13° Capitolo
Quando Stiles aprì gli occhi la mattina dopo quella nottata riversa di
ricordi spossanti, incontrò per la prima volta le iridi di giada del lupo
accanto a lui, che gli riservava ancora una stretta leggera, ma tonificante.
Probabilmente non l’aveva lasciato per tutta la notte, benché l’umano fosse
scivolato dal suo petto possente al cuscino morbido da cui era impossibile
separarlo.
«Sei rimasto» disse con un’inclinazione tra lo stupito e la fermezza,
cercando di mettere a posto la mente ed inquadrare per bene la figura che aveva
aspettato il suo risveglio, rimanendogli accanto e non abbandonando le coltri
con l’arrivo dell’alba.
Lo sguardo di Derek era intenso e non sembrava in alcun modo offuscato
dalla sonnolenza di chi si fosse appena affacciato al mondo dei ridestati, al
contrario era reattivo e nitido e non si faceva piegare da raggi solari
dispettosi; i suoi occhi si erano abituati alla luce mattutina. Era scomodo
pensare che Derek avesse passato il tempo a guardarlo in attesa che
abbandonasse il regno di Morfeo? «Stai bene?» che aspettasse di accertarsi
delle sue condizioni?
«Mh, sì, va molto meglio» proferì il figlio dello
sceriffo con voce riposata e pulita, libera dalla negatività che l’aveva
afflitta per tutto il giorno precedente. «Grazie» e quel ringraziamento ne
conteneva così tanti che era davvero difficile riuscire ad individuarli tutti. Grazie per essere con me, grazie di capirmi
sempre, grazie di ascoltarmi e grazie per essere rimasto. In cuor suo
sapeva che Derek aveva gli stessi pensieri.
Le dita del mannaro gli scossero i capelli che gli ricadevano selvaggi sul
viso, scomposti ed indomabili, e Stiles risalì piano con la mano, intrecciando
le falangi tra loro e lasciandole lì dove sembrava piacere tanto al licantropo.
Derek gli accarezzò con il pollice la tempia scoperta e Stiles gli sorrise
caldamente, permettendosi di essere viziato un po’. «Che ore sono?» domandò
l’umano attimi dopo, notando l’innalzarsi sempre maggiore del sole, chiaro
invito ad abbandonare le comodità e la piacevole quiete in cui erano caduti.
«L’ora della sveglia» rispose prontamente il mutaforma, anticipando
l’allarme che prese a risuonare per tutta la stanza.
Stiles mugugnò sconsolato, incastrando le testa nel collo del diciottenne e
nascondendosi ai suoni molesti, mentre Derek scioglieva la trama delle loro
mani e spegneva alla cieca, ma guidato argutamente dall’udito, la sveglia.
Benché fosse evidente che nessuno dei due febbricitasse per alzarsi ed
abbandonare il letto, alla fine vinse il buon senso e l’avanzare delle
lancette, più la chiara e rumorosa presenza dello sceriffo che si arrangiava
per preparare la colazione.
Stiles strisciò sul materasso, gattonando a metà e raggiungendo il bordo,
per scendere sgraziatamente intrecciando gli arti in una matassa irrisolvibile
e catapultandosi davanti ai cassetti, aprendo distrattamente l’armadio ad
angolo, mentre Derek si portava in posizione seduta senza alcuna fatica. «Hai
il tempo di passare da casa?».
«No» negò senza alcuna bugia il lupo mannaro, senza nemmeno aver bisogno di
guardare l’orologio, ma buttando un’occhiata veloce alla sveglia digitale poco
lontana.
Chissà quanto tempo ci impiegava ad arrivare alla grande e sfarzosa villa
Hale da casa sua a piedi. Era un licantropo, su questo non c’erano dubbi, e la supervelocità non gli mancava, ma era piuttosto certo che
anche provvisto di quella, Derek ci impiegasse comunque una ventina di minuti
ed a quello doveva aggiungere il sistemarsi ed apparire come nuovo, fresco e
riposato, senza che suggerisse di aver passato la notte in una casa ed in un
letto non suo. Ma spesso si chiedeva se nella casa abitata da mannari si
accorgessero della sua assenza e sapessero dove passasse la notte per buona
parte della settimana. Era sicuro che sentissero perfettamente un odore
sconosciuto sul corpo di Derek, lo lasciavano fare comunque? «Forse non è il
caso che ti ripresenti con gli stessi vestiti di ieri» non che avessero fatto
nulla e nessuno poteva davvero sapere con chi il lupo avesse passato la notte o
cosa avesse fatto, ma le malelingue erano sempre in agguato e sia lui che Derek
erano sempre e comunque sulla bocca di tutti, sia che fossero separati sia che
fossero insieme ‒ quando erano insieme raggiungevano vette stratosferiche
‒, aggiungere ulteriori argomenti che accrescessero qualsiasi tipo di
voce non era il massimo.
Stiles aprì completamente l’anta dell’armadio ed estrasse una maglietta
nera priva di stampa, quella che Derek gli aveva prestato quando ogni traccia
della sua dignità era svanita e la cattiveria si era abbattuta su di lui.
«Credo che questa basterà. Cioè penso di sì, no?» si era già incartato di prima
mattina, inciampando nei suoi pensieri e stringendo la maglia a sé senza sapere
bene cosa fare, come non apparire patetico e con uno strano e particolare
imbarazzo che lo investiva in pieno. Che fosse perché l’aveva tenuta per tutto
quel tempo in camera sua? «Mi dimentico sempre di restituirtela, scusa» e chi
ci pensava più, era diventato un oggetto d’arredamento dentro l’armadio, sempre
presente ed al sicuro, come testimonianza che le cose potessero andare bene e
rimanere invariate, variando al tempo stesso.
Derek si era alzato dal letto con passo felpato, senza lasciarsi sentire e
si era avvicinato alla figura del padrone di casa in religioso silenzio, senza
commentare in alcun modo la valanga di pensieri e la strana cura attenta che
l’altro stava dimostrando. «Può andare» disse soltanto, acconsentendo senza
fare storie e prendendogliela dalle mani con delicatezza, aspettando che Stiles
gliela restituisse completamente con una convinzione più profonda. Ma la sua
espressione cambiò quando la prese e l’aprì, sciogliendola dalla piega ordinata
in cui era rimasta per tutti quei mesi, trovandola perfetta e magistralmente
stirata.
«Cosa c’è?» domandò il figlio dello sceriffo con preoccupazione ed
incertezza quando vide le pieghe del suo viso cambiare e le pupille nere
dilatarsi leggermente, mentre piccole ed invisibili pagliuzze di blu elettrico
facevano la loro presenza indisturbate nelle iridi di smeraldo.
«Ha il tuo odore» proferì il lupo mannaro con una strana cadenza speziata
ed una pittoresca consapevolezza che prendeva coscienza soltanto in quel
momento.
E oh, non andava bene. No, no, vero
che non andava bene? «L’ho lavata e stirata. L’ho fatto, giuro che l’ho
fatto» esclamò con un’ottava troppo alta ed un leggero panico che si
impadroniva di lui, muovendosi scompostamente ed agitando gli arti con un ritmo
scoordinato e troppo veloce. Non voleva, non voleva proprio che pensasse che ci
avesse fatto qualcosa di strano; lui l’aveva accuratamente messa a posto, in
attesa di restituirla al padrone. Non era colpa sua se poi Derek gli era
piombato completamente in casa e nella vita ed avesse del tutto rimosso quel
particolare.
«Ehy» soffiò Derek, poggiando la mano destra tra
i suoi capelli ed immergendovi completamente le dita, facendogli toccare quel metallo
freddo che gli circondava il dito medio, prodigandosi per calmarlo ed appianare
i suoi movimenti convulsi. «È qui da tanto tempo, è normale. Non agitarti».
Nemmeno avessero una tresca. O forse l’avevano? Che cosa erano esattamente
loro due? Che cosa avevano? «Tu mi agiti, tantissimo».
«L’ho notato» dichiarò risoluto il mannaro con un accenno di ghigno
predatore e divertito.
Stiles sospirò sconfitto ed un po’ risentito, scostandolo un po’ senza
riuscirci, ma azzerando quasi completamente il piccolo divario che si parava
tra loro. «Non compiacertene».
La curva sulle labbra di Derek si fece più evidente ed ampia e la sentì
anche quando gli scoccò un bacio morbido e vellutato sull’attaccatura dei
capelli, lasciandolo risuonare come unica risposta. Niente riusciva a farlo
sentire così amato come ogni piccolo e singolo gesto che Derek Hale gli
dedicava.
Ed era scioccante quanto facilmente si abbandonasse al lupo, pur
consapevole di quella sensazione e di quella fastidiosa e dispettosa pulce
nell’orecchio che non l’abbandonava da quando il mannaro era entrato a pieno
titolo nella sua vita. «Vuoi anche questi?» domandò come a stemperare
l’atmosfera idilliaca in cui si stavano cullando, pregustandola sempre un po’
di più ed allungandola ad ogni nuovo secondo.
Derek si scostò appena ed individuò i pantaloni della tuta che gli aveva
prestato insieme alla maglia completamente nera e che erano rimasti in egual
tempo nell’armadio dell’umano, senza che gli venissero mai restituiti. Anche
quelli avevano l’odore di Stiles. «No, potrebbero servire».
Fu repentino l’arrossamento delle gote del figlio dello sceriffo, la mente
che si domandava il perché Derek Hale avrebbe avuto bisogno che i pantaloni della
tuta rimanessero a disposizione per un futuro prossimo all’interno della casa e
il perché avrebbe dovuto cambiarsi proprio quelli in un momento non
identificabile.
Derek sogghignò da essere infame qual era e gli sfiorò con i polpastrelli
il lobo dell’orecchio imporporato, prima di separarsi completamente da lui e
cambiarsi deliberatamente davanti ai suoi occhi, senza alcuna timidezza o
impaccio, gustandosi le reazioni esagerate ed agitate che provenivano dal corpo
di Stiles ed abbandonando la maglia che si era appena tolto sul letto, tra le
coperte sfatte e l’ombra del risveglio congiunto che li aveva accompagnati.
Si diresse direttamente davanti alla finestra quando indossò la maglietta
nera che era appartenuta anche all’umano e che conservava il suo odore, come se
non avesse alcuna intenzione di separarsene, aprendo le imposte, pronte per
saltarci dentro e abbandonare l’abitazione.
«Vuoi un passaggio?» domandò Stiles d’impeto quando si rese conto che Derek
stava andando via e che quello era il loro arrivederci; molto tipico del lupo
in effetti. Ma quell’offerta comportava che il diciottenne sarebbe dovuto
rimanere nascosto finché lui e suo padre non avrebbero concluso la loro
colazione e Stiles fosse pronto per avviarsi verso la scuola. Forse non era un
piano perfetto e parlava molto a sproposito.
«Sono molto più veloce della tua carretta» rispose il licantropo con un
velo di saccenteria ed una presa in giro leggera, benché fosse la pura verità.
Le iridi dell’umano si ingrandirono ed una rabbia risentita emerse senza
eguali, facendo uscire il suo lato protettivo verso le cose a cui teneva. «Tu,
essere immondo, non ti permetto di parlare così della mia bambina».
Derek ne sembrò sinceramente divertito, tutto quello che Stiles faceva
creava degli effetti mai visti in Derek Hale ed era sicuramente e
principalmente per quello che si impegnava, ma nemmeno con tanto sforzo, a
turbarlo e scatenarlo. «Ci vediamo a scuola, Stiles» proferì in tutta risposta,
congedandosi e sparendo dalla visuale del sedicenne.
Stiles sospirò già esausto e quando gli occhi caddero sull’orario della
sveglia, che minacciava diffusamente la prossimità di un ritardo cronico, la
maglia abbandonata sul letto richiamò la sua attenzione ed avvicinandosi per
esaminarla e studiarla, identificandola seriamente per quello che era, la prese
tra le mani, ritrovandosi improvvisamente a non sapere cosa farci. Fantastico, ho un uomo che mi dissemina la
casa delle sue cose; ma seppure se ne lamentasse, nella strana inquietudine
che gli accompagnava l’animo per il pensiero appena scaturito, la piegò
accuratamente, riponendola nell’armadio sopra i pantaloni della tuta blu notte.
«C’è qualcosa che vuoi raccontarmi?» domandò Lydia con falso
disinteressamento e nonchalance, quando il professor Harris formò le coppie per
un lavoro in comune, con tanto di ampolle e materiali chimici.
«Cosa dovrei raccontarti?» chiese a sua volta il figlio dello sceriffo,
guardandola senza capire ed intento ad interpretare la consegna che era stata
assegnata ed a decifrare gli elementi chimici negli appositi contenitori.
«Ad esempio del perché Derek Hale indossi la maglia che fino a due giorni
fa era nel tuo armadio» propose con maestria e del tutto intoccata da quel
pittoresco dettaglio che non le era sfuggito.
«E da quando curiosi nel mio armadio?» domandò invece il sedicenne,
inarcando un sopracciglio e guardandola con giudizio evidente.
«Hai aperto le ante ed ho visto che era ancora lì» spiegò con semplicità la
bionda fragola, per niente colpita da quell’accusa impertinente che l’altro gli
stava rivolgendo, sventolando una mano con leggerezza ed unendo due elementi
chimici che Stiles non aveva ancora individuato, agitando l’ampolla e
mescolandoli.
«È sua» si limitò a riferire il ragazzo, ricordandole senza alcun problema
chi fosse il proprietario dell’indumento trattato.
«Questo non risponde al quesito» ribatté invece la rossa, del tutto
intenzionata a scoprire la verità ed a non demordere. «E il perché indossi gli
stessi vestiti di ieri, eccetto la maglia».
«È diventato un reato?» chiese un po’ scocciato il figlio dello sceriffo,
prendendo una nuova ampolla e versando un liquido alla volta.
«Stiles» lo richiamò chiara e nitida, intimandogli di parlare alla svelta
prima che la parte peggiore di se stessa potesse mostrarsi e la sua autorità
diventare fatale.
Stiles la guardò attentamente, riconoscendo lo sguardo sveglio ed
autoritario che pretendeva di conoscere come stavano i fatti, tutto quello che
girava intorno a loro, e che non avrebbe ceduto mai, continuando a tormentarlo
fino allo sfinimento; non c’era scampo per lui. «Ha dormito da me» ammise alla
fine, non particolarmente entusiasta di doverlo rivelare. «Ed eccezionalmente è
rimasto anche la mattina».
Lydia sgranò gli occhi, non sbalordita ed illuminata dal fatto che avessero
dormito insieme, gli indizi erano abbastanza evidenti, ma era qualcos’altro a
pietrificarla. «Che vuol dire eccezionalmente?»
c’era qualcosa di enorme in quell’unica parola e Stiles impallidì all’istante,
nel momento in cui capì l’errore che aveva commesso e quanto avesse parlato.
Parlava sempre troppo. «È rimasto la mattina» gli fece eco con la
consapevolezza degli avvenimenti che prendevano più consistenza e che mettevano
in campo più di quanto era stato effettivamente detto. «Tu, voi, da quanto tempo dormite insieme?».
Stiles voleva tanto schiaffarsi una mano in faccia ed evaporare in qualche
modo. Com’era possibile che riuscisse ad incastrarsi così maledettamente bene,
proprio lui che smascherava tutti gli altri? «Qualche mese» sembrava davvero
una valanga di tempo.
Non erano un paio di mesi, era qualche
mese ed era molto, ma molto più tempo, un’infinità per due tipi come loro
che negavano di avere qualcosa. Con Stiles che negava ci fosse qualcosa. «Ed
esattamente dove dorme? Mi ricordo abbastanza bene che non c’è una stanza degli
ospiti o un secondo letto in camera tua. Lo lasci dormire per terra?» era una
domanda più che legittima, anche se ne aveva trilioni e trilioni che le frullavano
nella mente e che andavano da quando avevano iniziato a quante volte Derek si
fermasse da lui e soprattutto alla motivazione che li spingeva a farlo.
Era caduto nella tela del ragno e non ne sarebbe più uscito vivo. «Dorme
con me».
Semplice e lineare e Lydia non poteva credere che Stiles fosse così
tranquillo sotto quella luce dei fatti. «Nello stesso letto?».
«Sì» affermò positivamente il sedicenne, rispondendo immediatamente e
togliendosi il dente per non soffrire troppo.
«Questo è pazzesco» sentenziò sbalordita la rossa, un po’ frastornata e
molto confusa; all’improvviso non sapeva più se vedesse cose che non ci fossero
o se loro stessero facendo uno strano gioco di cui ignoravano le regole.
«Perché non me l’hai detto prima?».
Stiles sbuffò e roteo gli occhi, immaginandosi perfettamente la scena che
si sarebbe scatenata se una mezza parola fosse uscita fuori; in più lui e Derek
avevano i loro segreti sovrannaturali da proteggere. «Perché stai facendo una
tragedia per un ragazzo che dorme con me, quando ho condiviso il letto con
Scott per una vita e continuo a farlo».
«Scott è tuo fratello, non può essere preso come campione di paragone»
smorzò semplicemente la sedicenne, facendo valere le sue motivazioni e mettendo
bene in risalto il ruolo che rivestiva il messicano nella sua vita. «Derek è
Derek Hale».
«Molto esaustivo, Lyds» confutò sarcasticamente
il figlio dello sceriffo, appuntando il risultato degli esperimenti svolti sul
foglio che era stato loro consegnato.
«Sai quello che voglio dire, non farmelo dire ad alta voce, perché non ti
piacerebbe affatto la risposta» prima o poi i nodi vengono sempre al pettine e
prima o poi lo strano rapporto che Derek e Stiles stavano costruendo sarebbe
saltato ed esploso ed avrebbe comportato delle vittime e dei problemi irrisolti
e la verità consisteva nel fatto che nessuno dei due era pronto per
affrontarli, ma vi si stavano spingendo senza frenare un momento, buttandovisi
a pesce.
«A proposito di voce alta, potresti tenerlo per te, non vorrei ritrovarmi
le ragazze di Derek sotto casa armate di forconi e torce» ed era uno scenario
molto, molto plausibile. Se solo una mezza parola fosse arrivata ad una
soltanto delle ragazze scalmanate di Derek, si sarebbe scatenato un putiferio peggiore
di quello che aveva già affrontato e non ci sarebbe stato alcun modo per
ritornare indietro, quando le prove del loro spettegolare e delle loro teorie
romantiche su di lui e il playmaker si fossero rivelate fondate. Era uno
scenario che lo faceva rabbrividire e che voleva a tutti i costi evitare, gli
bastavano le occhiate astiose che continuava a beccarsi ad ogni nuovo passo,
sia che fosse da solo, sia che fosse con il lupo in persona.
«Te lo meriteresti» elargì la bionda fragola con un piccolo broncio offeso
sul volto, rubandogli il foglio dalle mani per dispetto ed inserendo i suoi di
risultati ottenuti.
Stiles le dedicò un piccolo sorriso di comprensione ed affetto, lasciandola
fare. «Mi dispiace non avertelo detto, ma non l’ho fatto per cattiveria; è solo
successo» con una luna piena alta nel cielo e l’ululato di un lupo a fare da
colonna sonora. Era iniziata così e si era prodigata per molto altro, non aveva
idea di dove sarebbe finita. «È qualcosa che ci fa stare bene» e Stiles
cominciava ad avere problemi ad addormentarsi quando Derek non era con lui e le
sue visite diventavano sempre più frequenti e le motivazioni che portavano ad
avere bisogno l’uno dell’altro aumentavano e prima o poi Derek sarebbe entrato
da quella finestra ogni giorno per rimanere al suo interno.
Lydia non poté proprio ignorare l’implicazione di quelle parole e il tono
dolce ed affettivo con cui le avvolgeva, c’era una luce così splendente nei
suoi occhi ed un sorriso così vero, che avevano tutta un’altra musica rispetto
a tutto ciò che lo separava dal capitano della squadra di basket. «Non
scottarti».
Era troppo tardi.
Quando Stiles raggiunse il tavolo fin troppo popolato e pieno di brusio,
con scambi arbitrari di piatti e bottigliette di tutte le bevande possibili, si
sedette al solito posto tra Derek e Malia, scavalcando la panca e prendendo in
mano la forchetta ed il coltello di plastica per tuffarsi sulla cotoletta di
pollo fritta e nel purè di patate, sarebbe anche riuscito ad addentarlo quel
primo boccone di carne bianca se due occhi castani ed insistenti avessero
smesso di prestargli attenzione. «C’è qualcosa che non va?» domandò allora di
riflesso, abbassando le posate, ma lasciando per aria la forchetta e riponendo
il coltello sul piatto, incontrando le iridi attente della coyote che non aveva
ancora proferito parola.
«Stai bene adesso?» chiese invece la ragazza con una leggera apprensione
nel portamento statuario e senza sbavature, del tutto disinteressata a quello
che la circondava e con la priorità di nutrirsi messa in secondo piano.
Stiles rimase così sorpreso da quella domanda che per alcuni momenti non
aveva idea di cosa avrebbe dovuto rispondere ed il motivo per cui gli era stata
posta con così tanta importanza da diventare essenziale il responso.
Dovette metterci qualche secondo a carburare, a ripercorrere il giorno
precedente, l’apatia che l’aveva colto ed il distacco con cui aveva trattato
tutti, senza nemmeno individuarli nella propria bolla privata, escludendoli ed
optando per un isolamento totale. Li aveva completamente tagliati fuori ed a
nessuno di loro aveva dato una spiegazione, ripresentandosi al solito posto
come se niente fosse accaduto.
Per Stiles non era quasi esistito il giorno prima, il giorno della
ricorrenza della morte della madre, e non aveva considerato che qualcuno
potesse essere stato turbato dal suo comportamento o, da chi possedeva dei
sensi che andavano oltre quelli umani, dall’afflizione e dal dolore che emanava
sotto forma di odori e palpitazioni. Malia, cresciuta come coyote nel sottobosco,
era la più sensibile di tutti alle sensazioni di chi la circondava, non doveva
apparirgli così astratto quell’interesse e quella forma di apprensione che la
ragazza stava mostrando nei suoi confronti ed i sensi di colpa nell’umano
crebbero un po’ di più.
Senza rendersene conto scalpitava con le dita e senza sapere esattamente
cosa fare e come scusarsi, l’avambraccio gli scivolò un po’ di lato, sotto al
tavolo, proprio di fianco a Derek, incontrando il suo e sfiorandogli il palmo
con i polpastrelli, mentre il lupo apriva totalmente la mano e permetteva al
ragazzo di intrecciare le dita alle sue, stringendogliele un po’ più forte per
serrare la presa.
Stiles ricominciò a respirare più tranquillamente ed il leggero senso di
colpa sparì lentamente, lasciando emergere soltanto la premura e l’interesse
che gli altri provavano verso di lui.
Malia era davvero preoccupata, non le interessava se l’umano avesse escluso
quelli che considerava parte della sua famiglia ed avesse preferito affrontare
gli eventi da solo, voleva soltanto conoscere la verità del suo stato d’animo,
anche se era capacissima di scoprirlo da sola. «Sì, sto bene» confidò veritiero
il figlio dello sceriffo, con un sorriso caldo e di apprezzamento che si
disegnò sulle sue labbra. «Grazie, Malia».
Malia lo guardò ancora per un po’, come se stesse tastando il terreno e
dovesse accertarsi delle sue parole e mentre tentava di scoprire ciò, le iridi
nocciola le caddero sulla trama delle dita dei due ragazzi che ancora non
avevano disfatto e, riportando lo sguardo sul sedicenne, annuì lievemente,
ottenendo la risposta che l’ebbe soddisfatta.
«Sei sicuro che mi sia risvegliato nell’universo giusto? Potrei aver
sbagliato bivio durante il sonno» domandò il giocatore di lacrosse al suo
vicino, ancora intontito da quella forma di attenzione che Malia gli aveva
prestato.
«Sei solo entrato nelle sue grazie» gli rivelò semplicemente il capitano
della squadra di basket, sintetizzando la situazione con maestria.
«Avrei dovuto offrirle prima il cupcake» realizzò
il sedicenne, sminuendo con dolcezza divertita il percorso che avevano compiuto
insieme.
Derek lo ignorò bellamente e bevve dalla sua bottiglietta senza lasciarsi
toccare dai pensieri sconclusionati dell’altro. «Perché mi guarda in quel
modo?».
Stiles corrugò la fronte, puntando gli occhi su di lui che non dava alcuna
indicazione e rimaneva immobile nella sua posizione senza dare alcun
suggerimento e come se non avesse proferito nulla; Derek Hale era il peggior
soggetto da cui trarre degli indizi. «Chi?».
«La Martin» disse il licantropo con ovvietà, limpido come l’aria che non
potesse riferirsi a nessun altro.
L’umano si voltò verso la persona citata con gli occhi vigili e spietati
che scrutavano il moro. «E come ti starebbe guardando?».
«Come uno che ti ha sottratto l’innocenza» e c’erano davvero tanti tipi di
innocenza che poteva avergli sottratto e su alcuni punti era anche vero; Stiles
non era più l’adolescente sognante e fantasioso che cercava il sovrannaturale e
le sue amate creature mitologiche, con i lupi mannari in vetta alla classifica;
lui vi era proprio dentro e quasi ogni notte condivideva il letto con uno di
loro. Quel tipo di innocenza non sarebbe più tornata.
Ma era ad un altro il tipo di innocenza a cui si riferivano il diciottenne
e la bionda fragola. «Ehm… perché crede che tu l’abbia fatto» quasi non si
strozzò nel dirlo ad alta volte, preferiva proprio che quel tipo d’argomento
non si toccasse mai, soprattutto se implicava lui e Derek e già erano implicati
un po’ troppo per negare l’evidenza.
Derek si voltò di scatto, gli occhi verdi impenetrabili che lasciavano
fuoriuscire lo sgomento che lo stava cogliendo; era difficile scombussolare
Derek Hale e pietrificarlo, ma i momenti in cui lo vedeva in quel modo si
stavano moltiplicando senza eguali. «Come sarebbe giunta a questa
conclusione?».
Stiles sospirò internamente e le iridi gli caddero sulle mani ancora
intrecciate, il contatto fisico che aveva cercato senza rendersene conto e che
gli era stato concesso, quello che non avevano ancora interrotto. Forse non
erano così assurdi i pensieri di Lydia. «La maglia» disse come unica risposta,
disgregando la loro stretta e tirandogli l’orlo dell’indumento citato proprio
con la mano appena liberata, da cui emergeva in modo nitido ed inequivocabile, attraverso
lo sfondo nero, l’anello d’argento con la triscele rossa. «L’ha vista qualche
giorno fa nel mio armadio e si è chiesta come potessi averla riavuta in così
poco tempo e tra una presa di posizione e l’altra, sa che dormiamo insieme».
Derek continuò a guardarlo impassibile, senza proferire parola e Stiles si
ritrovava in una situazione di imbarazzo e completo smarrimento, aveva delle
scuse sulla punta della lingua che non riusciva a frenare ed in realtà non vi
era alcun motivo per cui dovesse sentirsi così, ma non riusciva proprio a farne
a meno. «Possiamo… possiamo parlane in un secondo momento?» era un argomento
spinoso che sarebbe degenerato e non era proprio il caso di affrontarlo in
mensa davanti a tutta la scuola, in più si chiese di cosa avessero davvero
dovuto parlare.
Derek gli dedicò ancora il suo sguardo e poi ritornò al suo pasto,
lasciando le cose a metà.
Stiles prese un lungo respiro e sperò che Derek non si innervosisse troppo
per l’invadenza senza freni della bionda fragola.
Stiles era seduto sul pavimento della propria camera da letto, con la
schiena poggiata al bordo del materasso e con il libro di letteratura sulle
gambe incrociate, a scarabocchiare parole chiave sull’analisi del testo che
stava studiando, mentre Derek gli sedeva accanto con le gambe dritte ed il
quaderno di matematica su cui stava lavorando su di esse.
Il padrone di casa stava curiosando da qualche minuto, cercando di
individuare a quale argomento il lupo si stesse dedicando e si avvicinò con
circospezione, guardando attraverso la sua spalla. «Ti conviene usare questo
metodo per dimostrare il teorema» gli suggerì candidamente, indicando il metodo
consigliato che si trovava in uno dei fogli svolazzanti che fuoriuscivano dal
quaderno ed a cui Derek aveva dato un’occhiata approssimativa, scegliendo di
testa sua.
Derek fermò la matita, smettendo di scrivere sul foglio a quadretti e
lanciandogli un’occhiata riluttante ed intensa. «È programma dell’ultimo anno»
gli ricordò, non tanto perché non credesse nelle capacità di Stiles di vedere
più lontano di lui, ma perché materialmente non poteva possedere le conoscenze
per arrivare a quella soluzione senza conoscere l’argomento.
«Lo so» convenne il sedicenne, senza scomporsi più di tanto e conscio dei
due anni di differenza che si ponevano tra loro, dei programmi completamente
opposti a cui erano soggetti i loro studi ed a quel lieve richiamo che gli
consigliava di stare un po’ al suo posto; fatica sprecata. «A volte quando
finiamo i compiti in anticipo e Lydia si annoia più del solito, ci imbarchiamo
in qualche nuovo argomento dei futuri programmi scolastici; ci portiamo un po’
avanti per non essere completamente a bocca asciutta» spiegò velocemente, senza
soffermarsi sui dettagli e su come reperissero certe informazioni, su quanto si
fossero portati avanti. «Lydia ha un particolare rapporto con la matematica ed
abbiamo affrontato quest’argomento diversi mesi fa» meglio non dire che
conoscevano tutto il programma del terzo anno di quella materia e l’avessero
concluso l’anno prima, perché la bionda fragola lo riteneva troppo semplice.
Procedendo di quel passo sarebbero passati direttamente ai programmi
universitari.
Derek non fiatò e corrugò soltanto le sopracciglia e forse li considerava
un po’ fuori di testa, perché nessuno sano di mente che si annoiasse, invece di
limitarsi a studiare le materie che già avevano nel loro orario scolastico,
portandosi, al massimo, un po’ avanti con quelle suddette materie, si sarebbe
imbarcato in uno studio totale di qualcosa che li avrebbe toccati soltanto nel
futuro. «Sempre la Martin» e Stiles non poteva proprio ignorare il modo astioso
che predominava quando si parlava di lei, quel tipo di fastidio e sentimento
che si avvicinava pericolosamente alla gelosia.
Stiles non disse niente e preferì non indagare, tornando al suo testo
poetico e lasciando Derek al suo teorema, teorema che risolse con il metodo
consigliatogli.
«Mi dispiace per oggi, per Lydia» proferì poco dopo il figlio dello
sceriffo, sottolineando un verso che lo colpiva particolarmente.
«Non c’è alcun motivo per cui dovresti dispiacerti» soprattutto perché
Stiles aveva la strana tendenza a scusarsi ed a prendersi sensi di colpa che in
realtà non esistevano e si faceva carico di pesi che
non erano necessari. Derek doveva ricordarglielo ogni volta.
«Non le ho detto niente, proprio niente, è questo che non sopporta» rivelò
l’umano, mettendolo al corrente di una conversazione lasciata a metà e senza
spiegazioni, di motivazioni che non le sarebbero state concesse. «E quindi trae
conclusioni errate» anche se tutti in quella scuola traevano conclusioni errate
quando si parlava di lui e Derek Hale.
«Vorresti dirglielo?» domandò Derek con cautela, guidato dalla strana
afflizione che prendeva vita dalla voce seminasale del sedicenne.
Stiles si voltò di botto ed ingrandì i suoi giganti occhi d’ambra,
guardandolo senza conoscerlo. «Del sovrannaturale, di te e del branco? Ci
resterebbe secca e sicuramente nemmeno mi crederebbe» elargì sbracciandosi,
scartando del tutto tale possibilità. «Va bene così, Der.
E poi non voglio condividerlo con nessuno; è nostro, solo nostro» ed era sicuro
di averlo già detto una volta o qualcosa di molto simile. Non c’era alcuna
ragione per cui quel segreto sarebbe dovuto essere rivelato, al contrario si
impegnava molto per proteggerlo e tenerlo celato. Stiles era come un eletto a
cui era stato permesso di conoscerlo e non aveva alcuna intenzione di tradirlo
e sventolarlo ai quattro venti. L’esistenza del sovrannaturale, la verità sulla
natura di Derek erano un qualcosa che doveva custodire gelosamente. «E poi non
ha mai avuto una buona opinione di te, con tutti quei cuori che spezzi ogni
giorno» rivelò con divertimento pungente, burlandosi affettuosamente di lui e
mostrando il sorriso da volpe scaltra che usciva fuori nei momenti propizi.
Derek sbuffò accigliato e per nulla sorpreso, ma non lo aggradava proprio
quella visione che avevano di lui. «Non è intenzionale, io sono chiaro».
Il sedicenne ridacchiò spensierato, divertito dalle pecche che esistevano
nella vita di Derek e che lo alleggerivano molto, soprattutto davanti alle sue
reazioni; se poi esistevano dei risvolti negativi anche per lui, era un’altra
storia. «Dovresti camminare con un cartello con su scritto: già mentalmente impegnato. Lasciatemi in
pace».
«Mentalmente?» gli fece eco il lupo mannaro, guardandolo con un
sopracciglio innalzato.
«Sì» confermò il padrone di casa, ammiccando con grazia. «Molto meno
romantico di: il mio cuore è già
impegnato e non vedo nessun altro. Non ripassate mai più».
Derek rimase per alcun attimi in silenzio, senza obiettare e Stiles non
sapeva bene su quale parte del suo annuncio strampalato si fosse fermato
l’altro, ma la sua mente caparbia e la consapevolezza degli occhi di Derek su
di lui, costanti ed inarrestabili, gli suggeriva che fosse proprio la parte del
non vedo nessun altro. «E tu sei
mentalmente impegnato?».
Stiles si mostrò impressionato e colpito, soprattutto perché era un
argomento che non avevano mai toccato, ma che era stato vagamente accennato da
lui stesso, senza mai approfondirlo o soffermarcisi. «Con Lydia, intendi
dire?».
«Sei innamorato di lei» proferì in punta di piedi il lupo mannaro, dando
voce a qualcosa che avevano solo bisbigliato. «Da otto anni» e quello era una
piccola ripassata per l’unico sbilanciamento a cui si era lasciato andare il
minore.
«Sembrano tanti, vero?» domandò retoricamente, lasciandosi andare ad un
sospiro trattenuto, liberando l’aria dai polmoni. «Era la mia isola felice
quando la malattia di mia madre si è manifestata e lei non sapeva nemmeno della
mia esistenza» sbuffò un po’, non risentito per la sua presenza invisibile, ma
per il destino avverso. «Ho preso coscienza per lei soltanto dallo scorso anno,
quando Allison è entrata nelle nostre vite e Scott si è innamorato al primo
sguardo. Ognuno ha messo qualcosa di se stesso con la formazione della loro coppia
e Lydia era già diventata la sua migliore amica, quindi ci siamo trascinati
tutti a vicenda» posò la matita al centro del libro ed abbandonò la testa sul
bordo del letto, ritrovandosi a fissare il soffitto – era così pericolosamente
vicino a quello che era accaduto tra lui e il licantropo. «Siamo amici».
«Non è così che si comincia?» lo incitò il mannaro, quasi a consolarlo ed a
lasciargli uno spiraglio aperto e Stiles si chiese se stesse confortando lui o
se stesso.
«No, dipende dalle persone, dalle situazioni e dal percorso che fanno» lo
smorzò il padrone di casa, mettendo in ballo varianti ed opzioni, la
complessità degli individui e della vita che affrontano. «Per noi è il
capolinea, è l’unico traguardo che potevo raggiungere».
«Sei cinico» rivelò il mutaforma con un’osservazione che forse gli era
sfuggita e che apprendeva per la prima volta, era come se avesse ancora tante
cose da imparare su di lui.
Stiles ridacchiò deliziato e strusciò il viso contro la sua spalla,
lasciando viaggiare la mano sinistra alla ricerca di quella destra dell’altro,
dove spiccava l’anello che li accomunava, e prendendogliela tra le dita. «Sai
qual è la verità, Der? Non provo più le stesse cose»
era una confessione che non aveva mai fatto nemmeno a se stesso, tenendola
radicata nei posti più nebulosi della mente, dove poteva ancora illudersi e
fantasticarci sopra. «È la mia migliore amica, sto bene con lei e provo ancora
un fortissimo sentimento nei suoi confronti, ma non credo sia più il sentimento
romantico che era una volta» giocherellò con le loro falangi, permettendo loro
di toccarsi e rincorrersi, accarezzando distrattamente l’anello che Derek
portava sul medio, ricalcando l’incisione della triscele rossa con cui si
teneva impegnato. «Ho avuto così tante cose per la testa che ho smesso di
pensarci ed a volte ritornava, lo ammetto, ma era qualcosa di fumoso senza
troppa consistenza» sospirò un po’ frastornato e malinconico, gli occhi un po’
opachi e lontani, un turbine di pensieri che lo stavano abbandonando. «È strano
realizzare di aver perso il tuo primo amore» ed aveva un che di amaro rivelarlo
proprio al licantropo che conosceva bene quella perdita, benché fosse di
fattezze completamente diverse e distruttive.
Derek allargò le dita, creando il vuoto tra una e l’altra, permettendo al
figlio dello sceriffo di fare qualsiasi cosa gli passasse per la mente,
consentendogli di giocare come meglio desiderava. «Ti innamorerai ancora». La
voce era calda e vellutata come una coperta morbida ed accogliente, una di
quelle che proteggeva dalle intemperie e che avrebbe affrontato qualsiasi male
per tenerlo al sicuro. Mi basteresti tu e
il mondo potrebbe anche scomparire, Stiles non riusciva più a controllare
bene i suoi pensieri e prendevano accesso alla sua mente come meglio volevano,
mettendo tutto a fuoco e rendendolo più concreto. «Ti ritroverò al mio
risveglio domani?».
«Vuoi che ci sia?» chiese in risposta il mutaforma, sbirciando dall’alto
della sua posizione, senza scostarsi o invitare Stiles a mettersi in una
posizione differente.
«Sì» affermò l’umano con convinzione morbida, inserendo le dita capricciose
tra gli spazi che Derek gli aveva creato per accontentare il suo divertimento.
«È molto più bello risvegliarsi con una persona accanto, soprattutto se ti eri
addormentato con lei. È davvero orrendo trovare il letto vuoto» e lo era per
davvero, Stiles cominciava a rendersene conto mese dopo mese, giorno dopo
giorno, la presenza di Derek era così vitale per lui che non ritrovarlo la
mattina successiva corrispondeva ad un abbandono in piena regola, come uno
strano scherzo della mente che prima lasciava comparire qualcosa e poi gliela
portava via, senza dare la certezza che fosse vero.
Ogni mattina doveva accertarsi che il rapporto che lui e Derek Hale avevano
creato fosse reale e che quasi ogni notte condividesse le lenzuola con il lupo,
cadendo nel più soporifero e meraviglioso sonno restauratore.
«Non ti starò viziando troppo?» domandò retoricamente il capitano della
squadra di basket, accettando le falangi che si incastravano alle proprie e
corrispondendo la stretta, creando definitivamente la trama tra le loro mani.
Aveva uno strano modo di smentire la cosa.
«È questo il bello» annunciò il figlio dello sceriffo con una curva abile e
birichina sulle labbra, rigirando la testa sulla spalla del mannaro ed
incontrando le iridi verdi che lo guardavano dall’alto, captando all’istante i
suoi movimenti. «Derek Hale, il ragazzo più corteggiato dell’istituto,
idolatrato da fanciulle e fanciulli che si prostrano ai suoi piedi, vizia
Stiles Stilinski, il ragazzino sfigato e logorroico invisibile a tutti gli
altri. Il grande lupo cattivo, feroce ed acido vizia una piccola volpe
indifesa».
«Sei una volpe ammaliatrice» lo corresse il grande lupo cattivo, parando il
tiro e smontando la visione che aveva appena creato di loro.
Stiles mostrò quella piega furba ed accattivante che spesso Derek
descriveva, con gli occhi vispi ed attenti, ammiccanti e travolgenti, come la
grande volpe rossa furba quale era. «Resta con me».
Fu impegnativo ritornare sui libri scolastici, con Stiles abbandonato
contro di lui e Derek a reggerlo impassibile.
Stiles aprì gli occhi con difficoltà poco dopo l’alba ed accanto a lui vi
era il corpo solido del capitano della squadra di basket, caldo e confortevole,
riparato dal freddo dell’inverno dalle coperte che cadevano su entrambi,
fasciandoli per bene.
Strisciò verso di lui, nei pochi centimetri che li dividevano,
appiattendovisi contro, mentre Derek si muoveva di conseguenza per permettergli
di accoccolarsi meglio. «Grazie per essere rimasto» proferì l’umano a contatto
con la pelle del mannaro, lasciandosi avvolgere completamente dalla sua
temperatura corporea.
Derek mugugnò nel dormiveglia, allargando le lenzuola e provvedendo a
ricoprire al meglio il padrone di casa, aprendo gli occhi soltanto per
incontrare quelli di ambrosia prima di ritornare a dormire. «Viziato» bofonchiò
con voce roca, mettendo nero su bianco la vera condizione in cui si trovava il
sedicenne.
Stiles gli sorrise sull’epidermide contento e compiaciuto e Derek lo
avvolse con un braccio, tirando le lenzuola, mentre l’umano mugolava in
apprezzamento.
Sei l’unico al mondo a viziarmi.
Aveva ancora qualche altra ora di sonno, ore di sonno da condividere con il
suo lupo, prima che la sveglia suonasse e li riportasse con i piedi per terra,
a correre per raggiungere in tempo la struttura scolastica.
Era certo che al suonare della sveglia Derek sarebbe stato ancora lì con
lui, a tenerlo stretto contro di sé, avvolgendolo totalmente ed aspettando il
suo completo risveglio.
Quello sarebbe stato il loro nuovo buongiorno e non era altro se non la
conferma confortante che, ogni volta che se ne sarebbe presentata l’occasione,
Derek sarebbe rimasto, affacciandosi al mattino insieme a lui.
Prima o poi doveva capitare che questi due si
svegliassero insieme la mattina, affrontando insieme il nuovo giorno e incontrando
un certo imbarazzo. Cosa che non è successa, ma Stiles qualcosa l’ha provata
nel momento in cui Derek si è preso in qualche modo gioco di lui; ma è un tenerello, gli passano strane idee nella testa e adesso
Derek corrisponde a: ho un uomo che mi
dissemina la casa delle sue cose, il che è tutto dire.
Mai che si possa nascondere qualcosa a Lydia,
santissimi dei del cielo!
Povero Stiles, non può nemmeno tenere segreto
il fatto che abbia un uomo per casa con cui condivide il letto ed i vestiti;
povero caro.
Ciao, Malia, ti voglio bene.
Oh, il triangolo LydiaxStilesxDerek
si fa sentire finalmente e mette in luce scomode verità che non affrontano e
poi affrontano e poi dicono cose a metà fino a risolvere teoremi di matematica
e rivelare di non essere più innamorati del loro primo amore. Okay, perfetto.
Ma possiamo dire le cose come stanno, per favore?
E concludendo in super sintesi… sì, Derek. Stai
proprio viziando tanto il nostro Stiles.
E oggi è l’Epifania quindi sotto con il
cioccolato!
A venerdì,
Antys