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Autore: Nirvana_04    06/01/2017    8 recensioni
FANTASY - STEAMPUNK
Il regno di Midra ha conosciuto i vantaggi portati dal progresso e dalle macchine, ma adesso è costretta a fare i conti con i fumi che sorvolano i suoi cieli; inoltre una minaccia giunge dal regno di Einath e dalla leggendaria Allana. La regina Elzeth è costretta a scendere a patti con chi, per anni, il suo esercito ha combattuto.
Il capitano Jude Hauk ama il suo villaero e adora la sua nave volante, la Marsadde. Ma ancor di più ama la libertà e l'ebbrezza di nuove sfide. Spinto dai suoi desideri personali, accetta di affrontare un nuovo viaggio affianco del generale Moris Lautner, l'uomo che per più di un decennio ha affrontato ai confini del cielo e del mare. Ognuno dei due tenterà di sfruttare l'altro, ma chi porterà a termine la sua missione?
Prima classificata al contest "Steampunk tendencies" indetto da Haykaleen sul forum di Efp
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cieli senza confini'
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Capitolo 2
Uomini a confronto
 
 
 
 
 
 
 
 
 
La tramontana gonfiava le vele della Marsadde, spingendola in avanti tra i cieli di confine a sud del regno di Midra. Sotto di loro, c’erano solo i Picchi Ascendenti: era un posto pericoloso per navigare tra le correnti eoliche; anzi, pessimo per qualunque avventuriero che osasse coscientemente addentrarsi in quel meandro di rocce fluttuanti e interi scossoni che rotolavano nell’aria come meteore, pronte a graffiare la chiglia o a danneggiare la vela di bompresso. E, senza quella, sarebbe stato impossibile destreggiarsi tra le nebbie del Sesto Cielo.
Dal ponte del castello di poppa, Jude poteva tenere d’occhio la nave del generale solcare il mare burrascoso. Appoggiato sulla ringhiera di babordo, con le braccia incrociate sul legno, sghignazzava per le avversità affrontate dall’altro. Il mare era una forza che ti remava contro e che, nei casi più fortunati, se ne stava zitto e immobile a guardarti sgobbare. Il cielo, invece, era una potenza capricciosa, ma se sapevi prenderla ti faceva volare.
“Capitano” lo chiamò il mozzo.
“Mhh?”
“Abbiamo un problema.”
Hauk si voltò a guardare il giovane ragazzo, l’ultimo imbarcato della sua ciurma, e fece sparire le sopracciglia oltre l’ombra del cappello. Per tutta risposta, l’altro tese un braccio e indicò un punto indefinito a prua.
Jude ringhiò indispettito e, afferrato nuovamente il timone, urlò: “Polli che non siete altro, virate a dritta se non volete essere schiacciati da quella balena!” A volte, i suoi modi garbati colavano a picco.
Il cetaceo che fluttuava tra le nuvole era una Berala, la balena cinerina. A parte la forma e l’indifferenza verso il mondo, quella creatura non aveva niente in comune con la sua gemella degli abissi: lunga quanto la distanza tra i Faraglioni di Chebe – che la Marsadde ci metteva quasi mezza giornata a percorrere – l’essere era un ammasso di carne putrefatta e ingranaggi meccanici male oliati, che stridevano e raschiavano l’aria. La Berala non era stato l’unico essere a risentire del progresso; la sua bellezza, come quella di molte altre cose, era stata erosa dalle nebbie e dai vapori.
La nave virò in tutta fretta, le voci dei membri dell’equipaggio sputavano ingiurie e minacce contro i venti avversi. Alla fine, la vela di mezzana ruotò e la Marsadde volò lontano dal pericolo.
Jude abbandonò il timone nelle mani di un altro uomo e ammirò la maestosità di quella deforme creatura sfilare dinanzi a lui.
Questo, pensò con un sospiro trattenuto, è il prezzo da pagare quando non si ha voce.
“Polli” sbraitò ancora in collera con il mondo e con la sua sbadataggine, “occhi aperti, e smettetela di sognare. Tanto non ci sarà terra finché non giungeremo nel Sesto Cielo. E anche allora” ghignò derisorio, “fareste bene a legarvi all’albero maestro.”
La Marsadde continuò la sua corsa, e il capitano tornò a occuparsi del suo passatempo preferito, nuovamente abbandonato contro la ringhiera a babordo.
 
 
 
 
L’ombra della Berala fu illuminata da un lampo, e per un attimo la sua sagoma apparve tra le grigie nuvole. Un mostro di abnormi dimensioni che se ne vagava per i cieli, ecco cos’era per i marinai della Joyfall.
Il generale Moris Lautner era impegnato nel condurre la nave verso una andatura di bolina, cercando di vincere le correnti e il mare ostile. Gli squarci di luce e i rombi di tuono non lo spaventavano, né lo impensierivano gli sciabordii delle onde contro il vascello. Era la pressante presenza della Marsadde sopra la sua testa che lo irritava: anni passati a dar la caccia a quel pirata, e adesso si ritrovava a dover collaborare con chi aveva giurato di sconfiggere.
La Regina Elzeth era stata chiara, prima della sua partenza: Einath non doveva sospettare o poter ricollegare quella mossa a Midra.
Moris ingoiò il rospo e continuò a tener lo sguardo dritto dinanzi a sé.
Presto si lasciarono alle spalle il mare blu e dovettero affrontare le basse maree del Borgo di Ventiguglie: era l’occhio a guardia del Sesto Cielo e dei territori meridionali; a sud-ovest di lì, la terra di Einath si estendeva a perdita d’occhio su praterie e spiagge sabbiose. L’occhio, però, era un tratto di mare con il basso fondale capzioso da cui spiccavano, slanciati verso l’alto cielo in tempesta, spuntoni di roccia su cui le onde si infrangevano con paurosa potenza. Aggirare l’occhio voleva dire invadere le Terre di Falknear, ed era sconsigliato da quando i padroni del sud-est avevano irrigidito i commerci con la loro patria.
Moris Lautner puntò deciso la prua verso il Borgo di Ventiguglie e ordinò di ammainare le vele: con il vento in poppa la nave avrebbe navigato troppo velocemente e il rischio d’incagliare aumentava. Da quel punto in poi, la Joyfall avrebbe continuato a remi.
Con il nostromo sul castello di prora e uno dei marinai arrampicato sulla coffa, la nave navigò lentamente, preda delle correnti e delle avverse maree. In pochi minuti l’equipaggio si ritrovò al centro dell’occhio, dove le guglie si innalzavano strettamente intorno a loro, come denti di un mostro pronto a fagocitarli.
Moris giostrò alla meglio il timone, cercando di portare la Joyfall lontano dalle secche. Il vascello del generale rollava a causa dei flussi marini e la prua s’innalzava nell’infrangersi contro le onde. Contro ogni aspettativa riuscì a uscire dal centro e puntare l’albero di bompresso verso i confini dell’occhio, tra gli spuntoni di roccia più sottili e distanziati tra loro, in modo che l’imbarcazione potesse respirare un po’.
All’improvviso il nostromo urlò un avvertimento. Prima che Moris comprendesse le sue parole, catturate e storpiate dalla furia del vento, uno strano essere si catapultò da una roccia direttamente sul viso del marinaio, scaraventandolo sul ponte di prua. Il suo corpo si dimenò, le mani che cercavano di staccarsi l’essere oblungo dal viso; poi smise di contorcersi e restò immobile, mentre tutt’intorno a lui la bufera esplodeva nel suo pieno.
“Aractidi!” urlò a squarciagola il marinaio di vedetta, troppo tardi però.
Altre creature balzarono sulla Joyfall, lanciandosi con schiocchi metallici e rumori di ingranaggi ferrigni contro i poveri uomini. Moris abbandonò il timone e liberò le due avancariche dalle fondine, puntandole contro gli insetti meccanici. Un colpo dall’alto fece saltare parte della ringhiera di dritta, distruggendo il fianco della nave e facendo imbarcare acqua. Cime vennero calate dalla Marsadde e la voce dei pirati li incitarono ad arrampicarsi. Intanto fucili e lanciaossidi iniziarono a bersagliare la Joyfall che, lentamente e irreparabilmente incagliata tra le rocce, colava a picco.
Moris guardò ancora una volta il viso del suo nostromo, il quale si stava velocemente deformando e riempiendo di pustole; poi, incitato dai suoi uomini, iniziò salire per l’ultima fune ancora pendente. A livello del fasciame galleggiante, si ritrovò con la doppia colt del capitano Hauk puntava in fronte. Fu un secondo: la pallottola di ferro fischiò vicino al suo orecchio e andò a perforare un corpo metallico. Un’aractide cadde giù e mani forti lo issarono a bordo.
I due comandanti si ritrovarono a fronteggiarsi.
“Avete appena affondato una nave della flotta di Midra.”
Hauk rise e rifoderò la sua arma. “Riposate, generale. Avreste dovuto comunque abbandonarla al primo porto. Ricordate? Nessun collegamento con la famiglia reale. Arci” chiamò, “fa vedere al generale la cabina del capitano. Può sistemarsi lì.” E se ne andò ridendo di gusto.
 
 
 
 
Il piano prevedeva che la Joyfall scortasse i pirati e i corsari verso i continenti del sud; poi avrebbe finto un controllo all’arcipelago di Sexstapor, mentre le compagnie di ventura avrebbero proseguito per la loro missione.
I piani, però, erano cambiati.
Jude incrociò le braccia a petto e trattenne un sospiro di rassegnazione: il corsaro Kabart era stato il primo a pronunciarsi per un viaggio in solitaria, staccandosi dal gruppo. Lentamente anche gli altri vascelli li avevano salutati e avevano virato verso le loro personali rotte, quelle che seguivano per non essere rintracciati dalla marina. Quello era anche il piano della Marsadde, fin quando non aveva dovuto ospitare a bordo il generale della flotta reale.
Il capitano Hauk rimase sul ponte di coperta per tutto il giorno, ammirando l’aranciato del cielo tramutarsi in una scura trapunta di stelle, colori che non era più possibile scorgere dai mari. All’ora del pasto serale si decise a dirigersi verso la sua cabina.
Il ciangottare metallico di Arapacis lo mise in allarme. Aprì la porta e trovò il suo amato pappagallo svolazzare in piccoli saltelli per tutta la stanza, nella sua divertente imitazione di un’operetta starnazzante. Il generale stava cercando disperatamente di prendere la mira quando fu distratto dalla sua apparizione.
“Bene, bene, generale.” Fischiò per richiamare Arci e socchiuse la porta. “Vi offro vitto e alloggio, e mi ripagate con un omicidio. Mi aspetterei più galanteria da parte di un uomo della marina.”
“Quel difetto di fabbrica farebbe vandalizzare anche un principe” s’indignò, incerto se posare o meno la sua arma. Con l’arrivo del secondo in comando, la questione andò da sé.
“Arapacis è molto educato. Infatti sta cercando di dirvi che non è onorevole scartabellare nella cabina altrui” disse, la voce ovattata dalla bandana, e indicò le carte gettate alla rinfusa sulla sua scrivania.
Il generale aprì e richiuse più volte la bocca, senza riuscire a replicare. Alla fine fu Arci a toglierlo dall’imbarazzo, scoppiando a ridere e portando dentro la cena.
Jude andò a sedersi alla sua sedia a molla, la quale saltellò un po’ prima di alzarsi di un paio di centimetri. Il pappagallo meccanico andò a posarsi sul suo trespolo ondeggiante e fece ruotare un paio di volte gli occhi prima di richiuderli.
“Allora, capitano” strascicò l’ultima parola tra i denti, “credo che vada da sé il fatto che saremo costretti a cooperare da questo punto in poi.” Il suo viso si accigliò, scettico per primo alla sua affermazione.
“Non è necessario, generale” rispose divertito. “Sarà un piacere per me farvi scendere al primo porto lungo il tragitto.”
“Questo non è possibile. Un uomo della marina reale visto in compagnia di pirati… sarebbe un affro…beh, minerebbe alla riuscita della vostra copertura.”
Il capitano Hauk lanciò un’occhiata al suo secondo, rigido contro l’angolo della scrivania. In altre circostanze lo avrebbe invitato a sedersi e calmarsi, ma rischiava di perdere per primo la pazienza.
“Cosa suggerite?” si obbligò a chiedere alla fine.
Il generale si avvicinò con passo deciso alle carte eoliche e le gettò per terra senza tanti complimenti; dopo spiegò la sua carta nautica e, impadronendosi di un compasso, iniziò a tracciare linee e ipotetiche rotte: “La rotta della marina di Midra segue il meridiano passante tra le ali del Falco…”
“Sì, lo sappiamo” sbuffò spazientito Arci.
Jude si limitò a serrare le mani intorno ai braccioli della sedia.
Il generale Moris non mostrò di aver dato peso all’affermazione e continuò con il suo monologo: “Da lì, la via più diretta per il Sesto Cielo è quella che passa dall’arcipelago di Sexstapor. Io sconsiglierei oramai quella rotta. Puntiamo verso sud-est, al porto di Bellapor, circumnavighiamo il Gorgo e puntiamo alle spalle delle Terre Sabbiose.”
“Dimenticate che noi navighiamo per i cieli, non per mare.” Il capitano Hauk sgranocchiò una pannocchia e mandò giù un pezzo di carne al sangue. “Le nuvole sopra Bellapor sono assuefatte dai fumi delle loro industrie, veleno per chiunque tenti di passare da lì” obiettò, non riuscendo a nascondere del tutto la nota di stizza. “E aggirare il Sesto Cielo non è possibile: la terra è arida perché è il cielo che ruba la sua vita. E le silfidi hanno sentinelle anche oltre i loro domini.”
Moris sobbalzò a sentire quel nome. “Allora è vero? Esistono ancora quelle creature?”
“Se esistono, chiede lui” scioccò il secondo.
“Avete già avuto a che fare con loro?” lo ignorò il generale.
“Se abbiamo avuto… chiede se abbiamo…capitano!” s’indignò Arci.
“Non essere scortese, Arci” lo rimbrottò con tono sommesso. “Il generale parla di ciò che non sa, e di certo non con cattiveria.” Si servì un bicchiere di vino e ne offrì uno a ognuno dei due. “Parliamoci chiaro, generale: la Regina ha tracciato una rotta e un obiettivo, ma nessuno di noi la sta seguendo per suo volere. Chiedete a qualsiasi pirata o corsaro dei cieli, avranno ognuno i loro scheletri personali da tirare fuori e portare sul ponte di comando. Il mio è questo qua.” Si protese verso di lui e fece schioccare la lingua, prima di dire: “Le silfidi sono state private di parte dei loro domini da quando la supremazia del mare ha surclassato quella della terra; la loro patria non è morta, è stata solo spostata altrove.” E alzò un dito, puntandolo verso l’alto. “In loro è ancora viva la perdita, quindi, volubili e capricciose come sono, rubano qualcosa a chi disgraziatamente finisce nella loro rete.” Tornò a poggiare le spalle contro lo schienale, facendo ondeggiare la molla della sedia. “Sapete che hanno uno scrigno, una specie di cassa fatta di qualche strana sostanza? Sembra ferro, ma è liscio come neanche l’oro più raffinato potrebbe mai essere, tanto da sembrare liquido a prima vista. È da lì che generano la vita: è una specie di purificatore di anime o roba simile. Io non me ne intendo, né me ne sarei mai interessato. Se non fosse che la vita di mia sorella è finita in quella scatola.”
“Cosa intendete con “finita in quella scatola”?” borbottò confuso.
“Puff! Un risucchio… l’anima vola via, scivolando fuori dalle labbra, e il corpo cade a terra e non si risveglia. Comprendi?” gesticolò Arci, un po’ alticcio.
“Amico mio, è per questo motivo che non ti mando mai a contrattare alla Cava” ridacchiò il capitano Hauk. Tornò a rivolgersi al suo ospite. “Le silfidi rappresentano quello che la flotta di Midra non è capace di essere: una minaccia per i pirati e un limite per noi avventurieri.” Jude sorrise, francamente. “Rivoglio mia sorella, generale. E voglio l’abbattimento dell’ultimo confine ancora esistente tra me e l’infinito.”
Il capitano rimase a fissare l’espressione sul viso di Moris Lautner passare dallo stupore alla rassegnazione. “Qual è il vostro piano?”
Jude se la rise di gusto di sottecchi, mentre affermava: “Passare sopra l’arcipelago di Sexstapor.”
“Cosa?!” esclamò il generale, proprio mentre il secondo in comando sobbalzava, dicendo: “Capitano!”
“Il Sesto Cielo ha sentinelle ovunque a sud, qualunque direzione prenderemo saremo avvistati” li calmò con un gesto. Poi ghignò: “Tanto vale entrare dalla porta principale.”
 
 
 
 
I cieli di Sexstapor erano composti da muri di nebbia, dove era impossibile per una vedetta scorgere persino il ponte di prua. Il mondo intorno a loro divenne una cortina di vapore grigiastro, tentacoli di fumo serpeggiarono su tutti i ponti della nave e intorno alle sue vele, nascondendo la bandiera della Marsadde.
Moris Lautner soffriva quella condizione. Non sopportava l’idea di essere ospite sulla nave di un pirata, né tantomeno lo tranquillizzava quello strano veicolo. Dirigibili e navi volanti erano una sfida contro le leggi del creato, un sacrilegio del limite imposto dal Dio Creatore; e l’uomo, diceva lui, non poteva sfidare Dio nei suoi domini. Il mare, invece, era l’orizzonte di un uomo, ed era tutto ciò che al generale serviva per godere di una vita serena.
Un giovane mozzo gli si avvicinò con un sorriso stampato sulla faccia imberbe e gli offrì il capo di una fune. “Legatela alla vita. Ordini del capitano.”
Il generale, che di ciò che gli stava attorno vedeva solo il ragazzo, sollevò le sopracciglia e si passò una mano sulla barba rossiccia, irritato. “Per cosa mi ha scambiato? Un cane da riporto?”
La voce di Hauk gli rispose, proveniente da un punto impreciso dal ponte superiore. “Non lo farei mai, generale. Converrete con me, se dico che non c’è piacere a mettervi un guinzaglio, visto che nessuno può godersi lo spettacolo. Marph” disse al mozzo, “trova una fune e legatici, presto.”
Un po’ interdetto, Moris cercò a tentoni il bordo della ringhiera e salì con lentezza i gradini scricchiolanti, tenendo ben salda la fune in mano. Seguendo il corrimano, raggiunse il capitano sul ponte superiore e si sorprese nel trovarlo legato alla balaustra, sempre con quel suo atteggiamento indolente.
Sospettoso, chiese: “Cosa sta succedendo?”
Il capitano spostò i suoi piccoli occhietti su di lui e disse: “Le Sibilanti. Sono silfidi rinnegate, deformate dalle polveri e corrose dai fumi. Le loro voci insinuano la pazzia nelle menti di chi le ascolta.”
Le nebbie vorticavano in mulinelli di vento e spirali gonfie di minacce e promesse avverse. Moris Lautner, ancora dubbioso, guardò il capo della fune che aveva in mano e lo soppesò.
Sai fare il gassa d’amante?
Moris sollevò lo sguardo per trovare solo un tentacolo di nebbia che serpeggiava davanti a lui. Egli osservò il capitano, ma quello era impegnato a urlare ordini ai suoi uomini, lui solo sapeva per quale motivo.
Dicono che sia il nodo per eccellenza. Più la pressione è forte, più esso si stringe e non si scioglie. Come due amanti, legati per sempre.
Il braccio fumoso si strinse intorno al suo collo e soffi nebulosi strisciarono sotto la sua giacca, dentro la camicia, a contatto con la sua pelle.
Ne faresti uno per me?
“Ehi, generale. La fune non serve a niente se non la legate alla vita” lo raggiunse la voce del capitano Hauk.
Scosso dalla voce burbera e profonda dell’uomo, Moris afferrò saldamente il capo della corda e ne fece un nodo semplice, saldo e ben stretto; poi indietreggiò, cercando di sfuggire da quelle dita gelanti.
“Che facciamo?” interrogò l’altro. “Come si fermano?”
“Lei conosce un modo per fermare un pazzo, generale?” chiese il capitano Hauk, con tono placido.
Moris si alterò, iracondo e autoritario. “Un pazzo non si ferma, si elimina.”
“E come pensa di eliminare la nebbia? Come si uccide ciò che è già morto?” domandò ancora, lo sguardo concentrato altrove.
“Io…”
In quel momento lo videro: il giovane mozzo non aveva fatto in tempo a legarsi e vagava per il ponte inferiore, alla deriva, in balia delle nebbie.
“Marph!” lo chiamò il capitano.
Lo sguardo di Moris Lautner si agghiacciò sul ragazzo allampanato, la sua snella figura nerastra in movimento che spiccava sullo sfondo perlaceo di quella infida coltre.
Con uno scatto, il capitano Hauk si liberò della fune legata alla sua vita e si catapultò sul ponte inferiore, balzando con un salto oltre la balaustra. Il generale gridò a gran voce per mettere in allarme la ciurma, e qualcun altro, nelle nebbie rispose; ma era troppo lontano. La sagoma del capitano Hauk sfilò tra i tentacoli, incurante delle loro voci malevole, e tentò di afferrare il mozzo. Ma le nebbie lo avevano fagocitato e non era possibile più distinguerlo in quella cortina bianca.
Un guizzo di nero, e Moris esclamò: “La falchetta di dritta!”
Vide la figura del capitano correre alla cieca verso il punto indicato, ma le sue nere mani guantate afferrarono solo nebbia, mentre il giovane si tuffava incosciente oltre il parapetto della nave. Sotto di loro, il suo ultimo grido, cosciente della sua imminente morte.
 
 
 
 
Jude strinse le tempie tra le mani, poi inspirò l’aria benevola del Sesto Cielo. Avevano superato le nebbie, lasciando indietro tredici uomini, tra cui otto dell’equipaggio della Joyfall. La morte del giovane Marph, poi, aveva sconvolto un po’ tutti gli animi degli abitanti della Marsadde.
Coscio del potere carismatico che un capitano doveva sempre avere, Jude indossò nuovamente la bandana e uscì dalla sua cabina. Fuori c’era il cielo: non nebbia o fumi, non carbone e polveri, ma il cielo, l’aria pulita e limpida di una notte stellata.
Il capitano Hauk si avvicinò al suo secondo e insieme si avviarono sul ponte di prua, dove i marinai da stavano finendo di ringraziare l’albero di bompresso: grazie alla sua vela che spaccava le nebbie, Arci aveva potuto guidare le manovre del pirata al timone verso la giusta direzione. Quando la prora della nave aveva fenduto la barriera fumosa e la Marsadde si era fiondata tra i cieli aperti, era stato uno spettacolo; e i marinai sapevano come ringraziare la vecchia vela.
Appena il ponte fu liberato dall’ultimo superstizioso, sotto l’occhio nerboruto di Arci, il capitano gli disse, sghignazzando: “Amico mio, più tolleranza.”
“Sono un mucchio di donnette con la coda da scrofa” farfugliò, borbottante.
Jude rise di gusto dinanzi ai borbottii senza senso del suo amico. Gli mise una mano sulle spalle e lo rabbonì: “Niente donnette a bordo. Porta sfortuna.”
Arci sbuffò. “Buttiamoli tutti di sotto, allora.”
“Piuttosto” tornò serio lui, “Arapacis è tornato?”
“Tornato e pronto a ripartire. Crowsand è già sopra i cieli di Falknear, tra gli Alberi Cavi. La loro flotta non riuscirà ad avvistarla. Hauk” lo chiamò, con i suoi modi di vecchio amico d’infanzia, “questa è la più grande pazzia che poteva venirti in mente. E adesso la vorresti portare in atto sotto gli occhi del più grande comandante di marina di Midra.”
La sua era una semplice constatazione e Jude attese di sentire dove volesse andare a parare; ma visto che l’altro se ne stava in silenzio, sbottò: “E allora?”
“E allora, niente. Volevo solo fare il punto della situazione.”
Jude annuì, e la sua espressione si distese, lasciando trasparire il suo affetto per il suo secondo. Arci era uno scapestrato abitante di Crowsand, vissuto nella casa più abbietta della città volante: era impulsivo e permaloso, iracondo e sempre pronto alla rissa; ma era anche colui che lo aveva spalleggiato nelle missioni più assurde, e di questo lui gliene sarebbe stato eternamente riconoscente.
“Bene, allora” tornò a ricomporsi. “Libera Arapacis, e tieni tutti pronti.”
Il capitano Hauk scartabellò la nave con i suoi occhietti e trovò la sua nemesi, appoggiata serenamente sul parapetto del ponte superiore. Non potendo permettere che il generale trovasse troppo confortevole la sua nave, si mosse verso di lui e lo raggiunse, annunciato dallo sferragliare del suo orologio che sbatteva contro i guanti di ferro.
“Vista incantevole, non è vero?” lo accusò. “Niente a che vedere con i nuvoloni che persistono laggiù.” E con un cenno del capo, indicò oltre la ringhiera.
Jude lo vide incassare il colpo in silenzio, meditabondo. “Avete uno strano modo di fare il pirata” gli sentì dire alla fine.
“Perché, come dev’essere un pirata?” domandò curioso.
“Crudele, rozzo, spietato. Un pirata dovrebbe razziare e accrescere il suo bottino.” Moris corrucciò l’alta fronte pallida. “Perché avete scelto questa vita?”
Jude si ritrovò spiazzato dal suo tono sconvolto. Rise senza controllo, attirando lo sguardo di molti dei suoi uomini. “E cosa avrei dovuto fare, generale? L’altra possibilità sarebbe stata farmi intossicare dal lavoro nelle vostre fabbriche.” Tentò di darsi un controllo. “Sono nato in un piccolo villaero, il mio paese vola sopra le vostre terre, senza fissa dimora. Eppure vi paghiamo tasse e indennizzi. Siamo uomini, generale. Ma a vivere nel cielo abbiamo imparato a volare, credendo in molte cose: la libertà, per esempio, e l’uguaglianza. Sono parole vuote sulla terra e per mare, ma qui sopra sono la legge. Ammirate” gli indicò il vasto cielo. “Casa mia è la vostra casa, ma resta comunque casa mia, generale. Qui sopra valgono le mie regole.” E se ne andò, lasciando il comandante della flotta di Midra a osservare il cielo.
In un angolino di quello sfondo blu, il pappagallo metallico si staccò dalla balaustra e volò verso la direzione opposta.
   
 
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