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Autore: Esarcan    30/12/2016    1 recensioni
Una congiura minaccia l'Impero e Charles è proprio nel centro del ciclone. Terzo classificato nel contest "Steampunk Tendencies" organizzato da Ayr.
Genere: Azione, Comico, Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Il ticchettio della pioggia sul cilindro inamidato continuava imperterrito mentre Charles si accucciava dietro il comignolo nero di fuliggine. Il lungo mantello di piume nere lo appesantiva non poco, zuppo com’era. Sicuramente si sarebbe rovinato sotto quell’acquazzone. Pensandoci si riempì di rabbia e tirò un pugno ai duri mattoni, un tempo rossi, per sfogarsi. “Piuttosto doloroso.” Pensò mentre si stringeva la mano. “Spero di non averla rotta, di nuovo.” Ma Charles non era lì per testare la robustezza delle infrastrutture. Dal suo nascondiglio, uno dei numerosi tetti di Coalport, aveva una visuale perfetta dei vicoli laterali al Cigno Nero. Ora doveva solo aspettare che il suo bersaglio uscisse dal locale. Non avrebbe avuto con sé molte guardie, cercava di nascondere il più possibile le sue visite al club, probabilmente per l’ambigua reputazione di quest’ultimo. In ogni caso il cliente di Charles gli aveva fornito molte informazioni e, considerando la portata di questo particolare contratto, gli sarebbero servite tutte. In fondo, non tutti i giorni si riceveva la richiesta di assassinare l’erede al più grande impero del mondo.
Passò qualche ora, quando finalmente una porta sì aprì nel vicolo sotto di lui. Dapprima ne uscì solo uno spiraglio di luce “gialla, accompagnata dai cori di nobili ubriachi. Poi due uomini fecero capolino da dietro la pesante porta nera, entrambi piuttosto barcollanti. Charles si scosse di dosso il torpore causato dalla lunga immobilità e inconsciamente accarezzò la lama della sua spada pneumatica. Per qualche istante il bagliore carminio del suo Tizzone sembrò rinfocolarsi, quasi volesse esprimere la propria sete di sangue. Gli occhi di Charles esaminarono i due sventurati. Uno indossava una divisa da guardia mezza sbottonata, con qualche chiazza di vino sparsa qua e là quasi a richiamare un’esotica fantasia violacea; nel fodero della cintura riposava una pistola adornata da un fioco Tizzone azzurro. L’altro uomo, rivestito di merletti, broccati, velluti e qualsiasi altro tessuto variopinto doveva trovarsi nella bottega del suo sarto, doveva essere il suo bersaglio: il Duca di Pallham, primogenito dell’Imperatore e possessore di parecchi altri titoli nobiliari ben poco pratici.
Charles si mise cautamente in posizione sul bordo del tetto di rame verde e prese la mira con la spada pneumatica. « Colpisci! » Comandò all’arma. Il Tizzone baluginò sanguigno e la lama partì verso la tempia del duca, trapassandola come un coltello nel burro caldo. Il proiettile letale, circonfuso della stessa luce del Tizzone, cambiò innaturalmente “la propria traiettoria a mezz’aria: si girò su se stesso e colpì alla nuca l’ignara guardia, che solo in quel momento aveva realizzato l’accaduto. Charles sospirò, deluso dalla facilità di questa parte della missione. 
Con grazia scese dal tetto, usando vari davanzali come appigli. Velocemente staccò il Tizzone della guardia dalla pistola, prima che si estinguesse completamente a causa della morte del suo padrone. La piccola pietra grigio azzurra era ancora tiepida al tatto, però la sua luce si stava affievolendo rapidamente. Con una certa riverenza Charles aprì il cilindro metallico traforato che formava la parte finale della spada pneumatica; una luce scarlatta inondò il vicolo. Lasciò cadere il Tizzone all’interno del contenitore e subito si levò uno strano rumore, come di un piccolo incendio. «Fuoco che divora fuoco.» Aveva commentato molti anni prima il mastro carbonaio che aveva istruito Charles.
Si chinò per raccogliere la lama e la ripulì nella divisa della guardia, per poi riagganciarla all’elsa con un leggero sibilo metallico. “Ora la parte complessa del piano.” Con uno sbuffo, attutito dalla maschera corvina che indossava, si caricò in spalla il corpo del duca. Come tutti i nobili, la forma fisica non era tra le sue prioritá “purtroppo per Charles, che cominciò ad arrancare verso il vicolo dove aveva lasciato la propria carrozza. Non era la prima volta che doveva trasportare un cadavere,  ne sarebbe stata l’ultima probabilmente, cionondiméno  la sua ernia non amava la situazione attuale e glielo faceva notare costantemente. Questi avvisi prendevano principalmente la forma di ondate di dolore e, quasi mai, telegrammi.
Se qualcuno lo avesse visto in quel momento, invece della troneggiante e terrificante figura in nero dal lungo becco, messo in ombra dall’elegante cilindro, si sarebbe trovato davanti un esile personaggio, schiacciato da un ben più massiccio cadavere, che palesemente si prendeva gioco di lui anche dall’aldilà.
Finalmente, una volta raggiunta la sua carrozza nera, poté liberarsi della zavorra, buttandola nella cabina senza tante cerimonie. Charles prese le redini e inserì il suo Tizzone nel cavallo meccanico che trainava la vettura, questo si ridestò dal proprio torpore emettendo grandi nuvole di vapore dalle froge. Con un certo tramestio gli ingranaggi si misero in moto e in poco tempo la carrozza si unì al perenne traffico delle strade cittadine. 
Mantenendo una velocità alquanto sostenuta, Charles non impiego molto per raggiungere le mura di Voxton, la capitale imperiale. La semplice bandiera rossa “e bianca sventolava, sopra l’ampio arco che  formava l’entrata nella città. Sopra di essa il vessillo imperiale garriva al vento e, ancora più in alto, una flotta di dirigibili si muoveva in tutte le direzioni, il loro spento beige, a contrasto con l’arancione del tramonto, li rendeva ancora più minacciosi. Come gli aveva detto il suo cliente, le guardie non lo degnarono neanche di un’occhiata e, indisturbato, entrò in città col suo carico tutt’altro che legale.
Le ampie strade cittadine gli erano ben famigliari, come il puzzo causato dalla marea di gente che viveva nella capitale. Gli zoccoli di bronzo del cavallo sollevavano schizzi di melma nerastra ogni volta che toccavano terra, purtroppo a dispetto delle migliori intenzioni di chiunque fosse a capo della pulizia delle strade, ancora troppa gente non aveva abbracciato le meraviglie dell’acqua corrente e rovesciava i propri vasi da notte nelle strade. Per fortuna Charles non avrebbe dovuto trattenersi a lungo e una volta scaricato il corpo sarebbe potuto tornare in una delle città limitrofe, in cui la qualità della vita era ben superiore a quello dell’affollata metropoli. 

“Quando giunse al Ponte degli Impiccati cominciò a farsi un po’ nervoso, non tanto per i corpi che ancora penzolavano dalle esecuzioni mattiniere, piuttosto per il manipolo di guardie che l’occupavano. Anche in questo caso l’accordo era che il suo cliente si occupasse di tutto, ma serviva un’influenza vastissima per dare un ordine alle guardie dei ponti interni. Dato che questi erano l’unico accesso a Voxton Vecchia, il quartiere nobiliare che ospitava il palazzo imperiale e la sede del parlamento, i soldati a guardia erano estremamente selezionati e praticamente incorruttibili, come Charles aveva scoperto a sue spese. Però, ancora una volta, il suo cliente sembrava aver mantenuto la sua parola e con un certo stupore la carrozza attraversò il ponte senza venire ispezionata. L’assassino si sentiva quasi preso in giro dalla facilità di tutto la missione. Aveva ucciso una delle più importanti figure dell’impero e a nessuno sembrava importare un fico secco! Non che si aspettasse di essere accolto dall’intero esercito, ma almeno un gruppo di esperte guardie del corpo. Si sarebbe anche accontentato di un cane rabbioso in mancanza d’altro. Invece, nella più assoluta tranquillità, raggiunse la Cattedrale delle Ceneri: un edificio alto e grigio con più guglie “e statue che mattoni. La semplice pianta ottogonale dell’edifico tentava di dare un qualche ordine all’ammasso di decorazioni, che rappresentavano l’intero repertorio di leggende che la Via della Cenere propinava ai propri fedeli ogni otto giorni. 
Charles non aveva mai prestato molto orecchio a certe baggianate, ma si rendeva conto che era stato cresciuto dall’essere più cinico che il mondo aveva mai conosciuto: Alambert Khan, Mastro Carbonaio e capo dell’ordine dei Corvi di Carbone. Come tutti i bambini che dimostravano di possedere il Talento Charles era stato affidato alle cure dei Mastri Carbonai, in modo che potesse creare il proprio Tizzone e rendersi utile alla società alimentando i più svariati macchinari. Però si diceva che il colore del Tizzone derivasse dalla personalità del suo creatore, e quello di Charles era di un rosso tanto scuro da sembrar nero. Perciò gli fu data un’educazione un tantino diversa. Quell’educazione però non lo stava aiutando molto al momento, mentre veniva schiacciato ancora una volta dal peso del dannato pachiderma imperiale. «Duca degli arrosti! Principe dei suini! Questi sì che sarebbero titoli meritati!» Sibilò fra i denti, trascinando il cadavere per una scalinata di servizio. Gli ci volle più di un’ora a raggiungere “ la cima e quando finalmente spalancò la porta che dava sul tetto, lasciata aperta dal suo misterioso cliente, crollò esausto per terra. Gli ci vollero cinque minuti per riprendersi e più di dieci a trascinare il cadavere al bordo del tetto, districandosi nella foresta si sculture. Lì lo attendeva una semplice croce di legno, un martello, tre chiodi e una spessa corda metallica, evidentemente il cliente era a conoscenza del peso del duca. Come da istruzioni fece indossare al corpo il lungo mantello di piume di corvo e ne inchiodò gli estremi insieme alle mani e piedi del duca, in modo che rassomigliasse a delle ali. Poi con una certa cautela, e parecchia fatica, calò la croce dal tetto fino a che non raggiunse metà dell’altezza dell’edificio e fosse in linea con l’entrata principale. Quando fu di nuovo sulla carrozza era già notte e i fari della Cattedrale si erano appena accesi. Charles sentì le prime urla e poco dopo i passi affrettati di passanti e soldati. Passarono pochi minuti e la piazza su cui si affacciava il luogo di culto era piena fino all’orlo. L’assassino decise che aveva pienamente adempiuto al contratto e lasciò la capitale.
   
 
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