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Autore: flama87    29/12/2016    1 recensioni
Ogni trecentosessantacinque anni, il Dio Sole sceglie una donna mortale da sposare e la indica ai fedeli con il suo Stemma. Quando il tempo è giunto, gli abitanti del regno di Lactea sono obbligati a consegnarla all'Ordine, il quale permetterà alla Dama Bianca di convolare a nozze con la divinità.
Eppure della Ventiquattresima Sposa non vi è alcuna traccia, il tempo del Viaggio di Nozze è oramai vicino. Impauriti davanti all'idea d'infrangere l'antica alleanza e non volendo incorrere nelle ire divine, il Sovrano di Gennaio e il Sommo Cardinale d'Agosto daranno il via a una caccia agli eretici sanguinosa e cruenta.
E se fosse la Sposa a non voler essere trovata?
Genere: Drammatico, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza
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12.1 Tardo Equinozio
 

Quel suono lo si sarebbe ricordato nelle danze a venire. Nessun uomo, né di grande lignaggio, né di più basso volgo, avrebbe riposto quell'avvenimento negli angoli più remoti della propria memoria. Eppure, ad onor del vero, era quasi trascorso un intero suono che nessuno si era accorto di cosa stesse accadendo. Talvolta, le cose più incredibili capitano proprio davanti ai nostri occhi, e noi si è fin troppo ciechi per notarlo; perché indaffarati; perché imprigionati nelle nostre faccende, sicché si abbisogna che qualcos'altro ci faccia notare ciò che non riusciamo a vedere.

Fu così per Ras Alhague, che nel bel mezzo di quell'equinozio si fermò. Nobili, mercanti, schiavi, contadini, perfino gli animali. Anzi, proprio quest'ultimi furono ambasciatori di quell'evento passato quasi inosservato. Dapprima si elevarono stormi d'uccelli in così gran numero da oscurare brevemente i raggi divini, poi il latrato spaventato dei cani riecheggiò fin nelle più distanti contrade, quindi i ratti, bestie pestifere, in grandi masse squittivano spaventati e correvano un po' qui e molto di là.

«Madre! Madre» gridò un giovincello al genitore. «Guardate il cielo! La Luna! La pallida Luna è nel cielo!»

Credendo d'avere un figlio menzognero, la madre lo colpì con una sberla sull'orecchio.

«Non credere che una bugia ti salvi dai tuoi doveri!»

Ma ben presto anche la lavandaia s'avvide di quel che suo figlio le andava indicando: la Luna, pallida in volto, appariva per tre quarti della sua divinità nel cielo azzurro. La donna lanciò un grido, poi svenne.

Era sempre stato insegnato, da quando l'Ordine andava evangelizzando la sua antica tradizione nel regno, che il cielo era il trono del Sole. Sicché, per questo motivo, nessun altro Dio poteva sedere al suo fianco, poiché egli, tanto radioso quanto magnifico, non concedeva il suo trono che soltanto a se stesso. Così quel dogma si era cristallizzato nel tempo divenendo certezza. Non che nessuno mai avesse alzato il suo sguardo per ammirare l'azzurro cielo o le bianche nubi. Eppur il popolo, anche chi di esso la Luna l'aveva vista, si era subito detto che dovesse trattarsi di una sciocca allucinazione. Ma poi chissà, forse per curiosità, quello stesso popolo che l'aveva vista con la coda dell'occhio, ora quell'occhio lo teneva ben fermo sulla pallida Luna; perché lei sedeva placida e arrogante, poco oltre l'orizzonte, come se fosse suo diritto essere lì.

Così accadde, l'odierno Sesto Nuovo dell'Ultima Ide, proprio quell'Ide ch'era detta d'Argento perché associata proprio alla Luna, che l'impensabile si manifestava agli occhi di tutti: infrangere la veridicità di un dogma fu come un terremoto, che scosse quella società poggiata su ben fragili fondamenta da lunghe danze.

L'onda del tumulto e dell'isteria si innalzò lentamente, ma tanto più si ingrandiva, tanto più si faceva violenta. Così, se in un primo momento era un mormorare sommesso, pochi rintocchi la paura delle masse era come un fiume in piena. Destate dalla loro ignoranza e dalle loro certezze, le persone dei ceti più bassi inondarono le contrade, fino alle città, gridando e comportandosi proprio come i ratti quando sfuggono alle calamità. Poiché la Luna era ritenuta nemica del Sole, il vederla nel cielo ancor prima che iniziassero i Patti Solari inculcò in ognuno l'idea che la fine del mondo fosse ormai alle porte.

Sicché, il primo e più efficace intervento lo ordinò il Re. Si affacciò irato e seccato sulla balconata interna del suo castello, mentre le milizie, capitanate dall'Alto Comandante Johanna Bow, rapidamente si univano in attesa di un comando. Il Re allora proclamò:

«Voglio le milizie e la gendarmeria pronte a sedare la popolazione. Riportate ognun dentro la sua casa. Calmate chi è spaventato, arrestate chi profetizza contro il Culto. Se vi è dato motivo, non lesinate forza alcuna per riportare l'ordine nella capitale.

Lo stesso va riferito anche ai vice-re delle restanti città. Questo il Re comanda, dite loro».

Johanna eseguì un inchino e subito comandò al reparto responsabile delle comunicazioni di inviare le disposizioni regali agli altri vice-re.

«Ser Bow, i piccioni viaggiatori sono impazziti: alcuni sono morti per fuggire dalle gabbie, altri sono volati via e non sappiamo dove» fece un soldato.

«Allora prendete i cavalli, se questi non sono sbizzarriti. Altrimenti, fate spuntare le ali sulle vostre calzature affinché siate veloci nel consegnare i comandi del Re!»

Nel frattempo, il sovrano discese la lunga scalinata in marmo e pietra viva, decorata con busti di grandi eroi e prodi cavalieri, per avvicinarsi all'Alto Comandante. Questi, rapidamente, si inginocchiò; essendo rimasta sola, dacché ogni altro uomo era già corso a obbedire ai comandi del Re.

«Vostra Altezza».

«Ser Bow, prendete pochi uomini: che siano la mia scorta personale. Dovremo recarti alla Grande Cattedrale, rapidamente».

«Ogni vostro desiderio è un ordine», disse lei.

Allora Johanna Bow si recò alla ricerca di alcuni dei suoi uomini più fidati. Risposero all'appello cinque su sei, giacché uno era stranamente assente.

«Dov'è ser Alcor?» fece lei.

«Nessuno lo ha visto da quando il fratello si è assopito».

Un altro ancora disse: «Forse è ancora in lutto».

«Questo lutto gli costerà caro», fece Bow. «Essere assente in un momento del genere, ne risponderà a Sua Altezza in persona. Non importa ora, andiamo».

Fu così che il Re, circondato da cinque dei più valorosi uomini delle milizie, più l'Alto Capitano, si apprestarono a mettersi in marcia. Ma scoprirono che, sebbene non tutti i cavalli fossero scappati, pochi di quelli rimasti sembravano in condizione di essere cavalcati. Così allora decisero di proseguire a piedi, approfittando che il Colle Regio e quello della Sposa fossero comunicanti, tramite un ponte, ma scarsamente frequentati dal popolino; i nobili, sì spaventati, avevano preferito rimanere asserragliati nelle rispettive dimore.
 

12.2 Nel frattempo
 

Il Sommo Cardinale stava affacciato al grande balcone che, dai suoi appartamenti privati, dava all'immenso piazzale adiacente alla Grande Cattedrale. Da qui era solito tenere discorsi o mostrarsi al popolo nei momenti di festività, ma ora quel piazzale era vuoto e tutto ciò che vedeva, all'orizzonte, era lo spettro della sua più grande paura. Eppure, rigido e severo com'era, inflessibile nel carattere come nelle azioni, non paventò nessuno dei suoi timori sul volto. Sotto la lunga barba grigia, le labbra rimasero serrate senza scadere in alcun ghigno di sorta.

«Eccellenza» gli fece un sacerdote. «Le milizie regali si stanno già promuovendo per sedare l'isteria del popolo. Per nostra fortuna, per ora i tumulti sono limitati alla zona popolare e al borgo commerciale. Desidera diramare qualche ordine?»

«In effetti sì, Eaco. Voglio ogni sacerdote disponibile in strada. Voglio che nemmeno un germe di eresia venga sparso impunemente. Chiunque sia trovato a parlare della Luna o di qualsiasi cosa che non sia in linea con l'Ordine dovrà essere consegnato al tribunale dell'Insonnia».

«Ma vostra eccellenza, potremmo non avere la forza necessaria per...»

«L'avrete. Comanderò ai templari di coadiuvare le vostre azioni».

«I templari!?»

«Qualcosa non è di tuo gradimento?»

«No –no vostra magnificenza. Così comandate, così sarà».

Eaco scomparve lentamente, lasciando il Sommo Cardinale solo con i suoi pensieri. Sapeva che usare i templari poteva rivelarsi rischioso, ma non temeva conseguenze: una volta sistemata quella spiacevole situazione, avrebbe riportato tutto in ordine e in equilibrio com'era nelle sue capacità.

«Vostra magnificenza!» fece un altro sacerdote, entrando d'improvviso.

«Cosa succede?»

«Sua maestà è qui! Vuole incontrarvi!»

Il Sommo Cardinale non fu sorpreso: Corona e Ordine solevano unirsi sovente, specie per le festività, giacché esse erano due lati della stessa medaglia; e non s'era mai sentito né pensato che potessero andare in disaccordo, perché se la prima del regno era la mente, l'altra era per lui il cuore. Sapeva, dunque, cosa il Re fosse venuto a dirgli e si preparò a riceverlo con tutti gli onori del caso.
 

12.3 Primi rintocchi dei Vespri
 

«Non ho la più pallida idea di cosa stia succedendo, ma ti ringraziamo –oh dea Luna- per averci concesso di superare quel maledetto arciere!»

Che Sebastian fosse contento di quanto stesse capitando glielo si poteva leggere fin nella punta dei suoi capelli. Al contrario, laddove Mithra era soltanto meno restia ad esser contenta, poiché preoccupata che l'arciere iniziasse a colpirli, Claudiette e Rosanne trasudavano paura e sgomento ad ogni passo.

«Questo è un segno del cielo!» piangeva una. «Questa è la fine del mondo!»

«Non mi piace. Non mi piace per niente. Perché ora? Perché proprio ora? Non può essere un caso!»

Sebastian non smetteva di ridere. «Oh per favore! Volete mettervi a pregare? Volete una tonaca? Un bastone sacro? Ho uno o due sermoni finti, se volete; li uso quando mi travesto da sacerdote per...»

«Silenzio!» fece Mithra. Il suo tono di voce, basso ma grave, attirò subito l'attenzione del sicario. Le altre due, vedendoli porgere orecchio d'intorno, misero da parte la loro paura e tentarono di capire.

«Vi prego! Vi prego! Non colpitemi!» fece un uomo, uscendo da un angolo. Era vestito di stracci e aveva una lunga barba nera; un occhio era attraversato a metà da una cicatrice, mentre l'altro, castano, non smetteva di spostarsi sui componenti del quartetto.

«Vi prego, aiutatemi: sono rimasto intrappolato qui da molti suoni. Quel maledetto mi dà la caccia! Voglio andarmene».

Sebastian sbuffò. "Meraviglioso, un'altra palla al piede". «Ascolta amico, non siamo qui per andarcene. Noi dobbiamo proseguire. Intesi? Perciò scusaci, ma... aspetta, hai detto che sei qui da molti suoni?»

«Io... si, si». Mithra lo guardò dubbiosa.

Il sicario continuò: «Come hai fatto ad evitare quel maledetto?» e indicò la posizione dell'arciere.

«Io, ecco, c'è un passaggio. Cioè, vedete... io –io striscio qui, passo là, vado lì, giro di là. Ci giro attorno, però l'uscita è quell'altra e mi ammazza se mi vede!»

Claudiette, vedendo che l'uomo era fin troppo spaventato per aiutarli, gli si fece subito vicino. Decise di tirar fuori la sua arma migliore: si piegò leggermente in avanti, affinché il bel seno prosperoso, facendo capolino dal corsetto, attirò subito la vista di quell'uomo. Quindi lei incalzò con voce sensuale.

«Aiutaci a girare attorno a quella torre, dietro quella specie di chiesa vedi. Sì, sì lì. Alla Grande Cattedrale. Tu facci arrivare lì e io ti assicuro che ti aiuteremo a uscire; e chissà, magari potrei darti anche qualcos'altro!»

Afferrò la mano di lui e la poggiò sul suo petto, facendola poi scivolare dabbasso. Lo guardò mentre l'ida vivida dell'atto sessuale si ramificava ferocemente dentro di lui, annebbiando ogni sua capacità decisionale. La sceneggiata aveva avuto successo, dato che l'uomo, visibilmente eccitato, si fece virile tutto d'un tratto.

«Non abbiate timore! Vi aiuterò senz'altro!»

Claudiette si girò, facendo l'occhiolino ai compagni. Poi si accorse che anche Sebastian non era rimasto così immune alla sua recita. "Basta così per oggi!".
 

12.4 Qualche rintocco più tardi
 

Sua maestà il Re e la sua scorta giunsero alla Grande Cattedrale che i rintocchi dei Vespri andavano ormai annunciando la prossimità dei Patti. Ancora gli sembrava irreale vedere la Luna nel cielo, prima che la Grande Casa del Cosmo fosse visibile per intercessione del divino Sole. Si sentiva allora come osservato da quel grande volto pallido, e non meno di una volta distolse lo sguardo dalla Luna pensando che la dea Artume, dall'alto, gli stesse scavano nel suo sogno.

Poiché il Re non era solito mostrarsi sovente in pubblico, i sacerdoti che lo accolsero ne ammirarono la foggia poiché sicuro che si trattasse di una occasione unica ed irripetibile: il sovrano era di corporatura robusta e forte, di statura alta, ma non sproporzionato come si potrebbe pensare. Difatti, ben sette dei suoi piedi ne demarcavano l'altezza. Il capo era però tondeggiante, con gli occhi grandi e vivaci, e il naso un po' più lungo del normale. Bei capelli canuti contribuivano a renderne il viso piacevole, aumentando sicché l'aura di autorità e dignità che lo circondavano. Sovente, ci si meravigliava che un tale aspetto regale fosse in disaccordo con il suo collo, grasso e un po' corto, e con il suo ventre prominente; tuttavia, forse in virtù della sua andatura sicura, sorretta da un atteggiamento assolutamente virile, gli si poteva quasi perdonare quel genere d'imperfezione. Trovarono poi fondate le voci che dicevano che fosse divenuto leggermente zoppo ad un piede, cosa che però era assai difficile a notarsi, dato che il Re sembrava profondere ogni movimento nell'atto di mascherare questo problema.

A metà del grande piazzale degli appartamenti privati del Sommo Cardinale, il Re e la sua piccola delegazione furono accolti da alcune delle più alte cariche dell'Ordine: i Cardinali, coloro che non prendevano parte alla vita liturgica come i sacerdoti, ma bensì si occupavano di aiutare il Sommo Cardinale nella sua missione evangelica.

Non appena lo accompagnarono all'interno del palazzo, così lo annunciarono: «Sua maestà Anum Sal'olmar è qui giunto: lunga vita al Re!»

Fu allora condotto nelle stanze degli ospiti, dove il Sommo Cardinale lo attendeva, seduto su una poltrona in mogano e imbottiture di seta rossa.

«Vostra Maestà, quale gradito onore avervi qui» fece il Sommo Cardinale, apprestandosi a baciare l'anello del sovrano.

Altrettanto fece il Re: «Sempre la Corona si china dinnanzi alla radiosità del Sole» e baciò a sua volta l'anello dell'altro.

Terminati questi convenevoli, le due più alte cariche del regno domandarono ai rispettivi accompagnatori di lasciarli soli, giacché dovettero discutere di faccende assai private. Così, non appena furono soli, quella maschera di riverenza cadde, per far posto al più sincero affetto fraterno.

«Bēl, fratello mio, dimmi che non ho perduto il senno».

«Non lo hai perduto, fratello Anum».

«Allora anche tu la vedi come la vedo io?»

«Una domanda sciocca, fratello. Tutto il regno la vede».

«Sai cosa può voler dire?»

«Temo di sì: lei è tra noi»

«E come può palesarsi anche nel cielo?»

«Non ho risposta a questa domanda».

«Ho un grave timore, fratello Bēl».

«Può darsi che sia lo stesso che ho io, Anum».

Il Re si alzò, visibilmente paonazzo. «Abbiamo sempre temuto che un giorno decidesse di scendere tra noi. Ora temo sia successo».

«Prima o poi doveva capitare, fratello. Ma non temere: le Leggi di Gravità valgono per tutti noi».

«Non c'è bisogno di mentire fratello, sai a cosa alludo».

«E tu sai che non bisogna farne parola».

«Non ho intenzione di farlo, ma vorrei che tu ragionassi meglio sulla cosa».

Sicché il divino Bēl, che gli umani chiamavano col nome Giove, si alzò anch'egli dal suo scranno, come se avesse udito una gran bestemmia.

«Tu forse sostieni che anche Artume abbia potuto... ?»

«Guardati attorno fratello, questo mondo è stato creato da Gaia; la Luna è sua sorella. Io temo che lei sia immune alle Leggi».

Il Sommo Cardinale sbuffò. «Illazioni e nient'altro. Non c'è ragione per cui lei debba avere un trattamento diverso dal nostro».

«Eppure guardala. Sta nel cielo dove a ognuno di noi non è concesso. La sua sola apparizione è stata sufficiente a scatenare il caos. Senza contare, fratello, che è famigerata per le sue intromissioni contro gli uomini».

«Sai bene che qualsiasi cosa abbia fatto in passato, è stata sempre nei confini delle Leggi».

Allora il Re, visibilmente spazientito, alzò il tono della voce: «Tu sai chi ci ha permesso di essere qui e ora, sulla cima di tutti. Abbiamo calpestato i nostri fratelli e sorelle, per assoggettare gli esseri umani e creare questo regno. Cosa ti fa pensare che Artume non abbia scoperto il nostro segreto? Cosa ti fa credere che lui non sia dietro tutto questo?»

«Non essere sciocco Anum. Lui è in un luogo in cui nessuno può avvicinarlo, né uomini o dèi».

«E se invece?»

Il Sommo Cardinale afferrò il Re per i sontuosi abiti e ringhiò: «Nessuno, fratello. Ci siamo solo io e te, e quei pochi che sanno abbiamo provveduto a farli sparire. Nessuno è immune alle Leggi, puoi starne certo».

«Spero che tu abbia ragione».

A quelle parole, il Sommo Cardinale lasciò andare il fratello, mettendosi a sedere.

«Alcune cose strane stanno accadendo, ma non dobbiamo lasciarci sopraffare».

«Di che parli?».

«Cipride. È giunta da me, incurante dei nostri accordi, per lamentarsi che alcuni suoi figli sono stati assopiti».

«E dov'è la novità?» fece il sovrano. «Non è raro che le Orme Bianche vengano assopite».

«Sono stati assopiti nelle Case di Cura. Abbiamo trovato il sacerdote che se ne occupava nudo e con il collo spezzato, su di un letto. C'erano tracce di sangue e... il corpo di un altro sacerdote, ricoverato per un malore, pare sia scomparso nel nulla».

«Bēl, fratello mio...» fece il sovrano, poggiando una mano sulla spalla dell'altro. «Non voglio pensare che queste cose siano una coincidenza, ma potrebbero esserlo. Tuttavia, se non lo sono, allora dovremmo prepararci».

«Sono d'accordo. Sarai mio ospite per questi Patti, ne discuteremo domani meglio e con calma».

«Accetto la tua offerta, fratello. Che il Sole vegli su di noi».

«E su tutto il regno, fratello mio. Su tutto il regno».


   
 
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