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Autore: Luxanne A Blackheart    07/01/2017    2 recensioni
Nella Londra vittoriana un affascinante uomo proveniente dall'India, un benestante e facoltoso Lord imparentato con la regina, si trasferisce in uno dei quartieri più ricchi e alla moda dell'epoca.
Lui e la sua famiglia si adatteranno alla vita sociale inglese, partecipando a balli reali e alla vita mondana dell'epoca.
Da lontano sembrano perfetti con i loro vestiti costosi, i bei sorrisi affascinanti e i modi di fare garbati. Ammalianti come un serpente prima di attaccare.
Ma sotto quella apparenza di perfezione c'è di più...
Il loro aspetto cela qualcosa di raccapricciante e orribile.
Grida e strani versi si odono nella buia e fredda notte; sangue, sospiri, affari di malcostume e morte incombono sulla loro bella casa e su chiunque osi avvicinarli.
In una Londra sporca, popolata dalla volgarità, dal malaffare, dal sangue e dalla morte la famiglia Nottern saprà trovarvi la dimora ideale.
E voi, saprete farvi conquistare dalla Famiglia del Diavolo?
Genere: Dark, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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CAPITOLO DUE.
William.




 
Devo solo distrarmi. La distrazione. La massima invenzione dell'essere umano per continuare a tirare avanti. Per fingere di essere quello che non siamo.
Adatti al mondo.
Paolo Sorrentino - “Hanno tutti ragione.”








William si diresse nell'unico posto nel quale avrebbe potuto essere se stesso: la soffitta. L'unico posto nel quale poteva sentirsi al sicuro, oltre al mondo immaginario dei libri, nel quale poteva esprimersi ed essere pienamente capito. Lì, circondato dal buio e dal dolce odore della carta, da quello aspro dell'inchiostro e da quello dolciastro dell'assenzio, poteva giocare ad essere Dio. Attraverso la sua penna egli creava, uccideva, decideva delle vite degli altri, si sfogava. Non aveva bisogno di maschere, perché lì tra quelle strette e buie mura decadenti, era veramente William, un uomo che non si nascondeva dietro battute squallide, comportamenti osceni e menefreghisti.
Rispetto a tutta l'enorme casa, la soffitta era il posto più piccolo, ma anche il più isolato e freddo. C'erano spifferi da cui il vento si infiltrava come un amante nelle coperte della propria donna, accarezzandogli i capelli biondi con soffi delicati e gelidi. I topi squittivano nella semioscurità della stanza, mangiucchiando vecchi pezzi di carta, macchiati di inchiostro e sangue, che Will aveva buttato perché non lo soddisfacevano. Sulla scrivania c'era di tutto, cominciando da fogli, penne spezzate, inchiostri rovesciati, piume, pergamene, libri lasciati aperti su pagine pieni di polvere, bottiglie di alcolici e altri oggetti non identificati.
William si sentiva svuotato, vecchio e stanco. Nonostante la sua età, ne dimostrava venticinque nel suo aspetto esteriore, ma quello reale superava quella cifra di molto. Ovviamente non aveva gli anni, o i secoli, di Vladimir e Camille e di quel passo dubitava ci sarebbe mai arrivato. Non c'era niente per cui valesse davvero la pena andare avanti. I secoli si somigliavano tutti e la storia non faceva altro che ripetersi, per quanto tutti gli storici sostenessero il contrario. Gli esseri umani, le persone di quel mondo marcio, più si evolvevano, più si trasformavano in mostri. Erano uno più stupido dell'altro, uno più ridicolo dell'altro.
L'alba era in procinto di sorgere e William udì i suoi fratelli e i suoi genitori rientrare in casa, producendo un forte rumore fra porte che sbattevano e risa.
Il biondo si sedette sulla sua sedia, che scricchiolò, quando si mosse per intingere la penna nell'inchiostro. Afferrò un foglio bianco, quasi ingiallito dal tempo, poggiandovi sopra la punta.
“Avanti, William, sei stato capace di creare capolavori e di far sognare, soffrire, gioire e piangere generazioni su generazioni. Non puoi rinunciare così!”, si disse, chiudendo gli occhi e muovendo la penna sul foglio, finché esso formò delle parole e subito dopo delle frasi. Lasciò che il testo fluisse dalla sua mente e si riversasse, attraverso la penna, sul foglio. Diventò succube delle parole, loro servo e lasciò che esse prendessero il controllo su di lui.
Negli ultimi decenni aveva composto solamente cose orribili, talmente depresse che chiunque le avesse lette, avrebbe immaginato che quei testi e quelle poesie fossero lettere di addio di un suicida. Pensieri oscuri e torbidi alimentavano la sua mente e nessuno avrebbe mai capito come si sentiva.
Aveva un'eternità davanti agli occhi, anni e anni, secoli forse, e lui non sapeva come sfruttarli. Gli sembrava di star gettando via la sua vita, l'unica cosa alla quale riusciva a pensare era il suo senso di essere una nullità, un uomo senza palle, infelice, un pallida copia di ciò che era stato. Scrittore depresso, lo aveva chiamato James per prenderlo in giro. Beh, forse lo era o forse era semplicemente stato maledetto.
Cercava delle distrazioni così da non pensare alla sua vita, al suo essere e quando James gli aveva detto che ci sarebbe stato anche lei, la sua Lucille, non aveva esitato a dire di sì. Lei e Jamie erano le uniche persone per le quali avrebbe continuato a vivere.
James sbucò all'improvviso, sostando nella penombra, poggiato sullo stipite della porta. Aveva uno sguardo preoccupato in volto e la sua preoccupazione era solo lui.
“William, perché non vieni a dormire?”, domandò il fratello, guardandolo. Non si era accorto di aver assunto la sua vera forma, poiché si accorse solo in quel momento che gli occhi gli erano diventati rossi e i canini, affilati come coltelli, gli avevano bucato il labbro inferiore, facendogli perdere del sangue che gli aveva macchiato la camicia bianca. Il ragazzo sorrise al fratello, mostrandosi in tutta la sua pericolosità.
“Quando hai queste crisi, non è mai un bene per l'umanità.”
“Si fotta l'umanità assieme alla regina Vittoria! E poi sai benissimo che ho accettato la mia identità e il mio modo di essere da molti anni ormai, non sono come te. Andare in Chiesa e domandare perdono al tuo Dio non servirà a nulla, ne sei consapevole? Sarai il primo a finire all'inferno.”
“Lo so, William Nottern, sono consapevole che sei e rimarrai una testa di cazzo. Puoi frequentare tutti i bordelli e le fumerie d'oppio che preferisci, ma non mettere in mezzo Lucille nei tuoi sporchi giochetti.”, James lo guardava con la mascella irrigidita. Lo aveva ferito.
“Faccio ciò che mi pare, sopratutto delle persone di cui non mi importa nulla.” , il ragazzo chiuse gli occhi, ritornando al suo aspetto umano.
“Certo e io sono Camille.”
Will ghignò, notando il leggero sorriso sulle labbra rosse di James: “Beh, i capelli li hai.”
“Dormi, Will e non autocommiserarti inutilmente.”, detto questo, scomparve.
Il ragazzo sbuffò, notando che aveva scritto quasi una pagina che non controllò, poiché non aveva la pazienza e non era pronto per leggere frasi scollegate e senza senso. Si guardò le mani, notando di averle macchiate di inchiostro nero, che ci avrebbe impiegato del tempo prima di scomparire.
Si alzò, barcollando verso la stanza di Lucille. Entrò silenziosamente per non svegliarla, avvicinandosi al letto. Lei dormiva; il petto non si sollevava ed era talmente bella, nel pallore e nella perfezione dell'epidermide, nella linea del collo delicata, negli occhi chiusi dalle lunghe ciglia e le lentiggini spruzzate sul nasino, nelle labbra rosse, nei capelli lunghi e mori. Bellissima, meravigliosa creatura, perfetta Lucille. Era un fiore appena sbocciato, mentre lui era appassito e brutto, senza vita.
Lei sarebbe stata un cadavere bellissimo; la creatura più bella che la morte avrebbe baciato su quelle labbra sottili e rosse.
Tu chiedi un bacio alle mie labbra fredde di terra, ma dalla mia bocca di polvere è il fiato e se un bacio avrai dalle mie labbra fredde di terra, presto il tuo tempo sarà terminato.”, citò, accarezzandole la pelle delicata del viso.
“William...”, borbottò Lucille, dandogli le spalle. Egli sorrise, chinandosi su di lei per lasciarle un bacio sulla guancia.
Lei era il suo grande peccato.








Il salotto era semivuoto, composto solamente da alcuni divanetti e un tavolino posto al centro di essi. Era pomeriggio e il sole stava per cedere il posto alla luna e la famiglia si era riunita lì con le pesanti tende nere a rintanarsi dalla luce.
I Nottern erano tutti lì, seduti uno vicino all'altra a conversare, solo Camille era scomparsa nel nulla. Le candele illuminavano loro le pelli pallide, disegnando ombre inquietanti sotto gli occhi e intorno alle labbra rosse. Sembravano i personaggi di quei racconti di basso costo e qualità, i Penny Dreadfull, che William comperava di tanto in tanto per ridere dell'immaginazione umana. Pensavano di essere tanto coraggiosi nello scrivere di pericolose creature della morte e della notte, quando nella realtà ne erano terrorizzati e solo nel sentirne parlare, sbiancavano per la paura.
La famiglia stava pranzando. Uno dei succubi di Lucille, Alfred, era morto, stramazzato per terra con gli occhi vitrei e l'espressione stanca. Roman e Vladimir lo avevano prosciugato.
“Buonasera.”, borbottò Will, sedendosi accanto a Lucille e James. La ragazza distolse lo sguardo, sembrava a disagio. Lucie era bellissima; indossava un abito dalle gonne di tulle blu, che si intonava perfettamente con la sua pelle, i capelli castani erano legati in spesse trecce sul capo, mentre degli orecchini di diamanti erano appesi ai suoi lobi. I guanti erano lunghi, andavano oltre il gomito e bianchi. Il viso privo di ogni traccia di trucco.
“Finalmente ti sei degnato di onorarci della tua presenza, William.”, disse Vladimir, vestito come un ricco Lord, mentre sorseggiava da un bicchiere di cristallo del liquido rosso, denso e dal sapore metallico. Lui e Camille erano gli unici a sapersi controllare, il loro aspetto non cambiava mai, quando si nutrivano e se succedeva, capitava di rado.
Lucille e James stavano conversando di un quadro di un tale pittore, mentre Roman e Jean discutevano su un particolare apparecchio che il primo aveva creato.
“Mi sono addormentato tardi, chiedo scusa.” , borbottò il ragazzo, chiamando poi l'unico succubo rimasto, Buford. Non era certo il suo preferito, poiché era veramente brutto. L'umano gli porse il braccio e Will senza troppe cerimonie, affondò i denti in esso, nutrendosi. Doveva dimostrare un certo autocontrollo, quindi bevve lo stretto necessario, ma tuttavia non fu sufficiente. Vlad sollevò gli occhi, disgustato.
William sapeva di non essere il suo preferito, anzi sapeva che lo detestava. Il ragazzo si era imbattuto nella sua ira dopo aver avuto una piccola relazione con Camille da umano. Era rimasto attratto dalla bellezza irreale della donna che pazzamente innamorata di lui, aveva deciso di trasformarlo per starci insieme per sempre. Ma l'amore di Camille era volubile e non appena Vladimir si era presentato alla sua porta assieme a Roman e Jean, Wiliam aveva smesso di essere il suo amate ed era automaticamente diventato uno dei suoi figli. Lei avrebbe sempre scelto Vlad.
Sembrava essere successo una vita fa e in un certo senso lo era.
“Oggi voglio uscire. James, vieni con me? E tu, Lucille, che ne dici?”, disse ,pulendosi il lato della bocca con il pollice. “Andiamo a terrorizzare i poveracci.”
“William, non lasciare sopravvissuti. Siamo appena giunti a Londra e non voglio lasciarla prima di dieci anni per i tuoi capricci da bambino viziato.”, disse duro Vladimir, mentre con un aggeggio appuntito, bucava il braccio di Buford, il cui sangue si versava nel bicchiere.
“Come vuoi, paparino.”
“Ed eccoli qua!”, urlò Camille, sventolando dei cartoncini spessi che aveva fra le mani. Quella sera vestiva completamente di rosso, dall'abito agli accessori. I capelli biondi erano legati in una acconciatura simile a quella di Lucille, infondo dimostravano quasi la stessa età.
“Che cosa sono quelli, madre?”, chiese Lucie, la voce le tremava e sembrava più alta di un'ottava. Will ghignò, avendo capito che era lui il motivo.
“Gli inviti del ballo che organizzeremo domani sera!”, disse entusiasta la donna, battendo le mani; corse verso l'unica figlia, mostrandole i cartoncini bianchi.
“Oh, meraviglioso! Non vedo l'ora che vecchie e grasse signore mi invitino a prendere il tè delle cinque nelle loro brutte case per conoscere le loro altrettanto brutte figlie con cui vorranno farmi maritare!”, replicò con finto entusiasmo Will. Jean fece un verso di disgusto, sembrava sul punto di vomitare, mentre Roman e James si limitarono a rabbrividire.
“Non sarebbe una cattiva idea accrescere il patrimonio di famiglia, William. E cosa sono pochi anni della tua eternità per una dolce fanciulla umana dalla ricca dote?”, disse James, ghignando.
“Non sarò io il vostro martire, avvoltoi! Ho dei principi!”
“Questa sì che è una battuta, William.”, rise Roman, alzandosi dalla divano e indossando una specie di camice nero. Salutò e sparì nei suoi sotterranei.
“Sacrifichereste il vostro figlio più bello per arricchirvi, siete proprio senza cuore!”, disse con fare melodrammatico William, puntando il dito sui fratelli e su Camille.
“William, smettila di fare l'idiota.”, rise Jamie, alzandosi e prendendo per mano la sorella. “Noi andiamo a cambiarci. Ci aspetti fuori?”
“Sbrigatevi, altrimenti vi lascio qui! E cara famiglia, ci vediamo all'alba.”, si chinò su Camille che adesso sedeva lì dove prima erano seduti Lucille e James, baciandole una guancia. “Sei bellissima oggi, Camille.”
“Oh, William, sei un furfante!”, la donna lo schiaffeggiò sul braccio, non riuscendo a smettere di ridacchiare. Adorava essere adulata.
Fece un sorriso innocente a Vladimir che ringhiò, frantumando il calice vuoto che stringeva fra le dita. Nel frattempo anche Buford era morto e guardava Camille con il suo sguardo vitreo.
“Vi auguro una bella serata, famigliola!”, disse uscendo e raggiungendo l'atrio.
Non aveva indossato i suoi abiti migliori, ma quelli che aveva rubato ad una famiglia di contadini qualche tempo prima. Lì dove si stavano dirigendo dovevano mimetizzarsi e non sembrare ricchi, non ce n'era il bisogno.
“James...”, si girò il ragazzo, notando i fratelli, vestiti da poveracci, dietro di lui. Il fratello indossava una camicia bianca e un paio di vecchi pantaloni con scarpe logore, proprio come lui, mentre Lucille sembrava una cameriera. Anche se quel vestito le stava troppo stesso sul petto, notò compiaciuto William. “Da quanto tempo non facciamo una gara?”
“Non siamo più bambini, Will!”, si lamentò James. Lo faceva solo perché, tra i tre, era il più lento. “E poi voi due barate!”
“Chi arriva per ultimo, paga tutta la serata!”
I tre si guardarono ghignando per qualche secondo prima di scattare. Corsero per tutto il tragitto, nascondendosi fra gli alberi fitti e bui del bosco, accelerando quando l'altro era in vantaggio e superandolo. William sorrideva, aprendo le braccia; gli sembrava di volare, con il vento che si intrufolava tra i vestiti, gli baciava la pelle e accarezzava i capelli. Urlò, facendo svolazzare alcuni animali notturni quando superò James che lo insultò; inaspettatamente però Lucille lo superò con i lunghi capelli completamente sciolti dalla acconciatura che svolazzavano come pipistrelli. La ragazza stava ridendo, quando Will allungò le mani per afferrarla, ma aumentò la corsa all'improvviso, facendolo quasi cadere al suolo.
Quando si fermarono in un vicolo buio, Lucille aveva vinto e James, come suo solito, perso. William la guardò, aveva i capelli gonfi e disordinati.
“Vi odio, maledetti. Prendete questi e andatevene via!”, disse James, pettinandosi con le dita i capelli quasi bianchi. Lanciò un sacchetto rosso a William che lo afferrò, mettendoselo nelle tasche dei pantaloni. “Fai attenzione a Lucille e se c'è qualche problema, sai dove trovarmi.”
“Dove vai, Jamie?”
“Di qua, di là. Non fate cose sconce!”
“I capelli sono sfuggiti dall'acconciatura, Illa. Vieni qui.”, Will le si avvicinò, approfittandone dell'altezza per sbirciarle nella scollatura. La afferrò per le spalle, girandola in modo tale da averla di spalle e con mani esperte cominciò ad intrecciarle le ciocche scure per formarle una semplice acconciatura, che fissò con forcine e fermagli, rimastele ancora in testa dopo la corsa. Quando ebbe finito indugiò leggermente, sfiorandole la pelle invitante del collo. “Ecco fatto.”
“Beh, Will, neanche i tuoi capelli stanno messi tanto bene!”, Lucille gli sorrise, sbattendo le ciglia con fare innocente. Allungò le mani per aggiustargli la chioma d'oro e William non smise mai di osservarla negli occhi.
“Smettila di guardarmi nella scollatura, William.”
“Mi è impossibile farlo, il tuo seno mi è stato praticamente messo in faccia e mi sta urlando di toccarlo.”
“Provaci e ti spezzo le ossa.”, lo minacciò Lucie, allontanandosi. “Adesso andiamo.”
Si trovavano in uno dei quartieri più poveri e malfamati di Londra, nel quale regnavano come sovrani indiscussi bordelli, fumerie d'oppio e altri locali di malcostume. Will fece finta di riempirsi i polmoni d'aria, dicendo: “Oh, mia bella e corrotta Londra! Facci ubriacare nelle tue sporche locande, facci sognare nelle tue piccole fumerie d'oppio e facci godere con le tue deliziose puttane!”
“Sei disgustoso, lo sai?”, borbottò Lucille, afferrando il braccio del fratello. Ogni tanto faceva qualche smorfia di dolore. “Questo vestito è talmente stretto adesso che devo far finta di respirare...”
“Dovresti indossarlo più spesso e respirare più spesso, mi stai ipnotizzando.”, disse il ragazzo, notando come il suo pallido petto si sollevasse e abbassasse.
“Sei disgustoso e depravato! Per voi uomini è tutto facile! Non dovete usare corsetti e tutte queste gonne!”, si lamentò la ragazza, strabuzzando gli occhi in modo buffo quando un uomo le fece un gesto poco carino.
“Per me, cara Lucille, potresti anche passeggiare nuda e con i capelli al vento. Non mi faccio problemi!”, disse Will, guardandola con una sincerità e serietà tale da farla ridere.
Le strade erano illuminate da pali a gas. L'uomo aveva fatto enormi passi da gigante, inventando nel corso degli anni aggeggi sempre più utili e funzionali alla vita di ogni giorno.
Le abitazioni sembravano sul punto di cadere per terra, sarebbe bastato un semplice soffio di vento. I numerosi bordelli e locande erano le uniche costruzioni che avevano avuto una piccola ristrutturazione negli ultimi tempi. Le puttane, con i capelli slegati e senza corsetti, salutavano William con sguardi lascivi e mostrando le gambe attraverso gli abiti quasi trasparenti. Mentre altre lo chiamavano addirittura per nome, come fosse un amico di vecchia data, cosa che in realtà era. C'erano donne di tutte l'età, dalle più giovani, sedicenni, alle più vecchie, sessantenni.
Le locande erano piene di ubriaconi che discutevano a gran voce di problemi sociali, insultavano la regina Vittoria o semplicemente cantavano vecchie canzoni popolari.
Le fumerie d'oppio non erano molto frequentate dagli inglesi, ma soprattutto da uomini orientali e donne lavoratrici dalle facce stanche, che cercavano medicine, a base di oppio e assenzio, per non far piangere i bambini.
C'erano anche altri negozi nel quale si vendeva pane, frutta, legumi e verdura; altri in cui uomini dai vestiti di seta pregiata entravano in compagnia di altri uomini; altri dai quali provenivano urla terrorizzate di uomini e donne, medium e maghi che venivano pagati per rilevare spiriti e condurre una seduta; ospedali militari nei quali le puttane che avevano contratto sifilide e gonorrea erano costrette a sostarvi per tre mesi. Nei vicoli bui della città si notavano gruppi di donne riunite in cerchio che bisbigliavano per la paura di essere sentite, denunciando la loro oppressione e pretendendo la parità e gli stessi diritti degli uomini.
Quella era la Londra dell'età vittoriana: sesso, droga, superstizione e povertà, molta povertà e soprattutto oppressione della figura femminile, benché la regina era una donna forte e che non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno. La Londra vittoriana era incoerente. Vigeva lo squallore e la mentalità arretrata, ma si promuoveva l'innovazione e una mentalità più aperta verso altre culture.
“Da quando Londra è diventata Parigi, Will?”, chiese Lucie, terrorizzata da tutto quello squallore.
“Da quando è stata creata. Finché ci saranno persone disposte a pagare per questo genere di divertimenti, essi esisteranno.”
“Compreso tu, scommetto.”, disse Lucille, sorridendo in modo triste. Si fermò, guardandolo negli occhi. Era così piccola e minuta, pensò William, ma in quel momento, con quello sguardo accusatore, sembrava più alta di lui. “Sei cosciente dei rischi che corri?”
“Non ho la sifilide se è questo di cui ti stai preoccupando. Non siamo umani, Lucille, non ci è possibile contrarre malattie che ci porteranno alla morte.”
“Will, non siamo immortali, ma possiamo essere uccisi. Devi stare attento, non voglio che tu muoia per uno stupido desiderio sessuale.”, sussurrò Lucie, guardandosi intorno. Sapeva che se l'avessero sentita parlare di cose del genere, la gente avrebbe cominciato a sparlare. Le donne non dovevano sapere cos'era il sesso prima di aver preso marito e anche in quell'istante a loro non era possibile goderne.
“Che cosa ti cambia se muoio o meno?”, William la guardò, gli occhi erano diventati più chiari.
“Perché sei uno stupido e non capisci? Tengo a te e non voglio perderti per le tue idiozie.”, disse Lucille, accarezzandogli la guancia. William neanche lo sentì quel tocco così famigliare, poiché i suoi occhi si rabbuiarono da pensieri oscuri.
Lo sapeva bene, William, che non poteva morire e invidiava gli umani per questo. Un po' di veleno, un pugnale infilato nella carne, un taglio ad una delle vene più importanti... Quanti sonetti aveva scritto sul suicidio e quanti l'umanità ne avrebbe composti? Ci si poteva ispirare a secoli di congiure, assassinii, suicidi; ne esistevano così tanti, alcuni dolorosi e altri un po' meno, ma l'intento era quello di arrivare allo stesso unico scopo.
La bella, fredda, perfetta e meravigliosa morte.
L'unica via d'uscita da ciò che egli provava, da quello stato di tristezza e finta felicità che dava a vedere. Vagava nell'oscurità e ne aveva fatta una sua amica fidata, aveva salutato la malinconia e adesso guardava la tristezza come guardava Lucille.
“Will?”
“Sì, vieni.”, borbottò, stordito, aggrottando le sopracciglia. La prese per mano, fregandosene delle buone maniere e svoltando l'angolo. L'aveva portata da James, al circo. Si trovava in una enorme piazza ed esso era un enorme capannone colorato e tutto illuminato. All'esterno c'era una piccola orchestra che suonava musichette allegre.
Gli occhi di Lucille si illuminarono di gioia, quando vide in lontananza una delle giraffe in gabbia.
“Wiiill! Mi hai portata al circo!”, la ragazza lo abbracciò, saltellando e baciandolo sulla guancia.
La sua Lucille, che spruzzava gioia da tutti i pori, la donna che non avrebbe mai avuto, l'unica che non meritava. Che cosa stava facendo lì? Lui non era il tipo di ragazzo che porta la ragazza che ama a divertirsi, lui piuttosto era il tipo che rubava la virtù di una ragazza dopo averle morso il cuore, che poi buttava sotto una carrozza.
“Sì, che felicità. Ma purtroppo non posso venire con te perché mi sono ricordato di avere un conto in sospeso con una giovane signora. Quindi devo andare.”, disse, sorridendo maliziosamente.
“Cosa? Will, non azzardarti ad abbandonarmi!”, urlò Lucille, afferrandolo per un braccio.
“Vai sul retro di quella costruzione, troverai James. Ti sta aspettando.”
Si ficcò le mani in tasca e poi sparì, lasciando una Lucille parecchio arrabbiata e delusa.
Ovviamente le aveva mentito, non c'era nessun conto in sospeso, nessuna donna, non c'era niente se non la sua malattia mentale e le sue dipendenze. L'oppio e l'assenzio.
Se quelli come lui non riuscivano ad ubriacarsi, anzi riuscivano solamente a diventare brilli, aveva scoperto che con le droghe non avveniva lo stesso, poiché esse amplificavano le sensazioni. L'unica cosa che aveva in comune con gli umani, ma che comunque non lo avrebbe mai ucciso.
Bussò alla porta e una bella donna vestita di rosso gli aprì. L'abitacolo era basso e stretto, perciò quelli alti come lui non potevano stare in piedi senza toccare il soffitto. C'erano dei piccoli letti su cui i clienti si stendevano, assumendo la sostanza. Si sentivano brusii, voci soffocate, nomi sospirati, incubi, mentre gli uomini tenevano gli occhi chiusi.
Erano patetici, lui lo era.
“Quanta ne vuoi, Will?”, il ragazzo le sorrise, baciandola sulle labbra. “Non avrai uno sconto per questo, lo sai?”
“Certo che lo so, zuccherino. Dammene così tanta da farmi dimenticare chi sono.”


*** ****
Salve a tutti! 
come va? Qui in Puglia fa un freddo tale da gelare le ossa, ma siamo tutti felici perchè c'è la neve!
Ed eccoci qui con il capitolo due sotto il punto di vista di William. Stiamo conoscendo poco alla volta i componenti della famiglia Nottern, che bene o male nascondono segreti. Cosa ne pensate di William e Lucille? Lasciatemi un parere!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e se ci sono domande, fatemele pure. Ho cercato e cercherò come posso di spiegare la mentalità dell'epoca e tutto ciò che accadeva nella società.
Adesso vado che quella santa donna della De Filippi ha invitato quel gran fustacchione di Richard Madden e da grande fan del trono di spade, non posso non fangirlare!
Alla prossima,
Luxanne xx

 
   
 
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