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Autore: flama87    29/12/2016    1 recensioni
Ogni trecentosessantacinque anni, il Dio Sole sceglie una donna mortale da sposare e la indica ai fedeli con il suo Stemma. Quando il tempo è giunto, gli abitanti del regno di Lactea sono obbligati a consegnarla all'Ordine, il quale permetterà alla Dama Bianca di convolare a nozze con la divinità.
Eppure della Ventiquattresima Sposa non vi è alcuna traccia, il tempo del Viaggio di Nozze è oramai vicino. Impauriti davanti all'idea d'infrangere l'antica alleanza e non volendo incorrere nelle ire divine, il Sovrano di Gennaio e il Sommo Cardinale d'Agosto daranno il via a una caccia agli eretici sanguinosa e cruenta.
E se fosse la Sposa a non voler essere trovata?
Genere: Drammatico, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza
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11.1 Primi rintocchi di Lode
 

Aulix, ser Alcor e Undine stavano apprestandosi a varcare con gran passo l'Arco del Trionfo. La divinità lunare degnò la struttura marmorea solo di un rapido sguardo, trovandola molto compatta e robusta.

«Fu costruita molto prima della Grande Cattedrale», suggerì Undine.

«Gli uomini hanno sempre amato le grandi opere» rispose il satellite.

L'intero Arco era costruito in opera quadrata, scolpito dal marmo: pentelico fin ai capitelli e lunense nella sua parte superiore. Stava ben eretto su di un piedistallo, il cui zoccolo, o basamento, era ricavato dal travertino: una roccia sedimentaria calcarea di tipo chimico; il suo nucleo era, invece, costituito da una mescolanza di malta, ricavata dall'unione di calce e sabbia, e ghiaia.

Le due facciate a singolo fornice erano inquadrate da semicolonne, su cui erano presenti fusti scanalati e capitelli compositi, il cui compito era sorreggere il soprassoglio o epistilio: elemento orizzontale non spingente e portato, che faceva da voltaportante al fregio su cui erano scolpiti i dodici re che si sottomettevano all'Unico Sovrano Elaiha Sal'olmar, raffigurato con il Dio Sole a cingergli il capo a mo' di corona.

«La vita degli umani è così breve che essi cercano l'eternità in sontuose opere» ironizzò la divinità. Undine si lasciò andare in una smorfia di disappunto:

«Se anche farsi affiggere in un monumento non fosse bastevole ad ottenere l'eternità, non bisognerebbe però deridere la magnificenza di quest'opera».

«Forse questo Arco è per voi grande, ma è piccolo per la Grande Casa del Cosmo. Voi trovate bello una mollica di pane su di una tavola imbandita?»

«La bellezza di questo Arco non sta nel suo essere grande o nel suo voler durare in eterno: è proprio perché presto o tardi potrebbe svanire, che ne si apprezza maggiormente il suo splendore» commentò Alcor.

«Parole sagge, le vostre» ammise Aulix.

«Non sono mie» rispose il cavaliere. «Ma di quel mio fratello che era anche vostro amico, prima che padrone. Sono sicuro che vi avrà parlato molte volte dell'Arco».

Erano a metà dell'arco quando Aulix si fermò, alzando lo sguardo verso le ricche decorazioni a cassettoni: vide al centro raffigurata in una formella la Sposa accompagnata all'Altare, che assieme ai due pannelli a lato di ogni fornice che, insieme, formavano un breve racconto visivo della tradizione del Culto.

«L'Arco di Trionfo rappresenta sì la vittoria dell'Unico Re sui suoi nemici ma, principalmente, fu eretto a simbolo del Trionfo del Sole, che da sempre accorre sull'umanità quando questa si perde nelle tenebre» commentò il satellite. «Padron Mizar credeva che lo scopo dell'Arco non fosse indicare la vittoria che terminò le lotte intestine del regno, bensì essa mostra il percorso con cui il Dio Sole ha da sempre allungato la sua mano benevola sugli uomini. Per questo la sua figura è posta sul capo del Re. Non a corona, di cui egli possa sì adornarsi; essa è la volontà del Dio che scende sull'uomo giusto e da lui scelto per dare ordine agli uomini.

Così, chi esce dalla Grande Cattedrale, e va verso la parte più bassa della città, deve sempre ricordare che anche la bontà del Dio almeno una volta è venuta meno. L'estrema malignità dell'uomo fu capace di chiamare su di sé un disastro.

Mentre chi va verso la Grande Cattedrale deve guardare bene il grande perdono che il Dio ha saputo dimostrare, anche dopo aver quasi fatto calare la sua ira sugli uomini, quando la Prima Sposa è con lui convolata a nozze».

Gli occhi del giovane indagarono le numerose figure scolpite sull'Arco. Rammentava, non senza un vago trasporto, tutte le nozioni che padron Mizar gli aveva sempre conferito, ogni volta che lui si era mostrato sufficientemente curioso.

«Quest'Arco non è il trionfo degli uomini sopra agli altri uomini: è la vittoria della luce sopra tutte le tenebre. Eppure chissà in quanti lo ammirano e credono che sia a vanto del Re: lo avete eretto per rammentarvi di quelle epoche antiche, quando affogavate nel buio della notte; lo celebrate oggi come un trofeo, di quelli da porre in bella vista agli ospiti cosicché abbiate a vanto cose di cui nemmeno siete protagonisti. Ma cos'è la vittoria di un uomo a scapito di un altro suo pari, quando entrambi sono che polvere nella Grande Casa del Cosmo? Questo Arco sarà bello come dite, ma è anche tristemente inutile. Non assolve più al suo compito. Non rammenta agli uomini la bellezza dell'Alba, né la malinconia del Tramonto. È solo un ammasso di pietre e marmi che vi gonfia l'ego ogni volta che vi poggiate sopra lo sguardo. Per tanto, cos'altro dovrei mai pensare di quest'Arco, se non che esso è tanto grande quanto miserevole?» quindi si voltò.

«Ora proseguiamo».
 

11.2 Solstizio
 

Lentamente il gruppo discese lungo il ponte che dai colli della Guardia conducevano più in basso, verso il colle dell'Oro. L'intera Ras Alhague la si poteva immaginare come una immensa laguna di boschi, da cui soltanto sette colli si ergevano oltre il gran numero d'alberi, come picchi di montagne in gran parte sepolte negli abissi del sottobosco. Ogni colle era collegato all'altro da un sistema di ponti in pietra viva e marmi pregiati, adornati di numerose statue di personaggi tra i più famosi, e capeggiate ad ambo i lati da alte torri di guardia. Le cinte murarie sui colli formavano punte di freccia rivolte verso ogni direzione, sicché, se mai qualcuno avesse avuto il dolo del volo, avrebbe potuto ammirare come l'intero impianto urbanistico ricalcasse lo stemma del divino Sole: la Grande Cattedrale, simbolicamente al centro, rappresentava il cuore del Culto a lui dedicato.

La prima tappa del trio fu la casa di lord Mizar Merak, nella quale Aulix sembrava dovesse prendere qualcosa di utile alla sua causa. La raggiunsero che i primi rintocchi del Solstizio non erano che iniziati, il divino si era da poco seduto sul suo scranno eterno e il cielo era di un azzurro intenso. Varcarono l'ingresso senza difficoltà: era rimasto aperto, nonostante vi fossero chiari ed evidenti segni che la Gendarmeria stesse conducendo indagini all'interno. Ser Alcor esitò un istante.

«Comprendo che sia un duro colpo per voi, ma dovete farvi forza ser. Alcune cose accadono perché devono accadere, non v'è modo di sottrarvi ad esse» fece Undine. Alcor sospirò.

«Sembrate molto familiare con la mia vicenda, messere».

«Lo sono, invero. Ho officiato il Rito del Riposo per vostro fratello».

Il cavaliere allora prese l'altro per le spalle e disse: «Un altro suono, chissà quando, forse quando le mie ossa saranno cedevoli e la mia vista scarsa, io potrò finalmente mettere piede in questa casa e dirmi finalmente in pace. Fino ad allora, che fratello sia stato un eretico o meno, una parte di me vi sarà sempre grata per aver consegnato il suo Sogno alla Sera: mi rincuora sapere che egli è da qualche parte, nella Grande Casa, diretto verso il luogo del suo più eterno riposo».

«Sono certo che sia già lì, ser».

«Eppure», continuò l'altro, «non è felicità quella che riempie l'altra parte del mio cuore. I miei sentimenti di gratitudine mal si alleano con queste parole che ora mi escono dai polmoni».

Undine non si mostrò sorpreso. «Penso di comprendere».

«No, non potete. Non avrò pace finché non avrò avuto vendetta. Che mio fratello fosse innocente o colpevole, nessuno avrebbe dovuto costringerlo a tanto; tagliare le proprie vene e versare il suo sangue, non è mai stato uomo capace di ciò: amava il giorno e gli dei, aveva un cuore grande fin sopra i limiti del cielo. Così grande, da non vedere differenze tra sé e la sua servitù. Perciò, padre, quando la mia spada calerà contro uno del vostro ordine, non abbiate a meravigliatene e risparmiatemi da eventuali sermoni».

Undine sorrise. «L'uomo che ha officiato il Rito del Riposo a vostro fratello si è assopito nella sua cella, alla Grande Cattedrale. Io sono un uomo nuovo. Non ho più legami con l'Ordine, ma solo con la mia signora Artume: lei mi ha dato in dono questo nuovo giorno e io la seguirò fino alla fine».

Ser Alcor allora gli si fece vicino, gli strinse una mano in segno di fiducia e aggiunse: «Allora, messer Undine, non dovrete mai temere niente da me. Sarò per voi e la vostra signora spada e scudo, fin quando i nostri intenti saranno perfettamente allineati».

«Mi auguro che tale alleanza duri quanto più a lungo possibile. Siete un ottimo spadaccino, ci farete comodo».

«Certamente. Però voglio che abbiate in chiaro quest'altro: sono i raggi del Sole che scaldano il mio sangue, non la fredda luce della Luna».

«Non confidate troppo in quella luce, ser. Poca e sentirete freddo. Molta e avrete caldo. Al cospetto del divino bisogna stare né troppo distanti e né troppo vicini. Chi supera questo tabù perde il senno come Cipride».

«E chi segue la Luna si perde nella notte, dicono».

«Può darsi ser, ma amo troppo la Grande Casa del Cosmo per avere paura della notte».
 

11.3 Pochi rintocchi dopo
 

Aulix, che si era separato dal duo per qualche rintocco, ritornò di lì a poco con l'espressione soddisfatta, pur seria, di chi aveva ottenuto subito ciò che voleva.

«Mia signora, siete riuscita a trovare ciò che cercavate?» fece Undine.

Aulix inarcò un sopracciglio. «Puoi rivolgerti a me con tono meno formale, Undine. Non sono, per ora, che uno schiavo liberato che non ha né titoli e né fama. Quando siederò sul trono del mio castello, allora avrai tutti i motivi di rivolgerti a me con l'etichetta che più ti compiace».

«Un castello?» commentò Alcor. "Intende conquistare il regno?".

«O fortezza. Come preferisci, ser».

«A cosa può mai servirti, allora, l'atto di compravendita di mio fratello? Ormai che sei libero, esso non ha più valore».

«Certi pezzi di carta hanno più valore che di mille parole e giuramenti fra uomini d'onore, ser Alcor. Un piccolo pezzo di carta può cambiare il mondo. Questo documento sarà il primo passo verso qualcosa di più grande».

«Che cosa?»

Il giovane rise.

«Non mi hai sentito prima: un castello, ho detto».

11.4 Primi rintocchi di Equinozio

Gregor scoprì che la sua sopportazione aveva un limite molto esiguo. Benché non fossero trascorsi che tre soli suoni presso l'Ordine, era certo che avrebbe fatto carte false pur di poter fuggire da lì. Non potendo fisicamente sfuggire alla sua prigionia, iniziò allora a fantasticare: si vide circondato di belle donne, intento ad ingozzarsi di vini pregiati e ad assaggiare manicaretti di inenarrabile bontà. Si accostò a una colonna e di colpo si riscoprì circondato da lacchè e volti ignoti.

«Quale onore, sua eccellenza!» diceva uno. Fu spostato malamente da un altro, più grassoccio e unto.

«La mia diletta figlia compie diciotto danze questa Ide. Vi prego eccellenza, abbiatela in moglie! È donna in carne e fertile!»

«No eccellenza non state a sentire costui» fece un altro, tirandolo via. «La mia figlia adorata è giovane ma già pronta: ha sempre desiderato onorare la nostra casata ed è pronta a darle più eredi di quanti lei ne desideri!»

Merce di scambio. Ecco cos'erano le donne per alcuni uomini: prodotti da vendere e da imprestare. Cose. Di quelle che puoi far valutare e, per tua fortuna, anche agghindare così da renderle più gradevoli, anche quando gradevoli non lo sono. In quella sua singolare fantasia Gregor si riscoprì più nobile di quel che immaginasse. Con un colpo di tosse, di quelli decisi ed autoritari, s'impose con il petto come se avesse la notte a gran dispitto.

«Io dico, signori, voi nobili di sangue, siete nobili solo di titolo o è vero sangue blu quel che vi scorre nelle vene?»

Nessuno replicò.

«Allora vi dico, quali bestie vendono le grazie delle proprie figlie per averne un tornaconto? O forse pensate ch'io, dall'alto della mia gloria, abbia mai desiderato nient'altro che non sia quell'amore cortese di cui si canta nelle favole?»

«Oh quale amore?» rise uno.

Gli fece eco l'altro: «Quell'amore è per le storie e i bardi, non per la nobiltà».

«Con l'amore, sapete, non si fanno affari tra gentiluomini».

Gregor allora estrasse la sua spada e riflesse i raggi del divino con essa, abbacinando i presenti. La puntò poi verso ognuno, un per volta.

«Non ha forse il divino sposato una donna umana, e lo fa ciclicamente, perché egli ama l'umanità, e di quest'amore si nutre nello sposalizio? Così voi ingiuriate il vostro Culto e l'Ordine, dicendo che il matrimonio è atto d'affare e non certo atto d'amore!»

I volti di tutti congelarono nell'imbarazzo.

«Se non vi sapessi uomini d'alto lignaggio, forse avrei pensato di voi come si confà coi plebei nelle fattorie: di rozzi e di sozzi, di animali e maleducati. Allora io vi dico, tornate dalle vostre figlie e stringetele a voi: dite loro che v'è amore nel vostro cuore e che, se lo vorranno, avranno in marito chi loro desiderano e non chi voi desiderate per loro. Ed ora uscite dalla mia casa, mi avete già offeso a sufficienza!»

Quando tornò alla realtà, Gregor si sentì profondamente seccato. Avrebbe goduto nel dare uno smacco del genere a quella cerchia di nobili nullafacenti, opulenti sagome di una società che si fondava sui soprusi. Si sarebbe volentieri eretto sulle masse, conducendole verso un domani migliore. Invero, dietro quella facciata di nobili intenti, Gregor nascondeva un che di oscuro: i suoi occhi, quando s'immaginava eroe del popolino, erano sempre come infuocati da una luce sinistra. Perché, che ci piaccia pensarlo oppure no, son pochi gli uomini che fan cose giuste perché è giusto farle; una fetta fa ciò che deve quando può ma solo fin dove crede, un'altra fa ciò che deve solo quando lo vuole e la restante fetta fa' quello che vuole e non anche ciò che dovrebbe. Gregor non facilmente oscillava in tutte queste categorie, giacché, pur considerando che il suo desiderio di depurare la civiltà dalla zavorra, ch'era la lussuriosa nobiltà, derivasse dalla triste sorte che aveva colpito la madre, al tempo stesso non desiderava che per se stesso una vita di onori e di glorie, di agi e di vizi, di sfizi e di ricchezze. Credeva però che nessuna di queste cose avesse il piacere di definirsi tale se erano state ottenute con la menzogna, estorte con la forza, o conquistate con l'inganno. "Non che io possa mai raggiungere queste cose, facendo il sacerdote" si ricordò. Sconsolato vagò con lo sguardo, cercando tra i tetti delle case distanti quello della villa del suo fu padrone, ripromettendosi di ritornare al piccolo altare dedicato alla madre al termine del seminario.

«Quanti convenevoli, fratello». Gregor fu rapito dalla voce femminile che si elevò, d'improvviso. Si affacciò dal parapetto, facendo attenzione a restare nascosto dai colonnati, per guardare verso il basso ed origliare. Una donna dal lungo abito bianco e il viso coperto da un velo stava passeggiando assieme ad un uomo dall'aria severa e autoritaria.

«Conosci le regole, Cipride» il tono dell'altro non tradiva emozioni, nonostante desse l'impressione di essere seccato.

«Anche tu conosci le tue».

«Se entrambi sappiamo quali sono i nostri doveri, perché tu sei qui mancando, palesemente vorrei dire, al tuo?»

«Perché debbo riferirti di alcuni fatti tanto spiacevoli quanto meritevoli della tua attenzione».

L'altro si fermò. «Ti ascolto».

«Un piccolo drappello dei miei adorati figli è stato assopito».

«Ne sei certa?»

«Come una madre sa se i propri figli sono ancora vivi sul fronte di guerra, così io so -l'ho sentito- che sette dei miei figli sono stati trapassati a fil di lama».

«Per quanto sia una evenienza rara, può verificarsi. Si è verificata anche altre volte, perché farmelo sapere?»

Lei allora lo guardò con occhi carichi di risentimento. «Perché, fratello, sono stati assopiti nelle tue Case di Cura. Perciò domando risposte a te, che ti ergi in cima a chiunque in questa città: chi, dei tuoi fedeli, ha osato alzare le proprie armi sui miei figli?»

L'uomo non rispose, bensì si limitò a farsi vicino alla donna stringendola in un confortevole abbraccio. Il pianto di lei era rotto soltanto dalla sua collera.

«I miei figli, Bēl, li ho sentiti gridare e disperarsi mentre si spegnevano. La notte se li è presi. Non sento più le loro voci».

«Mia adorata Cipride, frena le tue lacrime» il fratello le prese il viso e cercò suo sguardo attraverso il velo. «Farò tutto ciò che posso per scovare chi ha osato portarti via i tuoi bambini. Fai però promessa di fare più attenzione: in questi luoghi ti è vietato entrare. Se sapessero di noi. Se ci vedesse qualcuno... l'Ordine che così faticosamente ho tenuto insieme...»

«Perdona questa tua sorella sconsiderata. Il dolore mi ha resa cieca, solo tu potevi darmi conforto. Fa che io non versi più altre lacrime per i miei pargoli. Trova i responsabili Bēl, dai loro la caccia: nessuno deve sapere che è possibile ucciderli e farla franca. D'altronde, ne va del tuo così prezioso Ordine!»

Gregor, ch'era rimasto a guardare la scena, rabbrividì. Era certo di aver udito quei nomi prima ma, anche se non riusciva a collegare nessuna informazione, sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Era difficile da spiegare: si sentì come se avesse visto dei volti familiari dopo un tempo lungo e atroce, e fu scosso da così tanta gioia che, incontrollabilmente, tutto il suo corpo dovette liberarsi degli eccessi scuotendolo dalla schiena fino alla punta dei capelli.

«Ora ti lascio, fratello. Confido nel tuo operato».

«E io nel tuo».

"Chi sono costoro?" si domandò Gregor, mentre guardava i due stringersi in un ultimo abbraccio, prima di lasciarsi. Restò ancora in disparte, mentre l'uomo che rispondeva al nome di Bēl fece suonare un campanellino. Poco dopo apparve un sacerdote, che subito si prostrò ai suoi piedi.

«Vostra eccellenza, comandatemi».

«Adraste, ho bisogno dei tuoi servigi».

«Ogni suo desiderio è un ordine, Sommo Cardinale».

A quel punto Bēl lo fece alzare e gli consegnò una spilla a forma di pugnale.

«Contatta Callisto, riferiscigli che ignoti hanno aggredito e assopito alcune Orme Bianche all'interno della Casa di Cura. Che indaghino sulle vicende, con estrema discrezione».

«C'è altro?»

«Sì, voglio che Io e Meti indaghino all'interno della Grande Cattedrale. Uno dei miei fratelli si nasconde entro queste mura. So che è tra noi ma non so dov'è: trovatelo. È vitale che non venga scoperto da altri prima di me, intesi?»

«Certo vostra magnificenza, provvederò subito».

«So che non mi deluderai».

Mentre la figura del Sommo Cardinale si profilava oltre il colonnato, Gregor scivolò a sedere paonazzo in volto. "Il Sommo Sacerdote è una divinità? Ma... non fu vietato? Non fu proibito dal divino agli altri dei di interferire attivamente con gli uomini?"

La figura di Ade si materializzò al fianco del giovane, sorridendo e sistemandogli gli abiti.

«Vedi Gregor? Anche agli dei piace infrangere le regole: non è solo un vizio umano».

11.4 Qualche rintocco d'equinozio più tardi

Cipride stava rientrando nei suoi domini sottostanti la Grande Cattedrale quando un piccione viaggiatore si appollaiò sui bordi della scala che dal sontuoso edificio dell'Ordine l'avrebbe ricondotta al suo antro nascosto.

"Un messaggio?" incuriosita, sfilò la pergamena dalla zampa del volatile e, mentre questi si sistemava le piume, la srotolò.

Questo lesse:

Grande Madre,

alcuni invasori hanno messo piede alla vecchia Ras Alhague. Sono arrivati dal vecchio passaggio, quello sigillato; ho ragione di pensare che siano responsabili per la sorte dei nostri adorati fratelli. Conosco quel passaggio bene e so che porta unicamente alle Case di Cura, lì dove i vostri pargoli sono scomparsi. Ho tentato d'incastrarli presso la vecchia porta, ma credo che tenteranno di aggirarmi per proseguire. Chiedo il permesso per terminare i bersagli a vista.

Vostro fedele servitore,

Golgo.

«Oh Golgo, mai saprai quanto hai reso felice la tua madre oggi».

La dea prese dal suo abito bianco una piccola pergamena. Prese una piccola lama e si provocò un breve taglio sull'indice; scrisse al suo servitore e figlio adorato il seguente messaggio.

Mio fedele Golgo,

se ti si presentasse l'opportunità, fa di prenderli vivi e conducili a me. Ma se per caso tu ne avessi motivo, prenditi pure i loro giorni, così come loro, semmai ne avranno modo, certamente si prenderanno anche il tuo.

Quale che sia l'esito delle tue azioni,

la Grande Madre ti sarà riconoscente in egual misura.

Con affetto, la madre tua.

Sorrise, proiettando se stessa dentro ai piani e alle trame che le stavano danzando nella mente: mescolò il dolore amaro di madre affranta al sapore dolciastro della vendetta, consapevole ora d'avere tutti i responsabili di quel vile atto nel palmo della sua mano. Quelli che erano alla vecchia Ras Alhague avrebbero incontrato la sua furia per mano dei suoi guerrieri, e, se erano sfortunati, avrebbero patito per mano sua le giuste pene.

«Me la pagherete».

La dea che presiedeva l'amore aveva ora il cuore colmo d'insani propositi.

   
 
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