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Autore: Crilu_98    31/12/2016    4 recensioni
Primo capitolo de "THE WALKER SERIES"
Wyoming, 1866.
Russell 'Colt' Walker sa bene cosa significa sopravvivere: da quando la Guerra Civile è finita, lasciandogli in dono ferite più o meno visibili, non ha fatto altro. E come lui molti altri dipendenti della Union Pacific, una delle due compagnie incaricate di costruire la First Transcontinental Railroad, la ferrovia che unirà le due coste dell'America. Un progetto grandioso che si scontra con la povertà, i soprusi, la fatica e le malcelate ostilità dei numerosi e variegati lavoratori.
La vita di Russell subisce una decisiva svolta quando gli indiani Cheyenne, decisi a difendere i propri territori, scendono in guerra: tra loro c'è una ragazza che, oltre a far riaffiorare ricordi che credeva perduti, scatena in lui anche un forte istinto di protezione e qualcosa simile all'amore. Ma mentre il loro legame si stringe sempre di più, la situazione tra indiani ed uomini bianchi precipita... Quanto è disposto a rischiare per proteggerla?
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: L'Ottocento, Secessione americana
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'THE WALKER SERIES '
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Quando la voce affannata di Abraham si fece sentire accanto alla nostra prigione, per istinto intuii subito che qualcosa, nel piano di Namid, era andato storto.
-L’ha portata via, Russell!- esclamò il mio amico, affranto -E’ sparito con lei nel bosco, non siamo riusciti a rintracciarlo. Complice la notte, le sue impronte sono praticamente invisibili…-
-Non può essere!- urlai, fuori di me, scagliando un pugno contro le assi di legno, che scricchiolarono. Sottili e pungenti schegge si infilarono nel palmo della mia mano, ma non me ne curai: come avevo previsto, Namid era da sola nel momento del pericolo ed io ero inerme, incatenato in un vagone chiuso a chiave, mentre Kuckunniwi poteva fare di lei ciò che voleva.
Crollai in ginocchio, la testa mi girava vorticosamente e non sentivo più i richiami preoccupati di Abe, né le esclamazioni di Hevataneo; volevo solo poter chiudere gli occhi e vedere nuovamente la mia ragazzina accanto a me, libera e viva.
“Potrebbe ucciderla. Potrebbe averlo già fatto.” Pensai, terrorizzato.
Per alcune ore alternai stati di apatia a momenti di furia cieca, nei quali mi lanciavo rabbiosamente contro la porta chiusa della prigione, senza curarmi del dolore che le catene ai polsi e alle caviglie mi procuravano.
Poi, verso metà mattinata, io ed Hevataneo ricevemmo una visita inaspettata: sulla soglia del carcere apparve infatti Dodge, con i capelli brizzolati in disordine e la divisa impolverata e cosparsa di foglie. Restammo qualche minuto ad osservarci in silenzio: il generale era impassibile e i suoi occhi restavano fermi su di me per soppesarmi e giudicarmi; io, invece, fremevo di rabbia e il mio sguardo era carico di accusa.
-Temo di aver dato un giudizio affrettato.- mormorò infine Dodge, facendo qualche passo all’interno del vagone. Con la coda dell’occhio, vidi Hevataneo che lo fissava teso e incuriosito: il generale era un uomo alto e ben piazzato e se teneva la testa e la schiena diritte cozzava contro il tetto del vagone, perciò procedeva incurvato.
-Ti ho fatto un torto, Walker, ne sono consapevole: del resto, la storia di quell’indiano suonava convincente e quella chiave era sicuramente tua… Ma prima che tu possa lanciarti contro di me, ti dico che sono pentito del mio errore. Ora abbiamo un problema più urgente da affrontare e che richiede il tuo intervento.-
-Non vedo il motivo di tanta preoccupazione!- esclamai con astio -In fondo si tratta solo di una donna indiana senza valore, giusto? E il suo uomo è stato sbattuto in galera, perciò perché darsi tanta pena, generale?-
Gli occhi di Dodge fiammeggiarono d’ira:
-Nessuno cerca di imbrogliarmi e la passa liscia!- ringhiò con severità -Nessuno, Colt, faresti bene a ricordartelo. Tanto meno quel bastardo di un muso rosso! Mi riprenderò la ragazza perché è bene che questi selvaggi conoscano la forza del nostro pugno e questa sarà l’ultima offerta che ti farò: dopo di che ti volterò le spalle e andrò a cercare la tua donna da solo!-
 
Qualche ora dopo procedevo con determinazione nella foresta alla testa di un piccolo drappello di soldati, tenendo per le briglie Tasunke. Le orme di Kuckunniwi erano state difficili da scovare perché era stato abbastanza furbo da cancellarle non appena aveva accumulato un po’ di vantaggio; ma con la fretta non era stato abbastanza accorto e adesso procedevamo silenziosamente dietro ad Hutch e agli altri cani che, con il naso sul terreno, seguivano l’odore di Namid. Stavamo scendendo a valle: tutto intorno a noi si sentiva un lontano scrosciare delle acque dei torrenti che correvano verso i Grandi Laghi.
Ogni istante era prezioso: in qualsiasi momento Dodge avrebbe potuto tornare sui suoi passi, decidendo che in fondo la vita di Namid non valeva abbastanza per mobilitare tutti quegli uomini e che gli Stati Uniti d’America si elevavano molto al di sopra delle nostre piccole, misere esistenze. Ma io non potevo cedere o desistere: anche se fossi rimasto solo in quella boscaglia sarei andato avanti, finché non avrei raggiunto Kuckunniwi e non gli avrei piantato con grande soddisfazione una pallottola nel cervello. Una parte di me, soffocata ed ignorata, era anche furiosa con Namid, per il suo piano sconclusionato che voleva mettere in luce l’inaffidabilità dell’indiano:
“C’erano mille altri modi per provare la sua natura, ragazzina! Modi più diplomatici e meno pericolosi!”
Mi stupivo della piega che prendevano i miei pensieri, io che ero sempre stato un uomo istintivo e sanguigno; ma forse Chuchip ci aveva visto giusto ed io avevo imparato davvero ad apprezzare i momenti di calma per riflettere e pianificare.
Purtroppo, quando i cani drizzarono le orecchie e uggiolarono puntando una direzione precisa io non ero ancora giunto ad una conclusione: non avevo idea di come poter sorprendere Kuckunniwi e renderlo inoffensivo prima che facesse del male a Namid.
“Sempre che sia ancora viva!”
Non c’era più tempo per ragionare, ad un cenno di Dodge sbucammo dai cespugli e la scena che mi si presentò davanti mi fece balzare il cuore in gola: Namid era viva e apparentemente illesa, ma era saldamente tenuta prigioniera da Kuckunniwi. Sotto il tozzo e scosceso spuntone di roccia su cui l’indiano si era arroccato ruggivano le rapide di un fiume che, dopo aver perso velocità nelle cascate, si buttava nel Lago Superiore.
Ci fermammo tutti, impietriti dal ghigno di Kuckunniwi che strinse la presa sul collo della ragazza tanto da strapparle un gemito di dolore. Senza curarmi dei richiami di Dodge, feci qualche passo avanti: lesto, l’indiano si tirò ancora più indietro, sempre più vicino al bordo del precipizio.
-Vai via, Enapay.- ringhiò in lingua Cheyenne, brandendo il coltello e facendolo scivolare lungo la clavicola di Namid. Non avrei mai fatto in tempo ad estrarre la pistola prima che le affondasse la lama nel petto…
-Sei circondato, Kuckunniwi. Sei solo. Arrenditi, e avrai salva la vita!-
-Non ci si può fidare dell’uomo bianco: Otoahhastis l’ha fatto, Otoahhastis si è fidato di te, e guarda a cosa è andato incontro! Guarda a cosa è andata incontro la nostra tribù! No, Enapay, non mi arrenderò: allontana i tuoi uomini, lasciami libero il cammino e Namid sarà salva.-
-Lascia andare lei e vattene da questi luoghi: non ti sarà fatto alcun male.-
Kuckunniwi scoppiò a ridere e fu in quel momento che vidi un lampo di coraggio, o forse di puro istinto, attraversare gli occhi blu di Namid: con un grido animalesco la ragazza fece scattare il capo all’indietro, colpendo Kuckunniwi sul naso e stordendolo per qualche istante. Poi saltò lontana da lui, tentando di mettersi in salvo: io e l’indiano scattammo nello stesso momento, mentre Lee, dietro di noi, urlava:
-Non sparate, idioti! Colpirete Colt!-
Neanche io avevo avuto la prontezza di riflessi di tirare fuori la pistola e impegnato in un corpo a corpo disperato con Kuckunniwi non riuscivo a raggiungere la fondina. La roccia sotto i miei piedi era umida e coperta di muschio e lottare lì sopra diventava ogni momento più complicato, immerso nel vapore del fiume ed attento a schivare i continui colpi di coltello. Fu così che scivolai, perdendo la presa sulla casacca dell’indiano e in un attimo mi ritrovai con il suo braccio stretto attorno al collo, pronto a strangolarmi.
-Kuckunniwi!- gridò Namid, sovrastando il rombo delle acque. Il respiro mi stava venendo meno e faticai a metterla a fuoco: emerse dalla nebbia reggendo saldamente in mano la Remington puntata a terra, tra lo stupore degli uomini bianchi. Il petto di Kuckunniwi fu scosso da una risatina rauca:
-Vuoi uccidere quest’uomo con le tue stesse mani? Sei libera di farlo!-
 
P.O.V. Namid
 
Dietro di me gli uomini bianchi mormoravano, indicandomi, ma io non li sentivo. Avevo occhi e orecchie solo per il viso paonazzo di Russell e per il cuore che batteva impazzito nel mio petto: Kuckunniwi fece qualche altro passo indietro, pronto per gettare l’uomo nelle rapide del fiume.
Dovevo agire, anche se sapevo di non essere pronta.
“Saresti disposta a convivere con la colpa di aver ucciso l’uomo che ami?” mi chiese una voce dentro di me. Chiusi gli occhi e il braccio che reggeva la pistola vacillò leggermente:
“Devo correre il rischio, anche se ho un’unica possibilità!”
Con  dita tremanti rovistai nella sacca che portavo appesa sotto la gonna che mi aveva prestato Rachel,  tirai fuori un rotolo di carta lubrificata che conteneva polvere e pallottola, lo aprii con i denti e caricai la pistola; feci un respiro profondo, puntai l’arma contro Kuckunniwi ed incrociai lo sguardo di Russell. Vi lessi un tale orgoglio ed amore che per un attimo vacillai, poi l’indiano voltò il capo verso di me e prima che potesse reagire sparai. La detonazione rimbombò sulle pareti rocciose delle montagne, perdendosi nella valle. Mentre un sibilo fastidioso persisteva nelle mie orecchie vidi Russell e Kuckunniwi cadere a terra, senza più muoversi.
-No!- urlai, sconvolta. Ma quando mi avvicinai vidi che l’uomo bianco si stava faticosamente mettendo a sedere, passandosi una mano sul collo e tossendo per riuscire a respirare normalmente. Lo abbracciai piangendo e ridendo insieme, le spalle scosse da un tremito incontrollabile: per un momento avevo davvero creduto di non poterlo toccare mai più.
-Va tutto bene, piccola stella che balla…- mormorò dolcemente lui, stringendomi a sé -Sei stata formidabile!-
Un lamento appena udibile ci riportò alla realtà e mentre i compagni di Russell si avvicinarono per aiutarlo, io mi voltai verso Kuckunniwi: il proiettile aveva centrato il torace e un copioso rivolo di sangue si riversava dalle sue labbra, tese nello sforzo di pronunciare le sue ultime parole.
-Io salirò al Grande Spirito, Namid… Io sono un vero Cheyenne, mentre tu… Che hai rinnegato… La tua gente… Sarai giudicata dal consiglio degli antenati e…-
-Il nostro mondo non esiste più, Kuckunniwi!- replicai con amarezza e un pizzico di compassione -Presto nessuno si ricorderà degli antenati e degli spiriti che governano la natura e l’uomo bianco regnerà sulle nostre terre. Ma io porterò i Cheyenne nel mio cuore per sempre, anche se non faccio più parte della tribù…-
Con un ultimo sussulto, Kuckunniwi giacque immobile, lo sguardo spalancato verso il cielo. 
Sentii le braccia calde e forti di Russell stringermi e sollevarmi, allontanandomi dal cadavere:
-Vieni, Namid: torniamo a casa.-
 
 
 
Angolo Autrice:
Infine, Namid si è “salvata da sola” grazie agli insegnamenti di Russell, che ha ottenuto il perdono di Dodge… O almeno così sembra. Kuckunniwi è morto e con lui è perito anche uno degli ultimi legami di Namid con le tradizioni Cheyenne… Ora resta il problema di come liberare Hevataneo!
Nel frattempo, buon 2017 a tutti!!!
 
Crilu 
   
 
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