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Autore: flama87    29/12/2016    1 recensioni
Ogni trecentosessantacinque anni, il Dio Sole sceglie una donna mortale da sposare e la indica ai fedeli con il suo Stemma. Quando il tempo è giunto, gli abitanti del regno di Lactea sono obbligati a consegnarla all'Ordine, il quale permetterà alla Dama Bianca di convolare a nozze con la divinità.
Eppure della Ventiquattresima Sposa non vi è alcuna traccia, il tempo del Viaggio di Nozze è oramai vicino. Impauriti davanti all'idea d'infrangere l'antica alleanza e non volendo incorrere nelle ire divine, il Sovrano di Gennaio e il Sommo Cardinale d'Agosto daranno il via a una caccia agli eretici sanguinosa e cruenta.
E se fosse la Sposa a non voler essere trovata?
Genere: Drammatico, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza
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13.1 Nel sogno
 

Artume stava seduta al di sopra di una roccia, guardando con gli occhi sempre pieni di lacrime il firmamento. Ora che era finalmente giunta nella casa che l'amata sorella aveva disposto per gli uomini, scoprì, non senza rammarico, che non poteva più ammirare le spoglie dell'amata Gaia come aveva fatto per lungo tempo. Ora, anche nel Sogno, tutto ciò che poteva ammirare era la vastità e la solitudine che imperversavano nella Grande Casa del Cosmo.

«Come può qualcosa di così bello essere al tempo stesso così desolante?» chiese.

L'uomo che le stava di fianco distolse lo sguardo brevemente dalle divinità lucenti, sorridendo affabile.

«Non solo è desolante ma ti fa sentire così insignificante. Forse è proprio questo che la rende meravigliosa: la Grande Casa ti ricorda che non sei tu il centro dell'esistenza, ma il contrario».

Artume sospirò. «La vista della mia amata sorella mi ha sempre distratto da questi pensieri. Eravamo così vicine che, di colpo, la Grande Casa non sembrava più così grande; e la mia solitudine, per qualche attimo, smetteva di graffiarmi in petto».

«Ho sempre saputo che il tuo sguardo era altrove, Aulix. Ora so finalmente dove si perdeva così spesso».

«Mizar...»

«Tu sai perché ho scelto di addormentarmi?»

«Perché ti ci hanno costretto».

«Io ho scelto. Può parer ch'io abbia dovuto agire perché costretto. Ma sempre è possibile scegliere, in un modo o in un altro».

«E cosa hai scelto, Mizar?»

«Ho scelto di cambiare le cose, di lasciare che altre si mettessero in moto senza di me. Per farlo, era necessario che mi facessi da parte».

«Hai scelto di non scegliere».

«Assopirmi mi ha tolto la possibilità di fare delle scelte, è vero. Ora certamente non ho potere di cambiare la mia situazione. Eppure, curiosamente, smettere di scegliere è essa stessa una scelta: facendomi da parte, quel potere decisionale ch'era mio ora è di qualcun'altro. Tuo, ad esempio».

La dea Luna si alzò e guardò l'altro con occhi carichi di risentimento.

«In questa Grande Casa tante danze le ho passate in solitudine e tutte a guardare gli esseri umani. Ne ho appreso una severa lezione: quanto più ci si sforza di cambiare quel che ti sta intorno, tanto più ogni cosa resta irrimediabilmente la stessa. A cosa ti serve scegliere, allora?»

«Il tuo è un punto irrisolvibile: come puoi scegliere di cambiare qualcosa, se quel qualcosa alla fine tornerà come prima? Se allora allargassimo questa provocazione su altri argomenti, è lecito dire che, come personaggi di una fiaba, non ci è dato modo di muoverci al di fuori di essa. Ciò che è così sarà, se così deve essere. Scegliere sarebbe ininfluente».

«Questo è l'inganno, mio buon amico. Non è l'avere una scelta o il non averla, e non è l'essere liberi o l'avere un destino già scritto; si dice che, se vuoi liberarti di un male, è bene che tu lo faccia fino alla radice. Quindi, la soluzione è molto più semplice di quanto tu possa pensare: non ho scelto di cambiare questa patetica fiaba.

Io la voglio distruggere».

 

13.2 Primi rintocchi di Lode

 

Le prime luci del divino rischiararono un regno ferito, che aveva tentato di leccarsi le profonde ferite subite, ignorando, o forse fin troppo orgoglioso per ammetterlo, che il sangue che cercava di guarire non era il suo ma apparteneva al quel popolino obbligato a calmarsi con la forza. Così stavano, quelli in basso alla società, frustrati da un malcontento e da un desiderio di riscatto annidato profondamente nel loro cuore. Il volto pallido della Luna quasi li derideva, poiché ella era riuscita infine a vicino al trono del Sole, senza però spodestarlo, quasi a suggerire che si potesse essere pari a chi, invece, era solito porsi al di sopra degli altri. Così chi guardava la Luna, adesso, lentamente perdeva quel timore e il suo sgomento, giacché nel volgo e in chi viveva di stenti ancora si affannava perfino per un tozzo di pane, gridavano vendetta le bastonate ricevute dalle milizie; rei soltanto di aver ceduto alle proprie paure.

Ma una strana sensazione di tepore si percepiva quella Lode. Il risuonare dei rintocchi che annunciavano via via più intensamente il ritorno dei bagliori solari quasi sembravano mentire sulla vera posizione del divino: questi non era ancora nemmeno giunto a sedersi sul suo trono, che il calore emanato dal suo canto faceva sembrare quella fredda lode dell'Ultima Ide una splendida giornata dell'Ide d'Oro. Tal sentore si sarebbe radicato profondamente nelle coscienze di alcuni, molto meno che in altri. Fu come se, da un lungo e letargico stallo, qualcosa si fosse improvvisamente mosso. Non un movimento brusco, né qualcosa che, come un terremoto, provocava scosse potenti e distruttive; fu sì un sussulto per tutto il regno, e non uno dal quale ci si poteva riprendere all'istante. Eppure, esso non si esaurì nell'immediato e, anzi, si prolungò entro confini ignoti. L'incapacità di afferrare a pieno i moti di quei cambiamenti si sarebbe rivelato fatale per chi, al comando, non pensava di dover temere niente dalle vicende di cui, pur partecipe, a fatica ne comprendeva il nesso. Sicché, ironicamente, i primi ad avvertire il bisogno di assecondare quei movimenti, anziché sperare di tornare in letargo, furono proprio coloro che per lungo tempo si erano sentiti inermi e quasi privi di sensi. Ladri, schiavi, criminali, prostitute, contadini, mercanti, orfani, gladiatori, manovali, minatori, cercatori d'oro, cacciatori di taglie, spazzacamini, fabbri, calzolai, garzoni, veterani di guerra; tra costoro, asserragliati dalle stesse condizioni disperate, si instaurò nuovo e più prepotente il desiderio di fare qualcosa. Qualsiasi cosa, invero. Ma proprio come quel movimento improvviso che aveva scosso e spaurito la società solo in un primo momento, così lo stesso popolino si era solo momentaneamente acquietato: quel mare variegato di persone stava con l'onda della sua rivolta solo brevemente in bonaccia, poiché il vento giusto e più potente da seguire ancora non era giunto. Giacché, al momento giusto e sotto al giusto vessillo, quell'onda enorme si sarebbe infine rialzata e avrebbe spazzato via tutto ciò che c'era di conosciuto, lasciandosi dietro che le macerie di ciò ch'era prima.

 

13.2 Rintocchi di Lode inoltrata

 

Il gruppetto, capitanato da Sebastian la Serpe Nera, aveva speso il suono precedente nel tentativo di avvicinarsi quanto più possibile alla torre e alla chiesa diroccata, seguendo fedelmente le indicazioni di quello sconosciuto. Dapprima, il sicario non ebbe a dubitare della buona fede dell'uomo, specie dopo che Claudiette lo aveva raggirato con il suo bel decolté. "E che decolté, dannazione". Tuttavia, sebbene si facessero sempre più prossimi alla postazione dell'arciere, la sensazione di star girando in tondo si fece sempre più forte. Fu allora che l'intuito prese a bussare insistentemente alle porte del dubbio. "Odio il mio sesto senso... posso mai fare qualcosa senza avere la sensazione che mi stiano pugnalando alle spalle?" Quasi in risposta alla sua domanda, si accorse che la figura spettrale dell'assopito Lucius, il suo vecchio compagno e rivale in amore, emergeva dalla penombra di ciò che rimaneva di una cucina distrutta, sorridendo.

«Lui mente», disse. Sebastian rimase immobile, mentre il resto del gruppo ispezionava i resti della casa, onde assicurarsi di poter proseguire in tranquillità. La Serpe Nera, che stava vicino all'uscio di una balconata, guardò prima verso la prossima abitazione e la studiò.

"Ha il tetto crollato ed è in linea di tiro con la torre. Ci siamo sì avvicinati ma, senza accorgercene, ha provato a portarci in un punto ideale per l'arciere. Evidentemente è un piano ben studiato il loro: se uno non riesce a colpire gli invasori con i dardi, l'altro fa in modo di portarli in zona di tiro. Che stronzi infami".

Eppure, Sebastian si era spesso trovato in situazioni simili e non lo chiamavano la Serpe senza ragione: poteva strisciare via perfino dalla cella di una prigione, se avesse voluto. "Ci avete provato, ma vi è andata male".

Notando che la balconata non era direttamente esposta nella linea di tiro nemica, Sebastian si affacciò brevemente e cercò di sondare la parte sottostante, come se volesse assicurarsi che vi fosse un morbido appoggio in caso decidessero di saltare giù.

«Venite qui! Ho visto qualcosa!»

Chiamò a gran voce il resto del gruppo, ma lentamente sgusciò di fianco a Mithra, Claudiette e Rosanne, frapponendosi però alla loro improvvisata guida. Con un gesto fulmineo, spinse le tre donne di sotto con tale forza che queste si ritrovarono a rovinare all'ingiù senza poter opporre resistenza. A quel punto balzò in avanti ma, anziché seguirle, approfittò del cornicione per eseguire una agile acrobazia e salire sul tetto dell'abitazione. La guida improvvisata, ripresasi dalla sorpresa, seguì affannosamente Sebastian e si ritrovarono entrambi sopra di una arena fatta di fieno e travi marce.

«Sei più astuto di quanto sembri, damerino. Come lo hai capito?»

La Serpe sorrise. «Un assassino non rivela mai i suoi pugnali!»

«Non uscirai vivo da qui. Sei all'aperto, in bella vista».

«Io penso invece che tu stia bluffando» e spalancò le braccia, come a far segno all'arciere di colpirlo. Niente accadde. «Chiunque sia su quella torre evidentemente ci tiene alla tua pellaccia. Se sparasse uno dei sui dardi d'assedio sicuramente mi assopirebbe ma potrebbe colpire anche te. Forse è un rischio troppo alto, evidentemente non ne vale la pena».

«O forse è solo confidente nel fatto che, tra poco, avrai la mia lama conficcata nel petto». L'uomo estrasse un pugnale, la cui foggia Sebastian non riuscì a riconoscere. «Lui penserà alle tue amichette in fuga. Io penserò a te».

«No, piccolo ratto: sei finito nelle spire della Serpe, non hai dove fuggire».

 

13.3 Primi rintocchi di Solstizio

 

Gregor aveva trascorso l'intera lode assieme a due sacerdoti, setacciando le vie della città nel tentativo di tenere a freno qualsiasi balordo avesse avuto anche soltanto l'idea di osannare l'apparizione della Luna. Uno dei due sacerdoti poi era un membro dell'Insonnia: talmente ligio e rigido nel suo compito che Gregor temette perfino di guardarla, la Luna, nel timore che potesse incatenarlo in una qualche prigione.

Che i tumulti della città sarebbero continuati ancora a lungo, lo si percepiva dalla grande presenza di soldati e cavalieri, tutti intenti a setacciare la città. Ma, come spesso accade, l'uso della forza, fosse anche per nobile intento, maturò in alcuni il desiderio di approfittarne; così Gregor smise di contare il numero di abusi cui assistette, come giovani donne stuprate, vecchi umiliati, bambini ridotti in fin di vita da percosse. "Quali sono le bestie? I bifolchi del popolino o i bifolchi della nobiltà?" A Gregor non stavano a cuore né gli uni, né gli altri. Tuttavia, avrebbe ricordato quelle scene tanto a lungo da imprimerle radicalmente in se stesso.

«La Dea Luna vi punirà! La sua vendetta è giunta!» gridò un barbone, biascicando a stento sotto lo sguardo divertito di alcuni cavalieri. Uno di questi lo colpì nei fianchi, poi gli sputò indosso. I due sacerdoti allora si avvicinarono all'uomo e l'agente dell'Insonnia si apprestò a marchiarlo a fuoco, come si fa a tutti gli eretici. Marchio che equivaleva a una condanna.

«Lo spettacolo non è di tuo gradimento?» fece il divino Ade, comparendo di fianco al giovane.

Gregor nascose con grande difficoltà il disgusto che provava nei suoi confronti: gli sembrava che le sue apparizioni si facessero sempre più invadenti.

«Niente è di mio gradimento», ammise.

«Lo diceva spesso anche lei».

«Lei chi?»

Il dio parve voler rispondere ma poi tacque.

Gregor allora incalzò: «Parla, a chi ti riferisci?»

«Non è questione che ti riguardi».

«Siamo o non siamo la stessa cosa, eh? Il tuo segreto è anche il mio: dimmelo».

Allora il dio si rivolse a Gregor con uno sguardo iracondo. «Non è questione che ti riguardi, ho detto!»

Gregor non seppe cosa lo stesse spingendo ad insistere, ma, dal momento che era legato al dio, intuiva il dolore che languiva nelle sue parole; e di riflesso quel dolore era ora anche il suo. «Per quale motivo io, che sono anche te, non dovrei saperlo? Perché nasconderti da te stesso?»

«Me stesso? Come se un lurido umano potesse...»

«Con chi stai parlando?»

L'intervento dell'agente dell'Insonnia fece trasalire Gregor. La figura del dio scomparve, lasciandosi dietro un eco della sua collera. Il giovane, invece, balbettò una risposta di circostanza. La situazione precipitò.

«Apri la bocca!»

«Perché dovrei?»

«Guardie!» gridò l'altro. In un baleno i cavalieri lasciarono l'anziano esanime e si fiondarono su Gregor. Fu rapidamente preso e messo a terra. Qualcuno iniziò a prenderlo a calci, ma non vide chi.

«Parla! Credi che essere un uomo del Culto ti salvi dall'essere giudicato? Parla! A chi ti rivolgevi? E cosa hai sulla lingua: ho visto una strana luce apparire mentre cianciavi da solo!»

«Lasciatemi!» gridava Gregor. «Io sono un seminarista, non potete farmi questo! Sono sotto la protezione del Sommo Cardinale!»

Gregor parlò senza riflettere. La sua mente cavalcò tra le tante nozioni apprese in questi ultimi suono e una bussò alla sua mente: ogni seminarista, in caso di controversie, può chiedere udienza diretta al Sommo Cardinale e lasciare che sia questi a giudicare il suo operato. Anche se, così facendo, stava gettandosi direttamente nelle fauci del nemico.

«Il verme ha chiesto il Sommo Cardinale e il Sommo avrà» ironizzò un cavaliere.

Irruppe una risata generale. Quel che Gregor non sapeva era che il Sommo Cardinale sapeva essere anche più severo e imparziale che dei suoi sottoposti. Tuttavia, accadde in quel momento che una pattuglia di templari si affacciasse nel vicolo e, vedendo cosa stava accadendo, accorse subitamente in soccorso di Gregor. Non avendo assistito alla scena, i cavalieri dell'Ordine decisero di mettere al sicuro quello che sembrava un sacerdote aggredito e malmenato. Fu la prima scintilla di una diatriba tra le forze militari messe in campo.

«Chi è costui? Perché lo state trattenendo con la forza?» fece uno dei templari.

«Un probabile eretico» affrettò a scusarsi l'agente dell'Insonnia. Gli altri cavalieri tacquero.

«Un eretico dell'Ordine? Siete forse impazziti? Questa è una grave accusa! Dove sono le vostre prove?»

«Ha qualcosa sulla lingua!» affrettò un cavaliere.

Il templare infuriò: «La lingua! La lingua! Ora aggrediamo un servo del Sole perché ha qualcosa sulla lingua! Fosse un neo? Cosa direte al Sommo Cardinale? Gli direte che l'avete prima picchiato e poi processato per un neo?»

Un silenzio fatto di vergogna calò in quell'angolo di strada.

«Ora ditemi perché quell'uomo anziano è riverso a terra nel suo stesso sangue!», aggiunse il templare.

«Inneggiava alla Luna!» si impettì l'agente dell'Insonnia.

«E quindi avete pensato bene di assopirlo, così ora che è nella notte potrà sicuramente ammettere di essere un eretico. Vero?»

Il templare allora colpì il sacerdote dell'Insonnia con un pugno, quindi comandò ai sui compagni di arrestare i cavalieri. Questi però, forti del servizio a sua maestà, protestarono ferocemente finché non ne nacque una scaramuccia.

"Fossi pazzo a restare!" pensò Gregor, che approfittò della possibilità per scappare. Corse finché il sangue non gli impastò la bocca, intanto che il costato graffiava ad ogni respiro. Non appena si sentì sicuro, si accasciò in un angolo per riposare e scoppiò in lacrime.

   
 
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