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Autore: Antys    06/01/2017    6 recensioni
Nel liceo di Beacon Hills si era sviluppata una strana mania, una tradizione, da diversi anni e quasi ogni studente tra quelle mura vi partecipava.
Tutto ruotava intorno agli anelli che si indossavano quotidianamente e, a seconda della loro collocazione, esprimevano un significato da trasmettere ai presenti ed era una continua caccia: tutti controllavano chi stava indossando quale anello su quale dito.
Ma l’ambizione consisteva nel riuscire a scambiarsi due anelli gemelli che comunicavano il significato di coppia e che autenticasse quel loro modo di essere.
Anche Stiles possedeva un anello, un anello che casualmente aveva il significato di single, ma che non era in alcuna maniera collegata a quella sciocca tradizione che non apprezzava. Quello che non sapeva, era che qualcun altro all’interno di quel liceo portava il suo stesso identico anello, nello stesso medesimo dito ed era la persona che meno si sarebbe mai aspettato.
[…]
«È come se non fosse il mio» strascicò il castano con voce profonda e rivelatrice, incredibilmente tradita. Quell’anello era troppo perfetto.
Scott si girò verso di lui dubbioso e la campanella che annunciava la fine di quell’ora riecheggiò in tutto l’edificio. «Forse l’hai scambiato».
Scambiato? Scambiato con chi?
Genere: Generale, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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13° Capitolo

 

Quando Stiles aprì gli occhi la mattina dopo quella nottata riversa di ricordi spossanti, incontrò per la prima volta le iridi di giada del lupo accanto a lui, che gli riservava ancora una stretta leggera, ma tonificante. Probabilmente non l’aveva lasciato per tutta la notte, benché l’umano fosse scivolato dal suo petto possente al cuscino morbido da cui era impossibile separarlo.

«Sei rimasto» disse con un’inclinazione tra lo stupito e la fermezza, cercando di mettere a posto la mente ed inquadrare per bene la figura che aveva aspettato il suo risveglio, rimanendogli accanto e non abbandonando le coltri con l’arrivo dell’alba.

Lo sguardo di Derek era intenso e non sembrava in alcun modo offuscato dalla sonnolenza di chi si fosse appena affacciato al mondo dei ridestati, al contrario era reattivo e nitido e non si faceva piegare da raggi solari dispettosi; i suoi occhi si erano abituati alla luce mattutina. Era scomodo pensare che Derek avesse passato il tempo a guardarlo in attesa che abbandonasse il regno di Morfeo? «Stai bene?» che aspettasse di accertarsi delle sue condizioni?

«Mh, sì, va molto meglio» proferì il figlio dello sceriffo con voce riposata e pulita, libera dalla negatività che l’aveva afflitta per tutto il giorno precedente. «Grazie» e quel ringraziamento ne conteneva così tanti che era davvero difficile riuscire ad individuarli tutti. Grazie per essere con me, grazie di capirmi sempre, grazie di ascoltarmi e grazie per essere rimasto. In cuor suo sapeva che Derek aveva gli stessi pensieri.

Le dita del mannaro gli scossero i capelli che gli ricadevano selvaggi sul viso, scomposti ed indomabili, e Stiles risalì piano con la mano, intrecciando le falangi tra loro e lasciandole lì dove sembrava piacere tanto al licantropo.

Derek gli accarezzò con il pollice la tempia scoperta e Stiles gli sorrise caldamente, permettendosi di essere viziato un po’. «Che ore sono?» domandò l’umano attimi dopo, notando l’innalzarsi sempre maggiore del sole, chiaro invito ad abbandonare le comodità e la piacevole quiete in cui erano caduti.

«L’ora della sveglia» rispose prontamente il mutaforma, anticipando l’allarme che prese a risuonare per tutta la stanza.

Stiles mugugnò sconsolato, incastrando le testa nel collo del diciottenne e nascondendosi ai suoni molesti, mentre Derek scioglieva la trama delle loro mani e spegneva alla cieca, ma guidato argutamente dall’udito, la sveglia.

Benché fosse evidente che nessuno dei due febbricitasse per alzarsi ed abbandonare il letto, alla fine vinse il buon senso e l’avanzare delle lancette, più la chiara e rumorosa presenza dello sceriffo che si arrangiava per preparare la colazione.

Stiles strisciò sul materasso, gattonando a metà e raggiungendo il bordo, per scendere sgraziatamente intrecciando gli arti in una matassa irrisolvibile e catapultandosi davanti ai cassetti, aprendo distrattamente l’armadio ad angolo, mentre Derek si portava in posizione seduta senza alcuna fatica. «Hai il tempo di passare da casa?».

«No» negò senza alcuna bugia il lupo mannaro, senza nemmeno aver bisogno di guardare l’orologio, ma buttando un’occhiata veloce alla sveglia digitale poco lontana.

Chissà quanto tempo ci impiegava ad arrivare alla grande e sfarzosa villa Hale da casa sua a piedi. Era un licantropo, su questo non c’erano dubbi, e la supervelocità non gli mancava, ma era piuttosto certo che anche provvisto di quella, Derek ci impiegasse comunque una ventina di minuti ed a quello doveva aggiungere il sistemarsi ed apparire come nuovo, fresco e riposato, senza che suggerisse di aver passato la notte in una casa ed in un letto non suo. Ma spesso si chiedeva se nella casa abitata da mannari si accorgessero della sua assenza e sapessero dove passasse la notte per buona parte della settimana. Era sicuro che sentissero perfettamente un odore sconosciuto sul corpo di Derek, lo lasciavano fare comunque? «Forse non è il caso che ti ripresenti con gli stessi vestiti di ieri» non che avessero fatto nulla e nessuno poteva davvero sapere con chi il lupo avesse passato la notte o cosa avesse fatto, ma le malelingue erano sempre in agguato e sia lui che Derek erano sempre e comunque sulla bocca di tutti, sia che fossero separati sia che fossero insieme ‒ quando erano insieme raggiungevano vette stratosferiche ‒, aggiungere ulteriori argomenti che accrescessero qualsiasi tipo di voce non era il massimo.

Stiles aprì completamente l’anta dell’armadio ed estrasse una maglietta nera priva di stampa, quella che Derek gli aveva prestato quando ogni traccia della sua dignità era svanita e la cattiveria si era abbattuta su di lui. «Credo che questa basterà. Cioè penso di sì, no?» si era già incartato di prima mattina, inciampando nei suoi pensieri e stringendo la maglia a sé senza sapere bene cosa fare, come non apparire patetico e con uno strano e particolare imbarazzo che lo investiva in pieno. Che fosse perché l’aveva tenuta per tutto quel tempo in camera sua? «Mi dimentico sempre di restituirtela, scusa» e chi ci pensava più, era diventato un oggetto d’arredamento dentro l’armadio, sempre presente ed al sicuro, come testimonianza che le cose potessero andare bene e rimanere invariate, variando al tempo stesso.

Derek si era alzato dal letto con passo felpato, senza lasciarsi sentire e si era avvicinato alla figura del padrone di casa in religioso silenzio, senza commentare in alcun modo la valanga di pensieri e la strana cura attenta che l’altro stava dimostrando. «Può andare» disse soltanto, acconsentendo senza fare storie e prendendogliela dalle mani con delicatezza, aspettando che Stiles gliela restituisse completamente con una convinzione più profonda. Ma la sua espressione cambiò quando la prese e l’aprì, sciogliendola dalla piega ordinata in cui era rimasta per tutti quei mesi, trovandola perfetta e magistralmente stirata.

«Cosa c’è?» domandò il figlio dello sceriffo con preoccupazione ed incertezza quando vide le pieghe del suo viso cambiare e le pupille nere dilatarsi leggermente, mentre piccole ed invisibili pagliuzze di blu elettrico facevano la loro presenza indisturbate nelle iridi di smeraldo.

«Ha il tuo odore» proferì il lupo mannaro con una strana cadenza speziata ed una pittoresca consapevolezza che prendeva coscienza soltanto in quel momento.

E oh, non andava bene. No, no, vero che non andava bene? «L’ho lavata e stirata. L’ho fatto, giuro che l’ho fatto» esclamò con un’ottava troppo alta ed un leggero panico che si impadroniva di lui, muovendosi scompostamente ed agitando gli arti con un ritmo scoordinato e troppo veloce. Non voleva, non voleva proprio che pensasse che ci avesse fatto qualcosa di strano; lui l’aveva accuratamente messa a posto, in attesa di restituirla al padrone. Non era colpa sua se poi Derek gli era piombato completamente in casa e nella vita ed avesse del tutto rimosso quel particolare.

«Ehy» soffiò Derek, poggiando la mano destra tra i suoi capelli ed immergendovi completamente le dita, facendogli toccare quel metallo freddo che gli circondava il dito medio, prodigandosi per calmarlo ed appianare i suoi movimenti convulsi. «È qui da tanto tempo, è normale. Non agitarti».

Nemmeno avessero una tresca. O forse l’avevano? Che cosa erano esattamente loro due? Che cosa avevano? «Tu mi agiti, tantissimo».

«L’ho notato» dichiarò risoluto il mannaro con un accenno di ghigno predatore e divertito.

Stiles sospirò sconfitto ed un po’ risentito, scostandolo un po’ senza riuscirci, ma azzerando quasi completamente il piccolo divario che si parava tra loro. «Non compiacertene».

La curva sulle labbra di Derek si fece più evidente ed ampia e la sentì anche quando gli scoccò un bacio morbido e vellutato sull’attaccatura dei capelli, lasciandolo risuonare come unica risposta. Niente riusciva a farlo sentire così amato come ogni piccolo e singolo gesto che Derek Hale gli dedicava.

Ed era scioccante quanto facilmente si abbandonasse al lupo, pur consapevole di quella sensazione e di quella fastidiosa e dispettosa pulce nell’orecchio che non l’abbandonava da quando il mannaro era entrato a pieno titolo nella sua vita. «Vuoi anche questi?» domandò come a stemperare l’atmosfera idilliaca in cui si stavano cullando, pregustandola sempre un po’ di più ed allungandola ad ogni nuovo secondo.

Derek si scostò appena ed individuò i pantaloni della tuta che gli aveva prestato insieme alla maglia completamente nera e che erano rimasti in egual tempo nell’armadio dell’umano, senza che gli venissero mai restituiti. Anche quelli avevano l’odore di Stiles. «No, potrebbero servire».

Fu repentino l’arrossamento delle gote del figlio dello sceriffo, la mente che si domandava il perché Derek Hale avrebbe avuto bisogno che i pantaloni della tuta rimanessero a disposizione per un futuro prossimo all’interno della casa e il perché avrebbe dovuto cambiarsi proprio quelli in un momento non identificabile.

Derek sogghignò da essere infame qual era e gli sfiorò con i polpastrelli il lobo dell’orecchio imporporato, prima di separarsi completamente da lui e cambiarsi deliberatamente davanti ai suoi occhi, senza alcuna timidezza o impaccio, gustandosi le reazioni esagerate ed agitate che provenivano dal corpo di Stiles ed abbandonando la maglia che si era appena tolto sul letto, tra le coperte sfatte e l’ombra del risveglio congiunto che li aveva accompagnati.

Si diresse direttamente davanti alla finestra quando indossò la maglietta nera che era appartenuta anche all’umano e che conservava il suo odore, come se non avesse alcuna intenzione di separarsene, aprendo le imposte, pronte per saltarci dentro e abbandonare l’abitazione.

«Vuoi un passaggio?» domandò Stiles d’impeto quando si rese conto che Derek stava andando via e che quello era il loro arrivederci; molto tipico del lupo in effetti. Ma quell’offerta comportava che il diciottenne sarebbe dovuto rimanere nascosto finché lui e suo padre non avrebbero concluso la loro colazione e Stiles fosse pronto per avviarsi verso la scuola. Forse non era un piano perfetto e parlava molto a sproposito.

«Sono molto più veloce della tua carretta» rispose il licantropo con un velo di saccenteria ed una presa in giro leggera, benché fosse la pura verità.

Le iridi dell’umano si ingrandirono ed una rabbia risentita emerse senza eguali, facendo uscire il suo lato protettivo verso le cose a cui teneva. «Tu, essere immondo, non ti permetto di parlare così della mia bambina».

Derek ne sembrò sinceramente divertito, tutto quello che Stiles faceva creava degli effetti mai visti in Derek Hale ed era sicuramente e principalmente per quello che si impegnava, ma nemmeno con tanto sforzo, a turbarlo e scatenarlo. «Ci vediamo a scuola, Stiles» proferì in tutta risposta, congedandosi e sparendo dalla visuale del sedicenne.

Stiles sospirò già esausto e quando gli occhi caddero sull’orario della sveglia, che minacciava diffusamente la prossimità di un ritardo cronico, la maglia abbandonata sul letto richiamò la sua attenzione ed avvicinandosi per esaminarla e studiarla, identificandola seriamente per quello che era, la prese tra le mani, ritrovandosi improvvisamente a non sapere cosa farci. Fantastico, ho un uomo che mi dissemina la casa delle sue cose; ma seppure se ne lamentasse, nella strana inquietudine che gli accompagnava l’animo per il pensiero appena scaturito, la piegò accuratamente, riponendola nell’armadio sopra i pantaloni della tuta blu notte.

 

«C’è qualcosa che vuoi raccontarmi?» domandò Lydia con falso disinteressamento e nonchalance, quando il professor Harris formò le coppie per un lavoro in comune, con tanto di ampolle e materiali chimici.

«Cosa dovrei raccontarti?» chiese a sua volta il figlio dello sceriffo, guardandola senza capire ed intento ad interpretare la consegna che era stata assegnata ed a decifrare gli elementi chimici negli appositi contenitori.

«Ad esempio del perché Derek Hale indossi la maglia che fino a due giorni fa era nel tuo armadio» propose con maestria e del tutto intoccata da quel pittoresco dettaglio che non le era sfuggito.

«E da quando curiosi nel mio armadio?» domandò invece il sedicenne, inarcando un sopracciglio e guardandola con giudizio evidente.

«Hai aperto le ante ed ho visto che era ancora lì» spiegò con semplicità la bionda fragola, per niente colpita da quell’accusa impertinente che l’altro gli stava rivolgendo, sventolando una mano con leggerezza ed unendo due elementi chimici che Stiles non aveva ancora individuato, agitando l’ampolla e mescolandoli.

«È sua» si limitò a riferire il ragazzo, ricordandole senza alcun problema chi fosse il proprietario dell’indumento trattato.

«Questo non risponde al quesito» ribatté invece la rossa, del tutto intenzionata a scoprire la verità ed a non demordere. «E il perché indossi gli stessi vestiti di ieri, eccetto la maglia».

«È diventato un reato?» chiese un po’ scocciato il figlio dello sceriffo, prendendo una nuova ampolla e versando un liquido alla volta.

«Stiles» lo richiamò chiara e nitida, intimandogli di parlare alla svelta prima che la parte peggiore di se stessa potesse mostrarsi e la sua autorità diventare fatale.

Stiles la guardò attentamente, riconoscendo lo sguardo sveglio ed autoritario che pretendeva di conoscere come stavano i fatti, tutto quello che girava intorno a loro, e che non avrebbe ceduto mai, continuando a tormentarlo fino allo sfinimento; non c’era scampo per lui. «Ha dormito da me» ammise alla fine, non particolarmente entusiasta di doverlo rivelare. «Ed eccezionalmente è rimasto anche la mattina».

Lydia sgranò gli occhi, non sbalordita ed illuminata dal fatto che avessero dormito insieme, gli indizi erano abbastanza evidenti, ma era qualcos’altro a pietrificarla. «Che vuol dire eccezionalmente?» c’era qualcosa di enorme in quell’unica parola e Stiles impallidì all’istante, nel momento in cui capì l’errore che aveva commesso e quanto avesse parlato. Parlava sempre troppo. «È rimasto la mattina» gli fece eco con la consapevolezza degli avvenimenti che prendevano più consistenza e che mettevano in campo più di quanto era stato effettivamente detto. «Tu, voi, da quanto tempo dormite insieme?».

Stiles voleva tanto schiaffarsi una mano in faccia ed evaporare in qualche modo. Com’era possibile che riuscisse ad incastrarsi così maledettamente bene, proprio lui che smascherava tutti gli altri? «Qualche mese» sembrava davvero una valanga di tempo.

Non erano un paio di mesi, era qualche mese ed era molto, ma molto più tempo, un’infinità per due tipi come loro che negavano di avere qualcosa. Con Stiles che negava ci fosse qualcosa. «Ed esattamente dove dorme? Mi ricordo abbastanza bene che non c’è una stanza degli ospiti o un secondo letto in camera tua. Lo lasci dormire per terra?» era una domanda più che legittima, anche se ne aveva trilioni e trilioni che le frullavano nella mente e che andavano da quando avevano iniziato a quante volte Derek si fermasse da lui e soprattutto alla motivazione che li spingeva a farlo.

Era caduto nella tela del ragno e non ne sarebbe più uscito vivo. «Dorme con me».

Semplice e lineare e Lydia non poteva credere che Stiles fosse così tranquillo sotto quella luce dei fatti. «Nello stesso letto?».

«Sì» affermò positivamente il sedicenne, rispondendo immediatamente e togliendosi il dente per non soffrire troppo.

«Questo è pazzesco» sentenziò sbalordita la rossa, un po’ frastornata e molto confusa; all’improvviso non sapeva più se vedesse cose che non ci fossero o se loro stessero facendo uno strano gioco di cui ignoravano le regole. «Perché non me l’hai detto prima?».

Stiles sbuffò e roteo gli occhi, immaginandosi perfettamente la scena che si sarebbe scatenata se una mezza parola fosse uscita fuori; in più lui e Derek avevano i loro segreti sovrannaturali da proteggere. «Perché stai facendo una tragedia per un ragazzo che dorme con me, quando ho condiviso il letto con Scott per una vita e continuo a farlo».

«Scott è tuo fratello, non può essere preso come campione di paragone» smorzò semplicemente la sedicenne, facendo valere le sue motivazioni e mettendo bene in risalto il ruolo che rivestiva il messicano nella sua vita. «Derek è Derek Hale».

«Molto esaustivo, Lyds» confutò sarcasticamente il figlio dello sceriffo, appuntando il risultato degli esperimenti svolti sul foglio che era stato loro consegnato.

«Sai quello che voglio dire, non farmelo dire ad alta voce, perché non ti piacerebbe affatto la risposta» prima o poi i nodi vengono sempre al pettine e prima o poi lo strano rapporto che Derek e Stiles stavano costruendo sarebbe saltato ed esploso ed avrebbe comportato delle vittime e dei problemi irrisolti e la verità consisteva nel fatto che nessuno dei due era pronto per affrontarli, ma vi si stavano spingendo senza frenare un momento, buttandovisi a pesce.

«A proposito di voce alta, potresti tenerlo per te, non vorrei ritrovarmi le ragazze di Derek sotto casa armate di forconi e torce» ed era uno scenario molto, molto plausibile. Se solo una mezza parola fosse arrivata ad una soltanto delle ragazze scalmanate di Derek, si sarebbe scatenato un putiferio peggiore di quello che aveva già affrontato e non ci sarebbe stato alcun modo per ritornare indietro, quando le prove del loro spettegolare e delle loro teorie romantiche su di lui e il playmaker si fossero rivelate fondate. Era uno scenario che lo faceva rabbrividire e che voleva a tutti i costi evitare, gli bastavano le occhiate astiose che continuava a beccarsi ad ogni nuovo passo, sia che fosse da solo, sia che fosse con il lupo in persona.

«Te lo meriteresti» elargì la bionda fragola con un piccolo broncio offeso sul volto, rubandogli il foglio dalle mani per dispetto ed inserendo i suoi di risultati ottenuti.

Stiles le dedicò un piccolo sorriso di comprensione ed affetto, lasciandola fare. «Mi dispiace non avertelo detto, ma non l’ho fatto per cattiveria; è solo successo» con una luna piena alta nel cielo e l’ululato di un lupo a fare da colonna sonora. Era iniziata così e si era prodigata per molto altro, non aveva idea di dove sarebbe finita. «È qualcosa che ci fa stare bene» e Stiles cominciava ad avere problemi ad addormentarsi quando Derek non era con lui e le sue visite diventavano sempre più frequenti e le motivazioni che portavano ad avere bisogno l’uno dell’altro aumentavano e prima o poi Derek sarebbe entrato da quella finestra ogni giorno per rimanere al suo interno.

Lydia non poté proprio ignorare l’implicazione di quelle parole e il tono dolce ed affettivo con cui le avvolgeva, c’era una luce così splendente nei suoi occhi ed un sorriso così vero, che avevano tutta un’altra musica rispetto a tutto ciò che lo separava dal capitano della squadra di basket. «Non scottarti».

Era troppo tardi.

 

Quando Stiles raggiunse il tavolo fin troppo popolato e pieno di brusio, con scambi arbitrari di piatti e bottigliette di tutte le bevande possibili, si sedette al solito posto tra Derek e Malia, scavalcando la panca e prendendo in mano la forchetta ed il coltello di plastica per tuffarsi sulla cotoletta di pollo fritta e nel purè di patate, sarebbe anche riuscito ad addentarlo quel primo boccone di carne bianca se due occhi castani ed insistenti avessero smesso di prestargli attenzione. «C’è qualcosa che non va?» domandò allora di riflesso, abbassando le posate, ma lasciando per aria la forchetta e riponendo il coltello sul piatto, incontrando le iridi attente della coyote che non aveva ancora proferito parola.

«Stai bene adesso?» chiese invece la ragazza con una leggera apprensione nel portamento statuario e senza sbavature, del tutto disinteressata a quello che la circondava e con la priorità di nutrirsi messa in secondo piano.

Stiles rimase così sorpreso da quella domanda che per alcuni momenti non aveva idea di cosa avrebbe dovuto rispondere ed il motivo per cui gli era stata posta con così tanta importanza da diventare essenziale il responso.

Dovette metterci qualche secondo a carburare, a ripercorrere il giorno precedente, l’apatia che l’aveva colto ed il distacco con cui aveva trattato tutti, senza nemmeno individuarli nella propria bolla privata, escludendoli ed optando per un isolamento totale. Li aveva completamente tagliati fuori ed a nessuno di loro aveva dato una spiegazione, ripresentandosi al solito posto come se niente fosse accaduto.

Per Stiles non era quasi esistito il giorno prima, il giorno della ricorrenza della morte della madre, e non aveva considerato che qualcuno potesse essere stato turbato dal suo comportamento o, da chi possedeva dei sensi che andavano oltre quelli umani, dall’afflizione e dal dolore che emanava sotto forma di odori e palpitazioni. Malia, cresciuta come coyote nel sottobosco, era la più sensibile di tutti alle sensazioni di chi la circondava, non doveva apparirgli così astratto quell’interesse e quella forma di apprensione che la ragazza stava mostrando nei suoi confronti ed i sensi di colpa nell’umano crebbero un po’ di più.

Senza rendersene conto scalpitava con le dita e senza sapere esattamente cosa fare e come scusarsi, l’avambraccio gli scivolò un po’ di lato, sotto al tavolo, proprio di fianco a Derek, incontrando il suo e sfiorandogli il palmo con i polpastrelli, mentre il lupo apriva totalmente la mano e permetteva al ragazzo di intrecciare le dita alle sue, stringendogliele un po’ più forte per serrare la presa.

Stiles ricominciò a respirare più tranquillamente ed il leggero senso di colpa sparì lentamente, lasciando emergere soltanto la premura e l’interesse che gli altri provavano verso di lui.

Malia era davvero preoccupata, non le interessava se l’umano avesse escluso quelli che considerava parte della sua famiglia ed avesse preferito affrontare gli eventi da solo, voleva soltanto conoscere la verità del suo stato d’animo, anche se era capacissima di scoprirlo da sola. «Sì, sto bene» confidò veritiero il figlio dello sceriffo, con un sorriso caldo e di apprezzamento che si disegnò sulle sue labbra. «Grazie, Malia».

Malia lo guardò ancora per un po’, come se stesse tastando il terreno e dovesse accertarsi delle sue parole e mentre tentava di scoprire ciò, le iridi nocciola le caddero sulla trama delle dita dei due ragazzi che ancora non avevano disfatto e, riportando lo sguardo sul sedicenne, annuì lievemente, ottenendo la risposta che l’ebbe soddisfatta.

«Sei sicuro che mi sia risvegliato nell’universo giusto? Potrei aver sbagliato bivio durante il sonno» domandò il giocatore di lacrosse al suo vicino, ancora intontito da quella forma di attenzione che Malia gli aveva prestato.

«Sei solo entrato nelle sue grazie» gli rivelò semplicemente il capitano della squadra di basket, sintetizzando la situazione con maestria.

«Avrei dovuto offrirle prima il cupcake» realizzò il sedicenne, sminuendo con dolcezza divertita il percorso che avevano compiuto insieme.

Derek lo ignorò bellamente e bevve dalla sua bottiglietta senza lasciarsi toccare dai pensieri sconclusionati dell’altro. «Perché mi guarda in quel modo?».

Stiles corrugò la fronte, puntando gli occhi su di lui che non dava alcuna indicazione e rimaneva immobile nella sua posizione senza dare alcun suggerimento e come se non avesse proferito nulla; Derek Hale era il peggior soggetto da cui trarre degli indizi. «Chi?».

«La Martin» disse il licantropo con ovvietà, limpido come l’aria che non potesse riferirsi a nessun altro.

L’umano si voltò verso la persona citata con gli occhi vigili e spietati che scrutavano il moro. «E come ti starebbe guardando?».

«Come uno che ti ha sottratto l’innocenza» e c’erano davvero tanti tipi di innocenza che poteva avergli sottratto e su alcuni punti era anche vero; Stiles non era più l’adolescente sognante e fantasioso che cercava il sovrannaturale e le sue amate creature mitologiche, con i lupi mannari in vetta alla classifica; lui vi era proprio dentro e quasi ogni notte condivideva il letto con uno di loro. Quel tipo di innocenza non sarebbe più tornata.

Ma era ad un altro il tipo di innocenza a cui si riferivano il diciottenne e la bionda fragola. «Ehm… perché crede che tu l’abbia fatto» quasi non si strozzò nel dirlo ad alta volte, preferiva proprio che quel tipo d’argomento non si toccasse mai, soprattutto se implicava lui e Derek e già erano implicati un po’ troppo per negare l’evidenza.

Derek si voltò di scatto, gli occhi verdi impenetrabili che lasciavano fuoriuscire lo sgomento che lo stava cogliendo; era difficile scombussolare Derek Hale e pietrificarlo, ma i momenti in cui lo vedeva in quel modo si stavano moltiplicando senza eguali. «Come sarebbe giunta a questa conclusione?».

Stiles sospirò internamente e le iridi gli caddero sulle mani ancora intrecciate, il contatto fisico che aveva cercato senza rendersene conto e che gli era stato concesso, quello che non avevano ancora interrotto. Forse non erano così assurdi i pensieri di Lydia. «La maglia» disse come unica risposta, disgregando la loro stretta e tirandogli l’orlo dell’indumento citato proprio con la mano appena liberata, da cui emergeva in modo nitido ed inequivocabile, attraverso lo sfondo nero, l’anello d’argento con la triscele rossa. «L’ha vista qualche giorno fa nel mio armadio e si è chiesta come potessi averla riavuta in così poco tempo e tra una presa di posizione e l’altra, sa che dormiamo insieme».

Derek continuò a guardarlo impassibile, senza proferire parola e Stiles si ritrovava in una situazione di imbarazzo e completo smarrimento, aveva delle scuse sulla punta della lingua che non riusciva a frenare ed in realtà non vi era alcun motivo per cui dovesse sentirsi così, ma non riusciva proprio a farne a meno. «Possiamo… possiamo parlane in un secondo momento?» era un argomento spinoso che sarebbe degenerato e non era proprio il caso di affrontarlo in mensa davanti a tutta la scuola, in più si chiese di cosa avessero davvero dovuto parlare.

Derek gli dedicò ancora il suo sguardo e poi ritornò al suo pasto, lasciando le cose a metà.

Stiles prese un lungo respiro e sperò che Derek non si innervosisse troppo per l’invadenza senza freni della bionda fragola.

 

Stiles era seduto sul pavimento della propria camera da letto, con la schiena poggiata al bordo del materasso e con il libro di letteratura sulle gambe incrociate, a scarabocchiare parole chiave sull’analisi del testo che stava studiando, mentre Derek gli sedeva accanto con le gambe dritte ed il quaderno di matematica su cui stava lavorando su di esse.

Il padrone di casa stava curiosando da qualche minuto, cercando di individuare a quale argomento il lupo si stesse dedicando e si avvicinò con circospezione, guardando attraverso la sua spalla. «Ti conviene usare questo metodo per dimostrare il teorema» gli suggerì candidamente, indicando il metodo consigliato che si trovava in uno dei fogli svolazzanti che fuoriuscivano dal quaderno ed a cui Derek aveva dato un’occhiata approssimativa, scegliendo di testa sua.

Derek fermò la matita, smettendo di scrivere sul foglio a quadretti e lanciandogli un’occhiata riluttante ed intensa. «È programma dell’ultimo anno» gli ricordò, non tanto perché non credesse nelle capacità di Stiles di vedere più lontano di lui, ma perché materialmente non poteva possedere le conoscenze per arrivare a quella soluzione senza conoscere l’argomento.

«Lo so» convenne il sedicenne, senza scomporsi più di tanto e conscio dei due anni di differenza che si ponevano tra loro, dei programmi completamente opposti a cui erano soggetti i loro studi ed a quel lieve richiamo che gli consigliava di stare un po’ al suo posto; fatica sprecata. «A volte quando finiamo i compiti in anticipo e Lydia si annoia più del solito, ci imbarchiamo in qualche nuovo argomento dei futuri programmi scolastici; ci portiamo un po’ avanti per non essere completamente a bocca asciutta» spiegò velocemente, senza soffermarsi sui dettagli e su come reperissero certe informazioni, su quanto si fossero portati avanti. «Lydia ha un particolare rapporto con la matematica ed abbiamo affrontato quest’argomento diversi mesi fa» meglio non dire che conoscevano tutto il programma del terzo anno di quella materia e l’avessero concluso l’anno prima, perché la bionda fragola lo riteneva troppo semplice. Procedendo di quel passo sarebbero passati direttamente ai programmi universitari.

Derek non fiatò e corrugò soltanto le sopracciglia e forse li considerava un po’ fuori di testa, perché nessuno sano di mente che si annoiasse, invece di limitarsi a studiare le materie che già avevano nel loro orario scolastico, portandosi, al massimo, un po’ avanti con quelle suddette materie, si sarebbe imbarcato in uno studio totale di qualcosa che li avrebbe toccati soltanto nel futuro. «Sempre la Martin» e Stiles non poteva proprio ignorare il modo astioso che predominava quando si parlava di lei, quel tipo di fastidio e sentimento che si avvicinava pericolosamente alla gelosia.

Stiles non disse niente e preferì non indagare, tornando al suo testo poetico e lasciando Derek al suo teorema, teorema che risolse con il metodo consigliatogli.

«Mi dispiace per oggi, per Lydia» proferì poco dopo il figlio dello sceriffo, sottolineando un verso che lo colpiva particolarmente.

«Non c’è alcun motivo per cui dovresti dispiacerti» soprattutto perché Stiles aveva la strana tendenza a scusarsi ed a prendersi sensi di colpa che in realtà non esistevano e si faceva carico di pesi che non erano necessari. Derek doveva ricordarglielo ogni volta.

«Non le ho detto niente, proprio niente, è questo che non sopporta» rivelò l’umano, mettendolo al corrente di una conversazione lasciata a metà e senza spiegazioni, di motivazioni che non le sarebbero state concesse. «E quindi trae conclusioni errate» anche se tutti in quella scuola traevano conclusioni errate quando si parlava di lui e Derek Hale.

«Vorresti dirglielo?» domandò Derek con cautela, guidato dalla strana afflizione che prendeva vita dalla voce seminasale del sedicenne.

Stiles si voltò di botto ed ingrandì i suoi giganti occhi d’ambra, guardandolo senza conoscerlo. «Del sovrannaturale, di te e del branco? Ci resterebbe secca e sicuramente nemmeno mi crederebbe» elargì sbracciandosi, scartando del tutto tale possibilità. «Va bene così, Der. E poi non voglio condividerlo con nessuno; è nostro, solo nostro» ed era sicuro di averlo già detto una volta o qualcosa di molto simile. Non c’era alcuna ragione per cui quel segreto sarebbe dovuto essere rivelato, al contrario si impegnava molto per proteggerlo e tenerlo celato. Stiles era come un eletto a cui era stato permesso di conoscerlo e non aveva alcuna intenzione di tradirlo e sventolarlo ai quattro venti. L’esistenza del sovrannaturale, la verità sulla natura di Derek erano un qualcosa che doveva custodire gelosamente. «E poi non ha mai avuto una buona opinione di te, con tutti quei cuori che spezzi ogni giorno» rivelò con divertimento pungente, burlandosi affettuosamente di lui e mostrando il sorriso da volpe scaltra che usciva fuori nei momenti propizi.

Derek sbuffò accigliato e per nulla sorpreso, ma non lo aggradava proprio quella visione che avevano di lui. «Non è intenzionale, io sono chiaro».

Il sedicenne ridacchiò spensierato, divertito dalle pecche che esistevano nella vita di Derek e che lo alleggerivano molto, soprattutto davanti alle sue reazioni; se poi esistevano dei risvolti negativi anche per lui, era un’altra storia. «Dovresti camminare con un cartello con su scritto: già mentalmente impegnato. Lasciatemi in pace».

«Mentalmente?» gli fece eco il lupo mannaro, guardandolo con un sopracciglio innalzato.

«Sì» confermò il padrone di casa, ammiccando con grazia. «Molto meno romantico di: il mio cuore è già impegnato e non vedo nessun altro. Non ripassate mai più».

Derek rimase per alcun attimi in silenzio, senza obiettare e Stiles non sapeva bene su quale parte del suo annuncio strampalato si fosse fermato l’altro, ma la sua mente caparbia e la consapevolezza degli occhi di Derek su di lui, costanti ed inarrestabili, gli suggeriva che fosse proprio la parte del non vedo nessun altro. «E tu sei mentalmente impegnato?».

Stiles si mostrò impressionato e colpito, soprattutto perché era un argomento che non avevano mai toccato, ma che era stato vagamente accennato da lui stesso, senza mai approfondirlo o soffermarcisi. «Con Lydia, intendi dire?».

«Sei innamorato di lei» proferì in punta di piedi il lupo mannaro, dando voce a qualcosa che avevano solo bisbigliato. «Da otto anni» e quello era una piccola ripassata per l’unico sbilanciamento a cui si era lasciato andare il minore.

«Sembrano tanti, vero?» domandò retoricamente, lasciandosi andare ad un sospiro trattenuto, liberando l’aria dai polmoni. «Era la mia isola felice quando la malattia di mia madre si è manifestata e lei non sapeva nemmeno della mia esistenza» sbuffò un po’, non risentito per la sua presenza invisibile, ma per il destino avverso. «Ho preso coscienza per lei soltanto dallo scorso anno, quando Allison è entrata nelle nostre vite e Scott si è innamorato al primo sguardo. Ognuno ha messo qualcosa di se stesso con la formazione della loro coppia e Lydia era già diventata la sua migliore amica, quindi ci siamo trascinati tutti a vicenda» posò la matita al centro del libro ed abbandonò la testa sul bordo del letto, ritrovandosi a fissare il soffitto – era così pericolosamente vicino a quello che era accaduto tra lui e il licantropo. «Siamo amici».

«Non è così che si comincia?» lo incitò il mannaro, quasi a consolarlo ed a lasciargli uno spiraglio aperto e Stiles si chiese se stesse confortando lui o se stesso.

«No, dipende dalle persone, dalle situazioni e dal percorso che fanno» lo smorzò il padrone di casa, mettendo in ballo varianti ed opzioni, la complessità degli individui e della vita che affrontano. «Per noi è il capolinea, è l’unico traguardo che potevo raggiungere».

«Sei cinico» rivelò il mutaforma con un’osservazione che forse gli era sfuggita e che apprendeva per la prima volta, era come se avesse ancora tante cose da imparare su di lui.

Stiles ridacchiò deliziato e strusciò il viso contro la sua spalla, lasciando viaggiare la mano sinistra alla ricerca di quella destra dell’altro, dove spiccava l’anello che li accomunava, e prendendogliela tra le dita. «Sai qual è la verità, Der? Non provo più le stesse cose» era una confessione che non aveva mai fatto nemmeno a se stesso, tenendola radicata nei posti più nebulosi della mente, dove poteva ancora illudersi e fantasticarci sopra. «È la mia migliore amica, sto bene con lei e provo ancora un fortissimo sentimento nei suoi confronti, ma non credo sia più il sentimento romantico che era una volta» giocherellò con le loro falangi, permettendo loro di toccarsi e rincorrersi, accarezzando distrattamente l’anello che Derek portava sul medio, ricalcando l’incisione della triscele rossa con cui si teneva impegnato. «Ho avuto così tante cose per la testa che ho smesso di pensarci ed a volte ritornava, lo ammetto, ma era qualcosa di fumoso senza troppa consistenza» sospirò un po’ frastornato e malinconico, gli occhi un po’ opachi e lontani, un turbine di pensieri che lo stavano abbandonando. «È strano realizzare di aver perso il tuo primo amore» ed aveva un che di amaro rivelarlo proprio al licantropo che conosceva bene quella perdita, benché fosse di fattezze completamente diverse e distruttive.

Derek allargò le dita, creando il vuoto tra una e l’altra, permettendo al figlio dello sceriffo di fare qualsiasi cosa gli passasse per la mente, consentendogli di giocare come meglio desiderava. «Ti innamorerai ancora». La voce era calda e vellutata come una coperta morbida ed accogliente, una di quelle che proteggeva dalle intemperie e che avrebbe affrontato qualsiasi male per tenerlo al sicuro. Mi basteresti tu e il mondo potrebbe anche scomparire, Stiles non riusciva più a controllare bene i suoi pensieri e prendevano accesso alla sua mente come meglio volevano, mettendo tutto a fuoco e rendendolo più concreto. «Ti ritroverò al mio risveglio domani?».

«Vuoi che ci sia?» chiese in risposta il mutaforma, sbirciando dall’alto della sua posizione, senza scostarsi o invitare Stiles a mettersi in una posizione differente.

«Sì» affermò l’umano con convinzione morbida, inserendo le dita capricciose tra gli spazi che Derek gli aveva creato per accontentare il suo divertimento. «È molto più bello risvegliarsi con una persona accanto, soprattutto se ti eri addormentato con lei. È davvero orrendo trovare il letto vuoto» e lo era per davvero, Stiles cominciava a rendersene conto mese dopo mese, giorno dopo giorno, la presenza di Derek era così vitale per lui che non ritrovarlo la mattina successiva corrispondeva ad un abbandono in piena regola, come uno strano scherzo della mente che prima lasciava comparire qualcosa e poi gliela portava via, senza dare la certezza che fosse vero.

Ogni mattina doveva accertarsi che il rapporto che lui e Derek Hale avevano creato fosse reale e che quasi ogni notte condividesse le lenzuola con il lupo, cadendo nel più soporifero e meraviglioso sonno restauratore.

«Non ti starò viziando troppo?» domandò retoricamente il capitano della squadra di basket, accettando le falangi che si incastravano alle proprie e corrispondendo la stretta, creando definitivamente la trama tra le loro mani. Aveva uno strano modo di smentire la cosa.

«È questo il bello» annunciò il figlio dello sceriffo con una curva abile e birichina sulle labbra, rigirando la testa sulla spalla del mannaro ed incontrando le iridi verdi che lo guardavano dall’alto, captando all’istante i suoi movimenti. «Derek Hale, il ragazzo più corteggiato dell’istituto, idolatrato da fanciulle e fanciulli che si prostrano ai suoi piedi, vizia Stiles Stilinski, il ragazzino sfigato e logorroico invisibile a tutti gli altri. Il grande lupo cattivo, feroce ed acido vizia una piccola volpe indifesa».

«Sei una volpe ammaliatrice» lo corresse il grande lupo cattivo, parando il tiro e smontando la visione che aveva appena creato di loro.

Stiles mostrò quella piega furba ed accattivante che spesso Derek descriveva, con gli occhi vispi ed attenti, ammiccanti e travolgenti, come la grande volpe rossa furba quale era. «Resta con me».

Fu impegnativo ritornare sui libri scolastici, con Stiles abbandonato contro di lui e Derek a reggerlo impassibile.

 

Stiles aprì gli occhi con difficoltà poco dopo l’alba ed accanto a lui vi era il corpo solido del capitano della squadra di basket, caldo e confortevole, riparato dal freddo dell’inverno dalle coperte che cadevano su entrambi, fasciandoli per bene.

Strisciò verso di lui, nei pochi centimetri che li dividevano, appiattendovisi contro, mentre Derek si muoveva di conseguenza per permettergli di accoccolarsi meglio. «Grazie per essere rimasto» proferì l’umano a contatto con la pelle del mannaro, lasciandosi avvolgere completamente dalla sua temperatura corporea.

Derek mugugnò nel dormiveglia, allargando le lenzuola e provvedendo a ricoprire al meglio il padrone di casa, aprendo gli occhi soltanto per incontrare quelli di ambrosia prima di ritornare a dormire. «Viziato» bofonchiò con voce roca, mettendo nero su bianco la vera condizione in cui si trovava il sedicenne.

Stiles gli sorrise sull’epidermide contento e compiaciuto e Derek lo avvolse con un braccio, tirando le lenzuola, mentre l’umano mugolava in apprezzamento.

Sei l’unico al mondo a viziarmi.

Aveva ancora qualche altra ora di sonno, ore di sonno da condividere con il suo lupo, prima che la sveglia suonasse e li riportasse con i piedi per terra, a correre per raggiungere in tempo la struttura scolastica.

Era certo che al suonare della sveglia Derek sarebbe stato ancora lì con lui, a tenerlo stretto contro di sé, avvolgendolo totalmente ed aspettando il suo completo risveglio.

Quello sarebbe stato il loro nuovo buongiorno e non era altro se non la conferma confortante che, ogni volta che se ne sarebbe presentata l’occasione, Derek sarebbe rimasto, affacciandosi al mattino insieme a lui.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Prima o poi doveva capitare che questi due si svegliassero insieme la mattina, affrontando insieme il nuovo giorno e incontrando un certo imbarazzo. Cosa che non è successa, ma Stiles qualcosa l’ha provata nel momento in cui Derek si è preso in qualche modo gioco di lui; ma è un tenerello, gli passano strane idee nella testa e adesso Derek corrisponde a: ho un uomo che mi dissemina la casa delle sue cose, il che è tutto dire.

Mai che si possa nascondere qualcosa a Lydia, santissimi dei del cielo!

Povero Stiles, non può nemmeno tenere segreto il fatto che abbia un uomo per casa con cui condivide il letto ed i vestiti; povero caro.

Ciao, Malia, ti voglio bene.

Oh, il triangolo LydiaxStilesxDerek si fa sentire finalmente e mette in luce scomode verità che non affrontano e poi affrontano e poi dicono cose a metà fino a risolvere teoremi di matematica e rivelare di non essere più innamorati del loro primo amore. Okay, perfetto. Ma possiamo dire le cose come stanno, per favore?

E concludendo in super sintesi… sì, Derek. Stai proprio viziando tanto il nostro Stiles.

E oggi è l’Epifania quindi sotto con il cioccolato!

A venerdì,

Antys

   
 
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