Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: flama87    02/01/2017    1 recensioni
Ogni trecentosessantacinque anni, il Dio Sole sceglie una donna mortale da sposare e la indica ai fedeli con il suo Stemma. Quando il tempo è giunto, gli abitanti del regno di Lactea sono obbligati a consegnarla all'Ordine, il quale permetterà alla Dama Bianca di convolare a nozze con la divinità.
Eppure della Ventiquattresima Sposa non vi è alcuna traccia, il tempo del Viaggio di Nozze è oramai vicino. Impauriti davanti all'idea d'infrangere l'antica alleanza e non volendo incorrere nelle ire divine, il Sovrano di Gennaio e il Sommo Cardinale d'Agosto daranno il via a una caccia agli eretici sanguinosa e cruenta.
E se fosse la Sposa a non voler essere trovata?
Genere: Drammatico, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
17.1 Rintocchi di Lode inoltrata
 
 
Gregor uscì dalla vasca che l’acqua bollente ancora esalava i suoi vapori nella stanza. Era stato ammollo più di quanto avesse richiesto, mentre un gruppo di serve aveva provveduto a lavarlo e ad insaponarlo. Strinse l’asciugamano saldamente attorno al bacino, mentre Shoshanna, seduta poco più in là su di una poltroncina, stava spazzolandosi la folta chioma rossa.
«Il tuo falso sonno è stato comodo? Hai riposato bene?» chiese, con tono suadente e divertito. Gregor sbuffò.
«Non riposo più bene da che ne ho memoria, casa vostra non fa certo eccezione».
«Se vi fermate a riposare nei vicoli della capitale, al freddo e al gelo, immagino di capire il perché».
«Come vi ho già spiegato, madamigella: non sono un barbone. Ero lì perché stavo fuggendo».
«E piangendo, anche». Gregor le lanciò un’occhiataccia.
«Spero non mi abbiate accolto in casa vostra solo per deridermi», berciò lui.
«No, messer Gregor. Il motivo per cui vi ho raccolto in quel vicolo è un altro, e immagino voi desideriate venirne a conoscenza».
«Penso che una vaga spiegazione me la dobbiate. O forse salvate tutti gli sconosciuti che incontrate in giro?»
«Voi siete il primo e anche l’ultimo» Shoshanna si alzò, batté le mani e comandò che il barbiere arrivasse nella sua stanza per occuparsi di Gregor. Questi, pur a malincuore, si sedette e lasciò che il servo preparasse gli impacchi e iniziasse a radergli la barba non ancora del tutto sviluppata.
«Il vostro è stato un colpo di fortuna».
«Da come dite. Eppure non capisco: perché io?»
Shoshanna allora si avvicinò a un quadro, coperto da un drappo di stoffa nera e, con un gesto brusco della mano, lo scoprì. Il violaceo simbolo ♇ appartenente al Dio Ade svettò in tutta la sua magnificenza, disegnato su uno sfondo nero e circondato da alte fiamme bianche.
«La mia famiglia è legata al dio che tu incarni da lunghissimo tempo. Il primo Satellite scelto dal dio Ade apparteneva alla mia famiglia; e i suoi eredi, fino a me, hanno giurato di servire e riverire il dio. Speravamo che egli ci avrebbe nuovamente scelti, che saremmo stati benedetti! Tuttavia, danze addietro nel mio Sogno incontrai il Dio e lui mi disse che il suo prescelto sarebbe stato un giovane schiavo. Mi sono domandata a lungo perché abbia scelto un reietto, anziché un nobile membro della mia famiglia. Ma non c’è modo di capire davvero cosa vuole un dio. Poi ieri, di colpo, ti ho sentito: il tuo pianto echeggiava nella mia testa. Il legame di sangue che la mia famiglia aveva con la divinità mi ha permesso di avvertire la tua richiesta di aiuto. Il resto lo sapete».
Il disgusto di Gregor fu una smorfia di sdegno sul suo viso. Il servo gli intimò di rilassarsi, mentre la lama sfiorava la sua gola. «Tutto quello che so è che non so assolutamente niente di questo fantomatico dio. A parte l’essersi preso il mio corpo e l’apparire quando e come gli pare».
A quelle parole, il barbiere strinse la lama sulla gola di Gregor come a volerlo sgozzare. Shoshanna rapidamente gli prese il polso e gli intimò con lo sguardo di calmarsi; facendogli cenno di andare via, prese lei il rasoio e finì di occuparsi del lavoro.
«Posso rispondere a molti dei vostri quesiti, Gregor. Vestitevi e raggiungetemi nel salotto: vi spiegherò lì ogni cosa».
 
 
17.2 Solstizio inoltrato
 
 
Aulix entrò nel campo d’addestramento che lo sguardo di tutti era puntato su di lui. Qualcuno rideva. Altri parlottavano, canzonandolo. Certamente la vista di un giovane così gracile in un campo di gladiatori era, per i gladiatori stessi quanti per il lanista, una fonte di divertimento. Chissà quanto sarebbe durato nella gabbia: alla prima gara le belve feroci avrebbero banchettato sopra di lui.
«Sono contento di aver portato un po’ di gioia, almeno passerete i vostri ultimi momenti in allegria» fece il giovane. L’ilarità cessò, anche se, invero, non c’era mai stata: gli sfottò e le derisioni nascondevano una onta di delusione, dovuta al comune sentimento di dileggio che provavano i gladiatori all’idea che il lanista avesse comperato, anziché un guerriero possente, un fanciullo gracile e pallido.
«Attento a ciò che dici, potresti costringermi a sculacciarti» fece uno dei gladiatori più anziani e rispettati. Il lanista Caio Servios rimase in silenzio. In genere, tra baruffe tra gladiatori, interveniva prontamente per riportare l’ordine; in questo frangente però sapeva che i suoi schiavi non nutrivano rispetto per la decisione presa: comprare Aulix, nonostante l’ingente somma di danaro ricevuta, si era rivelata una pessima idea. Lasciò allora correre quella scaramuccia. Sperava che quel ragazzetto valesse davvero tutti i soldi che aveva ricevuto, così lasciò che Ohmar gli desse contro. Poteva finire solo in due modi: il ragazzetto dimostrava a tutti di essere un degno gladiatore, guadagnandosi la fiducia di tutti; Ohmar lo uccideva, costringendo a punirlo severamente per ristabilire il controllo.
Frattanto, Aulix si fece contro l’altro.
«Se sculacci come combatti, non ho niente da temere».
«Allora risolviamo questa cosa da uomini!»
 
Attorno al duo gli altri gladiatori formarono un anello. Ohmar prese un grosso martello, che riusciva a sollevare abilmente anche con una sola mano. Aulix, invece, scelse una coppia di pugnali. I due si studiarono brevemente, girando intorno a passo lento, finché il gladiatore anziano decise di tentare una sortita: un colpo roteante orizzontale, non molto veloce ma studiato per riprendere la guardia rapidamente al termine della rotazione. Volle testare l’agilità del ragazzo e lo trovò pronto: Aulix schivò il colpo senza difficoltà, con un balzo. Quello che però Ohmar non si aspettava era che il suo avversario, anziché tenere le distanze, scattò improvvisamente in avanti; il gladiatore, ancora intento a far roteare il martello, provò a calciarlo via. Aulix gli scivolò agilmente sotto, provocandogli un primo taglio alla coscia. L’uomo grugnì irritato e tentò di correggere il movimento della sua arma per farla cadere verso il basso. Il ragazzo, con un colpo di reni, ruotò a lato, salvo poi alzarsi spingendosi da terra con le mani. Ohmar alzò rapidamente il martello e tentò nuovamente un colpo orizzontale, questa volta con entrambe le mani, per imprimervi maggiore potenza. Aulix, a malapena tornato in piedi con una piroetta, si abbassò nuovamente e lanciò uno dei pugnali verso il torace del nemico. Il gladiatore approfittò del movimento della sua arma per girarsi di profilo e, abbassando il braccio, fece conficcare il pugnale nel bicipite.
«Bene bene, la signorina non è solo parole. Sei agile ma in un’arena non puoi contare solo su quella. Ti manca la forza: questo coltellino si è a malapena conficcato dentro la mia carne!» disse Ohmar, estraendo l’arma e gettandola ai piedi di Aulix. «Anche il taglio che mi hai provocato alla gamba non è sufficiente a fermarmi. Ti manca la pratica e questo ti sarà fatale».
Aulix allora sorrise, riprendendosi il pugnale. «La prima cosa che bisogna fare quando si vuole cacciare un orso è tenere a mente è che una sua sola artigliata può ucciderti. La seconda cosa da tenere a mente è che frecce e pugnali non lo feriranno abbastanza da ucciderlo. Allora ti chiederai, come diavolo do la caccia ad un orso? È semplice: bisogna sfinirlo».
Ohmar scoppiò a ridere. «Oh così mi paragoni ad un orso! Immagino che sia naturale, data la mia stazza».
Allora il gladiatore si lanciò nuovamente all’attacco ma, questa volta, non riuscì a seguire Aulix con lo sguardo. Si ritrovò con un taglio sull’addome e uno sul petto nel battito di un istante. Sorpreso, fermò al volo il suo attacco per voltarsi ma un fendente gli ferì la mano, facendogli perdere la presa sul martello. Un altro taglio lo raggiunse all’altra spalla.
«Che cosa… che sta succedendo?» iniziò a lamentarsi il gladiatore. Aulix rallentò, alzando un pugnale verso la Luna.
«Ti confiderò un piccolo segreto, piccolo orsacchiotto: io governo sulla caccia e sugli animali nei boschi; mia è la rapidità del lupo nelle foreste; mia è la forza dell’orso sulle montagne». Si avvicinò quindi a Ohmar e prese il martello, sollevandolo brevemente da terra senza sforzo e con una mano sola.
«Il mio nome celeste è Artume: io sono la pallida Luna che vi guarda durante i Patti. Io sono la divinità che presiede ai cacciatori, alle foreste e alle belve feroci; colei che unica governa la Notte».
«Tutti sanno che i Satelliti hanno grandi poteri, ma nessuno di essi può superare i limiti umani. Cosa sei realmente?» ansimò Ohmar.
Aulix allora gli si avvicinò lentamente, sussurrandogli all’orecchio: «Io non sono un Satellite, piccolo uomo. Io sono un dio vero. Non ho alcun limite su questa terra».
Il giovane allora allungò la mano verso il gladiatore e lo aiutò a rialzarsi. Questi, guardandosi intorno, fece a gran voce:
«Io Ohmar chiedo scusa al mio fratello Aulix per aver dubitato di lui; e chiedo scusa ai miei fratelli gladiatori per aver sollevato dubbi nelle loro menti; e chiedo perdono al lanista, mio signore, per aver alzato le mani contro un mio fratello gladiatore. Possa la mia punizione servire da monito!»
Il lanista Caio, tuttavia, fece cenno alle guardie pronte con le fruste di non procedere, lasciando correre quell’incidente dal momento che niente di grave era capitato a nessuno. Tuttavia, ad Ohmar disse:
«Che non si ripeta mai più un evento del genere. Ora vai a farti curare; e voi altri, riprendete l’addestramento!»
 
Aulix fu condotto per ordine del lanista dal magister, che avrebbe giudicato le sue caratteristiche fisiche. Nonostante la prova di abilità contro Ohmar, il giovane era troppo scarno e magro e bisognava che tonificasse il suo fisico; quindi il medico ne valutò il suo stato di salute, trovandolo in ottimo stato. A seguito di questi controlli, Aulix fu assegnato alla classe gladiatoria del trace.
Ed iniziarono così i suoi allenamenti.
 
 
17.3 Ultimi rintocchi di Solstizio
 
 
Alcor e Undine si diedero appuntamento in una locanda, nella parte povera della capitale. Da quando avevano consegnato Aulix nell’arena dei gladiatori, il duo si era separato per dedicarsi ognuno alle proprie faccende.
 
Alcor era tornato a casa per trovare la sorella Hilda. Quando vide entrare l’amato fratello, la nobil donna esplose in un moto di felicità ma, non potendo alzarsi, si limitò a spalancare le braccia in attesa di abbracciare il suo cavaliere.
«Fratello mio, dove siete stato? Ho sentito la vostra mancanza. Questa casa è così vuota da quando voi e Mizar siete andati via. E ora che Mizar non c’è più, solo voi mi siete rimasto». Alcor la strinse con dolcezza e si lasciò andare a qualche lacrima.
«Non merito il vostro amore di sorella. Non ho fatto che arrecarvi danno con la mia assenza e non ho provveduto a farvi visita più spesso di quante volte avrei dovuto. E ora sono qui per dirvi che non mi vedrete per lungo tempo».
La donna protestò. «Perché dite questo?»
«Debbo andare, mi amata sorella. Devo lasciarvi. Mi spiace non potervi dire nulla ma sappiate che tornerò. Io tornerò. Ve lo prometto. Io tornerò e porterò con me il buon nome di Mizar. Siederemo davanti al fuoco sapendo che egli è in pace e che chi lo ha ingiuriato avrà pagato le sue colpe.
Io tornerò da voi, amata sorella, non dubitate. Ma fino ad allora vi chiedo, egoisticamente, di soffrire solo per un po’. Sopportate questa dura solitudine per me. Vi prometto che, quando ci riabbracceremo, questo tempo fatto di distanze e pareti fredde sarà riempito di gioia e felicità.
Potete fare questo per me?»
Lei, senza tradire un moto di inquietudine, fissò il fratello e sollevò le mani per carezzargli il viso. «Mio caro Alcor, vedo che la sorte del nostro Mizar vi grava nel cuore come un macigno. Io vi aspetterò. Voi avete sempre mantenuto la vostra parola. Ve lo ricordate? Quando mi avevate promesso di potarmi in spalla in giro per i campi, nella nostra villa estiva. Lo avete fatto: nostro padre vi ha punito severamente ma voi avete sopportato quel dolore per me. Gli avete detto che fu una vostra idea, ma era mia. E io non vi ho mai ringraziato per avermi accontentata.
Ma vi prego fratello, ve ne supplico: non lasciate che questo macigno schiacci il vostro cuore. Non fate sciocchezze».
«Non posso promettervelo sorella ma vi prometto che, alla fine di tutto, mi darete ragione».
«Lo spero».
Così Hilda e Alcor si strinsero più forte, poi il cavaliere sollevò la sorella dalla sedia a rotelle, su cui era costretta fin dalla nascita, e la prese in braccio. Le fece fare il giro della casa, davanti lo sguardo sgomento della servitù. Uscirono fuori nel giardino retrostante al maniero e la fece sedere sull’altalena che il loro padre aveva fatto costruire quando le loro danze erano ancora nel mattino. Passò quella Lode a spingere la sorella, ascoltando la sua risata come fosse per lui una medicina. Ma più sentiva Hilda ridere, più ricordava che ella sarebbe tornata in quella stanza, confinata su una sedia con le ruote; e più rimuginava su quel pensiero, più nel suo cuore si apriva una grande voragine.
 
All’orario stabilito, padre Undine si fece trovare alla bettola che stava già assaporando una birra rossa. Alcor entrò con indosso una mantella nera e un cappuccio per coprire le sue fattezze, percorrendo circospetto i tavolini. Quando notò che il locale era composto per lo più da ubriaconi e persone prive di sensi, si rilassò. Sedette dunque al tavolo a cuor più leggero, ordinarono una birra chiara al doppio malto.
«Quando partirete?» domandò il cavaliere.
«Domani» rispose il sacerdote. «Ho già preso un cavallo e qualche provvista per il viaggio».
«Quanto tempo ci vorrà per arrivare a destinazione?»
«Una Ide, forse meno. Il luogo non è molto distante, ma è impervio: è nascosto tra le montagne e nessuno vi si reca più da centinaia di danze. Sarà completamente abbandonato quando lo troverò. E voi, avete ben chiaro cosa dovete fare?»
«Sì. So già come contattare i mercenari: a differenza di noi cavalieri, è il danaro che li comanda. Al giusto prezzo, mi seguiranno in capo al mondo».
«Non ho idea del perché la Luna voglia dividerci, ma qualche idea me la sono fatta».
«Non siamo in posizione di mettere in discussione le sue decisioni, Padre. Se la Luna vuole, la Luna avrà».
«Vorrei avere la vostra risolutezza, ser».
Padre Undine sollevò il boccale e diede un nuovo sorso alla birra ma, improvvisamente, questa perse parte del suo sapore. In realtà non era la prima volta che il sacerdote avvertiva quella sensazione: da quando aveva riaperti gli occhi, non aveva sentito fame e né aveva avuto bisogno di nutrirsi. Lentamente, anche il sapore del cibo sembrava svanire e la cosa, almeno superficialmente, lo preoccupò.
«Ditemi ser: che dono vi ha elargito la Luna?» incalzò il sacerdote.
«Nessuno» replicò il cavaliere. «Il giovane Aulix era servo di mio fratello, ed è l’unica strada che ho al momento per capire perché mio fratello ha scelto il martirio. E se fosse un eretico… Non ho avuto niente dalla Luna, se non la promessa che avrei trovato risposta alle mie domande».
«E se queste risposte avessero un prezzo, cavaliere?»
«Tutto lo ha. Quando mi sono arruolato, credevo che avrei servito il popolino e, invece, ho appreso che solo ai cavalieri erranti, poveri e sbandati, è concessa questa possibilità; a noi schiavi della corona, non è chiesto nient’altro che obbedire. Il prezzo che ho pagato per la mia scelta è stato perdere ogni desiderio che cullavo da fanciullo. Ma ora ho qualcosa di nuovo che desidero: voglio verità per mio fratello. Ha un costo questa verità? Sì, senza dubbio.
Ma è un costo di cui non mi interesso. Avrò le mie risposte, padre Undine; a costo di veder bruciare ogni cosa intorno a me».
A quelle parole, ser Alcor posò il boccale vuoto e si alzò. Pagò l’oste per le bevande e fece per andarsene, ma prima Undine gli disse:
«Mi auguro che le vostre rispose non brucino anche voi. Arrivederla, ser».
«Mi sento già avvolto dalle mie stesse fiamme, padre. Arrivederla».
 
Undine rimase a fissare il suo boccale. Provò a bere ma, questa volta, la bevanda aveva il sapore della cenere e fu costretto a sputarla via. Si asciugò frettolosamente la bocca e uscì, intanto che un piccolo, fievole e quasi insignificante gorgoglio ruggiva dal suo stomaco.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: flama87