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Autore: Vago    06/01/2017    2 recensioni
Libro Secondo.
Dall'ultimo capitolo:
"È passato qualche anno, e, di nuovo, non so come cominciare se non come un “Che schifo”.
Questa volta non mi sono divertito, per niente. Non mi sono seduto ad ammirare guerre tra draghi e demoni, incantesimi complessi e meraviglie di un mondo nuovo.
No…
Ho visto la morte, la sconfitta, sono stato sconfitto e privato di una parte di me. Ancora, l’unico modo che ho per descrivere questo viaggio è con le parole “Che schifo”.
Te lo avevo detto, l’ultima volta. La magia non sarebbe rimasta per aspettarti e manca poco alla sua completa sparizione.
Gli dei minori hanno finalmente smesso di giocare a fare gli irresponsabili, o forse sono stati costretti. Anche loro si sono scelti dei templi, o meglio, degli araldi, come li chiamano loro.
[...]
L’ultima volta che arrivai qui davanti a raccontarti le mie avventure, mi ricordai solo dopo di essere in forma di fumo e quindi non visibile, beh, per un po’ non avremo questo problema.
[...]
Sai, nostro padre non ci sa fare per niente.
Non ci guarda per degli anni, [...] poi decide che gli servi ancora, quindi ti salva, ma solo per metterti in situazioni peggiori."
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Leggende del Fato'
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 Hile non riusciva a muoversi, sentiva i muscoli rigidi e tesi, mentre il suo cervello cercava di dare una spiegazione a quello che Seila aveva appena detto.
Sul muro alle spalle di Mea apparve l’ombra, o almeno così apparve agli occhi del Lupo.
Non poteva essere Oscurità, non era mai apparsa in presenza di altre persone. Non poteva essere lei.
Tutti gli sguardi erano puntati su di lui, come se fosse stato uno di quei Demo giocolieri che i circhi girovaghi si portavano dietro tra una fiera e l’altra.
Seila si stava sbagliando. Si doveva sbagliare.
I suoi bisnonni non potevano essere Trado e Diana, quei Trado e Diana.
Non era possibile. Non era possibile in nessun modo. Dopotutto lui era un semplice umano, un normale e comunissimo umano.
Il lanciatore di coltelli spalancò gli occhi, colpito da un ricordo che tornò rapido e vivido nella sua mente.
La Grande Vivente. Gerala. La casa di sua sorella. Il letto su cui avevano operato Nirghe. Il mobilio essenziale e le pareti in legno scurito dal tempo. Il comodino accanto alla sua sedia. Il ritratto. Quel ritratto.
Un uomo atletico con cui la sua memoria non riusciva a far combaciare i ricordi del padre da cui era stato separato, sua sorella che non avrà avuto più di sedici anni e una mezzelfa. Sua madre era una mezzelfa.
Se lei aveva i tratti di una mezzelfa, i suoi genitori, i nonni che Hile non aveva mai conosciuto, dovevano essere stati entrambi mezzelfi oppure uno un elfo e l’altro un umano. Se così fosse stato, allora suo nonno materno poteva essere Sergant. Il figlio che Diana concepì durante la Guerra degli Elementi.
La storia che andava a formarsi nella mente del lanciatore di coltelli continuava ad assumere tratti sempre più terribilmente surreali e, al contempo, orribilmente reali.
Non poteva essere imparentato con gli Eroi. Non era possibile. Lui era un semplice umano.
- Hile. – La voce di Keria lo svegliò dai suoi pensieri. – Ci riesci a credere? Tu puoi essere la chiave per sconfiggere il demone una volta per tutte! –
Il Lupo la guardava inebetito, con lo sguardo vuoto e incredulo. Il mondo gli sembrava incredibilmente distante, come una copia sbiadita di sé stesso.
Mea si alzò dal suo posto, avvicinandosi a lui con passo pesante.
La mano guantata si mosse più veloce dell’occhio e un sonoro schiaffo raggiunse il viso del lanciatore di coltelli, che si riebbe.
- Io… io non posso essere imparentato con Trado e Diana. È impossibile. Seila si deve essere sbagliata. –
- Controlliamo. – rispose Mea con uno sguardo di sfida negli occhi viola.
La coperta che copriva la finestra si gonfiò, finché il corvo non riuscì ad entrare nella stanza. Nel becco nero teneva stretto il corpo senza vita di un topo.
Mea raccolse il vaso da terra, tirandone fuori prima le istruzioni, poi lo stiletto.
- Jasno, potresti portarmi una delle fiale di sangue che ci ha lasciato Niena? – continuò la maga, mentre riponeva il foglio di carta ingiallita in una tasca della sua sacca, appoggiata lì vicino.
Una goccia di liquido vermiglio colò lungo tutta la lunghezza della lama scintillante dell’arma, cadendo poi all’interno della giara.
- Hile, avanti. Non farti pregare. – concluse la mezzelfa porgendo il vaso e lo stiletto al Lupo.
Hile, incerto e spaventato, prese con mano tremante uno dei suoi coltelli, incidendosi la punta dell’indice sinistro e spremendo con due dita la falange per far cadere poche gocce sull’arma la cui impugnatura era ancora stretta nella mano sicura di Mea.
Non accadde nulla, neppure quando l’ultima goccia abbandonò la sicura superficie metallica per tuffarsi verso quel mondo ignoto che era l’interno del vaso.
Nessun lampo, nessun barlume di magia o scintilla di mana osò mostrarsi.
La maga non lasciò trasparire nessun pensiero, nessuna emozione, nessun dubbio, il suo volto era una maschera inespressiva. Appoggiò a terra la giara con cura e si voltò tenendo in pugno lo stiletto.
Una stoccata rapida e precisa, non servì altro alla punta dell’arma per trapassare con una facilità inaudita i muscoli del piccolo corpo senza vita che era stato abbandonato sul pavimento.
Il topo parve sussultare, poi ogni suo tessuto si mosse. La pelliccia grigia si sollevò, mostrando la cute sottostante che si sollevava e abbassava ritmicamente.
La piccola creatura senza vita perse consistenza, mentre, lentamente, piccoli fiocchi di quella che sembrava cenere si sollevava dal corpo per turbinare all’interno del vaso.
I due secondi che passarono sembrarono un’eternità. Nessuno osava parlare, ma sguardi più che eloquenti saltavano come conigli indecisi tra il vaso e il volto di Hile, che, momento dopo momento, sbiancava sempre più.

Avanti, mocciosi. Non costringetemi a mostrarmi, non ancora, per lo meno.
Se non riuscite a costringerlo, legatelo e trascinatevelo dietro per mezzo continente. Quella sì che è una tecnica che funziona sempre.

Mea tornò di fronte al Lupo, che guardava di fronte a sé con lo sguardo perso e vuoto.
Si accovacciò, guardando fissa con gli occhi viola quelli neri del lanciatore di coltelli. – Ora ci credi? Ora riprenditi, che ci servirai, quando saremo arrivati a destinazione. –
La maga si alzò senza dire più nulla, avviandosi verso la porta, per poi uscire all’esterno.
Uno ad uno, tutti gli assassini la seguirono. Troppo assorti nei loro pensieri per dire qualcosa.
Prima Keria, che gettò solamente un rapido sguardo in direzione del compagno.
Jasno la seguì, con le iridi rosa fisse sul legno dell’ingresso e le mani guantate che si accarezzavano vicendevolmente.
Infine Seila. Il Serpente non osava alzare gli occhi dal pavimento, così come non provava nemmeno a raddrizzare la schiena curva e il capo chino, come se la vergogna che provava per aver raccontato la sua visione fosse un peso eccessivo per le su esili spalle.
Hile continuò a non muoversi. I pugni stretti erano premuti contro le ginocchia e la mandibola rimaneva serrata.
- Sai, - disse una voce rompendo il silenzio quasi sacro che era calato. – Me ne sarei andato anch’io… ma sono bloccato qui. –
Nirghe tornò a sdraiarsi nel giaciglio che era stato preparato per lui, chiudendo gli occhi.
- Immagino che dovrei ringraziarti, mi hai di nuovo tirato fuori dalla fossa. – riprese il Gatto dopo qualche secondo di pausa. – Immagino anche che tu adesso abbia una tempesta di roba nella testa e l’ultima cosa che ti andrebbe di fare è ascoltarmi. Comunque, per me, l’hai presa un po’ troppo male. Sei per un quarto elfo, davvero incredibile, pensa che io lo sono per intero. Tuo bisnonno era uno degli eroi, puoi vantartene con i tuoi amici lupastri, e allora? Non credo che tu, dopo oggi pomeriggio, sei diverso da ieri, a parte il fatto che abbiamo scoperto che sei un’enorme fiala piena di sangue per attivare la trappola per il demone. –
Hile non rispose, mosse appena il capo in direzione dell’assassino che gli stava parlando, ma i suoi occhi sembravano non vederlo.

Aver messo un piede nella fossa ti ha fatto bene. Dovrei quasi ammazzare tutti quelli che mi affidano da proteggere all’inizio della missione come prassi, se questi sono i risultati.
Per quanto riguarda quella sottospecie di muffa dalle sembianze umane che sta lì immobile… fossimo da soli potrei giocare sul fargli credere di essere in un sogno, o una roba tipo visione divina come feci con quel vecchiaccio sui Muraglia. Purtroppo non ho né il tempo, né l’occasione per farlo, quindi dovrà arrangiarsi come ogni persona normale.
Mi spiace per lui, ma tra i vantaggi di essere un prescelto non compare il diritto a un terapeuta personale.


Passarono minuti interi riempiti solamente dal silenzio.
Nirghe respirava lentamente, permettendosi qualche rantolo quando il bendaggio sul petto gli spezzava il fiato.
- Prendi. –
Il Gatto impiegò qualche secondo a capire cosa stava succedendo. Qualcosa di scuro roteava verso di lui, appena illuminato dal fuoco del camino che, lentamente, stava morendo.
La mano si mosse, ma il gatto nero fu più veloce. Con un balzo intercettò l’oggetto e, preso tra le piccole zanne, lo sottrasse alla sua traiettoria, per poi deporlo a fianco del suo compagno con un leggero movimento della coda dritta.
L’elfo prese tra due dita il cilindro da terra, guardandolo per un secondo, confuso.
- L’ho preso io prima che Jasno ti caricasse sulla sua aquila.. Meno gente lo vede e si fa domande, meglio è. –
- Grazie… credo. – Lo spadaccino infilò l’oggetto di legno in una tasca dei pantaloni che portava sotto la coperta, assicurandosi che fosse ben in fondo.

All’esterno dell’abitazione, Keria sedeva su un masso sul limitare della vetta mozzata.
Davanti a lei si stendeva la Prateria Infinita, che, piatta come una tavola, si stendeva a vista d’occhio, coperta solamente  da erba e bassa vegetazione che, da quell’altitudine, altro non sembrava se non un unico tappeto strappato all’autunno.
Lontano, sul lato meridionale, là dove dovevano esserci le alte dune del Deserto Rosso, imponenti nubi nere parevano ammassarsi, come un cattivo presagio lasciato a monito di chi fosse talmente stolto da avvicinarsi a quel luogo. E loro sarebbero entrati volontariamente nelle fauci di quella belva antica e sconosciuta.
Dei passi leggeri risuonarono alle sue spalle, annunciando l’arrivo di una figura esile al fianco dell’arciere.
- Non so se Hile riuscirà a rendersi utile, una volta che saremo arrivati. Faremmo meglio a prelevargli del sangue ora e lasciarlo qui, sarebbe più sicuro per lui, se rimane in questo stato. – disse Mea guardando fissa di fronte a sé. Il pennuto sulla sua spalla sinistra si grattava distrattamente l’ala con in becco scuro, disinteressato di tutto quello che gli avveniva attorno.
- Si riprenderà. Ne sono quasi certa. – le rispose il Drago, voltandosi verso la mezzelfa con un sorriso sincero sul volto. – Solo… non capisco perché sia rimasto così sconvolto da quello che ha scoperto Seila. Dopotutto, questa cosa non cambia in nessun modo quello che noi pensiamo di lui, no? –
- Non lo so. – fu la riposta scoraggiata della maga. – Non so cosa possa star pensando adesso, ma, se per domani mattina non si sarà ripreso, andremo avanti senza di lui. Non possiamo perdere altro tempo. Ne abbiamo perso fin troppo durante il nostro viaggio, sul Continente, dai draghi, sull’isola dei monaci ed ora qui. Dobbiamo proseguire. –
- Chissà cosa ci aspetta, una volta che saremo là. – disse ancora Keria spostando nuovamente lo sguardo sul paesaggio sotto di lei.
- Nemmeno questo so. - 

   
 
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