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Autore: Luxanne A Blackheart    05/01/2017    2 recensioni
Nella Londra vittoriana un affascinante uomo proveniente dall'India, un benestante e facoltoso Lord imparentato con la regina, si trasferisce in uno dei quartieri più ricchi e alla moda dell'epoca.
Lui e la sua famiglia si adatteranno alla vita sociale inglese, partecipando a balli reali e alla vita mondana dell'epoca.
Da lontano sembrano perfetti con i loro vestiti costosi, i bei sorrisi affascinanti e i modi di fare garbati. Ammalianti come un serpente prima di attaccare.
Ma sotto quella apparenza di perfezione c'è di più...
Il loro aspetto cela qualcosa di raccapricciante e orribile.
Grida e strani versi si odono nella buia e fredda notte; sangue, sospiri, affari di malcostume e morte incombono sulla loro bella casa e su chiunque osi avvicinarli.
In una Londra sporca, popolata dalla volgarità, dal malaffare, dal sangue e dalla morte la famiglia Nottern saprà trovarvi la dimora ideale.
E voi, saprete farvi conquistare dalla Famiglia del Diavolo?
Genere: Dark, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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CAPITOLO UNO.
Lucille.




 
Ora ti brucerò a mia volta,
ti brucerò tutto.
Fossi pure dannato per questo,
noi due giaceremo
E bruceremo.”
Charlotte Mew, Nel cimitero di Nunhead.


 
Londra, Estate 1878.


Londra aveva avuto sempre uno strano odore. Non era come le altre città che nel corso degli anni mantenevano sempre il loro solito profumo, non cambiandolo mai.
Londra era strana. Ogni volta che ci metteva piede la ragazza veniva invasa da sensazioni sempre diverse. Quell'anno, quell'estate del 1878, la città profumava di sale, sangue e fumo.
Quando Lucille e Camille sbarcarono, trovarono due carrozze di famiglia ad aspettarle. Due grandi veicoli neri sui cui lati erano stati disegnati due urobori, un serpente che si mangia la coda, al cui interno c'era scritto il nome della famiglia: Nottern. L'animale aveva due grandi occhi rossi, di rubino, che scintillavano in modo inquietante e sembravano seguirti con lo sguardo. La pelle del serpente era verde con striature nere e ogni volta che la carrozza si muoveva, sembrava che l'animale si stesse inghiottendo la coda.
Lucille non si sarebbe mai abituata del tutto a quel simbolo; esso identificava la famiglia. Loro erano come i serpenti: belli, letali, velenosi e mortali.
La ragazza sorrise quando li vide; i suoi quatto uomini. Vestiti come perfetti gentiluomini, bellissimi ed elegantissimi. Erano posizionati uno accanto all'altro, davanti ai veicoli e le aspettavano sorridenti e con le braccia dietro la schiena.
Vladimir con il suo metro e novanta d'altezza, il capofamiglia dagli occhi verdi e i capelli rossi nascosti dal cilindro.
Roman, il primogenito, molto più alto del padre. Sembrava un vichingo con i lunghi capelli biondi e mossi, la barba bionda che gli incorniciava i lineamenti e gli occhi di ghiaccio, quasi bianchi. Era enorme. Un meraviglioso sorriso gli illuminava il viso, rendendolo più bello di quanto non fosse già.
Jean, secondogenito, dai lineamenti leggermente orientali e effeminati. Era magro come una scopa e il più pallido fra tutti. Aveva capelli riccissimi neri e occhi scuri, quasi color ebano.
E c'erano anche William e James, gli inseparabili fratelli, sembravano gemelli, ma non lo erano.
William le sorrideva come al solito in modo malizioso; gli occhi azzurri scintillavano nel buio della notte e capelli d'oro morbidi come seta e lunghi fino alla mascella, gli incorniciavano il volto. Era il bambino dispettoso, la pecora nera.
E infine, James dal viso gentile. Capelli talmente biondi da risultare bianchi e occhi di un verde prato innaturale. Sembrava un angelo, ma era dispettoso quanto il fratello preferito. Alcune ciocche di capelli erano fuoriuscite dal cilindro, creando un forte contrasto con la tonalità scura del cappello.
“Ecco le nostre donne.”, disse Roman con la sua voce possente, correndo ad abbracciare la madre e la sorella minore. Entrambe, minute di corporatura, gli arrivavano a stento al petto. Roman abbracciò la madre e la sorella, sollevandole da terra.
Camille ridacchiò, baciando il figlio su una guancia: - Mio piccolo Erculee, quanto sei cresciuto! -
Vladimir si avvicinò lentamente alle donne, prendendo le mani della figlia fra le sue e lasciandovi un bacio sopra i guanti. C'era qualcosa di innaturale negli occhi del padre, pensò Lucille, e nel modo in cui camminava. Era come se il peso di tutti i secoli e il tempo si fosse fermato su un'unica persona. Vladimir era sempre così composto, così serio, così Vlad... Non lo aveva mai visto ridere, al massimo ghignava, ma non rideva mai. Se non lo avesse visto con i propri occhi, Lucie avrebbe pensato che Camille e loro fossero solo un passatempo. Ma sapeva che non era così; sentiva ancora le urla di quella notte...
“Sei bellissima, mia piccola Lucille.”
“Anche voi, mio caro padre, non siete affatto invecchiato o cambiato.”
Vlad le schiacciò l'occhio in modo talmente sfacciato che la lasciò di stucco, per poi passare a salutare la moglie.
Lei e Camille si somigliavano molto, ma non di aspetto, di carattere. Sembravano entrambe ancora delle bambine che avevano voglia di scoprire il mondo, nonostante l'età.
Quella sera l'aveva aiutata a prepararsi nella stiva della nave. Le aveva raccolto i lunghi capelli biondissimi sul capo e vi aveva sistemato sopra un cappello tutto fiori, così grande da nasconderla. Era bellissima e dallo sguardo di Vlad, Lucie capì che egli approvava. Quando i due si baciarono, la più piccola dei figli distolse lo sguardo, andando a salutare gli alti fratelli.
“Oh, Jean, mio compatriota!”, urlò Lucie, correndo verso il fratello per abbracciarlo. Rabbrividì, quando sentì le ossa attraverso il tessuto pesante del cappotto.
“Sei così magro, Jean. Che cosa succede? Non mangi abbastanza?”, chiese Lucille allarmata, era preoccupata per la saluta del fratello. Jean sembrava imbarazzato, se avesse potuto, sarebbe arrossito. “Non preoccuparti, ho portati due succubi solo per te.”
“Cosa farei senza di te, mia bella francesina!”, Jean le strizzò una guancia con fare fraterno. Stava per dirle qualcosa, ma venne interrotta da qualcuno.
William.
“Sorellina!”, Will aprì le braccia, aspettandosi che ella vi si sarebbe tuffata, ma Lucille lo ignorò beatamente, passando a salutare James che stava ridacchiando per la faccia delusa e ferita di Will. Il biondo le baciò una guancia e lei sorrise, beata.
Era sempre stata la più piccola di quattro fratelli e veniva sempre coccolata da tutti quanti, tranne da William, che le faceva sempre i dispetti. Non lo sopportava più.
“Oh, Lucille, come hai potuto ignorarmi così? Sai che il mio ego ha bisogno di costanti attenzioni. E poi, pensavo ti fosse passata!”
“Jamie, senti qualcuno parlare? Perché io non odo nemmeno una mosca volare.” Lucille alzò un sopracciglio, guardando William che si era poggiato sul fianco della carrozza.
Jamie la prese per mano, ridendo. Aveva una risata genuina, potevi ascoltarla per ore. “Ci sarà da divertirsi con voi due.”
“E' successo più di ottant'anni fa, Illa. Non puoi ancora essere arrabbiata!” , cercava in tutti i modi di attirare l'attenzione della sorella, che lo ignorava continuando a parlare con Jean e Roman.
“Dove sono i succubi? Ho fame.”, brontolò Jean, affamato.
“Alfred, Buford venite!”, li chiamò a gran voce Lucille.
“Spero che siano più gustosi dei loro nomi.”, borbottò William, facendo ridere James.
Lucille gli lanciò una occhiataccia, continuando quando i due pallidi uomini, si avvicinarono: “Prendete i miei bagagli e quelli di Madame Nottern e sistemateli attentamente nelle rispettive carrozze. Fate attenzione, sono oggetti delicati.”
I due uomini, vestiti con abiti bucati e sporchi, annuirono. Erano pallidi e avevano una espressione di tristezza in volto. Afferrarono i bauli sistemandoli velocemente all'interno delle carrozze. Quando afferrarono una casa di bambole tutta rosa, Lucie li seguì con lo sguardo per tutto il tragitto.
La minore dei Nottern sembrava una bambina la maggior parte del tempo; era minuta e magra, portava lunghi capelli castani sempre acconciati in modi differenti e i suoi occhi erano grandi e castani con ciglia lunghe e sopracciglia scure. C'era una spruzzata di lentiggini sul naso alla francese.
Era talmente bella e piccola da sembrare una delle bambole di porcellana che le piaceva tanto collezionare.
“Salite sulle carrozze adesso, stiamo dando spettacolo.”, disse Vlad, interrompendo le chiacchiere. Camille gli era aggrappata al braccio e lo guardava con adorazione.
Vlad, Camille e Roman sederono sulla prima carrozza, mente gli alti, Jean, Will, Jamie e Lucie, sull'altra. I due succubi invece, fecero loro da cocchieri, facendo nitrire i cavalli neri.
La fortezza dei Norten si trovava fuori Londra, in una tranquilla campagna. Era un vero e proprio castello in stile gotico, enorme e massiccio, talmente alto che sembrava sfiorare il cielo.
I londinesi guardavano con curiosità le due carrozze muoversi con velocità per le strade. Si vociferava che un lontano cugino della regina Vittoria fosse giunto dalle Indie assieme alla famiglia e da quello che vedevano, sembrava fosse la verità. I Nottern erano giunti a Londra e la gente trepidava per poterli vedere fare il loro ingresso in società.
Lucille sedeva tra Jean e James, mente William le era seduto davanti, scrutandola con il suo solito sorriso malizioso. Si era tolto il cilindro, posandolo sul sedile vuoto al suo fianco e i suoi capelli erano disordinati in ciocche più scure e più chiare.
“Dove sei stata, Illa cara?”
Lucie serrò la mascella, irritata. Illa era il soprannome che le dava quando voleva darle fastidio e lo sapeva. Per giunta aveva interrotto James che gli lanciò una occhiataccia.
“Sono stata in Italia e ho vissuto a Roma per qualche anno. Mi sono sposata con un pastore e ho vissuto in campagna fino alla sua morte. Poi sono andata nel Nuovo Mondo e infine in India, dove ho incontrato mamma e papà. Quei due se la stavano spassando alla grande!”
“Come al solito.”, rise Jean, scuotendo la testa, divertito. I riccioli si mossero assieme a lui.
Nessuno tranne Will sembrò indignato da quella notizia. Lucille la conosceva bene quella espressione. Occhi socchiusi e labbro fra i denti. Era la faccia di quando cercava di nascondere la sua gelosia.
“Non mi dire! La nostra Lucille si sta trasformando in Camille! E' stato il primo o ce ne sono stati altri? E lui adesso dov'è? Te lo sei mangiato, non è vero?”
“Will, non fare l'idiota.”, lo avvertì Jean, guardandolo serio. Aveva stretto la mano della sorella con fare protettivo.
“E' morto di vecchiaia, William. Era un brav'uomo e si era innamorato di me. Infondo cosa sono pochi anni per noi.”
“Come sei altruista, dovrebbero farti una medaglia.”
“Ti odio, William, ti odio. Non rivolgermi la parola!”, era riuscito a ferirla. Infatti aveva gli occhi lucidi.
“Sei la solita bambina”, sbuffò Will, gli occhi chiari scintillarono. Stette zitto per la maggior parte del tragitto.
“E voi?”, chiese la ragazza, guardando prima Jean e poi James.
“Sono stato in Cina e in Giappone per continuare i miei studi ed esercitarmi maggiormente con il violino. Sono diventato davvero bravo.”
“Sempre il solito secchione!”, risero tutti e tre, tranne Will che sbuffò.
“Io sono stato in Norvegia e Islanda. Ma sono dovuto tornare da Will, qui in Inghilterra. Odia viaggiare e quando non ci sono io, si annoia.”
“Volevo farmi un bagno nudo nel Tamigi e per poco non mi hanno arrestato! Se fossi venuto anche tu con me, le cose sarebbero state diverse, James.”
“Nessuna conoscenza particolare?”, chiese Lucille, guardando un ragazzo in particolare.
“Oh, sì, mi sono sposato con una puttana, ma l'ho lasciata dopo un giorno. Sospetto mi tradisse con mezza Londra, mai fidarsi delle donne!”
“Lieto di sapere che frequenti ancora bordelli, Will.”, disse schifato Jean. “Voi inglesi siete così libertini.”
“Detto da un francese è più che un complimento. Voi siete la terra del libertinaggio!”, replicò il biondo, lieto di aver difeso la patria. Si infossò nel sedile, tant'è che le sue gambe lunghe, sfiorarono quelle di Lucille, nascoste dietro le gonne. La ragazza cercò di ignorare quel particolare.
La carrozza finalmente si fermò. Si udì il cancello nero aprirsi e cigolare per consentire il passaggio dei veicoli, mentre i cavalli sbuffavano rumorosamente.
Non vivevano in quella casa dai tempi di Shakeaspeare , o meglio, da quando William donava le sue opere ad un vecchio e fallimentare attore, facendogli prendere tutti i meriti. Ricordò anche i brevi flirt di James con le dame da compagnia della regina e di come lo trattassero come un re.
“Lucie e dammelo un bacetto!”, fece finta di piangere Will quando Alfred aprì lo sportello per farli scendere.
“No.”
“Voi due siete davvero insopportabili.”, borbottò Jean guardandosi le mani delicate e curate. Will disse davvero qualcosa di osceno e Jean di rimando gli fece un gestaccio.
Camille urlò indignata.
“Insomma, ma che maniere da barbari sono queste? Dove siete stati in tutti questi anni?”
“In America.”, disse Will, sapendo della profonda avversione della donna nei confronti del Nuovo Mondo.
“Adesso capisco molte cose!”
Vlad ghignò , afferrando figlio maggiore e moglie per un braccio e sparendo nel nulla. Jean era scomparso a sua volta e nessuno l'aveva sentito andare via.
Lucille, James e William erano rimasti soli.




Quando Lucille varcò l'uscio di casa, notò con suo grande dispiacere che non fosse esattamente rimasta come ricordava. Era stata arredata come i costumi dell'epoca, con grossi lampadari e tende provenienti dall'India. Ciò che ricordava il 1600 era rimasto ben poco.
All'ingresso ad aspettarli c'erano un vecchio maggiordomo tutto gobba e tremolii con occhi stanchi e profonde rughe a solcargli la pelle e una donna anziana, una cameriera, con abiti vecchi e scuri e una retina per capelli bianca sul capo; anche la signora era molto vecchia e rugosa, ma a differenza del marito, sembrava più in salute.
Chissà da quanti anni si prendevano cura di quella casa, aspettando il loro ritorno. Faceva strano, pensò la ragazza, guardare quelle rughe sui loro volti, i segni lasciati dal tempo... Lei non li avrebbe mai avuti, sarebbe stata per sempre una bellissima e giovane diciottenne. E questo valeva anche per gli altri.
Lucille si voltò per guardarli e i due gentiluomini la osservarono interrogativi.
L'atrio della casa era enorme e si apriva in due scalinate che portavano ai piani superiori, dove erano situate tutte le centocinquanta camere da letto. Sul soffitto Jamie aveva disegnato alcune scene tratte dall'Apocalisse e dall'Inferno di Dante. Corpi nudi che si contorcevano, demoni dagli occhi rossi che si dissetavano dal sangue umano, segugi infernali e altre creature demoniache; fra tutte quelle figure aveva inserito anche loro, la Famiglia del Diavolo. Vladimir era seduto su un trono fatto di teschi umani su uno sfondo nero; aveva gli occhi rossi e due zanne appuntite gli bucavano il labbro inferiore, mentre del sangue gli macchiava i vestiti. Un sorriso appena accennato gli incorniciava le labbra. Sulle ginocchia gli era seduta Camille che guardava adorante il marito, indossava un bellissimo vestito insanguinato e i capelli biondi sfioravano il suolo; anche lei aveva gli occhi rossi e delle zanne che le bucavano le labbra.
Sembravano Lucifero e Lilith, i sovrani degli inferi, spietati e malvagi.
Dietro il trono di ossa, quasi nella penombra, c'erano Roman e Jean, anche loro con le stesse caratteristiche dei genitori. Poggiavano una mano sulla spalla del padre, mentre guardavano un punto indefinito davanti a loro, mentre William, James e Lucille sedevano ai piedi del padre e ridevano delle povere anime torturate dai demoni. James e William guardavano la sorella, mentre ella indicava con un gran sorriso qualcosa.
“Ha uno spiccato senso dell'umorismo, James, non trovi?”, le domandò Will, avvicinando le labbra vicino all'orecchio della sorella. La voce roca e dal perfetto accento inglese del fratello la fece rabbrividire. Lucie non rispose, guardandosi intorno, anche Jamie era sparito. Will le offrì il braccio. “Vieni, ti accompagno in camera, non vorrei che qualcuno approfittasse della tua virtù, mia bella.”
“L'unico che potrebbe approfittarsene sei tu, mio caro Willy.”, il biondo ridacchiò, passandosi una mano fra i capelli setosi.
Sulle pareti delle scalinate, erano stati posizionati quadri raffiguranti la famiglia Nottern durante i secoli.
C'erano circa centocinquanta camere, ma solo sette erano realmente occupate; inoltre c'erano due stanze della musica con qualsiasi strumento esistente, due enormi librerie costantemente in fase di aggiornamento, due salotti nei quali poter ricevere gli ospiti e altre stanze vuote e inutilizzate, nelle quali probabilmente c'erano tutti i vestiti di Camille.
In soffitta William si rintanava la maggior parte del tempo, lì aveva tutta la calma e tranquillità per poter comporre poesie e scrivere i suoi romanzi. Mentre a James era dedicata tutta un'ala della casa, dove poteva dipingere ed esporre i suoi quadri e sculture.
Nei sotterranei, invece, c'era il laboratorio scientifico di Roman, dove si impegnava nel creare nuovi oggetti, che la maggior parte delle volte finivano per ferire quasi tutti i componenti della casa. C'era anche una serra nello sconfinato e immenso giardino, dove Camille e Vladimir si prendevano cure di brutte e strane piante.
William, James e Lucille scelsero il quarto piano. Come al solito quei tre erano inseparabili, nonostante i continui bisticci fra Will e Lucie.
I due fratelli dormivano in camere diverse, ma comunicanti l'una con l'altra attraverso un tunnel che avevano costruito in un giorno di noia, mentre Lucille dormiva sola, ma la sua camera si trovava di fronte a quella dei ragazzi.
“Ed eccoci qua, siamo arrivati, mia indifesa donzella. Adesso merito un bacio per questo mio atto eroico.”, sorrise maliziosamente, avvicinando il viso a quello della ragazza, che si scostò velocemente, entrando nella stanza.
La camera di Lucille era spaziosa, una tra le più grandi di tutta la casa. Il rosa era il suo colore preferito e si notava perfettamente, poiché tutto, coperte, tende e tappeti, era sulla tonalità di quel colore. Persino la casetta delle bambole, poggiata accuratamente al centro del tappeto.
La ragazza si tolse guanti e capello, liberando la chioma castana da quella fastidiosa acconciatura, che le cadde lungo la spalla fino a sfiorarle la schiena; la pelle pallida e priva di imperfezioni scintillava sotto la luce fioca delle candele. Si sentì un fruscio, come quando c'è del vento in estate, e le candele tremolarono.
Lucie si girò, notando Will steso sul suo letto con le gambe una sopra l'altra e le braccia incrociate dietro la testa bionda. I capelli d'oro erano arricciati sulle tempie e sembravano umidi; si era cambiato ed indossava un paio di pantaloni neri e una semplice camicia bianca che non aveva allacciato bene, poiché si intravedeva la peluria bionda sul petto e la sua collana dorata. La portava ancora, notò sorpresa.
“Basta con questa recita, Lucille. Dimmi cos'hai, puoi parlare liberamente. Gli altri non ritorneranno prima dell'alba.”
Lo guardò, notando le brutte occhiaie nere che albergavano sotto i suoi bei occhi azzurri. Sembrava stanco, quando in realtà non avrebbe dovuto esserlo. Da quando non mangiavano lui e Jean?
William era bello, ma aveva uno strano tipo di bellezza. Non lo era come Roman o James, loro attiravano sempre l'attenzione per strada o quando c'era un gran numero di signore. No, Will aveva una bellezza particolare, non la si notava subito. Era molto magro, ma forte e molto alto, anche se non quanto Roman. Aveva belle mani da musicista, con dita lunghe e affusolate, perfette per suonare il piano.
Bellezza maledetta, l'aveva soprannominata un giorno James.
“E dove, di grazia?”
“Di qua, di là. Sai come siamo. Cerchiamo di essere una famiglia solo per dieci minuti e poi torniamo ad essere degli sconosciuti che vivono nella stessa casa.”
Un triste sorriso dipinse i bei e delicati lineamenti della ragazza.
“Che cosa sei venuto a fare allora? Potevi rifiutarti e non venire come hai già fatto in passato.”
“Mi annoiavo e poi vivevo già qui.”, William si alzò dal letto, andandole incontro. Scrollò le spalle, sorridendole: “E poi volevo vederti, non scherzavo quando ho detto che mi sei mancata, mon amour.”
Se lei avesse avuto un cuore che batteva ancora nel petto, esso avrebbe saltato un battito. Ma, Ahimè, se ne era rimasto anche solo un briciolo, esso non funzionava più.
“Non chiamarmi così. Ne hai perso il diritto molto tempo fa.”
“Ancora con questa storia? E' stato solo un gioco...”
“Per me no, mi hai ferita. E ho tutta l'eternità per portarti rancore, William.”
“Non riesci a farlo. Non siamo fatti per restare lontani, Illa.”, il ragazzo sorrise maliziosamente, stringendo la sorella per la vita ed avvicinandosela al petto. Lucille sbuffò, spingendolo via; Will cadde per terra, ma non si arrese e velocemente le corse incontro, afferrandola e buttandola sul letto con lui sopra di lei che le teneva ferme le braccia sopra la testa. I capelli di lei avevano creato una sorta di cuscino intorno al suo capo, mentre quelli di lui erano disordinati, alcune ciocche gli erano scese davanti agli occhi.
Laisse- moi, William!”, quando Lucille si arrabbiava cominciava a parlare in francese e questa era esattamente una di quelle situazioni.
“No, ho fame e il tuo collo sembra così invitante.”, gli occhi di Will cambiarono colore, diventando di un rosso scuro quando affondò i denti nella tenera e morbida carne della ragazza. Lucie gemette, inarcando la schiena e chiudendo gli occhi, mentre egli si nutriva da lei. La lasciò andare, facendo scorrere le mani sotto le sue gonne, mentre quelle della ragazza stingevano le ciocche bionde dei suoi capelli.
“Oh, Will...”
“Il tuo sposo umano riusciva a farti una cosa del genere?”, chiese Will guardandola con le labbra sporche di sangue. Era talmente bello da sembrare un angelo, un angelo caduto. Lucille sorrise, ribaltando le situazioni: adesso Will era sotto di lei e lei era sopra di lui.
“William, non cadrò nei tuoi giochetti. Queste non sono cose che si fanno tra fratelli!”
“In Norvegia siamo sposati.”, disse Will, sorridendole innocente.
“In Islanda.”
“Fa lo stesso.”
Will sollevò una mano, accarezzandole una guancia. Le dita erano talmente fredde da sembrare di ghiaccio .
“Ma visto che che tu lo hai fatto a me, io lo farò a te.”, Lucille sorrise maliziosamente. I suoi occhi diventarono rossi e William la guardò rapito. Si chinò su di lui, leccandogli le labbra, sporche di sangue e affondando i denti nel suo collo. Will emise un ringhio poco umano, mentre le mani di lui le strapparono via tutti quegli inutili vestiti che portava addosso.
“Oh, per il David di Donatello, voi due fate le cose sconce e non mi invitate?”, James scosse il capo, disapprovando. Lucie si alzò di scatto, colpendo rabbiosamente William sulla spalla, che ridacchiò. Le aveva rovinato il vestito. “Potrei farvi un quadro e lo intitolerei La Puttana e Lo Scrittore Depresso.”
“Jamie, non fare l'offeso.”, borbottò Will, seguendo con lo sguardo Lucille che abbandonava tutta quella stoffa, rimanendo nuda sotto lo sguardo dei ragazzi. Solo James ebbe la decenza di voltarsi.
“Non fatevi trovare in certi comportamenti da Vladimir e Camille, non vorrei scoppiasse un'altra guerra dei cent'anni.”
“Certo, fratellone, non preoccuparti.”, disse Lucille con un sorriso, adesso che si era messa una vestaglia rosa addosso. James la baciò su una guancia e subito dopo scomparve, così come era venuto.
Will si alzò dal letto, raggiungendo la ragazza che si era chinata per esaminare le condizioni del suo bel vestito blu. Aveva lo stesso sguardo di un leopardo prima di attaccare.
“Non ci pensare neanche, William. Abbiamo giocato abbastanza per oggi. Vattene e lasciami dormire, è quasi l'alba.”
“Ma volevo un po' di coccole.”
“Fuori!”
“Tiranna!”, William le mandò un bacio volante che Lucille non afferrò. Il ragazzo deluso uscì dalla camera, chiudendosi la porta alle spalle.
Ormai rimasta sola, la ragazza si buttò sul letto, ormai sporco di sangue, guardando il soffitto. Con sua grande disapprovazione si sentiva bruciare e non provava emozioni del genere da quella volta in Islanda con Will.









 
   
 
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