Ahhh... aveva inteso male la domanda.
Comunque, Gaige non ne aveva dato segni particolari, ma Lainey comprese che qualcosa doveva essergli andato storto, nel momento in cui la sua voce slittò dal timbro normale ad uno agguerrito, per terminare sull'impastato.

"Nessuno, realmente. Scherzavo, Gaige."
Quindi scostò una sedia e gli sgusciò vicino, riservandogli il silenzio complice di cui un uomo aveva bisogno, in certe situazioni, molto più che d'isolarsi.

"Si è rotto."
Decretò Gaige, con una confusione che raramente poteva riscontrarsi nei suoi atteggiamenti sempre saldi, incrollabili.

"Uh, il... pc?"
Domandò, stavolta seria, stavolta non poteva sbagliarsi.

Gaige non rispose. Sembrava preso dalle sue personalissime vicende, per darle corda. Non lo scollava, lo sguardo, da quella tazza di caffè, istillandole un moto di invidia nei confronti della tazza talmente interessante.

"Il cuore."

Se il locale non si fosse svuotato, Lainey non ci avrebbe scommesso, che fosse state proprio Gaige Cosgrove a pronunciare quel termine, che sulle sue labbra non sapeva di melenso, ma di pericoloso, talmente basso da risultare vibrato, come accennato fra sé e sé più che ad un interlocutore.
E...
Auch. Lainey si rese conto di star incontrando un Gaige distante dalla calibrata facciata di sempre, logorata da qualcosa. Da qualcuno.
E mai come in quell'occasione avrebbe voluto aver ragione si trattasse solo di un banale pc.

Gaige sorseggiò un sorso del caffè, il primo. Lo ripose sul tavolino, trattenendolo con uno sguardo e una mano.

"Non mi hai mai portato il caffè che ti chiedevo."
Se di protesta si trattava, avrebbe dovuto lavorare sulla convinzione.
"Anche questo è zuccherato".
Constatò, senza dare l'impressione che vi fosse realmente interessato in quel momento.

"Lo so."

Gaige archiviò l'argomento con un cenno secco, non si interrogò sul perché lo facesse. Probabilmente Lainey aveva le sue buone ragioni di serviglielo a quel modo.

"Tyra, la mia fidanzata, oggi mi ha chiesto una di quelle pause di... riflessione."
Ingiunse senza guardarla, trovando stranamente confortante il silenzio di Lainey.

I muscolosi del suo collo erano appena arcuati nella sua parte superiore, cosicché la testa gli ciondolasse in avanti, il focus nel caffè che reggeva tra le mani. Il suo stato d'animo, comunque, non gli modellava il corpo di sconfitta afflizione, ma la sua imponenza non ne restava nemmeno del tutto indenne; malgrado si mostrasse vagamente turbato più che ferito, Lainey tenne conto di quella confessione apparentemente leggera e superficiale, che nascondeva la debolezza di chi non è abituato a concedere di mostrare.

Quella sera, non era che un uomo attraente e desolato, e lei voleva consolarlo, ma non sapendo come fare azzardò a posargli una mano sulla sua. Gaige risultò così insensibile al suo tocco da accettare il gesto di vicinanza senza nemmeno accorgersene, come se quel contatto tanto ravvicinato e intimo non lo sorprendesse, perché privo di alcun peso per lui.

"Se non ne aveva valide ragioni, forse riflettere non le farà male." Si sentì proferire Lainey, consapevole di far pendere l'ago della bilancia a prescindere dalle conoscenze dei fatti che non possedeva, per farlo. "Nessuna persona assennata, diversamente, ti avrebbe allontanato."

E tutto d'un tratto, il bicchiere che calamitava la sua attenzione ne soffrì la perdita, ora ondeggiata lenta e irruente allo stesso tempo su di lei.
Probabilmente si era spinta oltre, pensò mentre ritraeva la mano, muovendosi agitata sulla sedia.
Le iridi di Gaige si erano fatte liquide, una v gli solcava la fronte, mentre prendeva coscienza delle sue parole. E dei suoi tratti, visti da vicino per la prima volta.

Accigliato, sondò la sua fronte spaziosa e l'ovale a cuore, con la lentezza che solo un irresistibile provocatore o un inguaribile bevitore sapeva concedersi; l'ispezione si focalizzò sul taglio degli occhi allungato come la forma delle sue labbra, non piene come quelle di Tyra, ma più naturali. Femminili, in un modo tutto loro. Un modo delicato e provocante.

Al contempo, Lainey realizzava che nessuna delle emozioni che viaggiavano sul volto di Gaige riusciva a sedimentarvisi, troppo sfuggenti, troppo fumose, passeggere, per conquistarlo.

Ma non le aveva lasciato andare la mano, quando aveva tentato di ritrarla.

Tenendola ancora abbandonata contro la superficie legnosa del tavolo, lui roteò la sua perché fossero palmo contro palmo, per poi serrarla impercettibilmente, perdendo in gentilezza. Impossibile non cogliere l'improvvisa e crescente irritazione espressa da quella morsa.

"Sei una bugiarda."
Aggredì Gaige con voce piatta e brusca. "Credi che frasi di circostanza possano consolare un uomo come me?"

"No."

"E allora non perdere tempo a dirmene." Ricusò insensibile.

"Non ho detto di averlo fatto: la mia non era una frase di circostanza." Affrontò seria e impettita, bilanciando il tono rude di lui con uno altrettanto rovente e spazientito. "Lo penso."

Gaige la trafisse con uno sguardo affilato; una fiamma nera si animò frastagliata nei suoi occhi. Con fare insidioso, il suo viso si chinò fino ad accostarsi con malsicura lentezza al suo; dalle sue labbra, un solo sospiro.
"E tu, saresti assennata come non lo è stata lei, Lainey?"

Sapeva che quell'atteggiamento disinibito nasceva dal suo stato alterato. Lainey lo sapeva, ma non impedì ad una scia tiepida di schiudersi nelle viscere, serrandole le gambe. Un pensiero le aizzò la velocità del respiro, e forse per indole, forse per fortuna, Lainey riuscì ad insabbiare la sua reazione.

"Mi dispiace" si sentì enunciare atona, allontanando la stretta della sua mano con una decisione che la sua voce non pareggiava. "In questo momento, potrei non esserlo affatto."
Così si era alzata, aveva raggiunto il bagno, segregato quel pensiero e rinfrescato le sensazioni sotto il getto gelido del rubinetto.

Quando era tornata in sala, pronta ad occuparsi di Gaige e dei suoi clienti con l'allegra disponibilità che le era spontanea... lui se n'era andato.

"Lainey, hai sentito quello che ho detto?"

Alla traboccante impazienza di Gaige, Lainey rizzò le spalle, pronta a rimbeccargli di no, persa a ricordare qualcosa che loro non avevano mai chiarito, per ascoltarlo. Con una pinza si occupò di sistemare in un espositore i biscotti di pan di zenzero. Non li aveva fatti personalmente, non era una pasticcera, ma il suo palato garantiva fossero ugualmente ottimi.

"Ero sovrappensiero."
Non si scusò, il velo di un sorriso teso le plasmò superficialmente i tratti del viso.

Dopo quella serata, conservata nei dettagli dalla sua mente, Gaige era tornato il solito. Probabilmente non ricordava nemmeno di quell'occasione, di quella conversazione intima rispetto alle chiacchiere solite, questo perché non riteneva fosse accaduto nulla di significativo da essere ricordato o menzionato. Lainey non lo biasimava; il loro rapporto ne aveva comunque beneficiato e, col tempo, acquisito maggiore confidenza, dando vita al loro rapporto di amicizia.

Una carezza le lambì una guancia.
La sua mano. Grande, levigata.
Gaige le stava sfiorando una guancia con il pollice, soffermandosi sulla sua fronte.
"Ti senti poco bene? Non sarà che hai preso freddo?"

Lainey si irrigidì come se ne avesse, quando il suo tocco aveva innestato temperature tutte opposte, combattendo l'istinto di socchiudere le palpebre per lasciarsi cullare dal suo tocco.

"No, no" vibrò incerta, cercando di sintonizzare la sua voce su una frequenza meno sensibile, meno reattiva di quelle appena subentrate.
"Sono abituata al clima di Jouette. A proposito, ho adocchiato un pinguino che passeggiava lungo la rue dei mercatini, l'altra sera."

Appurato che non ci fosse nulla che non andasse, la mano di Gaige aveva già lasciato il suo viso. Se non le avesse già rivolto un sorriso docile, tiepido come un plaid, magari avrebbe sentito freddo per davvero.

"Era ciò di cui volevi parlarmi? Pinguini?" La schernì.

Ciò di cui voleva parlargli...

"Ehi! Domani sera passeresti dal Miracle? Vorrei parlarti" gli aveva scritto la sera prima in un messaggio.
Il "Ci sarò" di lui non aveva tardato ad arrivare.

A quasi un anno dall'arrivo di Gaige a Jouette, si era instaurata una preziosa complicità fra loro, per questo Lainey aveva deciso che era tempo di confessargli tutto, svelando che il motivo per cui gli aveva detto che no, non sarebbe stata più assennata della sua ex, quella volta, era perché avrebbe desiderato baciarlo.
E che, sì, sarebbe stata più assennata di Tyra, perché aveva iniziato a provare qualcosa per lui dal momento in cui le aveva donato la sua sciarpa otto mesi prima, inoltrandosi nel gelo senza esitazione.

In quel lasso di tempo, Lainey era stata una talentuosa artista del tenere a bada le emozioni, e non lo aveva fatto solo per evitare imbarazzi, ma anche per preservare l'amicizia che non sapeva come avrebbe risentito di quella dichiarazione: se lui non l'avesse ricambiata, si sarebbe irrimediabilmente infranta; il punto di voler ugualmente tentare, stava nel fatto che dopo Natale, Gaige sarebbe tornato a casa, in Inghilterra.
Il suo compito era stato portato a compimento, e Gaige l'aveva fatto egregiamente: la libreria per cui era giunto a Jouette era tornata a sopravvivere grazie al suo operato.

Lainey stritolò nervosamente una cannuccia, le cui strisce rosse e bianche si rincorrevano oblique in una decorazione prettamente natalizia. Se fosse rimasta a riflettere ancora sul da farsi, il coraggio di quella sera sarebbe svanito, il Natale sarebbe passato, Gaige se ne sarebbe andato, e...

Basta.

Era stufa di aspettare.

"Gaige."

Era il momento di agire.
E non se ne sarebbe pentita affatto, comunque fosse andata.
Il coraggio non le era mai mancato, e al diavolo come l'avrebbe presa: Lainey era abbastanza donna da dirgli come stavano le cose senza giri di parole, e lo era perfino da continuare a respirare, mangiare e dormire se lui l'avesse allontanata di conseguenza.

"Visto che hai deciso di tenermi sulle spine, tocca a me rompere il ghiaccio per te, parlandoti per primo."

Lainey strabuzzò gli occhi. Si accigliò. E s'incuriosì. Le sue confessioni potevano aspettare qualche altro minuto.
Parlarle di cosa?

"Riguarda... un'uscita."

Detto ciò, il cuore le prese a sbattere contro la cassa toracica come se volesse sbalzarvi fuori da un momento all'altro.
Lainey lo capì ancor prima che lui si spiegasse. Era istinto, puro e inconfutabile. Un'uscita. Stava per invitarla ad un appuntamento con lui.
Alleluia, Gaige Cosgrove! Ci voleva così tanto!? Tra loro c'era qualcosa, qualcosa che non provava solo lei! L'emozione di stare per sentirgli pronunciare ciò che lei si era programmata di dirgli, le ammantò il petto. Avrebbe voluto scoppiare a ridere di gioia: avevano scelto lo stesso giorno, per giunta!
Non era forse il caso di iniziare a credere al destino? O, semplicemente, di credere che provavano davvero lo stesso l'uno per l'altra.

E tanto le bastava.

"Dunque..."
Esortò, trattenendo a stento il fiume in piena che la sconquassava, agognando che finalmente si aprisse con lei, sentiva che Gaige stava per farlo. La suspense non la uccise solo perché la speranza le si cristallizzò negli occhi.

"È Tyra.
In settimana mi vedrò con lei."

   
 
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