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Autore: flama87    29/12/2016    1 recensioni
Ogni trecentosessantacinque anni, il Dio Sole sceglie una donna mortale da sposare e la indica ai fedeli con il suo Stemma. Quando il tempo è giunto, gli abitanti del regno di Lactea sono obbligati a consegnarla all'Ordine, il quale permetterà alla Dama Bianca di convolare a nozze con la divinità.
Eppure della Ventiquattresima Sposa non vi è alcuna traccia, il tempo del Viaggio di Nozze è oramai vicino. Impauriti davanti all'idea d'infrangere l'antica alleanza e non volendo incorrere nelle ire divine, il Sovrano di Gennaio e il Sommo Cardinale d'Agosto daranno il via a una caccia agli eretici sanguinosa e cruenta.
E se fosse la Sposa a non voler essere trovata?
Genere: Drammatico, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza
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14.1 Solstizio appena iniziato

 

«Lo sai cosa diceva sempre mio padre?»

Sebastian agitò lo stocco. Gocce di sangue imperlarono l'arena di fieno, mentre i suoi passi sembravano quasi non porre alcun peso sul quel cedevole pavimento.

«Hai ragione, scusa. Il mio secondo padre. Ne ho avuti due, sai che fortuna!»

Correva voce che la Serpe Nera avesse tale nomea non solo per la chioma corvina, bensì per una strana e curiosa abitudine: quando, e se ne aveva occasione, specialmente dopo aver sconfitto un avversario, l'assassino prendeva a girare intorno al vinto. Lentamente, ma progressivamente, eseguiva una spirale che si sarebbe conclusa solo quando fosse giunto dirimpetto e a breve distanza dall'altro.

Così, come una serpe stringeva la sua preda nelle spire fatali, altrettanto l'assassino si divertiva a rimandare il colpo di grazia; similmente al viscido rettile, poi, ammantava di veleno i suoi affondi verbali, soffocando così la vittima con la paura e l'angoscia. Non di rado, infatti, il vinto soleva a gran voce chiedere che Sebastian ponesse fine alla tortura. Altri, quelli tra i più ardimentosi, preferivano il silenzio, nell'estenuante attesa che le zanne di ferro della Serpe concludessero quell'ultima umiliazione.

«Lo sai cosa diceva il vecchio della guerra? Che è uno schifo! Lotti nel fango, nella merda che esce dal corpo dei tuoi commilitoni; che se vai avanti il tuo destino è segnato, però se torni indietro ti issano come una bandiera, finché i corvi non ti svuotano la pancia».

L'altro seguiva Sebastian con lo sguardo. Dalla bocca uscivano copiosi fiotti di sangue, intanto che la mano destra premeva sul fianco, laddove lo stocco dell'assassino aveva aperto un foro tra reni e stomaco. Ansimava vistosamente.

«La questione è: sì fa schifo ma non è quella la cosa peggiore. Voglio dire, la guerra ti cambia! Ma vallo a spiegare a chi in guerra non c'è mai andato: che vuoi che ne capiscano».

L'altro lentamente perdeva conoscenza, faticando a seguire lo sproloquio di Sebastian. Non riusciva a parlare, altrimenti gli avrebbe urlato di chiudere il becco e farla finita subito.

«Io ci sono stato in guerra, piccolo topolino. Il mio secondo padre adottivo mi insegnò a combattere, ma non è stato un eretico o un anarchico quello che prima di tutti ho passato a fil di lama: fu il mio migliore amico».

Sforzandosi l'altro disse: «Degno di una Serpe».

Sebastian scoppiò a ridere. «Mio padre me lo disse il giorno che mi fece frustare, prima di cacciarmi via: hai le mani sporche del sangue di un amico e compagno d'armi. Sei figlio di nessuno, da oggi».

Sebastian, ormai a pochi passi dallo sconfitto, sollevò lo stocco e si preparò all'affondo fatale; non prima di aver concluso:

«Aveva ragione. Sono sempre stato figlio di nessuno» e fece per colpire.

Un tuono improvviso -un boato tanto assordante quanto impetuoso echeggiò ovunque. Sebastian fu colto da così tanto stupore che dovette girarsi, solo per vedere gran parte della torre crollare su se stessa, mentre lampi di fulmini danzavano a mezz'aria intorno alla struttura. Qualcuno, come una lingua che lecca via il cibo dal piatto, scaricò sopra il tetto della chiesa e si portò tegole e quanto altro.

«Per la trippa del Sole!» imprecò l'assassino, consapevole di cosa stesse accadendo. Quell'attimo di distrazione lo pagò a caro prezzo: il suo avversario, con un ultimo briciolo di forza, lo afferrò all'altezza del busto e provò a buttare Sebastian di sotto. Questi però, in uno sprazzo istintivo, afferrò l'altro per gli abiti e lo trascinò nel vuoto con sé.

 

14.2 Contemporaneamente

 

 

«Ma è sempre così imprevedibile?» si lamentò Claudiette. Mithra accennò una smorfia. Rosanne sorrise.

Correvano a perdi fiato in quella che sembrava una via nascosta, costruita tra i ruderi delle case e dei palazzi. Era evidentemente un passaggio secondario per la torre, usato forse dall'arciere e dall'altro suo compare per muoversi rapidamente nella città vecchia, qualora ne avessero avuto bisogno. Chissà quante danze avevano impiegato per creare quello strano labirinto.

«Sebastian ha sempre avuto una specie di sesto senso», commentò Mithra. «Avrà intuito cosa stava succedendo».

«Però ora è da solo» commentò Rosanne.

«Se la caverà. Noi dobbiamo muoverci, la nostra missione viene prima di tutto» ringhiò Mithra, esortando le sue compagne a non fermarsi. Qualsiasi cosa fosse successa, Sebastian si era sacrificato per loro. "Non avrebbe dovuto seguirmi dall'inizio; sarà ricordato come un eroe, quando tutto questo sarà finito".

Mithra si ripeté queste parole, come un mantra: lo fece finché non fu sicura che non vi fosse altra via, che le cose non potessero andare diversamente. Così accelerò il passo, esortando le amiche a fare altrettanto. Così, tra uno stretto passaggio, un rudere, un pertugio e stanze d'abitazioni ormai divelte, si giunse in uno spaziale, dal quale una scala in legno risaliva verso l'alto. Il trio non esitò e prese a scalare quella che era una impalcatura di legno e funi, dalla quale un ultima ma più vertiginosa scala permetteva l'accesso alla postazione dell'arciere. Quivi finalmente giunte, Mithra, Claudiette e Marianne non trovarono chi stavano cercando –si guardarono attorno, con grande attenzione, senza scorgere segni del loro aggressore. Spade sguainate, sensi tesi.

Fu però Claudiette la prima ad agire. Spinta dall'istinto, quel suono metallico, come di ganci che saltavano dai loro incastri, la esportò a colpire le due amiche, poiché nella fretta non ebbe idea migliore; costrinse le altre due a cadere in avanti, cosicché il filo di ferro, sventolando a folle velocità, recise uno e un solo collo: il suo.

Di lì a poco emerse l'arciere. Rosanneatasi goffamente, gli fu rabbiosamente addosso ma l'uomo si rivelò più scaltro. Scagliò rapidamente un pugnale, colpendo la giovane alla spalla. Quindi, dopo un sonoro pugno al volto, la spinse brutalmente oltre il parapetto. L'impatto con il tetto e, successivamente, con il pavimento della chiesa avrebbero fatto il resto.

Mithra lo aggredì alle spalle, conficcandogli un pugnale nella schiena. L'uomo provò a colpirla ma lei fu più agile, schivando a lato con una capriola. Quell'attimo concitato, tra paura e rabbia, le concessero di guardare bene il suo aggressore: un uomo anziano, con molte danze alle spalle, ma stranamente vigoroso e agile; il volto era coperto da una benda grigia, cosparsa di cera e resina. "Costui è cieco!" si meravigliò la donna. Riconobbe poi un marchio a fuoco sul suo collo.

«A quale divinità sei schiavo?» ruggì lei, destreggiandosi tra fendenti e schivate.

«No schiavo ma figlio prediletto: Cipride è la mia Grande Madre!» sbraitava lui, agitando la scimitarra con violenza.

I due danzarono per un lungo rintocco, prima che l'uomo non riuscisse a prevalere con una mossa astuta ma scorretta: approfittò di una ferita al braccio per far zampillare del sangue negli occhi di Mithra, la quale, presa di sorpresa, non riuscì ad evitare il colpo incombente, finendo a terra ferita, anche se lievemente, all'addome.

«La Grande Madre ha chiesto di condurvi da lei desti, ma mi ha anche detto che non era vietato il contrario. Le dirò che ho dovuto farlo: una menzogna per saziare la mia sete di sangue!»

Ma quando Golgo calò la sua lama verso Mithra, credendo che avrebbe così facilmente trafitto il cuore di lei, qualcosa lo colpì. Sentì la parte destra del suo corpo ardere come in fiamme, mentre la carne si lacerava. Il suo braccio, e la mano c'ancor stringeva la spada, rotearono solitari più in là. Poi un dolore lancinante lo colpì, mentre il suo intero essere fu trafitto da una scossa improvvisa. Un secondo fulmine lo colpì in pieno petto, incenerendo i suoi polmoni. L'ultimo esplose così dirompente che distrusse la sommità della torre, ridusse Golgo in brandelli e squarciò una gran parte del tetto della chiesa.

Mithra cadde tra i detriti ma atterrò fortunosamente su una struttura in legno: una passatoia in legno che, da un foro della torre, conduceva all'interno della struttura religiosa. Il dolore e lo spavento presero sopravvento su di lei, lasciandola per qualche attimo senza respiro e incapace di muoversi. Le parve che il Dio Sole, i cui raggi filtravano dalle crepe, stesse deridendola.

«Perché non mi lasci andare?»

Lamentò, prima di perdere i sensi.

 

14.3 Qualche rintocco più tardi

 

Aulix era rimasto tutto il tempo nella sua cella. Non aveva aperto bocca da quando era arrivato, nonostante lo sguardo dei compagni di prigionia. Ogni singolo gladiatore, di ogni foggia e tempra, non aveva smesso di deriderlo o canzonarlo da quando era arrivato. Era come un piccolo agnello, mandato a combattere nella fossa dei leoni. Sbeffeggi, quelli, che non toccavano la divinità –se ne rimase in un angolo, braccia conserte, con gli occhi chiusi.

Undine era stato contrario all'idea ma, alla fine, aveva dovuto accettare: la divinità lunare si sarebbe infiltrata nelle fila dei gladiatori, acquistando fama e notorietà. Ser Alcor, usando i documenti appartenuti al fratello, donò Aulix al lanista, affinché diventasse un nuovo gladiatore. Dal momento che il testamento di padron Mizar era in mani altrui, non esisteva alcuna prova del fatto che Aulix fosse stato liberato; e sicché ogni gladiatore era liberato dalle manette del possesso, consegnare uno schiavo già privo di quest'ultime non destò alcun sospetto. D'altronde, era quella una pratica molto nota e grandemente abusata nel regno.

Il lanista non fu particolarmente contento di Aulix, considerando il suo gracile corpo e il suo esser ancora giovane; non si rifiutò per prassi e perché Ser Alcor, oltre allo schiavo, consegnò una piccola somma in denaro in dono.

All'improvviso, per l'aere riecheggiò un boato. Come un fulmine che, precipitato dalle nubi, aveva colpito il tetto di una casa. L'agitazione regnò solo momentaneamente, ma Aulix avvertì chiaramente la fonte di quel potere immenso che, pur in un istante, s'era manifestato. Sapeva che, come l'aveva sentito lui, anche tutte le altre divinità l'avrebbero avvertito.

L'ultima volta che il Bacio del Sole si era palesato, l'intera città di Alcyone era stata rimossa dalla faccia della terra; non distrutta, non bruciata, non rasa al suolo. Disintegrata. A ricordo della stoltezza degli uomini, come anche degli dei, stava un enorme cratere senza fondo lì dove, duemila danze or sono, sorgeva una ridente e ricca città –affinché non fosse mai dimenticato, da lì in poi, che il dio Surya poteva colpire ovunque e chiunque.

   
 
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