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Autore: Happy_Pumpkin    26/05/2009    4 recensioni
Cosa accadrebbe se Pain e Konan non venissero lasciati dal maestro che li ha aiutati?
L'arrivo a Konoha durante la guerra, le scelte dei personaggi coinvolti e le loro relazioni; l'evolversi di una vicenda diversa da quella che oggi conosciamo.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jiraya, Konan, Orochimaru, Pain
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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V

Sull'indifferenza, sulla delusione, sulle minacce...




Le vie dove viveva il clan Uchiha erano piuttosto affollate e cariche di odori diversi, accompagnati dallo sfrigolio della carne sulle braci e dal chiacchiericcio degli abitanti di Konoha; questi ultimi erano radunati tra quelle strade proprio per celebrare la nascita del primogenito di Fugaku e Mikoto, evento che segnava una successione assicurata dello sharingan. Oltretutto, dopo mesi di tregua, era l'occasione per svagarsi e non pensare più alle conseguenze della guerra, approfittando finalmente del momentaneo periodo di pace.
Nagato si guardò attorno silenzioso mentre avanzava, scansando a malapena la folla. Corrugò la fronte perplesso, intento a cercare di individuare Yahiko e allo stesso tempo ignorare quell'inutile caos festaiolo che gli assordava i timpani.
Finché in un angolo, dopo qualche metro di bancarelle e tavoli colmi di cibarie, non vide l'obiettivo delle sue ricerche guardarsi attorno irrequieto, tipica posa di chi attendeva impazientemente qualcuno.
“Ehi! E' da un po' che ti cercavo.” ammise Nagato raggiungendolo.
Yahiko dopo qualche istante voltò improvvisamente lo sguardo verso l'amico e, superata l'iniziale distrazione, spiegò piuttosto teso:
“Sto aspettando una persona, solo che non si decide ancora ad arrivare.”
Il ragazzo dai capelli scuri lo fissò e non mancò di notare che il piede tamburellava sul terreno, mentre le dita continuavano a muoversi frenetiche. Sorrise: Yahiko era da sempre stato un tipo piuttosto impulsivo e allo stesso tempo estremamente protettivo nei confronti delle persone a cui teneva; fingeva di sorridere per mascherare la preoccupazione, in grado di alzare le spalle proseguendo come se nulla fosse.
“Quella persona non siamo noi, immagino.” osservò Nagato severo, pur senza volerlo.
“E' un problema?” chiese Yahiko piccato.
“No – rispose l'altro apparentemente tranquillo – il problema è che tu fai sempre finta che le cose non esistano.”
I due si guardarono un istante, senza aggiungere o replicare altro. Per Yahiko in realtà fu un duro colpo: era la prima volta che il suo compagno di avventure, di viaggio e di sofferenze gli parlava con quei toni. La realtà era che mentre lui cercava di volare lontano ed adattarsi, Nagato si ancorava al peso del passato – incapace di concepire gli sforzi dell'amico per integrarsi.
Nonostante le apparenze infatti, il possessore del rinnegan era molto attaccato a tutto ciò che per lui era importante e vedere Yahiko allontanarsi ogni giorno di più gli faceva male; la cosa peggiore però era che non c'era alcun rimedio: uno dei due, infatti, sarebbe stato destinato a soffrire per la felicità dell'altro.
Improvvisamente, dopo qualche istante, Yahiko appoggiò una mano sulla spalla di Nagato e gli chiese cercando una certa complicità:
“Non hai invitato Konan? Lo sai che in fondo, anche se non lo da a vedere, le piacerebbe se tu lo facessi...”
Konan... sarebbe rimasta in silenzio diversi istanti, ottima opportunità per valutare la situazione, fino a che non avesse finalmente accettato con il solito fare dignitoso e compunto. Difficile, se non impossibile, che invece si verificasse la situazione inversa: nella sua riservatezza e riflessività non avrebbe mai mosso lei il primo passo, a meno che, secondo i suoi calcoli, non fosse stato necessario.
Nagato scosse la testa, rispondendo serio e scostandosi dalla mano di Yahiko dopo averla guardata sofferente: “Tu non capisci. Come puoi di punto in...”
Ma il suo interlocutore aveva già gli occhi persi altrove; ad un certo punto infatti esclamò:
“Kushina!”
Si sbracciò per farsi vedere, così anche Nagato si voltò e, dalla direzione, comprese che la suddetta Kushina doveva essere una ragazzina dai capelli rossicci, la quale si faceva largo tra la folla spintonando senza troppa remore. Era per quella kunoichi che lui si stava distanziando da loro tre, da quello che erano?
Fissò Yahiko e gli sussurrò, sforzandosi di non far tremare la voce:
“Vorrei che tu non mi abbandonassi. Noi... siamo amici.”
L'ultima parola fu pronunciata in un soffio ma così carico di frustrazione da essere più forte di un urlo. Il compagno confermò, guardandolo di sfuggita:
“Certo che lo siamo – aspettò qualche istante poi disse – scusami ma ora...”
La sua voce improvvisamente si perse tra le altre, mischiandosi come acqua aggiunta ad altra acqua, o forse era Nagato a non volerla più ascoltare. Chiuse gli occhi mentre l'amico si allontanava di corsa, portandosi le dita alle tempie e sigillandosi le labbra per non gridare dalla rabbia: era davvero così facile andarsene via? Bastava correre, ovunque i propri piedi si dirigessero, e lasciare tutto alle spalle, amici compresi.
Non poteva desiderare di fare del male a Yahiko: lui non era l'insegnante crudele, il nemico spietato o l'esame da stracciare. Era il suo migliore amico, era la sua parte complementare che equilibrava la mancata capacità di imporsi sugli altri trasformando le incertezze in sicurezze.
Se avesse continuato a sentirlo lì, così vicino ma innamorato di una ragazza, sarebbe impazzito e – lo sapeva – avrebbe finito per ucciderlo. Se non poteva essere di fianco a Yahiko era ingiusto che qualcun'altro potesse prendere il suo posto: nessuno lo conosceva e lo ammirava tanto quanto lui.
Eppure, nella sua mente, sapeva che tutto ciò era completamente sbagliato oltre che malato... strano come quel piccolo dettaglio riuscisse ad apparirgli quasi del tutto insignificante. Alla fine allora non gli restava altro che andarsene, correre a sua volta lontano per mettere a tacere quella voce vendicativa dentro di sé che avrebbe fatto solo del male allo scopo di alleviare il proprio dolore.

Yahiko guardò Kushina ed ammise:
“Scusa, non ho i fiori con me... il fatto è che non sapevo quali ti piacessero così...”
Lei lo squadrò un istante per poi rimbeccarlo allegramente: “Avanti, finiscila. Lo so che te ne sei completamente dimenticato...”
Il ragazzo abbassò gli occhi, infilando le mani in tasca, infine alzò le spalle ed ammise candidamente:
“Ehm, in effetti è vero.”
Kushina scosse la testa divertita, poi lo prese per un braccio portandolo a camminare di fianco a sé.
“Il soffione.” disse dopo qualche istante.
“Come?” chiese Yahiko perplesso, spostandosi appena in tempo per evitare un uomo piuttosto corpulento.
“E' il mio fiore preferito. Nel paese del Vortice è raro trovarne uno intero perché il vento soffia molto spesso e disperde i semi: però è bellissimo vedere a primavera il cielo riempirsi di ciuffi bianchi che danzano nell'aria.”
Si portò una ciocca dietro i capelli, lunghi fino a metà schiena, e con quel gesto Yahiko notò che per la prima volta la ragazza indossava una gonna – semplice e nera – anziché i soliti pantaloni. Sorrise, stupendosi di quanto riuscisse Kushina ad apparire femminile nonostante si atteggiasse ogni volta a maschiaccio; scoprì che gli piaceva anche quel lato del suo carattere di solito piuttosto irruento.
“Me lo ricorderò.” confermò lui, gongolando perché sentiva quella mano così vicina al proprio braccio.
Camminarono ancora, chiacchierando spensierati come amavano fare; ridacchiavano nel ripensare alle facce involontariamente buffe di Jiraiya ogni volta che si ritrovava a discutere con Orochimaru – pretendendo di imporgli il proprio metodo di insegnamento – peccato che, puntualmente, il compagno si limitasse ad ignorarlo proseguendo a modo suo.
Dopo diverso tempo si erano allontanati dalle vie più affollate così che finirono per ritrovare la solita pace tipica delle strade di Konoha, di tanto in tanto percorse da qualche coppia che rientrava a casa oppure da ritardatari speranzosi di non essersi persi il meglio della festa.
Improvvisamente però, lungo il cammino si intravide la figura di Minato che avanzava a passo spedito, almeno fino a che non si accorse di Kushina. Si arrestò; in seguito, dopo qualche istante, riprese a camminare portandosi di fronte ai due.
“Allora c'eri!” esclamò esasperato.
Kushina incrociò le braccia replicando ironica: “Comunque ciao, tra l'altro.”
Yahiko sulle prime non disse niente, anche se avvertì una certa minaccia nella presenza di Yondaime che dopo un saluto frettoloso ad entrambi spiegò:
“Sono rientrato da poco con Jiraiya al villaggio, ha insistito perché ci prendessimo una breve pausa dall'allenamento intensivo. Sai, sto iniziando a concentrarmi per acculare il chakra e condensarlo: non è facile ma i progressi ci sono.”
Sorprendentemente il ragazzo non si stava vantando: parlava con semplicità dei suoi traguardi e delle sue speranze perché, al di là della bravura personale, nel pieno dei quattordici anni condurre allenamenti sfiancanti non era facile per nessuno. Minato infatti, semplice ma allo stesso tempo ambizioso, proseguiva indefesso e con passione perché amava essere un ninja e dentro di sé, ne era irremovibilmente convinto, credeva che migliorare potesse servire per riuscire un giorno a proteggere gli altri.
Kushina, nonostante si sforzasse per orgoglio di non darlo a vedere, in realtà ammirava Minato così come lo stimava in quanto persona. Lui per certi aspetti era più razionale e maturo di lei che, impulsiva oltre che testarda, detestava ammettere di essere superata da qualcun altro, soprattutto se si trattava del giovane Yondaime.
“Beh, sei venuto qui per dirmi tutto questo? – dopo un istante, rendendosi conto di essere stata troppo dura, aggiunse con fare più gentile – So già che sei bravo.”
Minato spalancò gli occhi replicando:
“Non sono qui certo per quello. Devo parlarti di un paio di cose – si voltò verso Yahiko chiedendo disponibile – ti dispiace se...”
Pochi secondi di pausa, secondi durante i quali la mente febbrile di Yahiko elaborò una serie di schemi con causa ed effetto considerando eventuali azioni da compiere. Di solito non era tipo da fermarsi più di tanto a pensare eppure quando c'era in ballo non solo Kushina ma, motivo forse ancora più importante, anche il proprio orgoglio era il caso di spremere le meningi per evitare di commettere stupidaggini.
Peccato non sempre simile sistema servisse ad un tale nobile scopo.
“Certo che mi dispiace.” obiettò il ragazzo troppo tardi per pentirsene.
Sia Minato che Kushina, sorpresi da quel rifiuto, spalancarono gli occhi. La kunoichi però, dopo qualche istante, non poté che sorridere e silenziosa aspettò un'eventuale risposta di Minato.
Quest'ultimo inclinò appena la testa e disse con il suo solito fare conciliante:
“Senti, lo so che sei suo amico come anche mio, ma io e lei dobbiamo parlare di cose importanti.”
“Oh, pure io devo parlarle di cose importanti.” ribatté; tanto ormai la situazione era compromessa, quindi era inutile tentennare: non aveva mai esitato in vita sua, di certo non avrebbe cominciato proprio quella sera di fronte al suo rivale.
Entrambi, ragazzini, rimasero per qualche istante muti a fissarsi. Entrambi erano allo stesso modo inconsapevoli di provare la prima cotta adolescenziale della propria vita, quella cotta che sembra eterna e allo stesso tempo ricorda l'aria, così indispensabile per la propria esistenza da chiedersi come si riuscisse a vivere prima. Quella sera però, di fronte ad una sorta di sfida non dichiarata, Kushina era diventata solo un pretesto infantile per far sentire le proprie posizioni e non arretrare di fronte al proprio avversario, con l'intima soddisfazione di non lasciargli il merito di prevalere.
“Yahiko – disse paziente Minato – non ho alcuna intenzione di arrivare a litigare con te.”
Lo fissò con fare ammonitore ma il ragazzo invece si rimboccò le maniche nere e replicò:
“Ah sì? Beh, io invece direi che è indispensabile. Avanti, fatti sotto, non ho problemi a batterti qui ed ora.”
Non c'era alcuna aria tronfia o gradassa nel modo di fare di Yahiko, anche perché non era nel suo carattere. Per lui dire una cosa equivaleva a farla, qualunque sacrificio comportasse.
Minato sospirò e schioccò la lingua abbozzando un sorriso:
“Mi costringi a farti del male.”
“Non andare a piangere da Jiraiya quando ti troverai con un braccio rotto.” rispose tranquillo Yahiko piegando le gambe.
Kushina sbottò, appoggiando le mani sui fianchi:
“Piantatela ora, siete semplicemente ridicoli. Non sapreste fare male a una mosca.”
Ma i due, ormai compromessi nella difesa delle rispettive posizioni, si voltarono contemporaneamente verso di lei ed esclamarono quasi in coro:
“Non intrometterti!”
Evidentemente sembravano aver dimenticato che era anche in virtù della sua presenza se si erano trovati a sfidarsi.
“Pazzesco!” esclamò lei apertamente incredula.
Ma, prima che potesse poco finemente prenderli per le orecchie e riportarli alla ragione, i due ragazzi erano già scattati in avanti pronti a colpirsi. Così Kushina assistette suo malgrado allo scontro tra Minato e Yahiko che, saltando di parete in parete delle case affacciate sulla via, con una destrezza sbalorditiva attaccavano e schivavano usando un semplice kunai ciascuno.
Ad un certo punto, nel balzo da un balcone all'altro, Minato lanciò diversi shuriken ad una velocità sorprendente ma mentre Yahiko con una capriola riuscì facilmente ad evitarli, Kushina in strada non aveva abbastanza spazio e, colta alla sprovvista perché intenta a seguire i movimenti dei due, all'ultimo fu costretta a sfoderare le sue armi per far deviare le lame che andarono a piantarsi nel terreno.
“Non sai fare niente di meglio dopo tutti questi allenamenti speciali?” Yahiko calcò volutamente sulla parola, facendo appoggio alla fastidiosa ironia, e si preparò a saltare sul tetto vicino per prendere vantaggio così da avere il tempo di eseguire un jutsu.
Minato non perse le staffe, abituato a ragionare da anni, e seguì lo sfidante intento a posizionare le mani. Lo guardò un istante, accorgendosi immediatamente che stava per compiere qualche tecnica, ma la sequenza era troppo rapida affinché riuscisse ad interpretarla.
Il ragazzo allora nel dubbio, e anche per una questione d'orgoglio, decise di far sfruttare quanto aveva imparato a costo di duri sacrifici, così da impartire una dura lezione a Yahiko. Si posizionò e dopo un istante concentrò nei palmi delle mani una sfera di chakra che si agitava furiosa, come se tentasse di sfuggire dal suo controllo con tutta la forza possibile.
Il rasengan era una tecnica difficile e, Minato lo sapeva benissimo, lui era appena agli inizi dell'apprendimento ma credeva che se sottoposto ad una giusta carica emotiva sarebbe riuscito a sfoderare quell'arma dagli effetti devastanti. Nel suo caso certo, essendo comunque ancora molto giovane, su Yahiko avrebbe avuto appena gli effetti di una lieve bruciatura ma la soddisfazione di essere riuscito ad eseguirla sarebbe stata ugualmente forte.
Così, sentendo lo sfrigolio del chakra, fece per rilasciarlo quasi in contemporanea con Yahiko, il quale a sua volta si era preparato a lungo per poter eseguire una tecnica simile: non c'era occasione migliore di testarla se non con il suo coetaneo che – molto spontaneamente – si era offerto su di un piatto d'argento.
Ma improvvisamente entrambi vennero sfiorati da due shuriken e, se non fossero stati abbastanza abili da schivarli, probabilmente avrebbero rimesso qualcosa in più di un semplice ciuffo di capelli. Minato, vistosi passare di fianco l'arma, perse il controllo sul chakra che ribelle gli esplose tra le mani mentre Yahiko confuse gli ultimi gesti, col risultato di riuscire a malapena a produrre una ridicola nuvoletta di fumo. Furenti si voltarono verso il bordo del tetto e videro Kushina che, con altri shuriken tra le dita, li fissava ostentando aperta superiorità.
“Che stai facendo?” chiese Minato deluso per aver visto la propria occasione sfumare.
“Sto riportandovi all'uso della ragione, stupidi. Dici tanto a me di essere precipitosa ma stasera tu e Yahiko vi siete dimostrati dei bambini.”
Si mantenne ancora un istante seria poi, non resistendo oltre, scoppiò a ridere:
“Dovevate vedervi: tutti concentrati e poi... avete fatto una faccia quando vi hanno sfiorato gli shuriken!”
Minato sbuffò e Yahiko, lasciando perdere ogni contegno, la imitò seccato – gesto per il quale ricevette un'occhiata furente da Kushina che smise all'istante di ridere.
I tre, sul tetto di un proprietario sconosciuto fino a che non fosse venuto a protestare, rimasero un istante in silenzio perché nessuno di loro si decideva ancora a scendere. Minato sospirò e disse, ritrovando tutto sommato una certa serietà – al di là  della cocente delusione per essersi fatto cogliere stupidamente di sorpresa:
“Con te è tutto terribilmente difficile Kushina.”
Lei arricciò le labbra e propose:
“Beh, allora avanti, dimmi quello per cui volevi parlarmi, visto che sono tanto difficile.”
Yahiko contrasse i pugni e, nonostante una parte di lui avrebbe voluto intervenire per allontanare Minato, decise di non muoversi perché capiva che non sarebbe stato giusto per nessuno ostacolare gli altri. Yondaime in un primo momento si trovò in forte difficoltà, sorpreso dalla proposta di Kushina, e dette un'occhiata al suo compagno che per contro lo fissava rabbuiato; in fondo erano tutti e tre troppo giovani per avere esperienza su cosa fosse realmente l'amore e ciò che comportasse quel sentimento bello ma pericoloso.
“La verità è che mi spiace non poter stare a Konoha come prima e mi dispiace non passare altro tempo con te Kushina; perché mi divertivo e perché... tutto sommato mi piaci.”
Lui incrociò le braccia con aria di sfida, fissando la ragazza. Quest'ultima fece per aprire la bocca ma, prima che potesse dire qualcosa, ignorando l'agitazione crescente Yahiko la anticipò, esclamando sconfortato:
“Merda!”

Jiraiya era seduto presso il tronco di un albero piegato fino a toccare terra e, con in mano un bicchiere di saké, contemplava la festa che si animava per le strade di Konoha – non mancando nemmeno di osservare con fare esperto le belle donne in kimono che passeggiavano, ridendo frivole com'era giusto che fosse.
Improvvisamente la visuale gli fu coperta da tutt'altro tipo di persona: Orochimaru, le braccia incrociate e i soliti capelli neri che gli ricadevano davanti al volto, stava in piedi a fissarlo con un accenno di sorriso laconico. Jiraiya si piegò di lato per vedere una bella ragazza passare ma poi, con un sospiro, rinunciò a quell'attività così nobile e chiese allegro:
“Da quando in qua ti dedichi alle feste? Diventare insegnante ti ha reso meno insofferente agli altri?”
Il ninja della foglia gli lanciò un'occhiata indifferente e, anziché stare dietro alle sciocchezze del collega, rispose asciutto:
“Devo parlarti del ragazzo con l'abilità oculare.”
“Intendi Nagato?” chiese Jiraiya, il quale non comprendeva perché Orochimaru trovasse tanto ostile chiamare le persone con il proprio nome.
“Lui.” confermò con tono piatto ma gli occhi scrutatori.
“Beh, fatica un po' a socializzare... è come te, siete due... – ammutolì nel vedere la poco socievole espressione dell'amico, quindi si fece serio e aggiunse – dimmi, ti ascolto.”
Orochimaru si spostò leggermente più in ombra dalle luci della strada, appoggiandosi al tronco del grande albero presso il quale Jiraiya era seduto, quindi disse:
“Non riesce ancora a controllare il rinnegan e se stimolato lo attiva con effetti imprevedibili: hai raccolto una creatura strana ma interessante, al patto che si sappia come usarla.”
“Non stai parlando di un oggetto.” notò Jiraiya con una smorfia.
“Forse – rispose ambiguo, aggiungendo – forse qualcuno ha già notato quanto possa essere pericolosa la presenza del rinnegan nel villaggio.” sussurrò mentre i suoi avvertimenti volavano via assieme al vento che gli scuoteva i capelli neri.
Jiraiya rimase in silenzio, seduto a gambe incrociate, e aspettava guardandosi le mani. Sapeva che più i giorni passavano più le persone addette alla sicurezza di Konoha giudicavano Nagato come una presenza inopportuna; quante volte aveva provato a spiegare che non si trattava di un mostro senza controllo... era pur sempre un ragazzino, accidenti!
Ma le persone, nelle loro paure, nelle loro diffidenze, sapevano essere crudelmente ostinate: se non fosse stato per Sarutobi – il quale difendeva con convinzione i ragazzini della Pioggia – probabilmente non ci sarebbe stato più nessun rinnegan.
“Dovresti insegnargli nuove tecniche e trattarlo con più fiducia.” propose infine.
L'amante dei serpenti si riservò un sorriso crudele nell'ironico compatimento per poi obiettare lucidamente, senza risentimento:
“Come fai tu con il tuo allievo? Dovrei fargli conoscere tecniche più micidiali del rasengan per illuderlo di essere migliore?”
“Nagato è migliore di molti altri. Solo che non se ne rende conto.” replicò Jiraiya con fredda razionalità, contemplando con sguardo distante il bicchiere vuoto di saké appoggiato a terra.
Anche Tsunade era migliore degli altri. Eppure questo non le aveva impedito di soffrire quando il suo fratellino era morto: un altro colpo che l'aveva fatta affondare; lei, per non soffocare definitivamente, aveva cercato di risollevarsi, fuggendo dal baratro che l'aveva trascinata in una spirale di dolore infinita.
Fuggiva così da non rivivere negli angoli di Konoha l'immagine delle persone che l'avevano abbandonata.
Nagato era chiuso, timido, appigliato a Yahiko che invece con il suo carattere estroverso guidava i suoi amici. Ma questo era solo un tratto del suo carattere, o almeno così pensava Jiraiya; in fondo, infatti, il giovane ragazzo della Pioggia sembrava star maturando sfruttando la fredda razionalità: anche quando agiva impulsivamente per difendersi dagli altri aveva sempre uno scopo preciso da attuare. Era la capacità di riflettere che rendeva una persona in grado di essere un ninja potente, poco soggetto alla volubilità delle sensazioni, e non quella di eseguire migliaia di tecniche diverse.
Certo, se si accomunavano questi fattori inevitabilmente il ninja in questione passava da essere potente a pericoloso, cosa di cui Orochimaru sembrava avere piena consapevolezza.
Improvvisamente i pensieri di Jiriaya vennero interrotti da un battito di mani proveniente da una piccola crocchia di gente, radunatasi presso l'entrata della grande dimora di Fugaku e Mikoto Uchiha.
Allora l'evocatore di rospi si sfregò le mani dicendo:
“Ecco che presentano il futuro erede dello sharingan. Non ti incuriosisce nemmeno un po'?”
“Direi di no. Per colpa tua ho già parecchi problemi a gestire un'abilità oculare senza doverne desiderare un'altra.” rispose con voce melliflua, forse perfino seducente in modo ambiguo.
Jiriaya si alzò in piedi fischiettando, fingendosi indifferente, infine lanciò uno sguardo in direzione della folla di persone: scorse per un breve istante un neonato dai folti capelli neri che muoveva le braccia incerto. Si ritrovò a pensare che, forse, quel nuovo nato non sarebbe mai stato niente di speciale, uno come tanti su cui però gravava il peso della famiglia – per la quale l'orgoglio e la dedizione erano il marchio di fabbrica.
Oppure il giovane Uchiha era destinato a ben altre prospettive: avrebbe potuto essere un guerriero formidabile oppure ritirarsi in privato ed aprire un chiosco di ramen. Ogni prospettiva in un modo o nell'altro diventava possibile, anche se per riuscire a compiere determinati obiettivi spesso era necessario sacrificare qualcosa; tutto stava nel saper scegliere cosa lasciare indietro.

Nagato camminava lungo una delle tante strette vie di Konoha senza guardare dove stesse realmente andando: avanzava e basta, troppo furente perché potesse ragionare a mente fredda come era solito fare.
Yahiko, lo aveva capito da un pezzo ormai, non era più lo stesso di quando erano loro tre insieme al Villaggio. Era come un uccellino riuscito a sfuggire dalla gabbia che lo aveva imprigionato: volava libero, piroettando impazzito, ancora stordito da tutto ciò che lo circondava, ubriaco per aver bevuto all'improvviso in un colpo solo quel superalcolico che era la libertà; doveva abituarsi prima di berne ancora o sarebbe rimasto schiacciato dal peso di quella seducente sbronza.
Improvvisamente, però, qualcuno lo prese per le spalle e lo trascinò nell'oscurità, sbattendolo contro un muro, senza che lui fosse abbastanza preparato per potersi ribellare. Nagato sbarrò gli occhi; non parlò né emise un sussulto, cercò invece di intravedere chi lo avesse aggredito.
La sua bocca venne serrata da una mano callosa, segnata da duri allenamenti, e un volto si avvicinò al suo per sussurragli:
“Taci, parassita.”
Nagato rimase paralizzato a guardare l'uomo che gli impediva di muoversi e comprese con chi avesse a che fare: Danzo. Jiraiya li aveva avvertiti di stare in guardia da uno come quello, disposto a tutto pur di raggiungere i propri obiettivi. Ma ora che era nella sua morsa quegli avvertimenti, se ne rese conto, non gli sarebbero serviti a niente.
Perché nulla poteva ripararlo da quell'odio innato che l'uomo mostrava attraverso gli occhi folli e le labbra corrugate in una smorfia di sadico senso di superiorità.
Nagato però non pianse, non tentò di urlare, nemmeno si mosse: non gli interessava, così come non desiderava farlo. Sapeva che il suo avversario voleva vederlo morto ma questo la cosa gli era indifferente: aveva già letto nello sguardo degli altri lo stesso struggente desiderio.
“Non guardarmi con quell'aria di sfida: io ti distruggerò.”
E sarebbe stato così, secondo i calcolati interessi di Danzo. Nessuno, tra tutti quegli sciocchi pacifisti del villaggio, era abbastanza lucido da capire che il possessore di un simile potere oculare doveva essere non solo allontanato al più presto possibile ma addirittura eliminato. I problemi, già più volte i fatti gli avevano dato ragione, dovevano essere risolti a partire dalla radice; nell'eventualità in cui tutto ciò non fosse sufficiente, bisognava eliminare le mele marce prima che contagiassero le altre.
Quel ragazzino, ne era certo, avrebbe rappresentato un pericolo per Konoha e se un giorno non l'avesse attaccata lui direttamente ci avrebbero pensato altri ninja nemici, con il solo scopo di impossessarsi di quell'abilità sorprendente. E ora il possessore del rinnegan lo guardava con gli occhi sgranati, forse anche i suoi velati di follia, ma non tentava di ribellarsi: era come se accettasse la situazione o, più probabilmente, aspettasse l'occasione di schiacciarlo a sua volta.
Danzo premette una mano contro il collo magro del ragazzino, il quale improvvisamente tentò di costringerlo a sua volta a togliere la presa. Ma l'uomo non si arrestò, né si fece impietosire: doveva andare avanti fino in fondo, a qualsiasi costo; fece fluire il chakra che bruciò lentamente ma nel modo più doloroso possibile la pelle toccata, senza che però – doveva riconoscerlo – la vittima emettesse un solo lamento.
“Devi morire, mostro.”
Nagato lo guardò ma non pensò minimamente a lui o a quello che gli stava succedendo: non c'erano tecniche illusorie sufficientemente potenti da coprire la realtà delle cose.
Lui sarebbe morto solo, perché Yahiko non era più accanto ad aiutarlo.



Sproloqui di una zucca

Ok, aggiornamento tardo, chiedo perdono. Ma Kishimoto mi sta dando dei seri problemi quanto a caratterizzazione di Yahiko *O*
Dovrò farlo sempre più determinato e renderlo un fiero guerriero ^^
Quanto sono tattici i tre ragazzi della Pioggia, adulti, tutti insieme a combattare l'uno affianco all'altro? Anche se, povero Yahiko... ç____ç
Ma lasciamo perdere il manga e parliamo del capitolo in sé: non so da dove sia venuta fuori la scena di combattimento infantile tra Yahiko e Minato, probabilmente ero sotto effetto di litri d'alcol... senza nemmeno aver bevuto, curiosa come cosa. Quanto a Danzo... finalmente eccolo farsi vedere, ed è solo l'inizio è____é
Perdonate se, in futuro, tra Yahiko e Nagato ci saranno accenni apparentemente shonen-ai: ma l'intento è quello di mostrare un'amiciza forte, un legame praticamente indissolubile.

Hiko_Chan:  Già, Yahiko è un tipetto determinato *O* Mi rendo conto che caratterizzarlo non è facile, un po' perché Kishi dice e non dice (dannato str... ehm...), un po' perché effettivamente devo cercare di plasmarlo per renderlo reale. Quindi si vedrà in futuro cosa Orochimaru progetta e quello che accadrà. Guarda, sono davvero felice che lo scontro tra Oro e Nagato ti abbia fatto quell'effetto, così come il loro dialogo: non sono personaggi facili da trattare.
La scena del sangue dagli occhi è un po' psicopatica in effetti, ma non comporterà nulla per Nagato, almeno agli inizi: perde sangue per lo sforzo, povero patato ç___ç
Yahiko e Kushina mi piacciono molto insieme, anche se è la prima volta che uso la giovane ragazza del vortice in modo approfondito (sì, insomma, lei XD). Voglio puntare molto sul loro rapporto che, indipendentemente da come andranno le cose, sarà comunque molto profondo^^
Konan la sto sviluppando in un'ottica ancora più ampia, forse un po' morbosa °O°
Per la serie: mi faccio paura da sola; forse a causa delle mie inquietanti pare mentali. Grazie come al solito del tuo puntualissimo e stupendo commento, Ile: sei, come sempre, la mia lettrice d'oro ^^
Quindi ti saluto con un bacione, nonché con un grande applauso anche per i mitici Adalberto e Sempronio *O*

Iperione: Grazie mille per le considerazioni ^^ Spero che la storia continui a rivelarsi interessante e che le future scelte in quanto ai personaggi e le loro relazioni possano apparire non solo logiche ma anche essere apprezzate. Non preoccuparti assolutamente di eventuali ritardi: oltre al fatto che anch'io ho ritmi abbastanza dilatati, prenditi assolutamente la libertà di recensire come e quando vuoi *___*

Alla prossima, miei gentili lettori! ^^

   
 
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